TH
~You
make me.
#1
L'aveva provato per la prima volta in quell'aula di Divinazione. Doveva
consegnare solo un messaggio ad Angelina e Alicia, da parte di Baston,
per gli orari del Quidditch.
«Ancora profezie sinistre per me, professoressa Cooman? Oggi
il
mio fondo del tè assomiglia tremendamente a un fulmine, non
trova?»
Quella voce l'aveva trovato fin lì dov'era, nelle sue
occupazioni mediocri, i suoi pensieri tiepidi. Si voltò,
rispose
alla chiamata, come se quelle parole fossero rivolte a lui, come se
avesse udito il proprio nome. Fu qualcosa di spontaneo e coercitivo,
come sempre lo è quando ci si ritrova innamorati fino al
collo.
Vide l'increspatura immobile dei capelli, una linea ondulata sulla
fronte,
come se li avesse messi in riga con un ferro, e quel viso smerigliato
che le ombre, adagiandovisi, raffinavano, complicavano. Aveva una
consistenza
strana, inspiegabile, addirittura bidimensionale, nella divisa che
indossava e sul banco dove poggiava mani piene di scrupolo. Sotto le
unghie aveva la patina del successo, di quelli che non sbagliano, che
possono permettersi di ridere in faccia alla professoressa di
Divinazione. Non
pareva nemmeno che respirasse. Doveva evidentemente la sua esistenza ad
un
meraviglioso equivoco.
Harry desiderò non aver mai interrotto.
Desiderò sentire altre parole uscire da quelle
labbra,
avvertire
di nuovo quella strana emozione dolente e piacevole, quando riconosci
qualcosa ma non sai cosa, afferri qualcosa di familiare senza sapere in
che fessura del tuo passato incastrarla. Balbettò il suo
messaggio e filò via senza udire ancora alcuna parola, senza
sapere se effettivamente ci fossero ancora profezie
sinistre; l'ultima cosa che il suo sguardo annebbiato riuscì
ad
arraffare fu un ritaglio di stoffa, lo stemma di Serpeverde cucito
sulla sua
divisa.
#2
Si chiamava Tom Riddle ed era un genio, Harry non seppe poi ricordare
chi di preciso glie lo avesse rivelato, forse era stata l'esalazione
della sua fama che rumoreggiava nei corridoi, forse qualche dama in un
ritratto che confabulava con la vicina. Dal punto di vista
istituzionale, era uno studente proprio come gli altri, però
non
lo si vedeva mai salire o scendere le scale, infilarsi nelle calche di
studenti formicolanti, involgarirsi nella plebaglia dell'anonimato nel
castello. Harry si schermava con un tovagliolo, al mattino, per
ispezionare il tavolo dei Serpeverde
-dovrà almeno mangiare!-
e, grazie alla popolarità che non lo risparmiava un secondo,
trovare Tom
Riddle gli richiedeva meno di un minuto. Consumava la colazione con una
distratta, frugale parsimonia, con una sobrietà trasfigurata
fino ad essere eterea e rendere un miracolo il fatto che le posate
trovassero appiglio nelle sue mani. Più che nutrirsi,
ribadiva
la pacata e silenziosa asserzione della propria infinita
dignità. Faceva tutto con la disillusa, condiscendente
freddezza che riservava alle lezioni che non gli servivano, agli
incantesimi dei libri di scuola, a quelle nozioni che aveva
già
superato. L'angolo appartato in cui non faceva entrare nessuno era il
centro del mondo. Tutti sembravano soggiogati. Da parte sua Harry
poteva solo riecheggiare nella propria
mente quel timbro, come se carezzasse con il palmo un
liscissimo
pavimento di granito nero. Non poteva intrattenersi a lungo con lo
sguardo, giusto il tempo di catturare l'istantanea del suo mento
infossato nel palmo come una gemma, gli occhi che divagavano dalle
impertinenze dei seccatori, la camicia che, nella tensione
dell'avambraccio verso una coppa, denudava l'ossatura solida ma
affusolata del polso, dalla pelle quasi invisibile e i lunghi ricami
blu delle vene. Ricordi penetranti che nel prendere sonno gli facevano
male, come piccole fitte allo stomaco.
Poi un giorno smise. Perchè quegli occhi, che sorvolavano la
quotidianità come un'irritante farsa, avevano rotolato qua e
là apatici fino a, inevitabilmente e distintamente,
scivolare su
Harry. E anche se lui aveva precipitosamente abbassato la testa, li
aveva sentiti su di sè per uno, due, tre, quattro secondi.
Sapeva che, nelle tenebre dell'iride, le pupille di Riddle si stavano
dilatando.
#3
La prima volta era stata insignificante, e anche il momento che, Harry
lo sapeva, avrebbe stretto a sè per scaldarsi in punto di
morte.
Aveva appena partecipato alla sua prima partita di Quidditch, era ebbro
di gioia, non stava in piedi, i gemelli Weasley lo sorreggevano,
gridavano nelle sue orecchie urrà
per Harry. Era
felice in modo stupido e favoloso. Tanti del Grifondoro erano venuti a
battergli il cinque. E poi quell'apparizione esangue, che sembrava
essersi fatta largo dal nucleo di un blocco di marmo ed essersene presa
il cuore, duttile e morbido, per informarci la spiritualità
regale dei suoi lineamenti.
«Non avevo mai visto un allievo del primo anno volare con
tanta destrezza... Potter, dico bene?»
Il sonoro era sempre
stato un aspetto della bidimensionalità di Tom Riddle,
un'attraente ma statica appendice al suo aspetto, nulla di attivo,
nulla che potesse interagire con lui, scendere nella dimensione reale
della vita. Perchè non aveva mai sondato la remota
possibilità che un giorno avrebbe potuto -o dovuto-
parlarci. E adesso doveva.
«Io, sì, Harry Potter.»
Articolò le parole
per bene, temendo che la lingua si fosse
incollata al palato, un pezzo di burro mezzo sciolto. Se lui avesse
frainteso Barry o Larry, sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio
di correggerlo. La vita adesso si era concentrata lì, si era
appesa a quella bocca sottile, levigata, sbreccata, che non
sporgeva.
«Complimenti, Harry Potter.»
«Grazie.»
Tom Riddle se ne andò disattento, inscalfibile da quel mezzo
minuto di
conversazione come se non fosse nemmeno esistito, mentre Harry faticava
a capire s'era ancora vivo o no. La veste nera della divisa,
avviluppata alla sua figura come un'aura, gli svolazzava ai piedi con
vita propria. Forse ti
ha fatto i complimenti perchè è fissato con gli
enfant prodige, cercò poi di spiegare Ron
nell'udire l'accaduto, forse
gli ricordi un po' se stesso.
Harry pensò che avrebbe dato tutto ciò che aveva
per
poter fare come il suo nome, incunearsi fra le sue labbra con tanta
facilità, con un semplice assenso, diventare il suo sonoro,
la
sua appendice.
#4
Aveva dovuto aspettare un anno per la seconda volta. Era stato dopo
quello stupido duello con Malfoy, presieduto da Allock e Piton, che
l'aveva lasciato intontito e sfibrato. Ron era rimasto indietro per
scacciare gli anelli di fumo che la sua bacchetta aveva
inavvertitamente esploso. Harry camminava con passo un
po' asimmetrico, quando se lo trovò davanti. Non
era
preparato, prima non c'era niente e poi all'improvviso tutto, definito
come un affresco dal vivo, serio, certo di sè e presente, con
le sopracciglia scure e sollecite sopra la scintilla scaltra dei suoi
occhi. Di che colore erano, poi? Da lontano li aveva dati per neri, ma
visti così sembravano più blu, o forse verde
oliva...
Non aveva ancora capito se posare lo sguardo sulla sua immagine, senza
svincolarlo all'ultimo per vergogna di essere beccato, senza la
furtività ladruncola degli infatuati senza speranza, solo
posarlo con fermezza e completa libertà -quasi licenza, legittimità-
fosse un conforto sollevante o un abisso ripido.
«Sei un Rettilofono, Potter?» Tom dimostrava di non
amare i
convenevoli, ma non c'era tracotanza nè impazienza nella sua
voce, solo un'impronta di stupore un po' impensierito.
Harry battè le ciglia, sentendosi stolido come una bambola
di fronte al suo acume. «Un cosa?»
«Un mago che comprende e parla il linguaggio dei
serpenti» precisò Tom, «è
interessante.»
Lo buttò lì come un commento a
sproposito, a parte, una
riflessione fuori copione. Poi si corresse, guardò
Harry e aggiunse: «In questa scuola non ne ho mai incontrato
un
altro,» e
quella era un'ammissione di qualche tipo, l'apertura di un passaggio,
l'inglobamento di un elemento estraneo, forse un virus, forse un
vaccino. Harry se la sentiva dentro quest'accettazione, come una radice
che scendeva per impiantarsi sempre più a fondo, per
consegnarlo
sempre più irrevocabilmente a Tom... A riscuoterlo fu la
fiumana
incessante di studenti, fra cui Grifondoro del suo anno.
Individuò anche Ron. Inspirò sonoramente con le
narici,
nel panico.
«Ora devo scappare a Trasfigurazione, ma... potremmo-potremmo
riparlarne un altro giorno, insieme, cioè, questa storia dei
Rettilofagi sembra abbastanza, ehm, importante.» Non aveva
idea
di che parole avesse accozzato, così, sull'onda della
disperazione suscitata all'idea di sprecare quel preziosissimo pretesto
per apparire al suo cospetto. Inaspettatamente, Tom esplose in un
sorriso leggermente beffardo ma stupendo, che lo accertò
definitivamente del fatto che ormai un solo cenno di quel ragazzo
poteva sprofondarlo all'inferno o elevarlo in Paradiso.
«Continui a riservarmi una sorpresa dopo l'altra,
Potter»
dichiarò. «Sì, è importante
soprattutto in
riferimento alla Casa a cui sei stato assegnato... Se vuoi saperne di
più, sai dove trovarmi.»
Un ultimo sorriso, un colpo di grazia per tagliargli le gambe. Non ho alba di dove trovarti, pensò
Harry, altrimenti
vivrei con le ginocchia piantate di fronte a questo posto.
#5
Quando udì lo
schiocco della
porta dell'infermeria, non si girò nemmeno e
sospirò
pesantemente, ancora addentrato nel dormiveglia, supponendo che si
trattasse di Madama Chips con le sue medicine asprigne e dolorose. E
poi sentì:
«Come stai,
Potter? Sono venuto appena ho saputo.»
Tom Riddle stava al suo
capezzale,
con la divisa impeccabile, i ricci belli, l'espressione padrona di
sè che governava sempre il suo volto e i suoi movimenti.
Rubizzo e colto alla
sprovvista, Harry si scostò il lenzuolo dalla testa, si
rizzò sollevando il busto, ma così per abitudine
tentò di puntellarsi sulle braccia e quello con le ossa in
formazione gli procurò una stilettata di sofferenza
lancinante,
che non riuscì a occultare.
«Oh no, ti
prego, non agitarti.
L'ultima cosa che voglio è posticipare la tua
guarigione»
obiettò Riddle, con un sorriso e uno sguardo che
però non
erano nè premurosi nè preoccupati.
«Non dovevi
disturbarti» mugolò.
«Nessun
disturbo.» Il suo sguardo si appuntò sul braccio
di Harry. «Quidditch?»
«Rischi del
mestiere.»
Perchè diavolo aveva dato una risposta così
stupida? Tom
non parve farci caso, tanto che annuì assenziente.
«Ho sentito
che la situazione
è degenerata per colpa dell'intervento di Allock»
commentò. «Quel buono a nulla. Posso dare
un'occhiata,
Potter?»
Sebbene sulle prime
credette di avere
in qualche modo frainteso la richiesta di Tom, gli
allungò
il braccio malandato, piuttosto stupito. Il ragazzo si
avvicinò
ancora e lo prese fra le mani, con estrema delicatezza. Harry poteva
percepire la lieve pressione di quelle falangi portentose accendere il
sangue che ronzava nella carne, raggiungere il midollo di quelle ossa
scomparse, mandare al cervello impulsi frenetici e disarticolati. Tom
lo palpò per qualche istante, constatando a che punto era la
ricrescita, e poi sfoderò la bacchetta. Prima che Harry
potesse
esprimere uno qualunque dei suoi pensieri, che fosse cosa
intendi fare? o tanto
ormai sono praticamente guarito, tranquillo, Tom
sfiorò appena l'avambraccio pronunciando versi che non
ricordavano per nulla gli incantesimi che Vitious insegnava nella sua
aula. Il paziente non avvertì nulla. Poi gli venne ordinato:
«Prova a muoverlo.»
Harry, esitante,
obbedì. E il
suo braccio rispose, integro e robusto come prima. Spalancò
la
bocca per la meraviglia, e istintivamente sorrise a Tom pieno di
gratitudine. Poi rammentò, quasi inorridendo.
«Madama Chips
diceva che l'Ossofast è l'unico modo per... Ma tu... come
hai...»
Tom sfoggiò
la sua risata negligente. «Sarà il nostro piccolo
segreto, spero.»
Harry
arrossì. «Certo. Grazie mille, Riddle.»
Il narratore s'interruppe, prendendo tempo nel contemplare le
espressioni sconvolte di Ron e Hermione, che stavano udendo il
resoconto dei fatti.
«E allora?!» lo esortò Hermione,
torturandosi una
pellicina e scervellandosi nel cercare di indovinare cosa Riddle
potesse aver usato per quel braccio.
«... e allora mi ha detto: puoi chiamarmi Tom»
avvampò Harry.
Hermione scoppiò in un gridolino adorante. «Oh, ma
è fantastico! Harry! Non potevi trovare un partito migliore!
Voglio dire, è un fuoriclasse...»
«No, aspettate» intervenne Ron. Guardò
prima l'uno,
poi l'altra, esterrefatto. «Di cosa state parlando?!
Partito?!
Ma... Harry... lui è un maschio!»
Harry non aveva mai visto Hermione tanto fuori di sè.
«Tatto pachidermico,
Ronald!»
6.
Che una pozione bruciasse era prassi, ma che la superficie venisse
invasa da un nugolo di bollicine gialle che si staccavano e
galleggiavano per aria non tanto.
«Tom» richiamò allarmato. Gli costava
doverlo
scomodare per la decima volta a riparare i suoi pasticci. Di certo in
futuro non avrebbe accettato a cuore
così leggero di fargli ripetizioni. Tom Riddle
sollevò
freddamente lo sguardo dalla pagina di un libro scritto interamente in
antiche rune, per poi notare la faccia congestionata e paonazza di
sudore di Harry, per non parlare delle condizioni del calderone. Si
alzò, lo raggiunse e, saggiando quella poltiglia simile a
petrolio con un mestolo,
«È un Decotto Ignifugante?» lo
apostrofò,
tentando di schivare le bolle. «Avrebbe dovuto diventare
rosso. A
me sembra nero come il peccato. Che cosa gli hai fatto?»
«Forse ho sbagliato la quantità di qualcosa.
Oppure ho
girato in senso orario anzichè antiorario»
congetturò Harry, dando un'occhiata alla ricetta. Tom lo
ignorò.
«Ci vorrebbe la bile di Ashwinder... Se solo in questa
dannata
dispensa ci fosse qualcosa per fare una pozione degna di tale
nome. Comunque. Potter, per favore, preparami le foglie di Aconito e le
radici di Grinzafico.»
Una volta spezzettate le radici e aggiunte tre foglie, con una distanza
di due minuti l'una dall'altra, Tom riprese a mescolare.
«Scommetto che nella dispensa personale di Piton ci sono
tutti
gli ingredienti che servono per le tue pozioni»
affermò
Harry, con studiata disinvoltura.
Lui s'insospettì. «Per esperienza?»
«Ci sono stato, qualche volta. In caso di assoluta
necessità» ammise il più giovane.
«Con il mio
mantello, di notte. Posso prestartelo.»
«Non ho mai infranto nessuna regola della scuola.»
Riddle sdegnò la proposta.
«Io lo faccio ogni giorno.»
«Le apparenze ingannano, Potter. Sembri un così
bravo ragazzo, e invece.»
Harry lo fissò. «Significa che vale anche per
te?»
La pozione aveva assunto una sfumatura corniola, ma nessuno ci badava
più. Harry si accorse di averlo inavvertitamente incalzato
al
muro. Quando mosse la bocca per baciarlo, fu quasi l'intenzione
subacquea di un delirio onirico. E fu lì che Tom riprese a
valutare, che iniziò a domandarsi se davvero lo voleva,
quel peso caldo sulle labbra, quanto lo avrebbe tirato a fondo. Era una
mossa di scacchi potenti. Poi lo sguardo uscì da quegli
occhi
pesti e raggiunse Harry. Il suo respiro sottilissimo ed elastico come
una ragnatela arruffata, le ciglia fitte, i capelli lunghi come una
pianta ribelle, che si prendevano le sue spalle, il suo viso. Si
lasciò avvolgere da quel liquido amniotico, denso, che gli
entrava nelle orecchie, nei polmoni, nelle vene. Un attaccarsi in
apnea, un riempire vuoti. Agire senza l'alibi di uno schema lo
rallentò, ottenebrò. Harry lo fece galleggiare,
lo
portò in
alto, all'aria aperta, molte altitudini più su di quanto non
fosse abituato.
Da allora, prese gusto a baciarlo di sorpresa. Così il
giorno
dopo, visto che prima di sedersi a colazione ci fu un allegro bacio a
stampo, tutti gli studenti di Hogwarts seppero che Tom Riddle e Harry
Potter stavano insieme. Draco Malfoy fece cadere il cucchiaio nel latte
e lo schizzo imbrattò la divisa di Goyle.
Quel giorno stesso, Tom cercò lo Specchio delle Brame.
Quello
che vide riflesso lo tranquillizzò. Sulla lastra era ancora
solo, con in una mano la chiave dell'immortalità e
nell'altra lo
scettro per tenere al suo posto la feccia del mondo magico.
Così
si poteva ancora credere che niente fosse cambiato.
7.
Hermione provava del rispetto per Tom Riddle. Uno di quelli di cui si
può dire che si sono fatti da soli. Partito con i libri di
seconda mano, diventato la luce degli occhi di ogni insegnante. Con
quella gioventù essiccata dentro, quel sangue lento e
viscoso
che il cervello si scolava tutto. E poi, allo stesso modo in cui
passava tra gli scaffali della biblioteca e raccattava libri qua e
là indisturbato, mettendoseli sotto braccio, così
si era
preso Harry. E si era infilato nella quotidianità
di
Hermione da un giorno all'altro. La sua presenza, in mezzo a
loro al tavolo, era irreale, esotica e certamente spiazzante.
Calava un silenzio da cui emergeva solo lo sfrigolio delle piume,
intinte svogliatamente per completare un saggio di Pozioni per cui
Harry aveva fatto mille storie -dài,
Tom, Piton ti ama carnalmente, aspetta solo un tuo occhiolino per
portarti all'altare. Potresti intercerdere per me e far sì
che
me lo assegni di cento righe anzichè duecento!- ma
che
lui si era rigorosamente rifiutato di aiutare a scrivere. Oltre
all'imbarazzo di Harry, che si sentiva un po' a disagio a stare in una
stessa stanza sia con i migliori amici che con il fidanzato, c'era
soprattutto la diffidenza di Ron a complicare le cose.
«Quel tipo non mi convince affatto» ripeteva senza
sosta. «L'incantesimo che ha tirato
fuori per guarire Harry... ben venga, per carità,
però...
di sicuro non l'ha trovato su Fatture
per fattucchiere alla moda, no?! Altrimenti, se
fosse così facile, perchè Madama Chips e Silente
non ci avrebbero pensato prima di lui?»
Per un attimo, Hermione sembrò non saper ribattere. Ma solo
per un attimo.
«Oh, dacci un taglio, Ron! Dici così solo
perchè ha voti
eccellenti! Per te chiunque studi o è sfigato o è
un mago
oscuro in erba! Sei ridicolo.»
«Buono a sapersi!» scattò l'amico, con
tono
definitivo, accigliandosi ancora di più. Fatto sta che non
si
decise mai davvero a deporre i suoi sospetti.
Verso le sei, Tom radunò i propri libri in una borsa e
lasciò quelli della biblioteca in una pila sopra il bancone
di
Madama Pince.
«Temo che la professoressa Sprite mi abbia pregato di dare
una
dimostrazione alla serra fra mezz'ora. Ci vediamo domani, Potter,
verrò a cercarti dopo la terza ora»
proferì, senza
troppo calore. Harry annuì timidamente. Hermione raccolse
fiato
e coraggio.
«Tom, scusa, domani potresti farmi vedere quell'Incantesimo
Fluidificante? Credo che a te venga molto meglio che a me...»
Da
parte sua era un'ammissione amara. Tom chinò appena il bel
capo
elegante.
«Servo tuo, Hermione.» Non era mai riuscita a
capire se
facesse dell'ironia. Intanto, il ragazzo si chinò
sul fidanzato.
«Sentirò la tua mancanza»
sussurrò Harry,
contro la sua guancia, abbastanza piano da non farsi sentire dai due
amici. Per risposta ottenne una fugace carezza tra i capelli. E allora
Hermione se lo richiese, cosa amava Tom Riddle di quel maghetto con gli
occhiali rotondi, il calco d'innocenza sulle guance? Non poteva
capirlo.
«È così stancante dover attraversare in
lungo e in
largo questa scuola tante volte al giorno» brontolava Tom.
«Se solo togliessero la stupida regola per cui non
ci si
può smaterializzare a Hogwarts...»
Hermione aggrottò le sopracciglia, basita. «Un
momento. Tu sai smaterializzarti?»
Un secondo di ritardo, e poi Tom si affrettò a spalancare un
sorriso scettico. «Che assurdità, sai benissimo
che si
impara a diciassette anni. Buonanotte, Granger, Weasley. Buonanotte,
Harry Potter.»
Ron seguì la sua uscita con uno sguardo torvo. Poi rivolse
un'occhiata indagatoria ai libri che aveva letto, e per sicurezza
esaminò ciascuno dei titoli, evidentemente alla ricerca di
Magia
Oscura. Trovò solo il più antico dizionario di
Aritmanzia
mai esistito e un trattato di duecento pagine sull'allevamento di
Thestral.
«Che dici Ron, chiamiamo gli Auror?»
s'informò
Hermione con un sorriso sarcastico. Ron borbottò qualcosa
che
suonava come prima o
poi si tradirà.
Tutto ciò non le impedì poi di domandare a Harry,
colta
da un tramestio di timore ed eccitazione insieme, «Tom non sa
veramente
smaterializzarsi, vero?»
In seguito, Harry cercò di cementare quelle falle.
«Smettila di terrorizzare Ron ogni volta che vi incrociate.
Non
sei divertente.»
«No, infatti.» Il sorriso di Tom.
«È lui ad essere divertente.»
8.
Harry si dimenò nel buio, aprì la bocca impastata
di
salive e pestò attorno a sè per inforcare gli
occhiali.
La sua bacchetta, ligia all'Incanto Destante che di recente le veniva
applicato ogni sera prima di un allenamento cruciale, lo aveva
svegliato con colpetti sulla tempia dapprima gentili, poi sempre
più insistenti. Harry bisbigliò un flebilissimo lumos che
fosse sufficiente a rischiarare appena la penombra tenace delle
-l'orologio lo confermò- quattro e mezzo del mattino. Subito
si
apprestò a recuperare la divisa da Quidditch sepolta fra il
materasso e la testiera del letto, ma per farlo stette ben attento a
scavalcare gli arti di Tom Riddle. L'aria sapeva ancora di Natale, noci
inzuppate di cioccolato, maglioni pruriginosi della signora Weasley,
legna bruciata bene. Il periodo che Harry preferiva, quando la massa
tornava a casa per le vacanze invernali e il dormitorio dei Grifondoro
si svuotava, contando che anche Ron accettava di dormire su uno dei
divani della Sala Comune, pur di lasciarli soli. Dopo essersi
allacciato alla bell'e meglio gli alamari, si permise di far cadere
l'occhio su Tom. Era un tipo mattiniero, si svegliava sempre all'ora
che pianificava spontaneamente, sollevando le palpebre di scatto, senza
sbatterle, a Harry quindi non capitava quasi mai di vederlo dormire.
Non
appariva inerme o esposto ai pericoli nemmeno così, pareva
sempre
avere il controllo, di questo parlava la sua calma, ponderata
anzichè imprudente, sempre essere un passo avanti al destino
e i
suoi imbrogli.
Era uno schizzo a carboncino, non un dormiente vero,
un'utopia di correttezza scenografica, la sua onda mora di
capelli
d'ebano sulla federa bianca, il busto ben modellato avvolto nelle
scarlatte coperte damascate dall'ombelico in giù, le braccia
piegate con ordine. Le dita lunghe a volte scostavano una
ciocca, un sospiro s'irradiava nel petto come un flutto di mare nella
conchiglia. Harry pensava agli antecedenti di quel riposo contenuto,
possente, calibrato; antecedenti che non erano riusciti a sgualcire la
sua compostezza. Pensava alle lenzuola e le tende da tutte le parti, le
stille di sudore su quel corpo sereno, i muscoli contratti anche se ora
rilassati. Creava ordine intorno a
sè, Tom Riddle, come una legge gravitazionale irresistibile.
Si
prendeva spazi definiti come col compasso, toglieva quel che
non
serviva, scandiva il tempo per impegni, sezionava tutto con lucida
freddezza, non faceva grinze da nessuna parte, un idolo di
razionalità. Harry avrebbe fatto carte false pur di saper
replicare
quell'incantesimo che adoperava per tirare a lucido e piegare i
vestiti. Ma in quel momento pensava soltanto al Quidditch, a Baston che
glie le avrebbe suonate se avesse fatto tardi. Cercava la scopa, non
era sotto il letto.
«Nagini! Togliti di lì!»
mugugnò, tentando di
non alzare
troppo la voce, senza nemmeno capire, nel torpore, se stesse
parlando inglese o serpentese. Ancora gli faceva impressione trovarsi
davanti all'improvviso quelle pupille ottuse, orribili squarci su una
torbida coscienza animale. Edvige era sempre
agitata, quando il
serpente era nei paraggi. Nagini non gli diede retta nemmeno un po', si
stava arrampicando sul baldacchino, purchè non si mettesse a
scricchiolare. Ricordò quello che gli aveva detto Tom e non
le diede noie, sta
facendo la muta e sai quanto è suscettibile.
A Tom fregava poco o niente del Quidditch, più niente che
poco. Però la scuola intera aveva rumoreggiato quando,
mentre
assistiva per la prima volta ad una partita di Harry in vece di
fidanzato, si era presentato, spietato ed imperturbabile, con al collo
una sciarpa ricamata d'argento e verde smeraldo. Così aveva
continuato a fare. Anzi, ci faceva dell'umorismo terribile su.
«Ci vediamo dopo in infermeria, Potter» era il suo
buona
fortuna pre-partita, con tanto di rotazione esasperata di pupille al
cielo.
«Rendimelo almeno vivo, Malfoy» aveva preteso una
volta.
Draco aveva sputacchiato veleno cinguettando. «Sono disposto
a
risparmiare solo le parti che ti interessano, Riddle.»
E, con questo commercio d'organi, la speranza di un supporto morale da
parte della sua dolce metà era evaporato dalla prospettiva
di
Harry. Una volta pronto, imbracciò la scopa e
uscì
chiudendo con cautela la porta alle proprie spalle. Il suo arrivo fu
celebrato, nello spogliatoio, con sguardi intrisi d'odio e facce scure.
Prima che Harry potesse chiedere spiegazioni,
«Qualcuno» Baston tremava dalla testa ai piedi,
«qualcuno ha
rubato i nostri schemi per la partita di domani e li ha passati a
Flint.»
A Tom fregava poco o niente del Quidditch, o niente e basta,
figuriamoci, per lui la coppa di fine anno poteva vincerla il
Leongiallo che era lo stesso. Questo voleva dire che l'aveva fatto solo
per farlo arrabbiare, era un attacco personale.
«Te la farò pagare, Riddle»
rimuginò fra
sè, attendendo che Baston sbollisse la sua rabbia a
proposito
del dividere il letto
con il nemico.
9.
Gentili signori Dursley,
concedetemi l'onore di presentarmi. Sono il fidanzato di vostro nipote,
Harry Potter. So che siete stati voi a crescerlo, fino ad
oggi, secondo la volontà dei suoi genitori. Mi
è stato inoltre raccontato che Harry, in quanto minorenne,
deve
soggiornare presso di voi anche durante le vacanze estive. Vi ringrazio
per esservi presi cura di lui
tanto scrupolosamente, ma vi prego di lasciarmi il timone del suo
sostentamento. D'ora in avanti non sarà più
necessario
per voi sganciare un penny, nè assumervi alcuna
responsabilità. Anche se ufficialmente sarà
ancora sotto
la vostra tutela, provvederò affinchè rimanga a
Hogwarts
quanto desideri, sotto la mia custodia. Spero che un giorno avremo
occasione di conoscerci. Tom Orvoloson Riddle
ps: Se il vostro orrendo figlio osa ancora una volta insultare il mio
fidanzato, volare a trecento metri dal suolo gonfiato come una
mongolfiera vi apparirà un trattamento da centro benessere
rispetto a quello che gli succederà.
pps: La presente non prevede risposta, e se ci fosse non mi disturberei
a leggerla.
Quella fu davvero l'unica volta in cui Tom Riddle
riuscì
a procurarsi l'ammirazione smodata e l'appoggio incondizionato di Ron
Weasley.
Però c'era stata anche quell'altra volta, in cui Theodore
Nott aveva chiamato Harry mezzosangue
in
corridoio. Il passo di Tom si era arrestato, si era sbilanciato sul
piede con cui avrebbe dovuto avanzare, era rimasto lì un
secondo, come il piatto di una bilancia prima di cedere ad un verdetto.
I suoi occhi avevano sembrato assumere una vitalità diversa,
più liquida. Dalla parte superiore a quella inferiore del
suo
volto c'era stato qualcosa, come un fremito istantaneo, impercettibile.
Non aveva niente a che vedere con la rabbia.
«Ripeti un po' più forte» aveva
mormorato, ancora
con la sua voce suadente da Prefetto. «Non ho sentito
bene.»
Nott aveva atteso svogliato che gli fossero sottratti punti, almeno
finchè Tom non si era mosso verso di lui. Harry era rimasto
indietro, angustiato. In corridoio s'era addensata una folla di
spettatori che aspettavano, o speravano, di assistere a qualcosa di
impressionante.
«Avanti, non essere timido.» Tom aveva estratto la
bacchetta, la puntava alla gola della vittima. «Vediamo
quanto
è pulito il tuo sangue, il tuo bel sangue puro...»
La cosa che a Harry fece più male era che probabilmente il
suo fidanzato aspettava da tempo un pretesto di questo tipo.
«Tom, ti prego.» Credeva che non l'avrebbe
ascoltato, che
avrebbe dovuto gridare ed aggrapparsi alla sua veste. Non dovette. Tom
ripose la bacchetta.
«Sei fortunato Nott. Il mezzosangue adesso salva il
tuo bel sangue pulito. Sei contento?
Ringrazia.»
Mi ama, pensò
Harry. Mi ama da
morire. Però era lui che si sentiva morire
ogni tanto.
10.
Quel giorno era felice per tutti, perchè si era messo a
nevicare
e Hogwarts dava sempre il suo meglio quando c'era la neve.
Come ogni mattina Harry sbirciò al tavolo dei Serpeverde,
oltre
la
testa nivea di Malfoy e quella oblunga di Flitt, lo vide come doveva
apparire agli altri, a chiunque. Tom era silenzioso,
teneva lo sguardo fisso sul piatto mentre sbonconcellava una medeleine.
Odiava non poter mai fare colazione con lui, così come non
poter
pranzare e cenare insieme. Ron e Hermione invece ne approfittavano per
averlo un po' per loro, perchè erano dell'opinione che il
loro
migliore amico li stesse trascurando. Harry lo scrutò alla
ricerca di indizi, fessure sulla maschera che gli mostrassero come
stava sotto il tizio a cui piaceva torturare la gente. Quell'anno aveva
i GUFO, studiava come un
ossesso, si riduceva solo a pelle e sonno, occhiaie come ferite d'arma
da taglio, doveva essere questo a proccuparlo, sembrava portare un
lutto furibondo per ogni pagina che gli mancava di ogni libro al mondo.
Voleva conoscere tutto, e tutto lo scansava, gli restava solo qualcosa.
Trascorreva molte ore
senza che Harry sapesse dove fosse, cosa facesse, spariva e ricompariva
a piacimento, sempre più sfinito ma a regola d'arte come al
solito. A volte si chiedeva se ad amarlo fosse la maschera o il tizio
sotto. A volte pensava che stava andando fuori di testa anche lui
insieme a Tom. All'uscita, mentre gli alunni sciamavano verso la porta,
vide un Serpeverde parlare con il suo fidanzato.
«Ho promesso a Potter che saremmo andati a Hogsmeade
oggi»
udì Tom tagliare corto, con compassata
neutralità. Harry
si stupì. Era vero, glie l'aveva chiesto, ma lui aveva dato
risposte evasive e poco entusiaste. Dopotutto doveva studiare, non
aveva tempo per le stronzate, per le romanticherie di facciata.
Di certo Tom non era il tipo che accorreva da Mielandia a dilapidare il
patrimonio del portafoglio in dolci. Harry temette che si trattasse
solo di una scusa per liberarsi del tipo Serpeverde. Eppure, alle tre,
Tom Riddle lo aspettava ai cancelli di Hogwarts, con indosso un lanoso
cappotto nero e la sua sciarpa, che lo nascondeva fino al mento. Si
videro mentre Harry scendeva le scale. Si chiese per quale pazzesco
colpo di fortuna fosse riuscito ad
aggiudicarsi l'essere meraviglioso che espirava in soffi di
condensa
quella piccola attesa, che la neve imbrinava come se appartenesse
all'inverno, e si chiese per quale disegno divino Tom
Riddle fosse stato indotto a credere che Harry Potter la valesse.
«Non hai mai voluto venire a Hogsmeade con me»
indagò, mentre il fidanzato lo prendeva sottobraccio. I loro
passi smuovevano la neve primigenia dal sentiero sterrato, riportavano
a galla terra e aghi di pino, il cielo pulsando nella nebbia si
scollava di dosso quelle cucchiaiate sode, Harry la sentiva scaldarsi
nell'orecchio, sotto il colletto, diventare piacevole.
«Siamo diretti da Mondomago» annunciò
Tom, indecrittabile.
«E perchè?»
«Porto a riparare questo.» Il peso rotondo nella
tasca del
cappotto si rivelò essere un orologio che in teoria avrebbe
dovuto riconoscere verità e menzogna in base a
ciò che
diceva chi lo tenesse in mano, questo era il prodigio che Sinister
aveva decantato nel venderglielo, con tanto di tacche intermedie tra i
due poli assoluti. Ma Harry era sempre stato dubbioso dei suoi
responsi, soprattutto dopo che aveva decreto che il suo cognome era
effettivamente Potter solo al sessantacinque percento di
verità.
«Mi stai dicendo che il miglior studente di Hogwarts non sa
ripararsi un orologio da solo?» lo canzonò.
Adorava
stuzzicare il suo orgoglio, era l'unico modo per farlo sembrare un po'
un essere umano. Venne freddato dalla più discriminante
delle
occhiate alla Riddle.
«Non è un orologio qualsiasi, Potter. È
un oggetto incantato» gli rammentò pazientemente.
«Gli oggetti incantati sono sempre difficili da gestire...
Contengono
una certa quantità di magia che è impossibile da
manipolare per ogni mago, persino per il creatore dell'oggetto
stesso.»
Fatto sta che erano andati da Mondomago. Il commesso era un vecchio
dall'aria tediata che quando entrarono li guardò come se
fossero
Avvincini particolarmente brutti. Poco ci mancò che
strappasse
di mano quell'affare a Tom, per poi rigirarlo fra le dita tozze.
Individuò immediatamente delle scheggiature su un lato.
«Che gli è successo?» sbraitò.
Tom esitò prima di parlare, ma non ci fu traccia di
timidezza nel confessare l'accaduto. «Ho tentato... di
aprirlo.»
«Aprirlo»
ripetè il vecchio mago, in tono così pregno di
disgusto e disprezzo che Harry non capì come Tom riuscisse a
mantenere sempre quell'espressione altera ed impunita.
«Già. Bizzarra presa d'iniziativa, lo
ammetto.»
Il commesso sbuffò esasperato. «Cosa diavolo
pensavi di trovarci dentro, ragazzo, una Cioccorana?!»
Harry dovette trattenere un ghigno. Tom inarcò un
sopracciglio.
«Può ripararlo?»
«Certo che posso.»
«Era tutto
quello che mi
interessava sapere.» Poi girò i tacchi e uscirono
dal negozio, con l'impegno di passare a ritirarlo il
sabato successivo.
Quello strano episodio ne riportò alla mente di Harry un
altro.
Lui aveva studiato i Mollicci pochi giorni prima. Aveva poi sentito
dire che la fu lezione sui Mollicci di Tom Riddle, terzo anno, era
spaventosamente famosa. Con un secondo d'anticipo, Tom aveva capito
cosa avrebbe visto in quel mostro informe ed era impallidito come un
lenzuolo. Non aveva pensato proprio nulla di ridicolo. Aveva mosso la
bacchetta e gridato formule straniere, dimenticate da qualsiasi libro
dato ancora alle stampe
in Inghilterra. Fiamme nere erano eruttate dal pavimento, avvincendo il
Molliccio e
polverizzandolo, per poi dileguarsi altrettanto rapidamente. Era
così che Tom Riddle aveva affrontato la paura della morte,
tentando di ucciderla. Harry pensò di chiedergli di quella
volta, di costringerlo a raccontare, di prenderlo per le spalle e
permettergli tutta l'onestà che rifiutava al mondo.
«E adesso andiamo a berci una Burrobirra»
concludeva Tom,
stringendolo a sè. I suoi lineamenti si erano rilasciati
dall'abituale tensione, come se finalmente si concedesse una sosta da
un viaggio pieno di fatica.
Sarebbe stato così stupido rovinare un bel pomeriggio
insieme per un motivo così futile.
Harry approfittò di questa inconsueta
positività, gli mise un braccio attorno alla vita, lo
portò a bere, fece il
fidanzato. Scelse di ignorare ancora.
11.
Lo aveva trovato in mezzo alla solita calca di Serpeverde
speranzosa di un suo cenno affabile, mentre lui continuava irremovibile
a leggere. Harry si fece largo a suon di gomitate intercostali. Quando
uscì da quel pandemonio gli era rimasto in bocca solo il
fiato
per dire: «Vuoi venire al ballo con me?»
Tom Riddle aveva soppesato le sue emozioni con quelle pupille da
rettile, quel viso bello e senza romanticismo, quelle labbra rigide
come la rilegatura di un libro poco sfogliato.
«Certamente, Harry Potter.» Era compiaciuto.
«In
realtà, mi sentivo già un po' autoinvitato, ma
così va molto meglio.»
Harry sorrise. Stavano insieme da due anni. Avevano trascorso l'estate
a Hogwarts -era incredibile
quanta influenza potesse avere Tom su qualunque regola
vigente, lui era un'eccezione da ogni
punto di vista per tutti.
E così andava molto meglio. Credo che sia un po' contro la
tradizione del
Ballo del Ceppo, aveva opposto debolmente Seamus Finnigan. La tradizione si
adeguerà, aveva risposto Harry.
E quindi la sera di Natale si era ritrovato con mezzo litro di punch
nello stomaco, un papillon fastidioso al collo e una specie di Fred
Astaire fra le braccia.
«Non sapevo che fossi così bravo a
ballare»
ringhiò, all'idea di come dovevano apparire da fuori, l'uno
che
sembrava uscito dall'Opèra national de Paris e l'altro che
ondeggiava legnoso in un paio di scarpe di vernice.
Tom gli fece fare una giravolta sotto il proprio braccio, con una
smorfia gongolante. «Non dimenticare che io sono nato
imparato.»
«Ah, adesso si spiegano tante cose»
brontolò Harry.
Si permise di rivolgere un'occhiata ampia e circolare alla sala.
Hermione ridacchiava per qualcosa che Viktor Krum, campione di
Durmstrang, le aveva detto. Ron sbuffava in faccia a Padma Patil,
rifiutandosi categoricamente di ballare, e quando notò lo
sguardo di Harry sollevò entrambi i pollici tirando un
sorriso
malcerto. Un gruppo di ragazze di Serpeverde lo fissava come se avesse
reso orfane tutte quante, sospirando con desiderio in direzione di Tom.
Malfoy malignava in compagnia di Pansy Parkinson, e Ginny e Neville
avevano un'aria decisamente imbarazzata. Fleur Delacour si era
accaparrata il capitano della squadra di Quidditch di Corvonero, e la
sproporzione nella grazia dei loro movimenti era più o meno
la
stessa che c'era fra Harry e Tom.
«Se avessi messo il tuo nome nel calice e fosse uscito,
avresti
vinto di sicuro» riflettè Harry, tornando a
concentrarsi
sul suo partner di ballo, che cominciava ad annoiarsi.
«È solo un gioco» ribadì Tom.
«I giochi non mi interessano. Non sarà
per il Torneo Tremaghi che verrò ricordato, posso
assicurartelo.»
Il fidanzato non stentava a crederci. «Guarda che non
c'è
niente di male ad ammettere che avevi fifa» lo
canzonò.
«Io sono nato imparato e
sprezzante del pericolo, Potter.»
Tom lo baciò, mentre il brulichio della sala risucchiava il
suono della musica e nella sua testa rimaneva solo l'ovatta di
quell'inverno bucolico, sul suo palato c'era lo stesso sapore del
ghiaccio sulle pareti lì intorno. I baci di Tom non erano
mai
bagnati, la sua saliva era un filo di sabbia. Quando si
scostò,
Harry vide Cedric Diggory avvicinarsi e lo salutò con un
cenno,
ricambiato.
«Ciao, Diggory» salutò Tom, mellifluo.
«Volevo complimentarmi per la tua performance l'altro
giorno, a Trasfigurazione.»
«... grazie» ribattè lui, impallidendo
nel sentirlo
proferirgli parola, manifestamente inquieto. Poi tirò dritto
in
gran fretta, accampando una scusa vacillante.
«Avresti potuto strappargli la vittoria dalle mani in quattro
e
quattr'otto» obiettò Harry, del tutto certo che il
suo
fidanzato valesse il quadruplo di Diggory in qualunque materia,
Trasfigurazione compresa. Tom era divertito.
«E avrei fatto male. La gloria del ruolo di Campione di
Hogwarts
gli dona così tanto. Perchè rovinargli il
diletto?»
Anche Harry rise. Cedric non gli stava affatto simpatico.
Cercò
di ricordare chi fosse la sua accompagnatrice al ballo, ma si trattava
di una ragazza cinese di cui non conosceva il nome.
12.
Poi a Harry venne in mente che forse Cedric, essendo un
Prefetto,
ce l'avesse con loro per la storia del bagno. Il bagno dei Prefetti,
cioè. Che adesso era diventato il bagno di Riddle e Potter.
Poichè, oltre al periodo invernale, pasquale ed estivo delle
vacanze, era l'unico territorio neutrale dove azzardare a toccarsi
senza scatenare scompiglio e attacchi di voyeurismo selvaggio, se ne
erano appropriati. Tom aveva affatturato il gargoyle
affinchè
non aprisse a nessuno mentre loro erano all'interno, cosa poco legale,
ma nulla che Tom Riddle non potesse permettersi, e meglio non
lamentarsene con i professori, a meno che tu non volessi essere messo
nella condizione di raccogliere i tuoi arti disseminati nel fondale del
Lago Nero con la mascella. Harry gli aveva chiesto come faceva la magia
ad obbedirgli in quel modo, e Tom gli aveva risposto con gli occhi che
brillavano, è
il midollo
delle mie ossa, Potter, è stata la magia la causa della mia
nascita, è un po' come se fosse stata mia madre stessa. Beh,
meglio avere come madre la magia che una maga disgraziata, povera in
canna, brutta come un avvoltoio che muore tre ore dopo la tua nascita.
Era stato nel bagno dei Prefetti la prima volta, come tante altre dopo
quella. Harry sapeva benissimo di essere un po' giovane, non glie n'era
fregato niente, voleva dimostrargli qualcosa e allo stesso tempo
aggiudicarsi una prospettiva di lui che nessuno conosceva. Voleva
strappargli
pezzi, staccare con le unghie quell'intelligenza che si portava anche
nel cuore, rubare ciò che Tom non era disposto a offrirgli.
Le
mezze misure erano per gli altri. Se Harry non si fosse murato vivo
dentro di lui, non sarebbe mai riuscito a entrarci.
Era stato carne che slargava carne, muscolo che slabbrava leziosaggini,
un'algia materialistica e sintomatica dell'ideale realista di Tom. Ma
in verità era stato semplicemente afferrare l'orlo di marmo
della vasca finchè le nocche non assumevano lo stesso
albore,
respirare nell'acqua ed inasprirsi le narici, il palato, tumefarsi di
esultanza e posare il peso delle tempie sul petto bagnato di Tom, con
tutte quelle piccole gocce, che saliva e scendeva cambiando ossigeno, e
rendersi conto pian piano che quella dolenza cinica l'aveva fatto
felice. Ogni articolazione del corpo protestava, le braccia allungate
troppo a lungo, le gambe che non le sentiva e forse era meglio
così, il collo storto, e Harry era stato piccolo e devoto
mentre
Tom lo massaggiava con perizia, lo ricopriva di sapone, lo leccava
dappertutto.
Perchè affaticarsi a indagare altro, quando ciò
che gli
stava ad un palmo dal naso era così esauriente? Il suo
fidanzato
era il mago più capace del suo tempo. Aveva una carriera
fulgida
bell'e pronta. Facevano sesso regolarmente. Si amavano per un
attaccamento più che per un affetto, un sentimento che non
era
quello delle fiabe, ma che li teneva ancora insieme insieme dopo due
anni, poi tre. Poteva bastare. Avrebbe potuto non esserci altro. Non
sembrava nemmeno che ci fosse lo spazio,
per altro.
13.
Harry si scostò, imbarazzato, per permettere a Sirius di
squadrare l'avvenente ragazzo che lo superava di tutta la testa.
«Lui è Tom. Il mio... beh, lo sai.»
Lui presentò la versione più recente ed efficace
dei suoi
migliori sorrisi-convincenti-per-adulti-deficienti.
«È un
piacere conoscerla, signor Black. Harry mi ha parlato molto di
lei.»
Per esempio, del fatto che per anni era stato creduto un Mago Oscuro e
non aveva potuto mettere piede in Inghilterra. Ma Sirius -forse
perchè era stato creduto un Mago Oscuro?- non era un
deficiente.
Sapeva riconoscere l'ambizione quando la vedeva, e avrebbe dovuto
mancargli parecchie diottrie per non riconoscerla in Tom Riddle.
Sentiva la puzza di magia nera da metri di distanza. Non era l'unica
occasione in cui fu messo a disagio. Titubò di fronte a quel
ragazzo che sapeva individuare le
posate giuste per mangiare il pesce, che pronunciava le parole
come se recitasse atti di farse già trascorse, che con uno
sguardo riusciva a zittire tutti i quadri dei suoi antenati a Grimmauld
Place.
«Harry merita di essere felice» disse Sirius.
«Conveniamo entrambi su questo.»
«Lo sarà?»
«Me lo auguro.»
«Non fare scherzi, Riddle.»
Quel lungo sorriso. «Io non scherzo mai.»
O cerchi la verità, o la verità ti viene a
cercare. E
l'indirizzo a cui andò a bussare fu Dormitorio di
Serpeverde,
Hogwarts, Inghilterra, con data 1995.
14.
A Harry veniva da vomitare. Tom non lo sentì nemmeno
entrare,
tanto era calato nell'avida lettura di un tomo di impressionanti
dimensioni. Il Grifondoro gli marciò contro e
strappò il
libro dalle sue mani, sbattendolo per chiuderlo e leggere il titolo. Si
levò un alito di polvere verdastra. Segreti dell'Arte più
Oscura. Montò la rabbia.
«Sei stato tu.»
Tom comprese l'accusa al volo.
«Ieri sera io ero nel bagno dei Prefetti, e tu lo sai meglio
di
chiunque altro, dico bene?» Ma non cercava di giustificarsi,
era
stato colto con le mani nel sacco, lo stava solo punzecchiando,
sdrammatizzava.
L'esclamazione di Harry che seguì, infatti, non fu nemmeno
più un'accusa, non serviva più a niente
accusarlo. Era
più una realizzazione, uno sbigottimento.
«Hai maledetto Malfoy affinchè lo facesse al posto
tuo!» Quasi sperava che un'altra sensata
eventualità
cadesse dal soffitto.
«Non essere sciocco, Harry Potter. Malfoy l'ha sottratto
illegalmente dalla biblioteca e poi me l'ha prestato.»
«Almeno non ridere, idiota!» Era stata Hermione a
raccontargli di come, nascosta dietro uno scaffale, aveva visto Malfoy
entrare nella sezione proibita della biblioteca e uscirne con il libro.
Peccato che con le sue non eccelse capacità non sarebbe mai
stato capace di eludere la sorveglianza, senza un burattinaio, e che la
refurtiva fosse poi misteriosamente scomparsa dalle mani del ladro.
«Avrebbero potuto beccarlo, avrebbero potuto
espellerlo!»
Tom smise di ridere. Un'ombra di stizza gli scurì gli occhi,
creò un triangolo tra bocca e zigomi. «E chi se ne
importa.»
«Io me ne importo» sbottò Harry. Malfoy
non gli era
mai stato nemmeno lontanamente simpatico, ma ciò non
toglieva
che aveva subito un'ingiustizia. Da parte del suo fidanzato.
«Allora vattene da Malfoy, se sei così in pena per
lui.» La voce di Tom si era affossata in un cratere. Gli
sottrasse il volume a sua volta, riaprendolo alla pagina di prima. Lo
poggiò sul tavolo e si girò a leggere. La
maschera si
stava riempendo di crepe, Harry quasi quasi voleva dire sorridi per me, Tom, recita
quelle fandonie per me, erano così belle che forse era di
quelle che mi sono innamorato.
«Tom» biascicò invece
«Guardami.»
Tom non lo guardò. «Dici di amarmi, ma non approvi
nemmeno una delle cose che faccio.»
Harry tacque. Le punizioni nei corridoi, il raggiro dei professori per
poi aizzarli contro gli studenti che denunciavano i suoi eccessi, le
scope maledette per far vincere al Grifondoro le partite di Quidditch.
Grandi cose, piccole cose. Cose.
«Ti amo da impazzire, ma non sono ancora così pazzo
da approvare le cose che fai.» Non c'era scampo dalla propria
opinione. Tom emise un verso denigratorio.
«Una dicotomia di sentimenti caritevolmente patetica da parte
tua.»
Harry sentì i polmoni come spugne gravide di pus di
Bubotubero.
«Non capisci che è proprio questo... amarti e non
potermi fidare di te...» La verità lo scisse, un'algia materialistica, di
quelle che piacevano a lui, «che è
per questo che soffro, Tom?»
Tom non si voltò. Sapeva già cosa avrebbe visto.
Quei
capelli più corti, che facevano la fronte più
ampia, quel
corpo allungato, quel volto di nuova durezza. Quell'Harry
più
adulto, meno devoto. Che
voleva infilarlo in un reticolato di regole, parametri, preconcetti, la
sua morale, la morale di Silente. La morale dei deboli.
Quell'Harry che soffriva ma non cedeva, non lo supplicava, non chiedeva
scusa, non dimenticava, non si tappava gli occhi. Quell'Harry che aveva
paura di guardare, ma guardava lo stesso.
Il ragazzo in cui aveva avuto la leggerezza di depositare qualche
grammo d'anima era diventato un nemico, ma era troppo tardi per
sventrarlo e riprendersela.
«Cosa devi farci con quella merda, Tom?»
In quel momento, era Tom che avrebbe voluto tapparsi le orecchie.
15.
Tom Riddle ci aveva provato per l'ultima volta nella Stanza delle
Necessità. Sul tavolo, troneggiante come i trofei che anni
prima strappava dalle
tasche di bambini che se l'erano fatta sotto dalla paura, c'era
l'anello di Orvoloson Gaunt. Di fianco, Segreti dell'Arte più
oscura era spalancato come una ferita infetta.
«Guarda» sibilò. «Guarda,
Harry Potter.»
Ma Harry non guardò le intenzioni di Tom, guardò
lui. Il suo viso aveva qualcosa, una specie di esaltazione
feroce, che mal si addiceva ai tratti lievi
ed algidi della sua maschera, a quelle espressioni di cortese
altezzosità.
«Io posso acquisire un potere che nemmeno
immagini...»
Sembrava che tirasse sassi in un fiume nella speranza di vederlo
sanguinare. «Posso diventare
qualcuno che il mondo dei maghi non ha mai visto prima d'ora.»
«Come Salazar Serpeverde?» L'anello dei Gaunt
assomigliava
a una bruciatura di sigaretta su una tovaglia, un buco nero e
irregolare, sgraziato, che non aveva modo di motivare la propria brutta
esistenza.
«Meglio ancora.»
Tom rise. Harry pensò che non l'aveva mai visto ridere in
quel
modo, che non aveva mai visto nessuno farlo. Si chiese cosa avesse
sbagliato.
«E io che ruolo gioco nei tuoi piani di grandezza?»
Aveva
smesso da un pezzo di avere paura per sè, ma la paura per
Tom
Riddle era un cancro affamato, consumava materia grigia, beveva sangue.
Le notti le piovevano via le lacrime, lo stillicidio del silenzio che
non poteva parlare, l'illusione che non poteva tornare.
Tom trovò la domanda futile, gli toccò una
guancia.
«Tu... starai con me, ovviamente. Non c'è posto in
cui tu
debba stare che non sia il mio fianco» ribadì.
«L'hai dimenticato?»
La vasca calda del bagno dei Prefetti, la schiuma calda, la neve calda
di Hosmeade che entra sotto i vestiti e la si ritrova quando ci si
spoglia. Hai
dimenticato? Bastardo.
«E tu invece, cos'hai dimenticato?»
Perchè non
urlava? Perchè non gli tirava un pugno? Riusciva solo a
fissarlo
con quegli occhi soli.
«Tu non capisci appieno, Harry. Possiamo essere io e te. Io e
te,
in questo, insieme.» Tom sorrideva, perchè sul
serio
supponeva che lui fosse un po' lento. Gli prese le mani, le mise nelle
proprie, quella comunione di ieri a cui si appellava oggi. La voce era
quella della maschera, del Prefetto, dell'incantatore di serpenti.
«Per sempre. Nessuno ci fermerà.»
Con Tom Riddle o eri dentro o eri fuori -piuttosto facile da capire,
persino per un lento come lui- e Harry due anni prima aveva deciso di
murarcisi vivo. Come
poteva crederlo, Tom Riddle?
«Magari qualcuno avesse il potere di fermarti. Io
evidentemente non ce l'ho.»
Il suo fidanzato incupì di nuovo.
La volubilità
rendeva la gioia meno autentica e la malinconia una tosse cronica. La
maschera sfarfallava come una lampadina malandata.
«Non ti fidi?»
Come poteva credere che
Harry potesse dimenticare? Arrivò
la rabbia che Harry attendeva, con le mani abbandonate in quelle del
ragazzo che gli aveva tolto la
verginità, e di cui non si fidava più.
«Tu saresti disposto a toccarmi con mani sporche del sangue
della gente che hai ucciso?»
L'ira riportò l'esaltazione, il tizio a cui piaceva la
tortura,
quello che avrebbe aperto Theodore Nott in due in quel corridoio due
anni prima, per scoprire quanto era pulito il suo sangue.
«L'ho già fatto, Harry Potter. Li ho ammazzati
tutti.
Questa notte.» Harry non reagì. «Quel
dannato
babbano che ha sposato mia madre -una strega che
discendeva da Serpeverde- e poi l'ha abbandonata incinta su una strada.
E i due babbani che dovrei definire miei nonni. Così
l'hanno smessa di sguazzare nella loro putrida e inutile agiatezza, in
cui si beavano mentre io marcivo in orfanotrofio.» Iniziarono
le
risate. «Dovevi sentirlo, quel vecchio obeso nella sua
vestaglia
ricamata d'oro. Posso
darti dei
soldi, fare di te un uomo ricco. Un uomo
ricco!» Risate.
Harry abbassò la testa. La rialzò. Disse:
«Non
è questa la persona di cui voglio fidarmi. Con cui voglio
condividere il mio futuro.»
Le risate di Tom la tirarono per le lunghe. Singhiozzarono nel petto
sotto la divisa impeccabile, come scintille di braci che becchettano
gradatamente la cenere. Finirono dopo due minuti buoni.
Sotto la cenere, un risucchio roco della gola.
«Perchè odi
così tanto la parte di me di cui vado più
fiero?»
Come poteva credere che
Harry potesse
ignorare? Quanto bene, quanto male gli aveva fatto. Quanto di lui c'era
stato nella vita di Harry. Quell'eccedenza che ora lo schiacciava, lo
comprimeva, lo defraudava dei suoi giorni. Non c'era
più
niente di cui andare fiero lì, solo un tizio che amava
torturare
e che andava amato ancora una volta.
«Se pensi che quella sia la parte migliore di te,»
disse
Harry, «non ti conosci affatto come ti conosco io,
Tom.»
Riddle tacque. Il suo copione scadeva, il cerone colava, e Riddle si
ritrovò con gli stessi occhi soli del suo fidanzato.
«Ti amo, Harry, e tu lo sai. Non puoi dubitare di
questo»
proferì con gravità. Nemmeno lui stesso poteva
dubitare.
Aveva guardato nello Specchio delle Brame. Harry l'aveva salutato e
aveva sorriso dalla lastra in cui, fino a poco prima, Tom Riddle stesso
era solo e aveva tanto spazio per la dominazione del mondo magico.
Così era stato predetto. Non poteva dubitare di averlo per
sè.
Harry avrebbe anche potuto crederci, ma ormai vedeva i cadaveri, i
Babbani morti.
«Se fosse così, non avresti bisogno di mandare in
pezzi la tua anima e rinchiuderla in un anello.»
Pausa.
«Intendi dirlo a qualcuno?»
«Intendo fare tutto quello che è in mio potere per
salvarti. E se
questo implica dirlo a qualcuno, se questo implica perdere il tuo
affetto, lo farò lo stesso. Nel momento in cui mi impedisci
di
pensare a noi, io penso solo a te.»
Pausa.
«Sarebbe un grave tradimento.»
Chi poteva tradire ha
già tradito, amore mio, pensò Harry,
ci hai traditi e
rovinati.
«E tu un domani mi ringrazierai. Lasciati aiutare, Tom.
Silente può farlo. Io voglio farlo. Aiutati, Tom... aiutami.»
L'ultima supplica dell'Harry di ieri, quello piccolo e devoto. L'ultima
utopia dell'Harry di oggi.
Il sasso cadde nel fiume, e non uscì nemmeno una goccia di
sangue. Tom Riddle lo fissò come se non avesse parlato.
Harry
fece cadere le braccia suoi fianchi, esausto.
«Avanti, alza quella bacchetta e
togli l'ostacolo dal tuo cammino. Non intendo renderti le cose facili.
Per andare avanti in questa missione suicida dovrai farmi fuori come
hai fatto con tuo padre.» Voleva raschiarlo, fargli male,
tagliare corde che non si decidevano a smuoversi. «Se passi
questo limite, non si potrà
tornare indietro. Non è quello che vuoi, forse?»
Tom Riddle, lo studente perfetto, estrasse dal mantello una bacchetta,
tasso, tredici pollici e mezzo, piuma di fenice. L'aveva reso felice.
Erano gli occhi della maschera ad essere smaltati di lacrime?
«Harry. Non costringermi...» Non Harry Potter, nè
Potter, solo Harry.
Tom Riddle aveva guardato in quello specchio, da cui Harry gli
aveva sorriso, ammiccato, rivelandogli di essere la cosa che lui
più desiderava al mondo.
Era stato tentato di romperlo, fracassare quel responso.
«Ti amo troppo per permetterti di sbagliare» disse
Harry,
«perciò fai in fretta, o non ti libererai di me
per tutta
la vita.»
«Harry...»
«Vado a
chiamare Silente.»
«Stupeficium -Aresto momentum!»
Tom Riddle fece adagiare Harry sul tavolo con estrema
delicatezza. La mano gli tremeva un po'. Gli scostò qualche
ciuffo di capelli corvini e sudati, puntò la bacchetta alla
sua
tempia.
«Oblivion»
bisbigliò.
«Tu non ricordi di avermi minacciato di consegnarmi a
Silente.
Non ricordi di avermi disprezzato, nè il motivo. Non ti ho
mai
confessato di essere un assassino, nè di voler creare degli
Horcrux e di voler diventare insieme a te il dominatore del mondo dei
maghi. Non ti ho mai chiamato in questa stanza. Non hai mai avuto dubbi
sulla mia condotta. Non mi hai mai sorpreso a praticare Maledizioni
senza perdono contro gli studenti. Tu mi ami, Harry Potter. Questo non
lo dimenticare.»
Quando la luce verde acido si spense, Tom gli diede un bacio su quella
fronte riassestata. Lo prese in braccio e lo portò al suo
dormitorio; ormai la Signora Grassa non esitava a sgarrare per lui.
Alle facce confuse dei compagni, il ragazzo spiegò che Harry
si
era addormentato in biblioteca, tutti sorrisero con aria comprensiva.
Lo portò sul suo letto.
«Reinnerva»
fiatò pianissimo. Le palpebre del suo
fidanzato, dopo aver sbattuto come falene sfinite, si ritrassero per
denudare le iridi arrossate.
«Buongiorno» sbadigliò, quando mise a
fuoco il viso di Tom.
«Buonasera, vorrai dire» lo blandì lui
con indulgenza. «Sono le nove. Hai fame?»
Harry cercò di sollevarsi dal cuscino, ma poi non gli parve più una buona idea.
«No... Solo un mal di testa da morire. Che mi è
successo?»
Tom accompagnò la menzogna con una carezza. «I
compiti di Astronomia dovevano essere particolarmente noiosi. Madama
Pince era furibonda. Ti ho lasciato i libri sulla sedia.»
«Grazie» farfugliò Harry. Nel vederlo
alzarsi, però, «dammi un bacio» aggiunse.
Lo fece. Glie ne diede uno lungo sulla bocca e un altro sulla fronte.
«Ti amo.»
«Anch'io.»
«Scendo a procurarti almeno un succo di zucca.»
«Benone.»
Tom si fermò per un istante alla soglia. Un piccolo specchio
era appeso alla parete. Benchè non fosse farcito nemmeno di
un briciolo di magia, in quel momento rifletteva il profilo coricato di
Harry e lui stesso. A sovrapporsi ai suoi furono gli occhi di Merope
Gaunt, due solchi d'inedia, la disperazione codarda e inevitabile dei
deboli, ma non si fermò abbastanza a lungo per notarlo.
Dopotutto la profezia l'aveva detto. Nessuno dei due può
vivere se l'altro muore. E Tom Riddle aveva intenzione di
andarsene in giro ancora per un bel po'.
Note dell'Autrice: Un fandom in cui mi hanno riportata i film di Italia
1 e in cui non tornavo da quando scrivevo senza maiuscole. Ci tenevo a portare un weirdo ship. Un sito in cui
non posto da sei mesi. Ho detto tutto.
Grazie per avere letto, chiunque volesse recensire :-*
Lucy
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