Disclaimer: i personaggi non mi appartengono e questa
fiction
non è stata scritta a scopo di lucro.
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Avviso prima di leggere:
Questa fiction è la conclusione della serie "Quadrilogia
delle Stagioni".
In ordine sono: Sboccia
la primavera, Dopo
la primavera, arriva l'estate,
Si
sta come d'Autunno sugli alberi le foglie.
Se non aveste letto le fiction precedenti, vi
consiglio di farlo, visto che questa parte è la conclusione
di tutte la parti precedenti.
Nelle scorse ho cercato di rendere la narrazione chiara anche a chi non
avesse letto la storia precedente.
In questa purtroppo non ho potuto più di tanto, visto il
taglio introspettivo della storia.
Nel caso voleste avventurarvi lo stesso in questa lettura, occorre solo
sapere che: Edward e Roy stanno assieme; Roy è diventato
Comandante Supremo uccidendo Bradley dopo un attacco a sorpresa a
Central City; Riza è rimasta gravemente ferita in quello
stesso
attacco; e cosa più importante Roy ha come interesse
prioritario
il benessere di tutta Amestris.
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§§§
E così, egli
avanza senza cercare fama.
Si ritira senza temere
vergogna.
Cercando solo di
risparmiare i suoi uomini
e di procurare il massimo
vantaggio al suo sovrano.
Egli è il
tesoro della Nazione.
Egli tratta i soldati
come se fossero i suoi figli,
per questo essi lo
seguiranno nelle vallate più profonde.
Egli considera i soldati
come i suoi figli prediletti
per questo essi non
temeranno di morire insieme a lui.
§§§
E così, si
dice:
Se conosci il nemico e te
stesso,
la vittoria
sarà indubbia.
Se conosci la terra e il
cielo,
la vittoria
sarà totale.
§§§
(Sun Tzu – L'arte della Guerra)
INVERNO
Ed scattò all'improvviso, quando sentì il cupo
rimbombo delle campane in lontananza.
Rintocchi lenti e tristi.
Inequivocabile annuncio di morte.
Avrebbe voluto correre alla finestra, per vedere per strada che cosa
stava succedendo.
Ma le gambe non lo reggevano.
Le campane lo avevano svegliato dal torpore in cui si era calato, ma
non erano riuscite a riscuoterlo completamente.
Sentiva i muscoli di tutti il corpo bloccati, come se fosse stato
legato alla poltrona in cui si era seduto.
Si era rannicchiato in posizione fetale, da non si ricordava nemmeno
quante ore.
I muscoli intorpiditi gli lanciavano saettanti fitte di dolore appena
lui si muoveva anche solo di pochi centimetri.
Doveva essere rimasto in quella stessa posizione ben più di
quanto immaginasse.
Pigramente mosse il collo, per poter vedere l'orologio appeso al muro.
Le cinque.
Da quanto tempo era lì?
Non lo rammentava.
E la cosa non gli interessava minimamente.
Scosso da brividi di freddo e non solo, Ed tornò a
rannicchiarsi più che poté nella poltrona.
La coperta in cui si era avvolto non lo teneva più al caldo.
Sentiva il freddo assalirlo da ogni parte.
Strinse la braccia ancor più saldamente attorno alle
ginocchia, anche se questo non servì a riscaldarlo.
Anzi, forse peggiorava solo la situazione, vista la temperatura
glaciale dei suoi auto-mail.
Ma questo non gli interessava.
Non gli importava se sarebbe morto congelato.
Voleva solo stare lì, immobile.
E almeno il freddo riusciva a distrarlo dai suoi pensieri.
Non voleva pensare.
Non voleva in alcun modo che la sua mente cominciasse a pensare.
Sentiva che se anche avesse espresso un unico pensiero coerente poi non
sarebbe riuscito a fermarsi.
E aveva troppa paura di soffrire.
Voleva solo rimanere lì fermo, immobile.
Congelato come tutto in quell'inverno particolarmente rigido.
Nonostante non avesse ancora nevicato, la città era
ricoperta da uno spesso strato di brina ghiacciata.
La città imbiancata sembrava davvero essere stata congelata.
Da giorni non si vedeva il sole; da giorni il ghiaccio sopra tetti,
alberi, lampioni, non si scioglieva.
Ed fu scosso da nuovi brividi.
Dalla finestra spalancata entrò uno sbuffo di vento gelido.
Il giovane tremò in tutto il corpo, e da ogni muscolo
addormentato sentì partire altre dolorose stilettate.
Ma questo non gli importava.
Non gli interessava il freddo, e nemmeno il dolore che toccava il suo
corpo.
Perché la sola cosa che in quel momento lo faceva soffrire
era
lo squarcio lancinante che sentiva ampliarsi sempre di più
nel
petto.
Quell'insopportabile, straziante dolore che gli aveva attanagliato il
cuore.
Un altro rintocco di campana lo fece sobbalzare nuovamente.
Non riuscì a reprimere il singulto che lo scosse dalla testa
ai piedi, e dentro, fino alle ossa.
Ogni rintocco era un nuovo squarcio che si allargava a dismisura.
Ed si strinse tra le braccia, le unghie che si conficcavano nella sua
stessa carne; il metallo che graffiava senza pietà le sue
tormentate membra.
Senza riuscire a smettere di tremare alzò di nuovo lo
sguardo.
Le lancette dell'orologio continuavano a camminare tranquille, senza
che niente o nessuno potesse disturbarle.
Avanzavano sempre più veloci, inclementi di fronte alle mute
preghiere del ragazzo che le fissava implorante.
Sì, Ed stava silenziosamente implorando tutto quello in cui
non
aveva mai creduto, perché quel momento si potesse congelare.
Fermo, immobile.
Non voleva che il tempo scorresse ancora.
Dio, ferma
quest'orologio!
Lacrime disperate cominciavano a scendergli lungo le guance.
La gola bloccata quasi non gli permetteva di respirare.
Sentiva la disperazione dentro di lui continuare a crescere, senza che
sembrasse potersi fermare.
Il dolore gli oscurava la mente; gli fiaccava il corpo, e stava avendo
la meglio anche sul suo spirito.
“Dio, ti supplico, ti scongiuro: non farmi questo!”
Un sussurro, niente più.
Quasi non aveva la forza nemmeno per parlare.
Un baluginio però catturò la sua attenzione.
Veniva poco di fronte a lui.
Arrancando come meglio poté, il ragazzo si issò
su di un bracciolo della poltrona.
Nel caminetto di fronte a lui, il piccolo fuoco che bruciava per un
attimo sembrava aver splenduto con forza maggiore.
Ed pensò che alla fine aveva vinto il dolore, e che fossero
iniziate le allucinazioni.
Quando poi si accorse che il fuoco stava davvero diventando
più
intenso, senza pesarci un momento di più, si era alzato di
corsa
dalla poltrona.
Le gambe addormentate non lo ressero, e il ragazzo cadde rovinosamente
a terra.
Ma questo non gli impedì di proseguire.
Facendosi forza con tutta la volontà che gli era rimasta,
riuscì a muovere quei pochi passi che lo separavano dal
camino.
Sentiva il calore sul viso.
Allungò la mano meccanica verso le fiamme che danzavano di
fronte a lui.
“Non spegnerti...non spegnerti...non spegnerti...”
Continuò a ripetere quel mesto ritornello, tentando invano
di acchiappare una delle lingue di fuoco.
Le fiamme ondeggiavano intorno alla sua mano, indifferenti.
Un'intensa fiammata lo costrinse a scostarsi suo malgrado.
Il fuoco era aumentato a dismisura, e Ed si trovò a
sorridere
rapito, senza davvero rendersi conto di che stava accadendo.
Rise, una risata isterica e nervosa.
Finché non si accorse che quella fiammata altro non era che
il preludio della fine.
Veloce come aveva cominciato ad aumentare, il fuoco tremò un
attimo, come incerto, per poi ripiegarsi su se stesso.
Sempre più piccolo, si stava spegnendo.
Ed fissò le fiamme farsi sempre meno intense, sempre
più deboli.
Sempre più velocemente.
Ed fissò il fondo del camino con occhi sbarrati, mentre
l'ultimo bagliore rossastro non si spense in uno sbuffo di fumo.
L'eco della sua risata aleggiava ancora nell'aria.
Il ragazzo guardò il camino con occhi vuoti.
Vuoti.
Vuoto.
Vuoto.
Vuoto.
Edward gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
Un unico grido, disperato e straziante.
Talmente intenso da coprire anche il suono delle campane che avevano
appena ripreso a suonare il loro canto di morte.
Roy era morto.
*****
Il Tribunale Militare non era mai stato così pieno.
La gente rimaneva stipata in ogni angolo, pur di poter assistere allo
spettacolo.
Il processo per strage di guerra nei confronti del Comandante Supremo.
Migliaia di persone erano arrivate da tutto il Paese per assistervi.
E la sala era piena delle famiglie di soldati uccisi per colpa sua.
Per colpa di Roy Mustang.
Poteva vedere tutti i volti addolorati di centinaia di madri che
avevano perso i figli quel giorno, quando aveva assaltato Central City
per finalmente deporre King Bradley.
E non importava il fatto che fosse diventato Comandante Supremo.
Non importava nemmeno che lo fosse diventato con la benedizione del
Parlamento.
Agli occhi di tutte quelle povere donne lui non era altro che un
assassino come tanti altri.
E se Roy, il Parlamento, o chiunque altro, voleva sperare di mantenere
la pace ad Amestris, qualcuno doveva essere punito.
Le migliaia di famiglie che avevano perso un loro componente a causa
delle incessanti guerre che da secoli sconvolgevano il Paese, dovevano
essere accontentate.
Occorreva un capro espiatorio.
Con questa motivazione un giorno la Polizia Militare si era presentata
nell'ufficio di Mustang, per arrestarlo.
Da giorni a gran voce veniva gridato il suo nome.
Mustang, assassino!
E che cosa aveva potuto fare Roy?!
Certo, avrebbe potuto sedare tutti i facinorosi; avrebbe potuto
chiedere al Parlamento di rendere illegale accusare il Comandante
Supremo; avrebbe potuto concedersi l'immunità da qualunque
accusa.
L'avrebbe fatto, se questo avesse in qualche modo fatto bene al Paese.
Ma ognuna di quelle soluzioni avrebbero solamente aumentato il
malcontento.
E non avrebbero fatto altro che minare la già precaria
stabilità di Amestris.
Per questo Roy non aveva avuto altra scelta che consegnarsi alla
Polizia, senza provare a fare nulla per salvarsi il collo.
Perché era quella, l'unica cosa che tutti quanti, in quel
momento, stavano chiedendo: la testa di Roy Mustang.
Non importava che lui avesse liberato il paese dalla tirannia e dalla
miseria.
Non importava quanto di buono avesse fatto per tutto il Paese.
Importava solo continuare a mantenere la sua promessa: un futuro
migliore per tutti.
E se per questo fosse stato necessario per lui morire, Roy Mustang non
si sarebbe di certo tirato indietro.
E ora era lì, di fronte a tutta quella gente, spogliato di
tutti i suoi gradi e di tutti i suoi onori.
Vestito della sola divisa da carcerati.
Le mani legate dietro la schiena e una trentina di soldati che lo
tenevano sotto tiro, in caso avesse tentato di fare una mossa falsa.
Ma nonostante tutto ciò, continuava a mantenere la sua
dignità.
La schiena diritta e lo sguardo sicuro.
Non avrebbe ceduto.
Era per il bene di tutti.
Aveva un solo, unico, immenso rimpianto.
Stare facendo del male alle persone che più amava.
Perché il bene di molti è più
importante di quello
di pochi...ma se quei pochi sono le persone che ami, lo scambio non ti
sembra poi tanto giusto.
E Roy non poteva sopportare di vedere gli occhi pieni di lacrime di
Hughes, da sempre il suo migliore amico.
Lo poteva scorgere in fondo alla sala, mezzo nascosto dalla calca di
gente ammassata.
Piangeva in silenzio, senza che nessuno se ne accorgesse.
Ma Roy se ne era accorto, e non poteva fare niente per alleviare il suo
dolore.
Come non poteva fare niente nemmeno per la donna che gli stava di
fianco in quel momento.
Aveva pregato, supplicato, scongiurato Riza di non seguirlo anche
quella volta.
Ma la ragazza non gli aveva dato retta.
Non lo aveva ascoltato; aveva disobbedito anche quando Roy era passato
dalle richieste agli ordini.
Riza si era rifiutata di dargli ascolto e si era auto-denunciata alla
Corte Marziale.
Non gli aveva dato una spiegazione per quel gesto, ma Roy aveva sempre
saputo che la lealtà della sua Riza Hawkeye avrebbe potuto
spingersi ben oltre i limite del normale.
E anche se era solo un sospetto, Roy credeva che la prospettiva di non
poter più essere un soldato, per lei era stato come morire.
Non
avendo mai fatto altro nella vita, il perdere l'unica cosa concreta che
sapeva fare per lei doveva essere stato doloroso oltre ogni dire.
Per questo adesso sembrava serena, senza rimpianti.
Nonostante fosse lì, accusata degli stessi crimini di Roy.
Quel giorno il popolo di Amestris si sarebbe goduto proprio un bello
spettacolo.
Il processo, la condanna e la morte di tre dei più spietati
assassini di guerra.
Che fossero innocenti o colpevoli oramai non importava più.
Zolf J. Kimbly era stato il primo ad essere processato.
Avevano concluso in fretta – una farsa senza troppi fronzoli
– e lo avevano già portato nella stanza adiacente.
La stanza dove sarebbero avvenute le esecuzioni.
Nessuno spettatore poteva entrare lì.
Il pubblico veniva avvisato dell'avvenuta morte con cinque lunghi
rintocchi delle campane.
Roy chiuse gli occhi, sentendo spandersi nell'aria l'ultimo rintocco di
Riza.
Un gelo che niente aveva a che fare con il freddo dell'aria si
impossessò di lui.
Gli mancavano pochi minuti.
Non stette ad ascoltare quello che il giudice stava dicendo.
Non aveva intenzione di sprecare in questo modo gli ultimi attimi della
sua esistenza.
Se proprio doveva morire, voleva farlo ricordando quanto di bello la
vita gli aveva donato.
Voleva che il suo ultimo e solo pensiero fosse Edward.
Quella era la cosa che più gli dispiaceva di quella faccenda.
Lasciare Edward.
Niente mai lo aveva fatto soffrire come la consapevolezza che non
avrebbe mai più rivisto il suo amato compagno.
Roy trattenne le lacrime.
Non voleva che nessuno le vedesse piangere.
Scacciò a forza il dolore che accompagnava quei tetri
pensieri e
cercò di evocare nella sua mente ciò che aveva di
più prezioso: i ricordi di lui e Edward insieme.
Chiuse gli occhi e vide il suo viso rotondo, ancora da ragazzo; le sue
mille espressioni buffe di quando si arrabbiava; il sorriso che
regalava solo a lui.
Tutti i momenti belli che avevano passato assieme; tutti i problemi che
avevano dovuto affrontare per riuscire a dichiararsi uno all'altro; gli
anni che avevano vissuto insieme.
Scelse una, tra le miriadi di immagini che gli scorrevano davanti.
Il primo giorno nella loro nuova casa: l'inverno dell'anno prima,
quando tutto sembrava essersi sitemato per il meglio. Rivide con
chiarezza Edward seduto di fronte al camino acceso, che gli sorrideva
felice come non lo aveva mai visto.
Roy sorrise a sua volta.
E con il sorriso sulle labbra mosse i pochi passi che lo separavano
dalla ghigliottina.
Si inginocchiò, tendendo il collo sopra il ceppo macchiato
del sangue di chi lo aveva preceduto.
Perdonami Edward.
I rintocchi delle campane.
Un sibilo di metallo.
E la sua fiamma si spense.
Fine
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Precisazioni:
Il fuoco nel camino è fuoco alchemico che ha generato Roy. E
quando muore lui, anche il fuoco si spegne.
Una sorta di ultimo regalo per Ed, per farlo stare vicino a lui - o
almeno, ad una parte di lui - fino alla fine.
Edward non presenzia al processo perché, secondo me, non ce
l'avrebbe mai fatta a sopportare.
E anche perché Roy non glielo avrebbe mai permesso: non
vuole farlo soffrire più del necessario.
Riza non è innamorata di Roy.
La citazione iniziale è presa dall'"Arte della Guerra", e in
particolare nella sezione dove viene descritto il buon Generale.
Leggendolo non ho potuto fare a meno di paragonare la descrizione a
Mustang, e mi sembrava più che calzante.
Per il caminetto in casa di Ed e Roy, mi sono ispirata a "It's raining
cats and dogs" di elyxyz.
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Ringrazio Rue Meridian
per aver approvato la storia!
Link alla sua storia: Il
processo
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Angolo dell'Autrice:
Mi scuso anche per il mostruoso ritardo con cui pubblico questo
capitolo.
Gli impegni scolastici hanno avuto la precedenza...di nuovo, sigh!
E con questo finalmente concludo la saga delle Stagioni.
Un finale molto triste, me ne rendo conto.
Scusatemi tanto! ç__ç
Ma purtroppo doveva concludersi in questa maniera!
Aveva già stabilito che sarebbe stato così,
già dai tempi dell'Estate! Sigh!
"Se conosci la terra e il cielo, la vittoria sarà
totale": Roy sacrifica se stesso, il suo futuro
e quello di Ed per un bene più grande.
Questa è la mia idea di Roy Mustang.
Per questo la sua storia non poteva che finire in questa maniera.
Sacrificandosi per il bene di tutti.
Anche a costo del suo amore per Edward.
Dedico questa fiction a
tutti quelli che sono riusciti ad arrivare dalla Primavera fino a qui!
Grazie mille per avermi
sostenuta!
Per favore, fatemi sapere i vostri commenti,
pareri o critiche!
Grazie a chi vorrà lasciare una recensione e a quanti
leggeranno e basta.
Beat
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