Il rito - 1a parte
Akane si sedette
su un divano della sala del palazzo
di Tohma, esausta.
Quello sarebbe
stato il penultimo giorno sull'Isola
delle Illusioni, poi la vita sarebbe ritornata come prima.
Osservò
come Nabiki, sdraiata sul divanetto accanto,
schiavizzava piacevolmente Tatewaki Kuno, e come Shan Pu e Ukyo si
contendessero il titolo di miglior cuoca dell'Isola insieme ad altre
cinquanta
ragazze conosciute sul posto. Per fortuna, nonostante apprezzassero la
fisicità
del suo fidanzato erano impegnate a loro volta e conti fatti erano
più
interessate alla sfida che aveva lanciato quella matta di Ukyo. La
sfida di
cucina si sarebbe svolta sulla sala comune del palazzo, ma Akane decise
di non
prendervi parte.
Aveva passato
quei giorni comportandosi come al
solito, avanzando la sola pretesa di vederlo mangiare qualcosa
preparato da
lei, ma Ranma aveva rifiutato la sua attenzione.
"Per
favore, Akane. Dopo tutto quello che ho passato, credi abbia voglia di
mangiare?"
L'aveva preso
come un ennesimo declino di fronte
alla sua cucina poco commestibile -anche se a dire il vero, non aveva
accettato
niente neanche da parte delle altre ragazze- ma Akane
percepì anche una cadenza
piuttosto triste e delusa nella voce di Ranma. Ed anche lei, nonostante
fosse
dannatamente felice per averlo visto correre in suo soccorso, udire
quelle
parole e dedotto che sì, Ranma provava qualcosa per lei, non
poteva fare a meno
di sentire una punta di colpa nei suoi confronti. Ranma aveva trovato
la
sorgente che poteva restituirgli la sua completa virilità e
a causa sua e della
sua incolumità non ha potuto usufruirne. Come se non
bastasse, poi, tutti gli
uomini maledetti dalle sorgenti di Yusenkyo della comitiva lo hanno
incolpato pestandolo
come se fosse un pupazzo, regalandogli una collezione di lividi che si
andavano
ad aggiungere a quelli subiti dal principe dell’Isola.
"Stupida
gattaccia, ti faccio vedere io chi è
più brava tra i fornelli!"
"Ah, come no!"
rimbeccò la bella cinesina.
"Sai fale solo okonomiyaki, e non sono neanche questa prelibatezza!
Conosco posti miglioli del tuo localino da quattlo soldi! Uno di questi
è
ploplio il mio!"
Le voci delle
due cuoche si spansero per tutta la
sala, attirando l'attenzione di tutti, persino delle altre
partecipanti. A
differenza delle due ragazze di Nerima, le altre avevano accettato la
competizione con cuore molto più leggero.
"Guardale, che
ochette starnazzanti!"
commentò Nabiki alla sorella, sbadigliando e accavallando le
gambe oltre il
vertiginoso spacco del vestito. Anche lei osservava la scena. "Proprio
non
sanno che fare, quelle due! Oh, grazie Kuno!" disse poi, vedendo che
Tatewaki le stava portando un bicchierone di aranciata ghiacciata.
"Non
così in fretta, Nabiki Tendo" disse
lui, minacciosamente. "Sai perfettamente che il mio cuore
apparterrà per
sempre alla dolce Akane tua sorella."
"Ah, certo che
lo so! Ma lei è già impegnata, e
non credo voglia rompere il suo fidanzamento con Ranma."
Ammiccò alla
sorella, sorridendo sorniona.
"Per tutti i
kami!" esclamò Tatewaki
inorridito. "Davvero hai ancora intenzione di essere la donna della sua
miserabile vita, mio dolce bocciolo di rosa?"
"Miserabile
non per molto" asserì la mezzana. "Sono certa che una volta
alla
guida del dojo molte ragazze vorranno apprendere le magnifiche
arti marziali indiscriminate con il maestro Ranma
Saotome. Solo per sbavargli dietro!" Levò un braccio al
cielo in una
splendida posa teatrale, ridendo maliziosamente.
Akane assunse
un'espressione disgustata. Il pensiero
che decine di ragazzette ringalluzzite aleggiassero intorno a Ranma le
diede
sui nervi. "Nabiki, smettila!"
"Certo, se vuoi
tenertelo stretto ti conviene
imparare a... soddisfarlo. Altrimenti non c'è matrimonio che
tenga!" E
rise, talmente forte da sovrastare le voci di Ukyo e Shan Pu, le quali
si
voltarono con sguardi interrogativi come il resto dei presenti.
"Oh, no!"
ripartì il giovane Kuno,
portandosi una mano al petto. "Non vorrai, mia dolce Akane Tendo, farti
deflorare da quel rozzo plebeo, spero!" Lo disse con una
serietà tale che
in altre circostanze avrebbe fatto scoppiare a ridere chiunque, perfino
lei, ma
l'argomento era così imbarazzante che Akane neanche ci
pensò. Al contrario, avvampò
così intensamente da sentire il corpo bruciare. Persino Kuno
parlava con
naturalezza di certi argomenti! Doveva andarsene via da quei due prima
di
diventare rossa come un pomodoro.
"Chiamalo rozzo,
chiamalo plebeo, ma..."
Insistendo ancora, Nabiki lasciò la frase in sospeso
apposta, un guizzo di pura
lussuria negli occhi. Ma l'ilarità prese nuovamente il
sopravvento, e quasi non
dovette sputare l'aranciata nel bicchiere per il troppo ridere.
Esasperata e
più imbarazzata che mai, Akane scattò
in piedi, e incurante delle proteste di Kuno affinché
restasse vicino a lui a consolarlo per la sua
orrenda condanna con
la sua sola presenza, si avviò per i lunghi
corridoi che conducevano alle
sale riservate del principe. Una ragazza spinta dalla
curiosità, qualche giorno
prima chiese di visitare la biblioteca di cui disponeva Tohma,
affermando a
ragione che ogni palazzo ne aveva una. Così Tohma l'aveva
aperta per chiunque
volesse consultare qualche libro. Akane ne era rimasta contenta, ed ora
decise
di recarsi proprio là.
Non ricordava
precisamente la strada giusta, ma
provò comunque a ricordare il percorso. Sapeva perfettamente
la via per
arrivare al salone privato del ragazzo, ma per la biblioteca avrebbe
dovuto
fare un percorso diverso, dove c'era la statua di leone nell'atto di
agguantare
una palma. Era quello il punto a cui far riferimento, aveva detto il
piccolo
principe.
Ma della
scultura bronzea, neanche l'ombra.
Camminando per
lunghi minuti, si ritrovò inghiottita
da un inestricabile labirinto fatto di antiche fiaccole e di pareti
ornate con
complicate decorazioni; e più andava avanti, più
non riconosceva il percorso
alle sue spalle. Doveva essersi persa.
Aveva proprio
bisogno di un bagno.
Era da un po'
che non riusciva a rilassarsi in una
vasca d'acqua calda, e aveva così desiderato la pace che lo
circondava che a
momenti si sarebbe addormentato, se non fosse stato per gli altri che,
immersi
nella vasca con lui, stavano scommettendo su chi avrebbe mangiato di
più quella
sera.
Avrebbe
partecipato volentieri, se non avesse avuto
la testa che gli scoppiava.
Il fatto era che
stava pensando a cosa avrebbe fatto
se avesse perso Akane. In altri tempi avrebbe fatto salti di gioia, ma
il solo
pensiero gli provocò rabbia e un'inspiegabile dolore al
petto.
Ci sono state
altre occasioni in cui davvero rischiava
di non essere più il suo fidanzato, ma quel io-sono-il-principe-tu-no
lo aveva davvero esasperato.
Per non parlare
dell’acqua! Era ciò che stava
cercando da anni ormai, e la prospettiva di ritornare un uomo completo
svanì
sotto i suoi stessi occhi. Ma non avrebbe mai potuto e voluto
trascinare Akane
con sé condannandola a sua volta ad avere
un’identità diversa. Sapeva bene quel
che significava avere un peso simile sulle proprie spalle, e farlo
provare ad
Akane era ben peggiore che non riacquistare più le sue
fattezze naturali al
cento per cento.
Scosse la testa
per scacciare la brutta sensazione,
cominciando a vestirsi per uscire. Successivamente, prese la strada del
ritorno, stando ben attento ai dettagli che gli indicavano le varie
uscite; e non
appena mise a fuoco l'orizzonte davanti a sé scorse Akane.
Aveva nuovamente
indossato il vestito giallo che aveva scelto quando Tohma l'aveva
rapita, ma
ora si guardava intorno, spaesata.
"Akane!" la
chiamò, avvicinandosi.
Akane gemette,
quasi spaventata. "Ma tu che ci
fai qui?"
"Ritorno dai
bagni, mi pare ovvio" disse
Ranma, indicando la stanza che aveva appena lasciato. "Tu, piuttosto,
ti
sei messa a giocare alla piccola esploratrice o... non dirmi che ti sei
persa
come quello scemo di Ryoga!"
Rise
sguaiatamente, del tutto indifferente allo
sguardo torvo che la fidanzata gli aveva rivolto.
"Sono in cerca
della biblioteca che il principe
ci ha messo a disposizione" sbottò irritata, scostandosi per
poter
proseguire oltre. Ma Ranma spostò il peso del suo corpo
sull'altro piede per
non lasciarla passare. Ad Akane sembrò come un bambino
dispettoso che ha scelto
il suo piccolo nuovo trastullo per divertirsi, non avendo nient'altro
da fare.
Con un lampo di gelosia negli occhi, che si affrettò a
nascondere. Invano.
"Credevo che il
marmocchio si fosse messo
l'animo in pace riguardo te. Ora come mai ti fa ritornare nelle sue
stanze
private?"
"Lo ha concesso
a tutti, idiota che non sei
altro!"
"Sì,
e io sono l'imperatore del Giappone!"
Non era da Akane
mentire, ma quando sentiva il nome
di un uomo -potenziale avversario- sulle sue labbra non riusciva a
trattenersi
dal riempirla di domande. Domande indispensabili, ma anche temibile
fonte di
sospetti.
"Sei geloso?"
insinuò lei, con un
sorrisetto furbo.
"Neanche per
idea! Solo, trovo molto strano
che..."
"Allora non deve
importarti!" lo fermò
Akane, mutando la sua espressione in una più torva.
"Dai, stavo
scherzando!" cercò di
rabbonirla lui.
"Sì,
dici così quando ti conviene!"
Le guance di
Akane si tinsero di un pericolosissimo
rosso vermiglio e le sue sopracciglia erano aggrottate al limite, segno
che si
stava arrabbiando sul serio. Paradossalmente, però, a Ranma
venne l'impulso di
farla scoppiare come una bomba ad orologeria, soprattutto per cercare
di
ingoiare l'invidia che provava ancora un po' nei confronti di Tohma.
Tirò le
labbra alle due estremità con le dita, e cacciò
quanto più possibile la lingua.
Su, Akane, fammi vedere quanto ti arrabbi, si ritrovò a
pensare.
"Non hai un
minimo di autocontrollo,
Akane!" la canzonò. "Proprio un maschiaccio in piena regola,
non c'è
che dire!"
Il battito
cardiaco di Akane accelerò per la
collera, e si preparò a caricare un pugno che gli avrebbe
sfondato il naso, se
non fosse che Ranma si stava dando alla fuga. Akane si
lanciò all'inseguimento
più furibonda che mai, i corti capelli che ondeggiarono
tentando di sfuggire
dal fermaglio a forma di un complicatissimo fiore.
"Sei una
schiappetta, Akane! Non riuscirai a
prendermi!"
"Ti faccio
vedere io! Sono perfettamente in
grado di acciuffarti, cretino!" Non poteva lasciare che vincesse lui,
non
dopo tutto quel che ha ancora una volta negato. "Vieni qui!"
"Mai, dovessi
crepare!"
Rinvigorita la
rabbia, Akane accelerò l'andatura,
notando con disappunto che Ranma la stava staccando di parecchio. In
quei
giorni non si era allenata quasi per niente, e ne stava pagando le
conseguenze.
Ma ad un certo punto lo vide arrestarsi, e infilare cautamente la testa
nella
sala comune. Protese il braccio indietro, verso di lei, lanciandole
un'occhiata
di ammonimento ed incitandola così a fermare la sua corsa.
Il cipiglio
indispettito della piccola Tendo si
tramutò in uno accorto ed estremamente guardingo.
Arrivò alle spalle di Ranma,
trovandovi in lui una sorta di scudo protettivo che la rendeva
pressoché invisibile.
"Perché
ti sei fermato?" chiese sottovoce,
un filo di vento che solleticò l’orecchio del
ragazzo.
"Aspetta" le fu
risposto.
Ma era troppo
curiosa per attendere; così si
apprestò a osservare.
La sala
principale ora era completamente
trasformata. I divani erano stati spostati tutt'intorno alle pareti, e
al
centro c'era un lungo tavolo con il ripiano che si estendeva in
lunghezza, e
tre immense file di pesche si srotolavano per tutta la sua ampiezza.
Un senso di
vertigine mista a desiderio investì
Akane come una marea, e dovette aggrapparsi al braccio di Ranma per non
cadere.
Il ragazzo con il codino avvertì la pressione su di
sé e intuì che c'era
qualcosa che non andava. Si voltò, sorreggendola appena in
tempo, prima che
crollasse. "Akane, che hai?" Il suo corpo era scosso da fremiti
impercettibili, come se fosse stata colpita da qualcosa.
Stranamente
Akane si sentì infastidita dal suo
intervento. "Sto bene, Ranma" assicurò con tono
indisponente. Era
attratta da quelle pesche in una maniera che non aveva mai
sperimentato, ma era
sicura che non fosse per fame.
Alcuni servi di
Tohma si avvicinarono ed intimarono
loro di sedersi ed aspettare finché tutte le fanciulle si
fossero radunate lì.
Lo dissero con una cadenza dura, che non ammetteva repliche, tanto meno
dissensi. Obbedienti come due cagnolini, i due si accomodarono su uno
dei sofà.
Ranma era
preoccupato. Dopo quello che sembrava una
sorta di mancamento, Akane era una maschera di apprensione, le sue
labbra rosse
e morbide serrate l’una contro l’altra. Fissava un
punto indefinito del lungo
tavolo, ed era chiaro come il sole che avrebbe voluto alzarsi e
dirigersi verso
di esso.
Ed infatti, era
proprio così. Dentro Akane cresceva
un senso di smarrimento, di paura e rancore, che, era più o
meno certa, avrebbero
trovato la loro conclusione solo mangiando una di quelle pesche.
"Ma stai male?
Come ti senti?"
"Sento che
voglio una di quelle pesche,
Ranma."
"Hai fame?"
"No."
“E
allora...? Ah, ho indovinato!” disse Ranma,
fingendo un'illuminazione inaspettata. “Hai lo stomaco largo
quanto quello di
un elefante! È per questo che non...”
Una gomitata
sferrata al suo di stomaco gli mozzò il
fiato, e mente i suoi occhi cominciarono seriamente a lacrimare per il
dolore
una voce tanto familiare quanto molesta gli inondò le
orecchie.
“Che
colpo! Complimenti, Akane!” si congratulò il
principe Tohma, il quale torreggiava in piedi davanti a loro, con un
sorriso
sinceramente soddisfatto. “Pazienta ancora,” disse
ancora, rivolto a lei “fra
pochi minuti arriveranno tutte le altre e potremo cominciare.”
“Cominciare
cosa?” domandò Ranma con freddezza
inquisitiva. Sebbene fosse decisamente più affabile da
quando Akane lo
respinse, Ranma non era affatto propenso a fidarsi completamente di lui.
“È
un... diciamo una sorta di rito” spiegò esitante
il
ragazzo. “Le ragazze dovranno mangiare le pesche lasciate
nell’istante del loro
rapimento, altrimenti non potranno ottenere la completa
libertà da quest’Isola.
Ti direi il nome di questa legge, ma non si può
pronunciare.”
“Tohma,
quando dovrò aspettare ancora?”
Esterrefatto,
Ranma spostò lo sguardo sulla sua
fidanzata. Era impallidita d’un tratto.
E nel frattempo,
molte delle altre ragazze
affollarono la sala, vestite di tutto punto con gli abiti di Tohma.
Come Akane,
pensò Ranma.
“E
perché non ce lo hai detto prima, di questa
roba?” sbottò Ranma risentito.
“Nessuno
l’ha chiesto!” sentenziò il principe con
ovvietà. “Guarda!”
Spinta dalla
volontà a lungo repressa di alzarsi,
Akane fece passi meccanici verso i frutti, imitando le ragazze prima di
lei ed
imitata dalle altre. Le fanciulle sfilarono una ad una di fronte alle
tre file
di pesche con una compostezza quasi soprannaturale, e ciascuna ragazza,
con un
criterio del tutto sconosciuto, prese una specifica pesca. Come
facessero a
riconoscerle, Ranma non sapeva proprio dirlo. Per lui, le pesche erano
tutte
uguali, non c’era nessun segno che le distinguesse una
dall’altra. Passavano
lungo il bordo del tavolo scrutando i frutti con occhi attenti, poi
allungavano
il braccio e prendevano quella che apparteneva loro, e apparivano molto
convinte della loro scelta.
Shan Pu, Ukyo,
Kasumi, Nabiki, in mezzo ad altre
tante ragazze, perlopiù giovanissime come loro, sembravano
come ipnotizzate. I
loro movimenti erano lentissimi e calcolati, e nessuno guardava
nessuno, come
se ciascuna fosse sola con se stessa.
Ranma si rese
conto che gli uomini assistevano senza
che potessero fare alcunché.
Venne il turno
di Akane: la sua pesca era una della
fila centrale. Nella mente di Ranma cominciò a spuntare il
sospetto che fossero
in qualche modo pericolose. La sua fidanzata ebbe interminabili attimi
di
incertezza, poi prese il suo frutto e passò oltre,
addentandola distrattamente
e proseguendo il tragitto marcato dalle altre.
Il tutto avvenne
nel più completo silenzio, sebbene
l’atmosfera non fosse tetra ma molto tranquilla. Ranma ebbe
la sensazione che
respirare fosse diventato improvvisamente proibito. Ma
l’intervento di Tohma
faceva supporre che non era importante.
“Le
ragazze le riconoscono, e nessuno sa perché”
commentò il principe. “Io interpreto questa
sicurezza dettata dal rapporto che
hanno con la loro prigionia qui. Più la giovane
sarà stata serena, più hanno
maggiori probabilità di riconoscerla. Non ho motivo di
specificare che non
essendo donna, tu non conti in questa faccenda nonostante ti sia
intromesso.”
Ranma gli fu
grato per le spiegazioni in merito che
il principe gli stava fornendo, tuttavia c’era del sarcasmo
nelle parole di
Tohma che proprio non riusciva a mandar giù.
“Perché
Akane ha esitato?”
“Non
era soltanto smarrita quando fu condotta qui”
rifletté il principe, sentendosi terribilmente responsabile.
“Cosa
succederà ora? Voglio dire, come sapremo che
saranno libere di lasciare questo posto?”
“Dovrebbero
esserci effetti collaterali, ma niente
di grave.”
Il giovane
Saotome si rese conto che man mano che
camminavano, le ragazze sparivano oltre un folto tendaggio.
Akane era
lì con loro. Dopo aver finito di mangiare
la propria pesca, si sentì come se fosse uscita da un sonno
letargico. Ricordò
di aver inghiottito il frutto che Tohma e i suoi lasciavano al posto
delle
vittime dei loro rapimenti, e uno strano senso di libertà la
pervase. Constatò
che anche le ragazze intorno a lei provavano la stessa bellissima
esperienza.
Era come se non ci fossero mai state barriere di sorta, e come se fosse
libera
da qualsiasi promessa, da qualsiasi luogo, da qualsiasi persona.
Poi,
l’inaspettato. Una giovane cadde a terra come
svenuta, e molte altre la seguirono, accasciandosi al suolo come
bambole di
stoffa. Vide le sue sorelle e le sue amiche/nemiche perdere i sensi, e
non
appena realizzò che doveva fare qualcosa per loro, di colpo
si sentì
orribilmente debole. La vista le si offuscò. E poi non ci fu
nient’altro che
buio.
NDA
Ciao! :)
L’idea
di questa ff mi è venuta un po’ di tempo fa,
ma solo ora sono riuscita a scriverla di getto. -.-‘
Doveva essere
una OS, ma volevo che tutto si
svolgesse con calma, siccome già di per sé
è fin troppo scorrevole - eh, sì...
sono polemica e non posso farci niente! xD
Che dire, spero
che questa sciocchezzuola vi
piaccia. Scusate il titolo, ma non mi veniva niente di concreto! -.-
Baci! :*
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