Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo

di Adeia Di Elferas
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L'aria di Firenze era sottile e fresca, quella mattina, eppure Caterina non riusciva ad apprezzarla. Per lei doveva significare libertà, invece non faceva altro che ricordarle le catene.

Tossì, piegandosi appena su se stessa. Sentì qualcuno che la sosteneva per il braccio e solo in quel momento si ricordò del fraticello che stava passeggiando al suo fianco.

Ah, sì, stava parlando della sua vita, in particolare di quella volta che gli Orsi avevano messo sotto assedio la rocca di Ravaldino... Forse il frate le aveva chiesto qualcosa, prima che lei si perdesse nei suoi pensieri.

Così, con un gesto del capo per scusarsi della sua distrazione, Caterina domandò: “Cosa mi avete chiesto prima?”

Al che il frate fece un breve sorriso pacato e disse, con una vocetta querula, ma colma di ammirazione: “Vi avevo domandato se davvero avere detto una cosa simile quando hanno minacciato di uccidere i vostri figli...”

“Ah!” esclamò Caterina, staccandosi dalla presa del frate e cercando di star dritta senza tossire più: “Non mi credete capace di alzare la gonna e gridare al nemico che anche se avessero ucciso i miei figli, io avevo il necessario per farne altri?”

“No, non metto in dubbio il vostro coraggio...” bisbigliò il frate, mentre le sue guance pallide prendevano un po' di colore: “Solo... I vostri figli potevano sentirvi?”

“Sì, direi proprio di sì.” ammise Caterina.

“E come hanno reagito alla vostra frase?” chiese il frate, curioso.

Caterina restò in silenzio per un lungo istante, durante il quale la sua mente tornò a quella giornata passata alla storia, alle grida e alla polvere, al rumore del cozzare delle armi, del tendersi delle corde degli archi... Ritornò alla paura e alla voglia di non darsi per vinta, rivisse l'agitazione della battaglia e la calma che ne seguì...

Riaprì gli occhi. Non si era accorta di averli serrati. Le sue pupille stanche incontrarono quelle ancora giovani e brucianti del frate: “Sapevano che dicevo la verità e che...”

Non seppe come finire la frase. Il frate preferì non scavare più a fondo, temendo, a ragione, di aver sollevato ricordi dolorosi.

“Avete avuto una vita molto piena.” ammise il religioso, tornando a guardare il sentiero che stavano percorrendo: “Sono un privilegiato, immagino, a poter sentire da voi il racconto di una simile esistenza...”

Caterina fece una smorfia a metà tra un sorriso e un'espressione di dolore: “Sì, la mia vita è stata molto...” Agitata, pensò. Caotica e a tratti disperata, riflettè. Piena di dolori e di tradimenti, meditò. Alla fine, però, disse solo: “Movimentata.”

“Sì, davvero stupefacente.” concordò il frate.

Caterina lo osservò un secondo. Era poco più che un ragazzo e probabilmente del mondo aveva visto poco o niente. Se aveva capito il soggetto, era uno di quelli che a cinque anni già vive in un convento e ci resta finché muore. Cosa ne poteva sapere lui di guerre, intrighi e omicidi?

Non aveva, quasi per certo, assaggiato il miele amaro che essere una persona di comando costringeva ad assaggiare.

Non aveva mai dovuto scegliere tra la propria salvezza e quella di uno stato.

Non aveva mai dovuto decidere se porre fine o meno alla vita di qualcuno.

No, quel frate di certo non conosceva lo stesso mondo che aveva conosciuto Caterina nella sua vita.

Quindi, pensò, in fondo stupire un fraticello come lui non era poi una gran cosa, ce l'avrebbero fatta in molti, con aneddoti decisamente meno suggestivi dei suoi.

In un ultimo scatto di orgoglio, Caterina volle farlo capire anche al religioso e così disse, lapidaria: “Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo.”

Il frate occhieggiò verso di lei, apparentemente d'accordo con questa affermazione. Caterina, allora, ritornò la donna provata e piena d'acciacchi che ormai era e bisbigliò: “Andiamo a mangiare qualcosa...”





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