Era un caldo pomeriggio di fine Agosto, e nell'aria attraverso la
calura già si iniziava a sentire il sentore dell'imminente
ritorno a
scuola; scuole diverse, anni diversi, c'era veramente da chiedersi
come quei due si fossero conosciuti. Lui frequentava il Liceo
Classico, aveva sempre avuto la passione per le lettere e per la
storia; lei invece andava, o meglio, sarebbe andata alla fine di
quell'estate al Liceo Artistico. Difatti tra di loro vi erano due
anni di differenza di età, così lui stava per
iniziare il terzo
anno di scuola superiore, mentre lei era appena uscita dalle medie;
si erano conosciuti un pomeriggio in cui un amico di lui aveva
insistito moltissimo per andare a trovare una sua amica ad un centro
commerciale, e lì avevano trovato anche lei; era stata una
sorta di
colpo di fulmine, la sera dopo lui la invitò ad uscire e si
misero
assieme così, senza neanche dirselo.
Sembrava andare tutto nel migliore dei modi fra i due, che stavano
assieme ancora da meno di un mese e già sembravano
conoscersi da una
vita; lui si era aperto completamente a lei, dicendole quello che non
aveva mai detto a nessun altro, tutto quello che aveva sempre tenuto
dentro e che adesso aveva trovato una valvola di sfogo, una persona
di cui si fidava ciecamente e che, almeno lui pensava, gli sarebbe
stata sempre vicino. Lui cercava sempre di esserle vicino qualsiasi
cosa accadesse, qualsiasi problema avesse, la incoraggiava a parlare
con lui, per una volta nella sua vita si sentiva veramente importante
per qualcuno, e la cosa gli piaceva molto: era una situazione nuova,
era già stato con altre ragazze prima ma era ancora troppo
giovane
per capire cosa volesse dire stare con un'altra persona, cosa
significasse veramente un legame sentimentale. Tutt'ora era troppo
giovane per capirlo. Per capire che il colpo di fulmine non esiste,
che l'amore non nasce all'improvviso come la passione, ma che va
coltivato, fatto crescere con la fiducia, la conoscenza e l'affetto,
perché altrimenti la giovane pianta di una coppia ancora ai
boccioli
sarebbe appassita prima di mettere i primi fiori. Tutto questo lo
avrebbe imparato presto a sue spese.
Passeggiavano mano nella mano, lentamente, e parlavano; fino a quel
giorno nel loro rapporto non vi era stato un giorno triste, un giorno
in cui non avessero passato tutto il tempo a baciarsi e a scambiarsi
parole dolci, ma quel giorno era diverso; lui lo sentiva, c'era
qualcosa di strano in lei rispetto a come era di solito. Sembrava
molto più triste, svogliata, come se ci fosse qualcosa che
non
andava. Ma non capiva, non riusciva a capire. Tutte le volte che
avevano parlato, le ore passate al telefono, tutte le volte che le
aveva chiesto come stava e lei non gli aveva mai detto niente di
male; nemmeno ora che erano assieme e che avrebbe potuto parlarne con
lui diceva niente; semplicemente teneva la testa bassa sul terreno e
camminava strascicando i piedi, con quell'aria triste negli occhi che
hanno solo quelle persone che cercano di nasconderlo.
“C'è qualcosa che non va?” le chiese
lui, la sua voce suonava
quasi ingenua in quella domanda.
Lei alzò gli occhi, lo guardò e sorrise, ma i
suoi occhi non
sorridevano con le sue labbra. “Va tutto bene, non ti
preoccupare.”
“No, non va tutto bene. È tutto il pomeriggio che
sei triste, cosa
c'è che ti opprime?”
“Non c'è niente che non va. Tutto a
posto.” il tono di lei si
era fatto più freddo mentre abbassava di nuovo lo sguardo, e
cominciava ad accelerare il passo.
“Hei, aspetta!” con la mano, che lei aveva liberato
dalla presa
della sua, le afferrò il polso e la tirò indietro
per fermarla.
“Ahi!” si girò di scatto e
portò l'altra mano su quella di lui,
come per cacciarlo via; rimasero un paio di secondi così, a
guardarsi negli occhi, poi lui abbassò lo sguardo, spostando
la
manica dal polso della ragazza.
I tagli rossi apparvero ai suoi occhi, dolorosi come frustate e
orrendi, profondi come abissi porpora e pieni di angoscia e di
incomprensione, cadde vorticando nella voragine vermiglia fino a
perdere la cognizione della velocità della caduta ed avere
la
nausea, il forte odore metallico del sangue che lo picchiava sul viso
con la ferocia di un animale in gabbia.
Si svegliò nel suo letto, sentendosi come se ci fosse
arrivato al
termine della caduta vertiginosa del suo sogno; era sudato, aveva il
respiro pesante e stava tremando. Si passò una mano fra i
capelli,
seduto, facendo un respiro profondo per stabilizzare la situazione e
calmare il tremito.
Dannazione…
Maledetto incubo, si era ripromesso di non pensarci più. Non
ora che
stava con N.
La storia con la ragazza del sogno era finita da mesi ormai. Dopo
quell'episodio non erano durati molto, il loro rapporto era andato
sfaldandosi e deteriorandosi, fino a che lei non lo aveva lasciato.
Un mese e mezzo. Quel tempo erano durati. Con N. aveva già
sorpassato quel limite, e stavano assieme da più di due mesi
ormai;
la differenza fondamentale era, forse, che avevano preso del tempo
per conoscersi prima di mettersi assieme; avevano imparato ad
apprezzare i pregi e i difetti l'uno dell'altra, ad amarsi davvero.
Lo aveva aiutato molto. Ora sapeva cosa fare della sua vita, solo
grazie a lei.
Eppure quell'incubo non era venuto dal nulla, aveva un motivo. Era
cominciato qualche giorno prima. N. gli diceva sempre un sacco di
cose su di lei, e gli raccontava anche dei suoi problemi, cosa che lo
rassicurava molto. Aveva capito che non esiste una vita senza
problemi, e se una persona non te ne parla è solo
perché non tiene
a te o non si fida abbastanza da condividere il suo peso con te.
Qualche giorno prima aveva iniziato a preoccuparsi; erano
lì, seduti
l'uno davanti all'altra, sui bassi gradini di legno del loro luogo
preferito. Lei aveva lo sguardo basso, le braccia lasciate andare
sulle gambe incrociate, e quell'aria negli occhi che hanno le persone
quando sono tristi, ma non vogliono darlo a vedere.
“Qualcosa non va?” questa volta la sua voce non era
ingenua, era
anzi decisa e grave.
“No, niente...” abbassò ancora di
più lo sguardo.
“Hei…” le sollevò la testa
con una mano e la guardo negli
occhi, troppo tristi; “che hai?”
“Niente, sul serio...” sorrise. Gli occhi
però erano tristi.
“Sicura?”
“Si, stai tranquillo. Non è per te.”
Quelle parole lo avevano colpito come una pugnalata nel ventre.
“Non
è per te.” Allora c'era qualcosa. Ma
perché non voleva dirglielo?
Cosa c'era che non andava in lui? Aveva sbagliato qualcosa? Lui aveva
messo tutto se stesso in quella relazione, lei era il suo mondo, il
suo universo, il suo tutto; e ora scopriva che per lei non era lo
stesso. Che per lei lui era probabilmente una delle tante persone.
Non importante, non la sola.
Aveva entrambe le mani nei capelli, chiuse intorno alle ciocche
scomposte dal sonno agitato, e seduto sul bordo del letto
singhiozzava con la testa bassa.
All'improvviso il suono della sveglia lo fece trasalire; non sapeva
da quanto tempo si era svegliato, forse da dieci minuti, forse da un
ora o forse anche di più. Silenziò la sveglia e
si alzò in piedi;
stava per iniziare una nuova giornata. Sfoderò un sorriso a
labbra
chiuse, il migliore che gli veniva, e si preparò ad andare
incontro
al mondo. Per un altro giorno, aspettando la sera e poi la giornata
dopo, come nella speranza che le cose andassero meglio.
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