Salve a tutti,
partecipando ad un contest su epf, il morso di un vampiro,
ho scritto questa one-shot... se a qualcuno piacerà,
sarò molto contenta ^_^
Buona lettura ^_^
Il morso di un vampiro - The bite
of a vampire
I passi si dispersero veloci, quasi come se fosse possibile immergerli
e cancellarli nella foschia. Mi avviai verso
l’uscita dell’edificio e rabbrividii al contatto
col freddo di quella sera, contro la mia pelle. Indossai subito il
cappotto e
nascosi le braccia nude. Avevo appena fatto un esame del sangue
nell’ospedale della mia insulsa città, un antro
sperduto nell’America del nord. Sospirai e contorsi la bocca,
ripensando al fatto che fossi stata con tanti malati in una sala
d’attesa per più di tre ore. Ero svenuta il giorno
prima, pesavo poco, e dovevano controllare che non avessi niente di
anomalo.
I miei passi si dispersero ancora nel vento freddo che mi
schiaffeggiava, graffiandomi. Mi strinsi di più nel cappotto
e
aumentai il passo, arrivando alla mia auto parcheggiata. Notai che il
parcheggio era ancora quasi pieno. Quanta gente stava male. Entrai
nell’auto e mi misi la cintura. Avviai il motore e presi un
altro respiro, l’atmosfera era nebbiosa e tetra.
«Maledizione», bofonchiai, quando notai quanto poco
si vedesse la strada.
Spinsi forte sul pedale, per non perdere la concentrazione e arrivai di
lì a poco davanti a casa mia. Posteggiai l’auto
nel garage laterale rispetto all’entrata di casa. Scesi
dall’auto e richiusi il garage, un altro sbuffo
all’aria troppo pungente, e poi entrai in casa.
Andai in cucina e aprii il frigorifero per trovare qualcosa di
commestibile da infilare sotto ai denti, e li affondai su una
ciambella, rimasta lì da chissà quanti giorni.
Però era buona. Poi presi del latte e ne bevvi un
po’ dal cartoccio, facendo attenzione a non sporcare. Non
avevo voglia, a quell’ora, di mettermi anche a pulire.
I miei genitori, ricordai, dormivano già da un po’
nel loro letto. Sapevano che sarei andata all’ospedale, e gli
avevo detto
che mia zia mi avrebbe riaccompagnato. In realtà, non volevo
troppi problemi. Ero adulta, quasi diciannove anni, e potevo benissimo
cavarmela da sola; in fondo era solo un controllo per la mia
corporatura.
Trangugiai altro latte, poi lo lasciai nel frigorifero e salii le
scale, per entrare in camera mia e buttarmi sul letto. La luna era una
falce velata, quella notte. Controllai l’ora: le dieci.
Sospirai, e chiusi gli occhi, addormentandomi su un fianco, dolcemente.
Un suono fastidioso risvegliò i miei sensi e la mia
attenzione: cavoli, era già mattina. Bofonchiai qualcosa di
incomprensibile, poi misi una mano a tacere la sveglia e mi alzai
riluttante, spostando metà coperte a terra.
Mi girò lievemente la testa e ricordai l’esame
della scorsa sera, battei le palpebre cercando di ravviarmi la
concentrazione, e poi mi misi le pantofole, diretta al piano inferiore.
In cucina, vidi i miei fare già colazione.
«Ciao» li salutai, facendomi spazio nel tavolo e
cominciando ad imburrare un toast.
«Tutto bene ieri?» mi chiese mia madre, i capelli
scuri e gli occhi verdi, scrutandomi. Annuii.
Diedi un’occhiata anche a mio padre, e poi li salutai,
diretta a scuola.
Guardai l’orologio al mio polso, erano le otto. Mi affrettai
verso l’ingresso e girai l’angolo, pronta per la
mia prima lezione. Presi posto in un banco nel bel mezzo
dell’aula e attesi il professore. Riposi i miei libri sul
banco e guardai quello che avrei dovuto studiare il giorno prima.
Salutai con un cenno del capo il mio miglior amico Vetrès,
mentre raggiungeva il banco accanto al mio.
Era sempre stato un tipo strano, ma non nel senso cattivo del termine,
nel senso che era davvero sempre troppo buono e per i fatti suoi, per
poter prestare attenzione alle persone attorno a lui. Ma non potevo
dargli torto: le persone che ci circondavano non erano della sua stessa
sensibilità.
«Hai studiato?» soppesai le lettere, muovendo la
bocca e cercando di parlare sottovoce.
Lui mi guardò un attimo e poi fece di sì con la
testa. Gli sorrisi, e tornai col viso puntato alla cattedra.
Mi strinsi nel cappotto, per sentire di meno il freddo, invano.
Raggiunsi la mia auto e tornai a casa: un toccasana dopo un intensa
mattinata di lezioni a scuola. «Ciao» salutai mia
madre, intenta a finire di preparare il pranzo, in cucina.
Lei alzò lo sguardo verso di me e sorrise.
Passai il pomeriggio a leggere e ad ascoltare musica nella mia camera,
e per una parte della giornata mi misi pure a studiare. Ma dopo un
po’, la voglia di fare qualcos’altro mi prese, e
non potei reprimerla così facilmente, così mi
avviai di fuori. Il vento era come uno schiaffo sulla mia pelle
sensibile, ma cercai di camminare senza badarci troppo, in fondo
sarebbe
stata solamente mezz’ora o giù di lì.
Ricevetti uno squillo sul cellulare, infatti mi vibrò e
aprii lo sportello. Corrugai lo sguardo, quando vidi che era
Vetrès.
Mi chiesi che cosa volesse, ma mi piaceva troppo la sua compagnia per
lamentarmi. Mi vibrò di nuovo il cellulare e controllai. Mi
era arrivato un messaggio, Vetrès diceva che mi voleva bene.
Guardai un po’ sorpresa lo schermo del cellulare.
Anch’io, pensai. Poi scossi la testa, sbuffando al freddo che
mi gelava il viso e il naso. Infilai le mani in tasca e proseguii la
mia camminata. Quell’assoluto relax mi ci voleva proprio, se
non altro potevo dire che mi godevo il paesaggio invernale, la neve,
gli abeti, le luci di Natale, la brina sui rami, il gelo sui profili
delle case e della natura.
Ripensai a Vetrès e ai suoi occhi glaciali, simili a quelli
del colore di quel paesaggio, ai suoi capelli biondo spento,
così irreali, ma così fantastici. Ripensai al suo
sguardo, sempre privo di emozioni, cupo, ma sorridente quando gli
piacevano le mie battute assurde. Al suo modo di gesticolare quando si
trovava in imbarazzo, al fatto che arrossisse se qualcuno lo prendeva
in contropiede su una situazione che per lui importava, al suo corpo
sempre rigido, che pareva ammorbidirsi quando lo abbracciavo.
Soffiai una nuvoletta gelata, e voltai la testa a destra, scrutando i
vialetti che si disperdevano fino ad arrivare alle case di
quell’insulsa cittadina. Era tutto lì il paese,
quattro case in croce, cioè non proprio quattro, ma il
numero definitivo non si distanziava di molto.
Sbuffai, vedendo quella tiepida desolazione nella nebbia che stava
progredendo e mi offuscava gli occhi. La mia passeggiata
finì di lì a poco, e mi riscaldai nella mia
camera tutta la sera, davanti alla televisione. Prima di addormentarmi,
detti uno sguardo alla finestra e alla solita luna che troneggiava in
cielo. Chiusi gli occhi.
«Marta, sveglia!» urlò mia madre, dal
pian terreno. Mi svegliai di soprassalto, per colpa sua, non tanto
perché aveva urlato, ma perché aveva interrotto
il mio benevolo sogno, che mi permetteva di essere meno antipatica
durante tutto il giorno.
Scostai le pesanti coperte e scesi le scale di legno, scricchiolanti.
«Eccomi, mamma» borbottai, un po’ delusa
dal fatto che mi avesse interrotto sul più bello: una
creatura affascinante e molto sexy stava cercando di afferrarmi per i
fianchi, inducendomi a ballare con lui. E aveva pure un mantello nero.
Sorrisi beata, un po’ da stupida a dir la verità,
e scossi la testa, amaramente.
«Allora, ci aiuti con i regali?» chiese mia madre,
sistemando la mia colazione in un piatto.
La guardai, corrugando le sopracciglia. «Come?».
«Oh, avanti. Ci aiuti a comprare i regali? Ne abbiamo un bel
po’… per tutti i parenti»
continuò lei.
Le gettai ancora un’occhiata. «Ah, sì
certo» mormorai, più soprappensiero che altro.
Lei annuì. «Tieni, mangia finché
è caldo».
Durante tutto il pomeriggio andammo per negozi a scegliere cosa
regalare ai parenti, fu un bello spasso. Per i miei zii che avevano i
gusti illimitati provare a scegliere qualcosa di decente, non era
affatto semplice. Per i miei nonni che di gusti
non ne avevano granché, si rivelava altrettanto complicato.
Ma alla fine, era bello perdersi tra quelle luci e quei colori, per un
momento dimenticarsi di tutto, come se fossi entrata in un altro mondo
solo fatto di bei pensieri.
La sera arrivò, e con lei la stanchezza. Ma mi ero
ripromessa di uscire, di raggiungere il centro di
quell’insulso e piccolo
antro di mondo che era il mio paese e di entrare nel bar. Si erano
fatte le otto, e dopo aver mangiato, decisi di prepararmi. Ci misi
più di mezz’ora a scegliere che cosa dovevo
mettermi; si vedeva troppo che non uscivo mai.
Optai per un top che non risaltasse troppo la mia figura, sì
ero piuttosto timida, e per dei jeans non troppo attillati,
sì non volevo essere troppo appariscente, soprattutto di
notte.
Il bar distava circa cinque minuti da casa mia, e la via non era troppo
illuminata; comunque, di solito non si aggiravano tipi loschi e potevo
restare tranquilla. Mi sistemai il giubbotto, quando uscii e sentivo i
miei passi come unico rumore nella strada.
Il silenzio era ingombrante, avrei voluto scacciarlo via, ma non era
possibile, d’altronde mancava poco, era questione di minuti.
L’oscurità però, mi faceva paura. La
paragonavo ad una lama sottile e lucida, che tagliava in superficie e
poi più a fondo. Non ero mai sicura al buio.
Infilai le mani in tasca e svoltai l’angolo, ero ormai
arrivata. Tirai un sospiro di sollievo, e sentii il freddo pungermi le
labbra.
«Ehi!», urlò una voce. Mi voltai
allarmata, non sapendo da chi provenisse. Non c’era nessuno.
«Chi è?», dissi, stringendomi di
più nel cappotto.
Mi voltai di nuovo, ma non c’era nessuno. Presi a camminare
più velocemente, caspita mancava così poco per
arrivare al bar…
«Fermati», mi disse la stessa voce in
lontananza.
«Ma… cosa?», non capivo più
dove guardare, per individuare quella persona. Era senza dubbio una
voce maschile. E non era vicina a me, almeno io non lo vedevo. Il
respiro si faceva più incessante, lo sentivo contro la mia
sciarpa, tentava di arrivare all’aria e non farmi soffocare.
Tirai un sospiro, cercando di mantenere il controllo. Al diavolo! Ero
troppo agitata, ripresi a fare pochi passi veloci, finché
non venni trattenuta da un corpo gelido.
Il terrore si impossessò di me, incauto e selvaggio. Lo
sentii per tutto il mio corpo, smorzarmi i battiti del cuore.
Mi bloccai, anzi fui bloccata. Mi tremò il petto, lui teneva
la sua mano pallida sul mio cuore, mentre questo cercava di esplodere.
«Chi sei?», urlai terrorizzata. «Ti prego
lasciami!». La saliva mi si fermò in gola, come se
fosse stata congelata.
Un attimo. Lo sentii chiaramente, come se lo potessi toccare, un attimo
di esitazione in lui, non sapevo perché. Ma non avvertii il
suo respiro su di me, seppure sentivo il peso della sua testa sopra la
mia.
«Marta…», lo sentii pronunciare. Sgranai
gli occhi, trattenendo il fiato. Come faceva a sapere il mio nome?
La sua voce era quasi un sussurro tetro, pareva modificata, non mi
raggiungeva nitida all’orecchio, ma roca. Vidi la sua
mano insinuarsi sulla mia bocca. «Per favore, non
fiatare», mi disse, mentre già il mio respiro se
ne andava tremolante nel minuscolo spazio tra le sue dita gelate.
«Chi sei? Chi…», la mia voce venne
spazzata via in un attimo. Lui si allungò verso il mio
collo, e sentii che appoggiava le sue labbra fredde sulla mia pelle al
vento. Mi spostò il colletto del cappotto, e i capelli e un
brivido mi percorse la schiena. Leccò la mia pelle, quale
che fosse un dolce, e poi con bramosia, sentii che me la morse. Gemetti
di dolore. Il morso si faceva più forte, e andava
più in profondità. Mi accorsi del mio sangue. Il
mio sangue stava fuoriuscendo, penetrato dai suoi denti aguzzi e duri.
Il male che mi faceva ad un certo punto non lo sentii più.
Urlai, un urlo secco e scarno. Affondò ancora di
più i suoi denti contro di me, e mi sentii affondare dentro
di lui. Poi più nulla, l’urlo mi si
smorzò nel petto.
«Come sei buona…», sembrò
fermarsi un attimo, per leccarsi le labbra. Non mi ero ancora potuta
voltare a guardarlo in faccia. Il dolore che sentivo nel punto in cui
mi aveva morso pungeva ininterrottamente, come la frenesia delle luci
psichedeliche.
«Perdonami Marta, ma non sono in me. Avevo troppa
fame», al suono di quelle parole, sentivo che stavo per
svenire…
«Vetrès?», mormorai, affievolendomi tra
le sue braccia.
Ringraziamenti:
grazie mille blackout per averla letta e averla apprezzata! mi fa davvero piacere che ti sia piaciuta, e sì la trama non è molto completa... mi piaceva però il personaggio di Vetrès >.<
grazie anche per aver trovato l'errore ^_-, non me ne sarei accorta facilmente! ^_^
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