I still don't know, what my destiny is... di Biszderdrix (/viewuser.php?uid=823141)
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CAPITOLO
TRENTACINQUESIMO- RITORNO A CASA
Il gruppo di guerrieri fu immediatamente raggiunto dagli altri, scesi
di corsa dalla sporgenza.
«Mamma!» gridò il piccolo Keiichi
correndo tra le braccia di un’ancora scossa Pamela.
Ma poi, gli sguardi di tutti conversero sulla creatura, che lentamente
discendeva a terra. Tutti rimasero con il fiato sospeso mentre le
gigantesche zampe di Doomshiku toccavano terra.
Allora, il mostro si girò, guardandoli, facendo sussultare
parecchi dei presenti: Goku, Vegeta, Piccolo e tutti gli altri
guerrieri si misero immediatamente in posizione, pronti a quella che,
comunque, sarebbe stata una lotta impari.
Doomshiku continuò a guardarli, con quei grossi globi rossi
luccicanti: li guardò tutti, uno per uno, soffermandosi
particolarmente su Pamela e su Keiichi.
Poi, iniziò a camminare, ma non verso i guerrieri: si mosse
verso un punto piuttosto lontano, seguito dallo sguardo attento dei
guerrieri.
Arrivato vicino ad un cumulo di detriti, si chinò,
raccogliendo dei brandelli di tessuto scuro: la tuta di Daniel.
Fu allora che gli sguardi di curiosità del gruppo si
tramutarono in sorpresa, quando la pelle del mostro iniziò a
raggrinzirsi, finché non seccò, iniziando a
staccarsi, come foglie morte in autunno.
Il processo continuò, finché al posto del mostro,
non ci fu nuovamente un essere umano: o, più precisamente,
un hatwa le cui fattezze erano familiari a tutti.
Nudo, con i capelli ormai sciolti, si legò attorno alla vita
i brandelli della tuta nera, e si girò verso di loro,
esibendo con un caldo sorriso.
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Era stato quasi divertente, guardare le loro facce impaurite mentre li
osservavo, convinti che Doomshiku li avrebbe sterminati tutti da un
momento all’altro.
E invece, quando fu il momento, mentre la sua voce si faceva sempre
più potente nella mia testa, ero riuscito a mantenere il
controllo di me stesso: e fu esaltante. Tutto quel potere a mia
disposizione, quella forza, quella potenza: Broly non aveva avuto
chanche.
In quei pochi minuti, ero stato in grado di comprendere
perché perfino Bills temesse Doomshiku: Broly aveva
raggiunto un livello superiore ad un super saiyan god, ed era stato
comunque sconfitto.
Mi accorsi comunque che mi stavo straniando nuovamente: mi ricordai che
in quel momento non ero solo, avevo ancora addosso gli sguardi stupiti
della piccola folla radunatasi ad una cinquantina di metri da me.
«Ehilà… ne è passato di
tempo, eh?» dissi, smorzando un sorriso.
«ZIOOOOOOO!»
Non feci in tempo a realizzare da dove provenisse quel grido, che mi
ritrovai addosso la piccola Marron, che mi si strinse forte ad una
gamba, facendomi sobbalzare.
«Ehi, cucciola!» dissi, prendendola in braccio
«Ci stiamo facendo grandi, eh?»
Lei ridacchiava, mentre mi guardava con degli occhi pieni
d’affetto.
A quel punto, furono tutti attorno a me: li guardai ancora, uno per
uno, ricambiando tutti i loro sorrisi.
«Ce ne hai messo di tempo, eh?» mi disse Crilin,
riprendendo in braccio sua figlia.
«Beh, si… c’era un po’ di
traffico…» gli risposi, mestamente, mentre anche
Goten e Trunks si strinsero alle mie gambe.
Accarezzai i capelli di quelle due pesti, che mi guardavano con due
sorrisoni.
«Hmpf, queste battute erano quello che non ci
mancava.» sbuffò Piccolo, abbozzando comunque un
sorriso.
«Beh, secondo me a Vegeta si!» gli risposi,
volgendo lo sguardo al principe dei saiyan, che si voltò,
irritato.
«In compenso, fenomeno, credo ci sia qualcuno che devi
conoscere!» disse Bulma, scostandosi, liberando la strada a
Pamela, che mi guardava con un sorriso carico d’affetto. Ma
soprattutto, la liberò al bambino che le stava davanti.
Keiichi: mio figlio.
Mi guardava con occhi pieni di curiosità ed imbarazzo,
mentre rimaneva ritto al suo posto.
Io mi piegai sulle ginocchia, cercando di guardarlo negli occhi: cercai
di sorridergli, affettuosamente, ma stentavo a trattenere le lacrime,
mentre allargavo le braccia.
«Ehi, ciao...».
Lui alzò un attimo lo sguardo verso sua madre, che gli fece
un cenno: anche lei si stava trattenendo dal non piangere, mentre il
suo sguardo si posava tra lui e me. A quel punto, Keiichi mi
saltò in braccio, e io lo strinsi forte a me, mentre sentivo
le sue piccole braccia attorno al collo.
«P-Papà…» disse, tra i
singhiozzi.
«Shhh… Non piangere… Sono qui,
figliolo…» gli sussurrai all’orecchio.
A quel punto, ci separammo, guardandoci negli occhi per qualche
istante: il suo sorriso mi riempiva il cuore di gioia.
«Hai visto mamma? Papà è tornato! Il
gattone aveva ragione!» disse, voltandosi improvvisamente
verso Pamela.
«Eccome, tesoro…» disse, con un tono,
lievemente più sarcastico, Pamela.
“Oh-oh…” pensai, mentre lo rimettevo a
terra, pronto a fronteggiare la sua furia: avrei dovuto metterlo in
conto, che ci sarebbero state conseguenze simili, ma avevo sperato fino
all’ultimo che le lacrime e i sorrisi durassero di
più.
«Daniel Ryder.» disse, incrociando le braccia.
«C-Ciao tesoro…» le risposi, mettendo le
braccia avanti.
«Non. Chiamarmi. Tesoro.» disse, avvicinandosi.
Vedevo il fuoco nei suoi occhi. Mi voltai un attimo per vedere Crilin
scuotere sommessamente la testa, guardandomi con occhi carichi di
compassione.
«D-Dai, non c’è bisogno di
arrabbiarsi… almeno, n-non così
tanto…» mai scelta di parole fu più
errata di questa.
Mi fulminò con lo sguardo: a quel punto capii che era
veramente la fine.
Mi si avvicinò, e mi beccai uno schiaffone sulla guancia.
«Quattro anni! QUATTRO FOTTUTISSIMI ANNI! Mi hai lasciato da
sola con un figlio da crescere, TUO FIGLIO! E per cosa?
Perché potessi ancora una volta
“proteggere” tutti da quel mostro?! Sai che ti
dico? CHE NON MI INTERESSA!»
Mi beccai nuovamente un altro ceffone: quanto avrei preferito avere
nuovamente davanti Broly.
«Mi hai abbandonata, tutto perché ancora non ti
ritenevi all’altezza! E oggi hai avuto la faccia tosta di
ripresentarti! Veramente, sai che cosa dovrei farti?!»
Ero pronto ad un altro schiaffo, invece sentii le sue braccia
stringersi attorno al mio collo, le sue labbra che improvvisamente
arrivarono a toccare le mie, cercandole con veemenza: risposi
immediatamente al suo bacio, mentre sentivo una sua lacrima bagnarmi la
guancia.
Una volta separati, ci guardammo nuovamente negli occhi, e potei vedere
come stesse piangendo a dirotto.
«Esattamente questo.» disse, tra i singhiozzi.
A quel punto, la strinsi forte a me, in un abbraccio che in quel
momento mi fece sentire nuovamente in un altro mondo.
«Beh, non aspettarti un bacio anche da noi, però
siamo comunque tutti felici di rivederti, eh!» disse Yamcha,
all’improvviso, per le risate generali.
«Comunque c’è una cosa che mi premeva
chiederti, prima di ogni altra…» disse
Tensing «Eri tu, o Doomshiku, a combattere contro
Broly?»
Lo guardai, sorpreso, per un istante: era un’altra cosa che
non avevo messo in conto. Mi resi conto che ero stato in grado di
assoggettare al mio volere la forza più potente mai
conosciuta da questo universo, non una roba da poco: a ripensarci era
stato forse uno sforzo più grande che eliminare Broly stesso.
Sospirai: «Si… ero io a combattere, in quel
momento.»
«Ma come è possibile?» chiese Gohan,
sorpreso.
Rimasi per qualche istante in silenzio: mi tornò in mente
quella lotta mentale per la supremazia, avvenuta appena qualche minuto
fa.
«Ho dovuto schiacciarlo: non so dove ho trovato la forza,
eppure sono riuscito a mantenere il controllo su di lui. Ma di sicuro
non l’ho sconfitto, questo è
sicuro…» dissi, mestamente.
Sapevo che, nonostante tutto, erano comunque tutti comunque in grande
pericolo: mi sentii improvvisamente uno schifo, come se tutti i miei
sforzi si fossero resi improvvisamente inutili.
«Beh, almeno sappiamo che puoi combatterlo!» disse
improvvisamente Goku, mettendomi una mano sulla spalla «A me
sembra comunque un grande risultato, no?»
Aveva in faccia il suo solito sorrisone: il suo essere sempre
così positivo era veramente contagioso.
«Ma si, dai… in fondo non hai tutti i
torti!» gli risposi.
Goku, allora, si piegò leggermente verso di me, tenendo la
mano vicino alla bocca, come per sussurrarmi qualcosa:
«Nell’eventualità riuscissi a
controllare definitvamente, quella forma… sappi che dobbiamo
assolutamente duellare!»
«SON GOKU! Puoi qualche volta smettere di pensare a
combattere e magari essere felice che sia tornato?!» lo
rimproverò Chichi, e ridemmo tutti nuovamente.
Al che, sospirai, guardando verso il cielo.
«Bravo figliolo… È la giusta ricompensa
per i tuoi sforzi… Per quanto mi riguarda, posso solo
augurarti buona fortuna: goditi la vita!»
Sussultai: quella voce! Sembrava avesse parlato solamente a me, a
quanto pare: l’avevo comunque sentita chiaramente nella mia
testa.
«Gran Maestro…» sussurrai, guardando
ancora verso il cielo.
«Che c’è, Daniel?» mi chiese
Pamela, al che mi voltai, sorpreso.
«Oh, niente, amore!» le risposi, stringendola
ancora di più a me «Sono solamente felice di
essere finalmente tornato a casa…»
Sentii improvvisamente un peso sulla mia gamba: guardai verso il basso
per vedere Keiichi nuovamente stretto attorno alla mia gamba. Mi
abbassai e lo presi nuovamente in braccio.
«Papà… adesso torni a casa con noi,
vero?» mi chiese, quasi sussurrando.
Lo guardai nei suoi occhi carichi di eccitazione ed entusiasmo:
nonostante ci incontrassimo per la prima volta, sembrava essere a suo
agio come si mi avesse visto dai suoi primi istanti. In quel momento,
mi sembrò di sentire grande calore nel mio petto.
«Si, figlio mio… si.»
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«No. Non ce la posso fare.»
«Ma si che puoi farcela, smettila!» mi disse
Crilin, con decisione.
«No, no, no…»
«Urca, come sei nervoso! Dai, ci siamo già passati
in tanti, perché non dovresti farcela?» mi disse
Goku, cercando nuovamente di tranquillizzarmi.
«Zitto! Me l’hanno raccontato, sai? Tu nemmeno
sapevi cosa fosse e cosa implicasse! Sfido che fossi così
tranquillo!» gli risposi, con veemenza.
«In ogni caso, la proposta l’hai fatta tu. E sia io
che Kakaroth eravamo presenti.» disse Vegeta, appoggiato ad
un muro dall’altra parte della stanza.
«Si, ma, ormai sono passati anni… E teoricamente
stavo per morire…»
«Ok, ma non puoi tirarti indietro proprio oggi! Oltretutto
questo smoking ti sarà costato una fortuna!» disse
Yamcha.
«L’ho noleggiato…»
«Adesso non essere pignolo…»
«Basta, adesso! Hai fronteggiato il dr. Gelo, Kreed, Majin
Bu, Broly… e hai paura di sposarti?! E non rispondermi, non
hai niente da usare contro di me! Quindi adesso ti abbottoni quello
smoking, saliamo in macchina e andiamo alla cerimonia!»
Aveva ragione, non ci potevo fare niente.
Presi un profondo respiro, e mi guardai nuovamente allo specchio: lo
smoking decisamente non mi si addiceva, come qualunque vestito elegante.
Avrei voluto fare come Vegeta, e presentarmi agli eventi in armatura:
era all’apparenza decisamente più comoda.
Tutti quei pensieri non riuscirono comunque a liberarmi la testa da
ciò che stava per succedere: ancora qualche ora e io e
Pamela ci saremmo sposati. Uniti per sempre. Legati per la vita. Era
vero, feci quella proposta sul pianeta dei Kaioshin, nel momento in cui
credevo sarei morto, perché non credevo avrei più
avuto occasione di chiederglielo. Ma, una volta sopravvissuto, avrei
preferito fare le cose con più calma.
“Ma forse, se ci ho pensato proprio in quel momento, era
perché lo volevo davvero.”
Quel pensiero mi scosse profondamente: era forse così? Amo
Pamela più di ogni altra cosa in questo mondo, la conosco da
sempre, siamo sempre stati insieme, anche quando eravamo solo amici.
Forse il matrimonio era solo un nuovo gradino da salire, insieme, e non
una svolta per la quale prepararsi.
Fu allora che sentii dentro me una nuova determinazione.
Mi voltai verso Crilin, a cui avevo chiesto di farmi da testimone, e
verso tutti gli altri, seduti in vari punti dell’appartamento
di Yamcha, che aveva messo a disposizione per prepararmi. Per assurdo,
era venuto anche Vegeta: Bulma lo aveva convinto ad unirsi al gruppo,
mentre lei aiutava Pamela, costringendolo a fare la stessa cosa con me.
«Andiamo.» dissi, con convinzione, ricevendo come
risposta un sorriso pieno di orgoglio dal mio amico.
La guida di Yamcha non fu spericolata, ma riuscimmo ad arrivare in
tempo alla cerimonia: la sala era ormai già piena, e nella
strada per arrivare all’altare incontrai i sorrisi e gli
sguardi d’affetto di tutti, con il pollice alzato del vecchio
maestro Muten.
Riconobbi Takeshi, Yuto e molta altra gente del piccolo villaggio:
tutti sorridenti e affettuosi come quando li conobbi per la prima
volta, quando ero ancora un ragazzino, ancora inconsapevole delle
proprie capacità.
Ora invece, vedevano un uomo, in grado di portare dentro di
sé la forza più potente dell’universo
stesso, pronto a compiere il grande passo assieme alla donna che aveva
imparato ad amare.
Oh, comunque, mi piaceva pensare che mi vedessero così.
Vidi Keiichi tra le braccia di C-18, segno che lei sarebbe arrivata tra
poco: mi avvicinai a mio figlio e lo presi in braccio, cercando di non
rovinare il piccolo vestito elegante che aveva.
«Allora, hai fatto il bravo?»
«Si! Ma con le zie è stato un po’
noioso…» disse, sistemandosi il piccolo papillon
rosso «E questo coso mi dà fastidio,
papà! Quando torniamo a casa?»
La sua uscita mi fece ridere per un istante: «Presto,
campione, presto… Ora però, voglio che tu resti
con zia 18 finché non sarà finita la cerimonia,
va bene?»
«Si papà!»
«Bravo! Batti il cinque!»
Lui eseguì, e subito dopo lo riaffidai alle cure di C-18 e
di Marron, che lo trattava alla stregua di un fratellino minore.
Mi misi in piedi all’altare, Crilin subito al mio fianco: ora
non c’era che da attendere.
Non mi resi conto che per il nervosismo non riuscivo a rimanere fermo:
se non fosse stato per la stretta che mi sentii al polso, avrei
continuato con quella serie di piccoli movimenti spasmodici: mi voltai
verso il testimone, che visto l’andazzo avrebbe potuto essere
considerato alla stregua di un baby-sitter, e lo guardai con occhi
pieni di gratitudine.
«È normale essere nervosi, amico. Si tratta
comunque di un bell’impegno. Ma tu più di molti
sei quello che dovrebbe farsi meno problemi…» mi
disse.
«E come mai, scusa?»
«Vi conoscete benissimo, no?»
«Certo, è da quando siamo bambini che ci
conosciamo!»
«La ami, giusto?»
«Si, più di ogni altra cosa al mondo, eccetto mio
figlio.»
«Vuoi che siano felici?»
«Ovviamente!»
«E allora dovresti stare tranquillo: hai tutti i requisiti
necessari perché questa cosa esca bene. E poi fidati, essere
sposati alla fine è una gran bella cosa… se sai
di esserlo con la persona giusta: Pamela è la persona
giusta?»
«Certo che lo è!»
«Allora piantala di preoccuparti e girati.»
Mi voltai, incuriosito da questo suo comando, per ritrovarmi
improvvisamente paralizzato.
Verso l’altare stava camminando un angelo, vestito in un
lungo abito bianco, semplice, senza dettagli eccessivi, come chi lo
indossava. Camminava piano, tenendo alto lo sguardo, i rossi capelli
raccolti in uno chignon.
Aveva scelto di fare il percorso da sola, senza accompagnatore:
indipendente, decisa e determinata, come era sempre stata.
E ora stava per diventare mia moglie: francamente, non potevo chiedere
nulla di meglio.
Una volta che giunse all’altare, mi voltai a guardarla per un
istante: ero rimasto, per una volta nella mia vita, completamente senza
parole.
Anzi, me ne vennero solo due: «Sei bellissima.»
«Lo so, grazie.» disse, sogghignando. Ecco che in
quel momento rividi la Pamela che conoscevo e amavo, solamente vestita
con un elegante abito bianco invece che con la tuta.
Fu allora che, finalmente, ogni tipo di tensione scivolò via
da me, mentre la cerimonia stava per iniziare: non c’era
altra persona con la quale avrei voluto condividere il resto della mia
vita.
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Fu una giornata meravigliosa: il ricevimento avvenne alla Capsule
Corporation, e riuscimmo a riempire gran parte del giardino
dell’azienda.
Cercai di non bere troppo, anche se l’euforia dei
festeggiamenti mi fece comunque trangugiare qualche bicchiere di
champagne. Alla fine non fui comunque brillo come altri ospiti,
testimone di nozze compreso, che aveva proposto brindisi su brindisi
per tutto il pomeriggio.
Takeshi preparò parecchio del suo ramen, che non
sfigurò assolutamente nel buffet ricchissimo.
Quando tutto, poi, terminò, ci ritrovammo con una macchina
piena di doni, lo stomaco altrettanto pieno e un bimbo addormentato sul
sedile posteriore: fui io a guidare, per il semplice fatto che il
vestito di Pamela non le permetteva di stare comoda alla guida, quasi
un eufemismo. Erano passate diverse ore dalla fine del ricevimento, e
dovevo ringraziare il buffet per essere riuscito a smaltire quello che
ero riuscito a bere.
Fu anche un momento per far valere quella patente, che presi ormai
sette anni fa, ma che non ho mai trovato modo di utilizzare: anzi, tra
pochi anni avrei già dovuto pensare a rinnovarla.
Ma non era proprio il caso di mettersi a pensare a quelle cose: questa
sera dovevo pensare a mio figlio e a mia moglie, alla mia famiglia.
Quella realizzazione fu qualcosa di meraviglioso.
Ormai dormivano entrambi, mentre prendevo l’uscita verso
Pepper Town: avrei dovuto immaginare cosa avrebbe comportato ordinare
un buffet di quelle dimensioni. Quasi otto tavoli, pieni di cibarie di
ogni genere: ora avevo decisamente sonno anche io, senza tener conto
dell’alcool, che però dovevo aver smaltito ormai
ore fa.
In quel momento, passammo davanti al cimitero: casa era ormai vicina,
ma volli fermarmi lo stesso.
Accostai lungo il marciapiede, e abbassai il finestrino: mi limitai a
fissare il cimitero, ormai chiuso, dall’esterno, pensando a
quelli che lì dentro erano sepolti.
Mamma, papà… chissà cosa direbbero
ora.
Non posso negare che ogni tanto non senta la loro mancanza: delle
disgrazie me li hanno portati via, e quelle disgrazie avrebbero potuto
essere anche la mia rovina.
Eppure, è forse anche grazie a quelle tragedie, se si
è arrivati a questo: e francamente, in questo momento mi
sento al settimo cielo.
«C’è qualche problema?» mi
chiese un’assonata Pamela, stiracchiandosi.
Mi voltai, preso per un attimo alla sprovvista: «Oh, niente!
Non è niente, tesoro… Siamo quasi arrivati,
comunque.»
Due svolte, infatti, e fummo a casa: parcheggiai in garage, dopo di che
scendemmo dalla macchina. Pamela teneva Keiichi in braccio, il piccolo
che dormiva alla grande: ma non potevo comunque prescindere dalle
tradizioni.
«Ma che fa-» si interruppe non appena la sollevai,
mentre ancora teneva un Keiichi profondamente addormentato tra le
braccia.
Le sogghignai mentre iniziavo a fare le scale, e lei non disse nulla,
anzi, si accoccolò sulla mia spalla, finché non
arrivai a posarla sul divano, dal quale si alzò
immediatamente per mettere a letto il piccolo.
Andai immediatamente in camera a cambiarmi: sarei andato domani a
restituire lo smoking, ora però avevo solamente voglia di
toglierlo. Così feci, indossando immediatamente qualcosa di
più comodo, non trovando un pigiama: così mi
ritrovai in canotta e bermuda, anche se l’estate era
terminata da un bel po’.
Andai alla finestra, la aprii e mi accesi una sigaretta: fu una
sensazione piacevolissima in quel momento, non potevo essere
più rilassato. Alle mie spalle, sentii entrare Pamela: anche
lei aveva deciso di cambiarsi, e dai continui fruscii potei solo
immaginare che fatica fosse togliersi quel vestito.
Continuai a fumare, il silenzio che continuava a caratterizzare
l’inizio della nostra prima notte di nozze: ma era un
silenzio piacevole, un silenzio d’intesa, un silenzio che
descriveva perfettamente la pace che sembrava finalmente tornata.
«Vieni a letto, signor Ryder?»
Mi voltai, e vidi che si era sdraiata sul letto, rimanendo con una
camicia da notte praticamente trasparente, che faceva intravedere tutto
l’intimo nero: la sua posa, poi, non era certo quella di una
ragazza assonnata.
«Arrivo subito… signora Ryder.»
E allora mi catapultai su di lei, cercando le sue labbra con forza: e
prima che me ne potessi rendere conto, stavamo nuovamente facendo
l’amore. Nonostante fossero passati anni
dall’ultima volta, quella da cui, peraltro, fu generato
Keiichi, fu comunque come se fosse passato un giorno.
Quando finimmo, ci accoccolammo sul letto, stringendoci tra le braccia.
«Mi sei mancato…» mi sussurrò.
«Anche tu…» le risposi.
«Sei sicuro di non voler andare da qualche parte? Per la luna
di miele, intendo…»
Mi voltai, per guardarla nuovamente negli occhi: «Per me, la
migliore luna di miele sarebbe poter stare tranquillamente in pace con
te e Keiichi, per il resto dei nostri giorni. Ma se vuoi proprio andare
da qualche parte…»
«No… anche a me sta bene
così.» sembrava aver concluso, in
realtà proseguì, modificando il suo tono
«Anche se… Sarebbe bello andare a sciare, e ho
sentito che nella Città del Nord gli alberghi stanno
effettuando grandi ribassi sui prezzi…»
Sospirai: avevo già capito come sarebbe andata a finire.
«Si potrebbe fare…»
«Dici che lo possiamo organizzare in così poco
tempo?» mi chiese.
«Abbiamo organizzato un matrimonio in un mese, tesoro: credo
che una settimana bianca sia decisamente fattibile.»
«Ah, devi ringraziare Bulma: avere amici potenti
aiuta…»
«Ma guarda un po’ che furbona!» dissi,
ridacchiando.
«Smettila, lo sai che è nostra amica!»
«Ma tu resti comunque una raccomandata!»
«Cretino!» disse, tirandomi uno dei suoi soliti
schiaffetti sulla spalla.
A quel punto, la guardai negli occhi per qualche secondo.
«Anche questi mi mancavano…» le dissi,
addolcendomi.
«Anche a me…»
A quel punto rimanemmo per qualche istante in silenzio, ognuno stretto
tra le braccia dell’altro, poi mi ricordai che si trattava
comunque della nostra prima notte…
«Ehi…»
«Che c’è?»
«Ti va un altro giro?»
Il bacio che ricevetti fu una risposta più chiara di
qualunque altra potessi ricevere: la ritrovai immediatamente sopra di
me, mentre cercava con foga le mie labbra.
La lasciai fare, cercando di godermi ogni attimo.
O almeno, ci provai finché la porta non si aprii, cigolando.
«Mamma… papà…»
Pamela scese immediatamente da me, rimettendosi al suo posto.
«Che c’è, tesoro?» gli chiese,
dolcemente.
«Ho fatto un brutto sogno… posso dormire nel
lettone?»
«Certo tesoro, vieni qua!» gli disse Pamela, e
immediatamente ce lo ritrovammo tra di noi.
Più lo guardavo, e più mi sembrava una versione
maschile di sua madre, fatta eccezione per gli occhi e i capelli.
«Cos’hai sognato?» gli chiesi,
accarezzandogli la testa.
«Quel gigante… quello coi capelli
viola… che vi picchiava ancora… e poi mi urlava
contro…» disse, iniziando a singhiozzare, e lo
sentii stringersi al mio braccio, con forza.
«Shhh… non è reale,
piccolo…» gli dissi, stringendolo a mia volta
«Papà e mamma sono ancora qui, vedi? E poi, hai
visto che lezione ha rifilato papà a quel bruttone,
eh?»
«S-Si…»
«Stai tranquillo, tesoro, che comunque vada noi ci saremo
sempre per te…» gli disse Pamela.
A quel punto, ci stringemmo tutti e tre, chiusi in un grande abbraccio
collettivo: li vidi cadere entrambi in un sonno profondo, prima di
chiudere definitivamente gli occhi anch’io, non prima di aver
dato un ultimo sguardo alle due persone che dormivano vicino a me. Le
persone che ora, mi permettevano dopo anni di poter dire di avere una
famiglia.
NOTE DELL’AUTORE
Rieccomi! Questo sarà il primo di una piccola serie di
capitoli puramente filler, ma spero di non annoiarvi: avrete ancora
capitoli pieni d’azione!
In questo capitolo, e in quelli che seguiranno, cercherò di
creare quella tipica atmosfera famigliare tipica delle fasi finali di
Dragon Ball, con diverse scene di vita quotidiana, sperando che la cosa
risulti abbastanza credibile! Ma l’azione tornerà
presto, tra un po’ inizerò finalmente con GT e vi
darò una nuova versione di una storia parecchio discussa!
In ogni caso, ogni tipo di recensione è gradita!
Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.
Alla prossima!
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