Liberté, Égalité, Fraternité. di ___Ace (/viewuser.php?uid=280123)
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Liberté,
Égalité, Fraternité.
Quatorze.
Era stata
una notte movimentata quella che aveva preceduto la mattina del 14
luglio e i
poveri diavoli che erano finiti per svariate ragioni a passare quel che
restava
della loro vita nella Bastiglia non avevano chiuso occhio, curiosi e
interessati allo scompiglio che si era ininterrottamente riversato per
le
strade.
Tutti gli
occhi si erano ammassati alle finestrelle strette e sbarrate per
osservare
meglio, per fare da tramite a quelli che non potevano muoversi o alle
celle
situate più in profondità, senza contatti con il
mondo esterno. Anche se lontani,
riuscivano ad adocchiare svariati particolari e, ogni qualvolta che una
guardia
veniva colpita dai cittadini, si alzava un urlo di gioia generale,
mostrando
chiaramente per chi tifassero tutti i detenuti.
Le uniche
ore di calma furono all’alba, quando gli spari cessarono e le
grida di
malcontento si zittirono per dare modo alle due fazioni di riposare e
riprendere fiato prima del botto finale.
Perché
la
rivolta era appena iniziata, lo sapevano tutti. Nell’aria si
respirava quel
clima di stallo, l’attimo prima dello scoppio.
L’aria era satura di tensione e
aspettative, dalle strade si alzava la polvere e alcune vie erano
impraticabili
dopo i vari scontri avvenuti. Numerosi edifici erano stati saccheggiati
e gli
ingressi arsi dalle fiamme erano crollati con il calare del sole.
All’interno
del penitenziario, non si sentiva volare una mosca. Tutto era
silenzioso, molti
uomini si erano rannicchiati negli angoli meno sudici, o sdraiati nelle
brandine per schiacciare un pisolino, o semplicemente per aspettare che
qualcosa accadesse.
Uno solo
era
rimasto vigile senza mai chiudere gli occhi, mantenendo lo sguardo
fisso sulla
città, mentre con le mani si teneva ancorato alle sbarre
della finestrella,
come se fosse stata l’unica sua salvezza. Di lì a
breve sarebbe successo
qualcosa, lo sapeva, se lo sentiva. Ne era certo, come non aveva dubbi
su chi
fosse stato l’artefice di tutti quegli incendi. Solo un
esperto come suo
fratello Ace avrebbe potuto organizzare un botto come quello e di
ciò ne andava
fiero.
Un
movimento
alle sue spalle lo avvisò del risveglio di uno dei suoi
compagni di cella e,
poco dopo, un viso conosciuto spuntò al suo fianco.
-Moccioso,
sei ancora fermo qui?- gli domandò Bagy, assonnato, mentre
si stiracchiava e
faceva scricchiolare tutte le ossa indolenzite a causa delle posizioni
scomode
alle quali era costretto.
Rufy
annuì
lievemente, concentrato su ogni piccolo movimento che scorgeva da
quell’altezza. -Stanno arrivando.- sussurrò
pacato, al che Bagy lo squadrò con
un velo di preoccupazione. Certo, anche a lui sarebbe piaciuto
filarsela da
quel postaccio, ma aveva seri dubbi sul fatto che a qualcuno venisse in
mente
di attaccare una fortezza come quella in cui si trovavano.
Si
passò una
mano sul volto stanco, segnato da occhiaie profonde. -Lo spero,
ragazzino. Lo
spero davvero.-
Allora,
Rufy
si voltò a guardarlo e, inaspettatamente, gli
regalò un ampio sorriso, uno di
quelli che gli riempivano tutta la faccia e che andavano da un orecchio
all’altro. A volte sembrava essere di gomma perché
nessuno mai era riuscito ad
imitarlo.
-Stanno
arrivando!- ripeté con convinzione.
-Ho
capito.-
fece Bagy, guardandolo con il suo solito cipiglio scettico. -Ti ho
detto che lo
spero.-
-Ma no!-
disse il ragazzo, afferrando l’uomo per i capelli e
trascinandolo più vicino
per schiacciargli direttamente il viso contro le sbarre fredde.
-Guarda! Stanno arrivando.-
scandì con
entusiasmo, indicando un gruppo di gente che si avvicinava sempre di
più alla
Bastiglia, brandendo forconi, bastoni e spade.
Bagy
sgranò
gli occhi, incredulo, mentre, attimo dopo attimo, le grida iniziavano a
farsi
strada, salendo sempre più di volume fino ad arrivare alle
orecchie di tutti,
svegliando i detenuti e allertando le guardie di ronda che,
insospettite dal
baccano, si riversarono fuori dall’edificio, lasciando le
celle senza
controllo.
-Ehi, che
succede?-
-Fatemi
vedere!- si lamentò Mister Three, allungando le mani per
aggrapparsi alle
spalle di Bagy e Rufy con l’intento di spostarli.
Il
più
piccolo lo lasciò fare, sghignazzando allegramente e
dirigendosi verso
l’entrata della sua cella, mettendo la testa tra le sbarre e
gridando a tutti
di svegliarsi e di tenersi pronti per l’evasione, scatenando
un pandemonio di
speranze e impazienza. L’aria di libertà iniziava
a scorrere tra le mura,
animando sempre più le persone all’interno e dando
la carica giusta che serviva
per raggiungere l’obbiettivo.
-Ehi tu,
piccoletto, ne sei certo?- gli chiese un energumeno nella stanzetta
accanto
alla sua.
-Assolutamente.
Dopotutto, i miei fratelli me lo avevano promesso.-
-Uh?
Promesso cosa?-
-Che mi
avrebbero fatto uscire!-
*
Quella
mattina, alle prime luci dell’alba, un gruppo di insorti
attaccò l’Hôtel
des Invalides con lo scopo di
recuperare delle armi, riuscendo nell’impresa e
impossessandosi di un alto
numero di fucili e baionette, compresi un paio di cannoni.
L’unico intoppo che
trovarono, però, fu la mancanza di polvere da sparo. Fu
quello uno dei
principali motivi per i quali decisero di attaccare la
prigione-fortezza della
Bastiglia, da tempo ormai simbolo del potere del Monarca.
L’imponente
edificio medievale non scoraggiò gli uomini quando lo
raggiunsero, trovando il
ponte levatoio alzato e l’ingresso principale sbarrato da un
gruppetto di
ufficiali volontari. I Rivoluzionari erano nettamente superiori, ma
acconsentirono ad intavolare una trattativa che, dopo un paio
d’ore, rese
chiaro che non sarebbe servita a nulla. Non restava che trovare altre
entrate
secondarie.
-Io non
avevo pensato al problema delle guardie.- borbottò Ace,
colto alla sprovvista.
Aveva sentito dire che i detenuti rinchiusi non fossero molti,
perciò aveva
ipotizzato che, allo stesso modo, la polizia non avesse ritenuto
necessario
mettere a guardia della prigione una quarantina di uomini, quando in
città era
scoppiato il finimondo.
-Fortuna
che
ci sia io, allora.- lo apostrofò Sabo, sorridendogli
sfacciato. -Ieri abbiamo
passato l’intera giornata a saccheggiare magazzini, era ovvio
che avrebbero
aumentato la vigilanza nei luoghi in cui nascondono qualcosa.-
spiegò, tornando
a guardare la Bastiglia e sorridendo quando si accorse che, ad una
delle
finestre in alto, era legata una camicia rossa. Anche se sbiadita,
sapeva esattamente
a chi apparteneva.
Ace
seguì il
suo sguardo e si ritrovò a sorridere pure lui, sentendo il
battito nel cuore
aumentare di velocità, mentre il petto si gonfiava di
determinazione e
coraggio.
-Penso
che
Rufy si sia riposato abbastanza.- mormorò il biondo,
scambiandosi un’occhiata
complice con il moro, il quale annuì convinto.
-E’
ora di
tirarlo fuori.- decretò, estraendo un paio di pistole che
aveva assicurato alla
cintura e caricandole. -Tu pensi a questi, mentre io mi occupo del
ponte?-
-Fantastico.
Ci vediamo più tardi in piazza.- concordò Sabo,
poi fece qualche passo avanti,
mettendosi in prima linea mentre, alle sue spalle, i suoi compagni
impugnavano
le armi, pronti all’attacco.
Si
assicurò
di avere l’attenzione dei soldati su di sé e,
sistemandosi i guanti, si fermò
per fronteggiarli, sorridendo sprezzante e sicuro di sé.
Ci fu un
attimo di immobilità assoluta in cui nessuno osò
respirare.
Ad un
tratto, Sabo alzò le braccia verso il cielo in un gesto
teatrale e le riabbassò
fulmineo, lasciando cadere a terra dei sacchetti contenenti un composto
esplosivo
preparato apposta per quel momento da Usopp, i quali, a contatto con il
terreno, scoppiarono e fecero alzare tutt’attorno una cortina
di fumo che
permise agli insorti di attaccare senza la preoccupazione di venire
colpiti
dagli spari.
Tutto
ciò,
infatti, era stato organizzato per cogliere le guardie di sorpresa,
aumentando
le probabilità di riuscita e dando modo a Ace e al resto
degli uomini di tagliare
le catene del ponte levatoio per penetrare nel cortile interno senza
essere
braccati o presi di mira.
Così,
mentre
Sabo apriva le danze alle porte della Bastiglia, Ace sfondava un
portone di
servizio, entrando a spada tratta nell’edificio e iniziando a
setacciarlo da
cima a fondo, lasciandosi alle spalle una serie di vittime che gli
avevano
sbarrato la strada quando aveva superato la prima linea di difesa.
-Liberate
tutti i prigionieri, non deve restare nessuno qui dentro!-
esclamò, indicando
agli insorti le prime celle che incontrarono lungo il corridoio. -E
prendete
tutte le armi che trovate!-
-Forza
gente, muoviamoci!-
I
Rivoluzionari si divisero ed iniziarono ad eseguire gli ordini,
facendosi
aiutare dai detenuti che, mano a mano, liberavano per scoprire dove i
soldati
tenevano cibo e armi.
-E non
dimenticate la polvere da sparo.- si premurò di ricordare
loro il corvino,
prima di filare su per le scale con l’intento di raggiungere
il terzo piano.
Obbiettivo che, a metà rampa, trovò un intoppo
dovuto a tre secondini che erano
rimasti a guardia del secondo livello.
Sbuffò
seccato, alzando gli occhi al cielo e rinfoderando le pistole per
estrarre la
spada, pronto a farsi largo.
-Levatevi
dai piedi!- disse frettoloso, incrociando le lame con il primo soldato
che si
fece avanti, sbilanciandolo e facendogli perdere l’equilibrio
per spintonarlo
poi giù dalle scale, lasciandolo in balìa dei
suoi compagni che lo stavano
seguendo.
Toccò
poi al
secondo, il quale ricevette un poderoso pugno allo stomaco, invece il
terzo si
ritrovò semplicemente alle strette, accerchiato da un alto
numero di uomini,
mentre Ace lo superava e lasciava agli altri buona parte del
divertimento,
facendo gli scalini due a due per essere più veloce,
arrivando al terzo piano
incespicando nei suoi stivali e col fiatone.
C’era
un bel
casino nelle celle. Molti detenuti sbraitavano e cercavano di
acchiapparlo per
costringerlo a liberarli, ma Ace li evitò con
facilità, percorrendo il
corridoio e guardandosi a destra e a sinistra alla ricerca di un
prigioniero in
particolare.
Lo
trovò in
fondo, dove l’edificio faceva angolo, in una cella con altri
tre uomini che
indossavano abiti che avevano l’aria di aver visto giorni
migliori. Lo
riconobbe immediatamente, anche se indossava una giacca diversa e
più grande di
almeno due taglie. Era inconfondibile anche in quello stato, con i
capelli in
disordine e più lunghi, il viso e le mani sporchi e un lieve
accenno di barba
sul mento ancora da adolescente. Avrebbe saputo trovare suo fratello
ovunque
solamente grazie all’enorme sorriso di quest’ultimo
e allo sguardo acceso e
gioioso che lesse in quegli occhi scuri e grandi.
E non
avrebbe mai permesso a nessuno di portarglielo via perché,
quando se lo ritrovò
tra le braccia dopo aver aperto la porta della cella, la sensazione che
provò
nel saperlo vivo e vegeto gli scaldò l’anima,
facendolo sentire nel posto
giusto al momento giusto.
-Sapevo
che
saresti arrivato, Ace!- ridacchiò Rufy, stringendosi
convulsamente alle spalle
del fratello maggiore, abbracciandolo con forza e felice di rivederlo
dopo
tutti quei mesi, soprattutto perché i primi tempi lo aveva
creduto perso per
sempre. Invece Ace era tornato, lo aveva fatto per lui e non lo avrebbe
mai
abbandonato in quel mondo da solo, senza una famiglia e senza un
fratello.
-Te
l’avevo
promesso, no?- gli ricordò il più grande,
accarezzandogli la zazzera scura e
spettinata. -Non potevo lasciare il mio fratellino rinchiuso in questo
postaccio e per giunta senza carne.-
Rufy si
bloccò all’istante, alzando il capo verso di lui e
mostrandogli un paio di
occhioni lucidi. -Ace… Io…-
-Andiamo,
Rufy, va tutto bene, ci sono qui io ades…-
-Ho fame!-
scoppiò il
minore, sbraitando e zittendo per alcuni secondi tutte le voci che
avevano
fatto da sottofondo durante quella rimpatriata tra fratelli.
Una furia
dai capelli azzurri si parò tra di loro, afferrando il
piccoletto per la
collottola e strattonandolo senza ritegno, stupendo Ace. -Tu, razza di
pozzo
senza fondo!- lo insultò, spedendolo a terra con uno
spintone e rivolgendosi
poi a Pugno di Fuoco. -Il tuo caro fratellino non ha fatto altro che
ingozzarsi
con la nostra razione di cibo!-
-Ma io ho
sempre fame!-
-Come se
non
l’avessimo capito.-
-Ehi, io
ti
conosco. Tu sei Bagy!-
A quelle
parole, l’ego dell’uomo prese il sopravvento
sull’affronto e sulle sofferenze
subite. Si voltò verso il corvino, gonfiando il petto e
indicandosi. -In
persona. Mi compiace sapere che mi hai riconosciuto, ragazzo. Di certo
il
nostro incontro deve averti toccato parecchio.-
Si
beccò una
pacca sulla schiena che lo lasciò senza fiato a causa della
forza esercitata.
-Come potrei dimenticarlo!- fece Ace, felice di rivedere quel clown
tanto
simpatico. -Sei quello che hanno sbattuto fuori dalla locanda per aver
imbrogliato durante una partita a carte! Che risate quel giorno.-
Bagy si
sentì gelare. Ovviamente non aveva raccontato quella parte
della storia ai suoi
compagni di cella e i risolini che gli giunsero alle orecchie da parte
di
Mister Three e Von Clay lo irritarono parecchio. Possibile che Rufy
avesse un
fratello ancora più stupido e piantagrane?
-M-ma…
Ma
che stai dicendo?- provò a salvarsi la faccia senza
però molto successo, anche
perché il tempo stringeva e Ace sembrava essersi reso conto
di aver
cincischiato fin troppo.
Aiutò
Rufy
ad alzarsi e, dopo avergli messo in mano una spada, gli
spiegò velocemente cosa
fare e in poco tempo tutti i detenuti del terzo piano facevano il
diavolo a
quattro in strada, dando man forte ai Rivoluzionari che avevano
intrattenuto le
guardie durante l’assedio.
A Rufy
non
sembrava vero di mettere piede fuori da quell’infernale
prigione, respirare
finalmente a pieni polmoni l’aria parigina e vedere cose
diverse dalle mura e
dalle solite facce note. Anche se, doveva ammetterlo, era certo di
essere stato
in compagnia dei migliori compagni di cella di sempre, persone che si
mise
subito a cercare in mezzo alla folla, accorgendosi di averli persi di
vista
tutti.
-Ehi,
Rufy!
Andiamo, la festa si sta svolgendo in piazza!- lo richiamò
Ace, distraendolo e
ricordandogli che, probabilmente, avevano determinati ordini da
eseguire, perciò
si rassegnò a seguirlo. Non che non fosse contento, ma
avrebbe voluto salutare
i suoi amici e augurare loro buona fortuna.
Ormai i
rivoltosi avevano messo alle strette le guardie ed erano riusciti con
successo
ad impossessarsi della Bastiglia, liberando tutti i prigionieri,
compresi ex
militari incarcerati per aver sostenuto la causa del popolo, i quali
presero
immediatamente le difese dei cittadini. I soldati trovati morti vennero
decapitati e le loro teste furono infilzate su pali appuntiti e
brandite come
trofei lungo le strade attraverso tutta la città, in modo da
rendere chiaro a
tutti l’esito dell’attacco. Uno dei dirigenti della
prigione che aveva gettato
la resa fu aggredito dalla folla e linciato, mentre gli altri
sopravvissuti
furono fatti prigionieri, in attesa di giudizio.
Non
sarebbe
passato molto prima che la notizia della presa della Bastiglia si
diffondesse
in tutta la Francia.
*
In una
delle
piazze più grandi, più precisamente quella poco
distante dalla reggia del
sovrano, gli insorti avevano dato inizio ad una rivolta che si era
allargata a
macchia d’olio, raggiungendo buona parte della periferia e
comprendendo
entrambe le rive. Chi non poteva combattere si era rifugiato o
barricato in
casa, mentre chi era in grado di impugnare una qualsiasi arma era corso
in
strada a combattere per i propri diritti. Si vedevano uomini di ogni
età,
giovani ragazzi che correvano da una parte all’altra per
aiutare i rivoltosi a
costruire delle barricate nelle vie più strette, donne che,
dall’interno dei magazzini,
rifornivano di fucili e pistole coloro che ne erano sprovvisti. Tutti
si davano
da fare per ottenere ciò che volevano, ovvero la
libertà di parole e di
pensiero, la possibilità di una vita migliore e di
un’esistenza serena, senza
l’acqua alla gola e la paura di non arrivare a fine giornata.
C’era
chi
combatteva per la prima volta e chi di battaglie era ormai un veterano
ma,
anche se la maggior parte dei parigini erano mercanti e contadini, le
guardie
avevano comunque il loro bel da fare per tenere a bada Rivoluzionari e
giovanotti attaccabrighe.
A quel
proposito, appostati sul terrazzo di una casa a quattro piani, ben
riparati
dietro ad una porta in legno massiccio scardinata e usata come scudo
appoggiato
alla ringhiera, Thatch e Izou giocavano a colpire i soldati che
vedevano
svoltare l’angolo della via per raggiungere i rivoltosi,
sparandogli addosso e
guardandoli cadere uno ad uno.
Izou si
accovacciò per mettersi comodo, puntando il suo fucile
attraverso il buco
creatosi dopo che avevano divelto la maniglia, e chiuse un occhio per
prendere
meglio la mira.
Senza
nemmeno guardare il fratello, gli fece una proposta. -Chi ne elimina di
più
vince?-
Thatch
sorrise in maniera contorta, caricando un altro colpo. -Io sono
già a quota
diciassette.-
Il volto
del
compagno rimase impassibile e, dopo aver sparato, si rilassò
per passare al
prossimo. -Con questo fanno ventinove.-
-Cazzone.-
ringhiò il castano, continuando a prendere la mira e
sparando più spesso di
prima nella speranza di beccarne più di qualcuno e alzare i
suoi punti.
L’aveva
ormai quasi raggiunto quando, mentre si sporgeva per scorgerne altri,
un
proiettile andò a conficcarsi sul muro alle sue spalle,
passandogli esattamente
a pochi centimetri dal viso e graffiandogli uno zigomo.
Si
tirò
indietro, imprecando e pulendosi con una mano il rivolo di sangue,
allertando
Izou e dicendogli di fare attenzione. Il moro assottigliò lo
sguardo, nel
tentativo di capire dove si stava nascondendo il cecchino che,
sicuramente, era
salito allo stesso piano nell’edificio di fronte al loro per
fermare il
massacro dall’alto che stavano compiendo indisturbati.
-Riesci a
vederlo?- fece Thatch, sbuffando arrabbiato e rimettendosi in
posizione.
Izou
annuì.
-E’ nascosto bene. Facciamo attenzione.-
L’uomo
si
sporgeva di rado e ogni qual volta che i due fratelli provavano a
mirare verso
la strada per fornire fuoco di copertura ai civili, puntualmente gli
scaricava
addosso una serie di proiettili nel tentativo di farli fuori. Nemmeno
Izou, che
da sempre era un grande tiratore, era ancora riuscito a renderlo
inoffensivo.
-Ora
basta!-
sbottò Thatch ad un certo punto e, dopo aver atteso che una
nuova scarica
cessasse, si alzò e si appoggiò alla porta stesa
lungo la ringhiera e
crivellata di colpi, incurante del rischio che stava correndo ad
esporsi in
quel modo e posizionando il fucile, prendendo la mira mentre il soldato
dall’altra parte ricaricava.
Sparò
nello
stesso istante in cui lo vide sporgere la testa per mirare verso di
loro,
centrandolo in piena fronte e facendolo stramazzare al suolo con gli
occhi
vitrei e l’espressione vuota.
-Yeah
man!-
gridò, battendo un pugno sul legno e alzando il
fucile al cielo, guardando poi Izou dall’alto, il quale lo
scrutava con stupore
e il vago sentore di aver perso una scommessa che gli sarebbe costata
molto
cara.
Indicando
il
punto davanti a loro nel quale giaceva il militare, il castano disse
orgoglioso: -How
about that?-
L’altro
scosse il capo, leggermente infastidito, ma ammettendo a se stesso che
Thatch
aveva avuto una fortuna sfacciata, nonché una mira
eccellente, anche se non
glielo avrebbe mai e poi mai detto di persona. Decise di fare finta di
niente,
riprendendo a concentrarsi su quello che succedeva in strada,
ignorandolo.
-Shut
the
fuck up.-
*
La spada
cadde a terra e il corpo indifeso del soldato fu trapassato senza
insicurezze e
lasciato poi scivolare nella polvere assieme a tutti quelli che avevano
perso
lo scontro prima di lui. Ed ecco che Eustass Kidd passava ad un altro
attacco,
facendo arretrare il nemico, il quale non poteva fare altro sotto i
suoi colpi
micidiali e la sua forza che sembrava non esaurirsi mai. Avanzava nella
via
infierendo un affondo dopo l’altro, aprendosi la strada verso
la piazza dove
era scoppiato il culmine della rivolta, sbraitando insulti e tagliando
gole
senza preoccuparsi troppo di risultare crudele o senz’anima.
Se prima
una
parte di lui si soffermava in maniera
minima a riflettere sui misteri della fede e sul significato
di Paradiso e
Inferno, dopo ciò che aveva visto quel giorno aveva deciso
di fregarsene
altamente di commettere peccati perché aveva capito che di
gente peggiore di
lui ne esisteva.
Una, in
particolare, pareva rispecchiare gli esatti canoni del Figlio del
Demonio in
persona.
Non aveva
mai visto nessuno torturare le sue vittime come faceva Trafalgar. Lo
guardava
mozzare via arti, gambe o mani che fossero; infilzare senza esitazione
corpi
nemici e piantare pallottole nei punti vitali degli avversari con una
precisione invidiabile, per poi restarsene ad ascoltare le grida di
disperazione
e dolore dei malcapitati quasi come se provasse orgoglio o gongolasse.
E
sorrideva.
Quel figlio di puttana sadico ghignava vittorioso prima di spedire le
anime
all’altro mondo. Certo, anche a Kidd ormai non faceva
più impressione uccidere
le persone, ma arrivare addirittura a provare piacere, beh, era una
cosa che
metteva i brividi, maledizione!
Si
ritrovarono
spalla contro spalla, entrambi intenti a fronteggiare i loro nemici.
Law poteva
chiaramente sentire le scapole del rosso premere contro il suo collo
data la
notevole altezza del ragazzone, mentre Kidd si chiese come potesse
quello
scricciolo essere tanto letale.
-Buongiorno
Eustass-ya.- lo salutò il dottore, menando un fendente che
andò a squarciare il
fianco del soldato che aveva provato ad attaccarlo.
-Ti
sembra
forse un buongiorno questo, Trafalgar?- rispose con irritazione il
rosso,
parando un affondo. - Stavo meglio prima, senza la tua faccia nei
paraggi.-
-Strano,
eppure ogni notte siamo sempre così vicini.- lo
sfotté il moro, gettando
un’occhiata veloce e maliziosa al suo compagno, cogliendolo
impreparato. Kidd,
però, si riprese subito davanti a quella frecciatina e
rispose all’attacco con
la rabbia, come faceva in ogni occasione.
-E
puntualmente mi ritrovo i tuoi piedi gelati nel culo!-
sbottò, abbattendo un militare
e respirando a pieni polmoni per riprendere aria, voltandosi verso Law
con un
braccio abbandonato lungo il fianco e l’altro che reggeva la
sua spada. -Usa
quel fottuto cane per scaldarti, io non sono una stufa.-
Nel dire
ciò, spostò la sua attenzione in un punto alle
spalle del suo interlocutore, ma
non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca per avvisare il dottore della
presenza di un nemico alle sue spalle perché, con un
movimento veloce e ben
assestato, Law estrasse un pugnale da chissà dove,
ovviamente il bastardo era
ben armato, e con una mezza piroetta tranciò di netto la
trachea
dell’avversario, riportando poi l’attenzione su
Kidd e ignorando l’uomo
agonizzante ai suoi piedi che affogava nel suo stesso sangue.
Inarcò
un
sopracciglio scuro ed elegante, guardando la faccia allibita di
quell’armadio
con i capelli rossi, tanto disordinati quanto folti. Era sempre
più curioso di
scoprire come sarebbe stato affondarci le mani, anche se quello, si
rese conto,
non era affatto un pensiero su cui soffermarsi in una situazione del
genere.
-Stavamo
dicendo?- chiese infine, con l’ombra di un ghigno sulle
labbra sottili.
Kidd si
riscosse, sbattendo le palpebre e fissandolo di rimando. Quel ragazzo
era senza
pietà. Aveva massacrato tutti i soldati che gli si erano
parati di fronte senza
battere ciglio e non sembrava avere l’aria di uno che stava
per vomitare dopo
aver visto tanti cadaveri. Forse era grazie al suo lavoro che sembrava
non
provare il minimo rimorso, ma non avrebbe mai pensato che nascondesse
una vena
così macabra. Combatteva in maniera strana, diversa da
quella che vedeva di
solito durante gli scontri. Attaccare e difendersi erano le regole basi
che
praticamente ogni combattente seguiva; Trafalgar, invece, studiava
l’avversario
e, al momento propizio, colpiva. Non perdeva neanche il tempo ad
indebolirlo,
semplicemente gli infieriva un colpo ben assestato e poi lo lasciava al
suo
destino. A parte quando sembrava giocarci come i gatti con le loro
prede, non
lasciava via di scampo. Li uccideva e rimaneva a guardarli, occhi negli
occhi,
fino a che le anime non si spegnevano e non restava più
nulla ad impegnarlo.
Se ne
stava
lì, in mezzo a quel tappeto di morti, con un sorriso
contorto sulle labbra e
gli abiti sporchi di sangue e polvere.
E Kidd
fece
fatica a resistere all’impulso di avvicinarsi a lui e
mordergli le labbra fino
a distruggergliele.
*
Parigi
era
in preda al caos più totale. L’occhio del ciclone
era l’Île de la
Cité, dove soldati e popolo si stavano scontrando
dalle
prime luci dell’alba, mentre nelle periferie i saccheggi di
magazzini, edifici
e chiese continuavano senza sosta. Di tanto in tanto si faceva viva
qualche
pattuglia di militari che intrattenevano i ribelli per un
po’, ma alla fine
venivano sopraffatti e fatti a pezzi, il più delle volte,
dalla rabbia e dal
malcontento che regnava negli animi di tutti.
A
Montmartre
i baracchini di contrabbando e i vari locali del peccato erano chiusi,
compreso
il vecchio mulino gestito da Madame Dadan. La donna aveva fatto
barricare porte
e finestre, nascosto l’oro rubato ai clienti e il denaro
ricavato in post
sicuri e armato le ragazze di piccole armi da taglio, padelle, bastoni
e pale.
Con loro avevano solo un paio di fucili, ma li avrebbero usati senza
timore in
caso di necessità.
Erano
tutte
rintanate nelle stanze, in attesa che la rivolta cessasse o che
qualcuno
andasse a dire loro di non preoccuparsi e che il peggio era passato, ma
il
tempo scorreva e la tensione saliva di minuto in minuto.
-Io mi
sono
stancata.- decretò ad un tratto Bonney, alzandosi dal
pavimento sul quale era
stata seduta per più di un’ora, intenta ad
incidere frasi a caso sulle assi in
legno.
-Cosa
vuoi
fare?- le chiese un’allarmata Nami, vedendola afferrare una
giacca scura
dall’armadio ed indossarla. Quando poi la vide estrarre dalla
tasca una pistola
carica non ebbe più molti dubbi sulle intenzioni
dell’amica.
-Stai
scherzando? Ti faranno fuori in un secondo!-
Bonney le
scoccò un’occhiataccia offesa. -Grazie tante per
il sostegno.- fece sarcastica.
-Lo sai
che
ha ragione.- si intromise Bibi, una delle loro compagne, -Che speranze
vuoi
avere?-
-Sempre
meglio di restare qui come un’oca impaurita.-
sentenziò decisa. Non aveva
alcuna intenzione di passare l’intera giornata a tremare per
il terrore di
sentire i soldati sfondare la porta e fare irruzione nel locale. E,
soprattutto, non sarebbe rimasta in quel posto a farsi violentare e poi
sgozzare.
-Stupida
esaltata.-
borbottò a quel punto Rebecca, accomodata sul bordo del
letto e intenta a
lisciarsi i capelli. Tra lei e Bonney non era mai corso buon sangue,
infatti
non passò molto prima che insulti colorati la raggiungessero.
-Sta
zitta,
puttana.-
-Guarda
che
non mi offendi. E’ il mio lavoro.- rispose semplicemente
l’altra con indifferenza.
-Bonney,
è
una pazzia.- cercò di farla ragionare Nami, mettendo fine al
battibecco, anche se
il suo comportamento era dettato più dal senso del dovere,
che dalla sincerità
perché, se fosse stato per lei, avrebbe seguito la ragazza
in strada e avrebbe
contribuito a dare man forte ai ribelli.
Bonney,
ignorandole, aprì i balconi, cercando di non fare troppo
rumore e, una volta
aperte anche le ante della finestra, mise un piede fuori, e poi un
altro, fino
a ritrovarsi sul tetto spiovente, con la città che andava in
fiamme e
l’orizzonte tinto di grigio, nero e rosso, mentre
l’aria calda di luglio le sferzava
i capelli e il viso.
Aveva
passato anni rinchiusa in quella casa del piacere, tra le mura delle
cucine e
della sua stanza, troppo spaventata per uscire allo scoperto e troppo
impaurita
dalle persone per potersi relazionare con esse. Aveva vissuto in
compagnia, ma
era come se al mondo non avesse nessun amico. Quella che si avvicinava
di più
ad una conoscenza era Nami, ma era ancora troppo timida per permettere
a quel
rapporto di migliorarsi, per quello aveva continuato a mantenere le
distanze
dalla rossa e da tutte le altre.
Però,
in
quel momento voleva cambiare, uscire dal suo guscio e affrontare la
realtà, o
non avrebbe mai potuto costruirsi un futuro. Sarebbe morta comunque se
fosse
rimasta nel locale; per mano di qualcuno, o per la vecchiaia, un giorno
avrebbe
chiuso gli occhi e non si sarebbe più risvegliata,
perciò tanto valeva darsi da
fare e avere qualche bel ricordo prima di trapassare. E poi, era
già uscita
altre volte nell’ultimo periodo, era stata brava ed era
andato tutto bene.
Si
chinò
quindi sulle ginocchia e prese a scendere lungo le tegole, mantenendosi
in
equilibrio e raggiungendo la grondaia più vicina per calarsi
a terra. Non fu
difficile, l’aveva visto fare mille volte dagli uomini che se
ne andavano di
nascosto dalle stanze delle sue coinquiline. Dadan poteva pure imporre
delle
regole ferree, ma venivano trasgredite ogni notte. Ad ogni modo, se ci
riusciva
un ubriacone, poteva farcela di sicuro anche lei da sobria.
Infatti
così
fu, i suoi stivali toccarono terra e automaticamente una sensazione di
grandezza
si fece strada in lei. Era certa che, se soltanto avesse voluto,
avrebbe potuto
fare qualsiasi cosa, persino ritornare a casa tutta intera.
Fece per
voltarsi e dirigersi verso la battaglia, ma un rumore dietro di lei
attirò la
sua attenzione, facendo si che sul suo viso si dipingesse
un’espressione di
sorpresa, sostituendo per un momento la sua facciata poco disponibile.
-Non
crederai che ti lasci andare da sola, spero.-
Nami,
pulendosi le mani sulla gonna, le si avvicinò con passo
deciso, superandola e
precedendola sulla via.
Bonney la
guardò con scetticismo prima di decidersi a seguirla,
affiancandola e
camminando accanto a lei, vestita con dei comodi pantaloni e
un’ampia camicia.
-Non ti
chiederò dove tu abbia trovato quegli abiti.- disse Nami, in
un chiaro intento
di curiosare negli scheletri nell’armadio di quella ragazza
dai capelli rosa
tanto aggressiva quanto asociale.
La
diretta
interessata si strinse nelle spalle. -Uomini.- rispose semplicemente,
anche se
con ciò intendeva dire che li aveva raccattati in giro, e
non sottratti agli
amanti che mai aveva ospitato nel
suo
letto.
Eccezione fatta
per uno, si
ritrovò a pensare, abbassando subito il capo. Chissà
che fine ha fatto.
Vide Nami
alzare gli occhi al cielo, ma lasciar comunque cadere il discorso. -Ci
sarà il
disastro, lo sai, vero?-
Bonney
annuì, ugualmente determinata ad andare avanti e ad essere
lei stessa a
prendere le decisioni migliori per lei.
Avevano
immaginato che non sarebbe stata delle migliori la situazione, ma non
avevano
previsto tutte le vere e proprie difficoltà.
Non
appena
si ritrovarono nei pressi dei confini della Rive
Droite, capirono subito che buttarsi nella mischia non era
esattamente una
delle idee migliori. La gente urlava, gridava improperi e maledizioni,
rumore
di spari e clangore di spade sovrastavano qualsiasi cosa,
c’era un’esplosione
dietro l’altra a causa dei barili di polvere da sparo e,
spesso, la polvere che
si alzava da terra rendeva impossibile avanzare con sicurezza. Anche
se, a dire
la verità, un posto sicuro in quel delirio non
c’era.
Avanzavano
lentamente, riparandosi dietro alle barricate e camminando rasente i
muri delle
case, in modo da nascondersi nei vari angoli o vicoli che incontravano
lungo il
cammino, riuscendo a raggiungere un punto abbastanza vicino al ponte
che
portava all’isola in mezzo alla Senna da dove si alzavano
alte delle fiamme.
-Quella
che
brucia è Notre-Dame?-
chiese Bonney,
la quale non aveva mai visto la cattedrale dall’interno.
-No.-
rispose Nami, spiando l’edificio al di là del
fiume da una fessura creatasi in
un muro mezzo distrutto, -Hanno troppa paura di Dio per farlo.-
chiarì,
gettando un’occhiata tutt’intorno alla ricerca di
facce conosciute e
riconoscendo alcuni Rivoluzionari, abituali clienti di Dadan.
Si erano
fermate dietro una barricata dall’aria resistente, abbastanza
vicina all’acqua
e con un’ottima visuale sul ponte, tanto che
dall’alto di essa, alcuni uomini
prendevano di mira i soldati che si avvicinavano troppo con
l’intento di
abbatterla.
-E ora
che
si fa?- domandò la rossa, voltandosi verso l’amica
che aveva avuto l’idea
geniale di uscire a dare man forte ai civili, ma senza pianificare
nulla di
concreto.
Bonney
gliela lesse negli occhi quell’accusa e, per non venire
ripresa, si schiarì la
gola ed estrasse con sicurezza un’arma che non aveva mai
usato, ma che, fin da
quando ne era entrata in possesso, la teneva accanto al letto come una
specie
di talismano. Aveva pensato che l’avrebbe conservata fino a
quando non avrebbe
rivisto il suo proprietario, ma non aveva la certezza di riuscire a
ricavarsi
un altro momento per loro due, perciò era meglio usarla per
difendersi, o
almeno provarci.
La
caricò,
spostando gli occhi seri e determinati a sostenere lo sguardo
dell’amica.
-Facciamo vedere a tutti che anche le donne sanno combattere.-
Nami
sapeva
che il momento era il meno adatto, perciò si trattenne dallo
scoppiare a ridere
troppo fragorosamente e si accontentò di mostrare un
sorrisetto divertito.
Bonney era veramente una pazza senza il minimo tatto, ma aveva coraggio
da
vendere, per quello le stava simpatica e, se le cose stavano in quel
modo, era
meglio darsi subito da fare.
Curiosò
in
giro alla ricerca di una qualsiasi arma, trovando in mezzo alle macerie
un
pezzo di un corrimano in ferro battuto, piuttosto lungo, ma abbastanza
leggero
da poterlo maneggiare con facilità. Così, dopo
averlo raccolto, si scambiò
un’occhiata eloquente con Bonney e poi si fecero strada verso
la piazza più
vicina, quella da cui partiva il ponte, attirando sguardi stupiti, ma
anche
molti rimproveri. Ovviamente, quello non era affatto un posto adatto a
delle
signore, ma bastò che Bonney piazzasse un paio di pallottole
nelle gambe di
qualche soldato che tutti i rivoltosi non ebbero più nulla
da ridire,
riprendendo da dove avevano interrotto.
-Non
sapevo
che fossi capace di sparare.- notò Nami, alle prese con il
suo primo avversario,
un soldato poco più alto di lei che aveva tutta
l’intenzione di farla
retrocedere senza ucciderla.
-Nemmeno
io.
Ho premuto il grilletto a caso.- ammise l’altra ragazza,
osservando come la
rossa, senza troppe cerimonie, abbattesse la spranga di ferro sulla
schiena del
militare, ribaltandolo e iniziando a prenderlo a calci fino a che non
venne
allontanata dalla stessa Bonney.
-Davvero?
Ottimo.- fece con il fiatone.
-E tu? Da
quando sai fare quello?-
-Beh,
sai,
ho improvvisato.- sorrise complice la rossa, altrettanto stupita delle
sue
azioni.
Un’esplosione
particolarmente vicina e improvvisa le colse di sorpresa, facendo
perdere
l’equilibrio a Bonney che, maledicendo l’artefice,
si ritrovò a sbattere per
terra il sedere. Nemmeno il tempo di rialzarsi, pronta a trovare il
pazzo che
aveva quasi rischiato di farle saltare in aria assieme ad altri civili,
che un
gruppo di Rivoluzionari spuntarono dall’altro lato della
piazza, correndo allo
sbaraglio come animali impauriti.
Bonney
non
capiva cosa diavolo stava succedendo, ma Nami, avendo intuito chi
c’era dietro
quelle esplosioni continue, assottigliò gli occhi fino a
riconoscere la figura
di Ace che, sbraitando frasi ai compagni e indicando continuamente
punti
diversi del perimetro, si avvicinava a loro sempre di più
con accanto Sabo e
una ragazza dai capelli corti, un altro tizio biondo che non conosceva
e…
-Rufy.-
sussurrò,
mentre il cuore iniziava a batterle all’impazzata, facendole
girare la testa
per un attimo.
-Mon Dieu, l’Idiota
di Fuoco e la sua combriccola.- borbottò la
ragazza
accanto a lei, rinfoderando la pistola in quel momento di calma e
guardando
divertita come Ace le raggiungeva, litigando, come sempre, con i suoi
fratelli.
Tra lei e quel ragazzo c’era un rapporto complicato, fatto di
frecciatine e
insulti continui, ma le stava simpatico, in sua compagnia non doveva
preoccuparsi di apparire volgare o poco educata, anche
perché, in fatto di
buone maniere, Ace non era affatto ferrato. Andavano
d’accordo, ma restava
comunque uno stupido davanti ai suoi occhi. Con i suoi fratelli,
invece, andava
tutto bene. Sabo era gentile, mentre era impossibile non essere amici
del
piccoletto.
-Dovevi
fare
più attenzione!- riuscirono a sentire quando tutti furono
più vicini. Sabo
stava riprendendo Ace per qualcosa che aveva fatto mentre, qualche
passo più
indietro, Rufy li seguiva sghignazzando con un paio di coetanei che aveva incrociato lungo
la via e che si
erano aggregati a loro, curiosi di sapere come stava il ragazzino, dato
che era
da mesi che non lo vedevano. -Ci è praticamente esplosa
sotto al naso!-
-Ti ho
detto
che è stato un incidente!- si difese il moro, camminando a
passo spedito e
alzando le braccia al cielo. -Se solo Marco non si fosse messo in
mezzo, io…-
-Io? Mi
stai
forse dando la colpa?- si intromise quello nuovo, che nessuna delle due
conosceva. Aveva uno strano accento e l’aria da straniero,
gli abiti erano
sporchi, ma non erano vecchi o usurati, mentre dall’aspetto e
dalla corporatura
doveva essere più grande, almeno sulla trentina.
Ace
aprì la
bocca per ribattere, ma Sabo pensò bene di mettere fine a
quel battibecco. -Non
voglio sapere altro, l’importante è che non si sia
fatto male nessuno.-
-Sai che
non
sbaglio mai.-
-Ne hai
combinata una delle tue, Ace?- lo prese in giro Bonney, incapace di
trattenersi, e sfoggiando un sorrisetto malefico quando il ragazzo fu
abbastanza vicino da poterla sentire e riconoscerla. Godette nel
vederlo
arrestarsi in mezzo al gruppo per lo stupore, espressione che
sfoggiò anche
Sabo non appena si accorse di lei, notando anche Nami alle sue spalle.
-Ragazze,
cosa ci fa…-
-Nami?-
La voce
di
Rufy sovrastò le altre e, subito dopo, Bonney lo vide
superare i fratelli,
facendosi largo tra loro, spintonando Ace che gli stava inconsciamente
sbarrando la strada. Davanti a ciò, lei pensò
bene di spostarsi di sua
spontanea volontà, lasciando via libera all’amico
che, senza degnarla di
attenzione, avanzava serio e determinato verso Nami.
Bonney
inclinò il capo incuriosita quando, non appena furono uno di
fronte all’altra,
Rufy si fermò a guardare come la sua migliore amica fosse
tutta intera, senza
ferite o graffi.
-Come
stai?-
lo sentì domandare, accorgendosi di Ace che
l’aveva affiancata, seguito dagli
altri. Era andata più o meno in quel modo con tutti gli
amici di Rufy che
avevano trovato lungo la strada. Non appena l’avevano visto,
avevano avuto le
reazioni più differenti. Usopp, ad esempio, era scoppiato in
lacrime dopo aver
tentato senza successo di trattenerle; Sanji e Zoro, incontrati in
momenti
differenti, lo avevano salutato con un sorriso appena accennato e una
pacca
sulla spalla, mentre Franky aveva interrotto un assalto ad un magazzino
solo
per dare il benvenuto tra la gente libera a quel moccioso.
Nami
annuì
mesta, intimorita dai cambiamenti che leggeva negli occhi di Rufy.
Anche se il
ragazzo era sempre lo stesso, notava come fosse diventato un poco
più alto,
come i capelli fossero più folti e scuri e la barba che gli
era cresciuta
leggermente. -Bene.- disse solamente, anche se avrebbe voluto
domandargli come
stesse lui, cosa aveva fatto tutti quei mesi in prigione, se aveva
mangiato e,
soprattutto, se un pochino gli era mancata. Qualcosa le diceva,
però, che a
quell’ultima domanda avrebbe avuto molto presto risposta,
perché Rufy la
guardava diversamente dal solito, come se fosse davvero preoccupato per
lei, come
se ci tenesse molto, tanto, come se
fosse interessato.
Stava per
aggiungere qualcosa, ma lui la precedette, facendo una cosa che nessuno
dei
presenti si sarebbero mai aspettati.
Sentì
le sue
labbra sulle sue e tutto scomparve. Spari, grida, esplosioni, voci,
tutto. Non
c’era più niente, solo Rufy e lei. Rufy che le
stava dando un bacio timido,
leggero, ma che la rese più felice di qualsiasi altro
perché sentiva con quanto
affetto avesse fatto quel gesto.
Purtroppo,
però, era una donna molto orgogliosa e, in parte arrabbiata
per averlo creduto
in pericolo e non aver ricevuto mai una qualche informazione se non da
Ace, in
parte offesa per quel bacio rubato senza il suo permesso, lo
allontanò con un
sonoro ceffone sul viso, tanto forte che fece voltare il viso al
ragazzo.
-E questo
per cos’era?- le domandò lui immediatamente,
massaggiandosi la guancia senza
capirci molto. Non era stata contenta? Le aveva dimostrato che gli
piaceva,
perché, quindi, lo aveva picchiato?
Come se
Nami
non fosse stata abbastanza, ricevette due scappellotti in testa
contemporaneamente, uno da Sabo, il quale provvide subito a scusarsi
con la
ragazza, e uno da Ace che non credeva ai suoi occhi.
-Sei
impazzito?- gli urlò contro, -Ti sembra il momento, questo?-
-Ma Ace,
Bagy mi ha detto che se voglio baciare una donna devo farlo e basta.-
si difese
Rufy, strofinandosi una mano sulla testa per far passare il dolore.
Perché
dovevano sempre avercela tutti con lui?
-Fammi
capire, uno sconosciuto di dice cosa fare e tu lo ascolti, quando Sabo
ed io ci
abbiamo messo un anno per farti capire come nascono i bambini?- fece il
moro,
fuori di sé per gli ultimi avvenimenti. Prima Marco gli
aveva fatto perdere la
concentrazione, facendo esplodere troppo in anticipo della polvere da
sparo;
poi Sabo che incolpava solo lui e infine suo fratello minore che
decideva di
abbandonare l’età dell’adolescenza e
diventare uomo nel bel mezzo della
rivolta.
Proprio
allora, Sabo, con uno sguardo omicida e con Koala che ridacchiava al
suo
fianco, si schioccò le nocche con fare minaccioso. -Giuro
che pesterò a sangue
quell’idiota che ti ha messo in testa certe idee.-
-Oh, sono
certa che a Nami non sarà dispiaciuto.-
puntualizzò Bonney, ignorando le
proteste della ragazza che arrivarono non appena si lasciò
scappare quella
frase. Diede le spalle al gruppo, lasciando i due palesemente
innamorati a
litigare, una che sbraitava parole senza senso riguardanti la
lontananza, e
l’altro che ridacchiava, stringendosi nelle spalle come se
volesse giustificare
quella sua impulsività con il carattere infantile che si
ritrovava.
La pausa
stava finendo, se ne accorse perché dal ponte proveniva un
rumore di spari
sempre più forte e la gente si stava riversando proprio
verso di esso nel tentativo
di placare un’altra ondata di militari. Ma quanti erano,
dannazione?
-Ehi,
Bonney, ti ricordi come si usa una di queste?- le chiese Ace,
raggiungendola
con una spada che le mise in mano.
-Fidati,
ho
imparato bene.-
-Ti ha
insegnato il migliore.- affermò il ragazzo, ammiccando e
augurandole buona
fortuna prima di riunirsi ai fratelli per riprendere
l’assalto.
Si
annodò
velocemente i capelli in una coda alta e si tolse di dosso la giacca
troppo
larga che le ostacolava i movimenti, rimanendo con una camicetta senza
maniche
bianca. Certo, non aveva nessun tipo di protezione, ma aveva intenzione
di
rimanere dietro le quinte e aiutare come poteva da quella posizione di
sicurezza. Sapeva combattere, era vero, Ace le aveva insegnato bene, ma
lo
aveva fatto solo un paio di volte da ubriaco e stenderlo non era stato
difficile, soprattutto prendendolo a bastonate con i manici di scopa
che
usavano come armi, ma non aveva mai affrontato un combattente esperto e
temeva
di essersi esaltata troppo e di aver confidato esageratamente nelle sue
capacità, ma ormai era lì, in quella piazza e in
mezzo alla battaglia e per
niente al mondo si sarebbe tirata indietro.
Ritornò
sui
suoi passi al limitare della barricata che chiudeva ogni passaggio alle
vie
interne per impedire ai soldati di infiltrarsi, affrettandosi lungo la
parete
dove i vetri infranti facevano presumere che il proprietario del
negozio non
avrebbe riaperto il giorno seguente.
Aveva
quasi
raggiunto i ribelli, pronta ad esibire la coccarda che Sabo le aveva
consegnato
prima di separarsi, quando un braccio uscì dalla porta
sfondata alla sua
destra, afferrandola e trascinandola con forza al suo interno,
disarmandola
prima ancora che sollevasse la spada per difendersi e puntandole una
rivoltella
alla tempia mentre veniva sbattuta contro la parete.
-Cosa
diamine ci fai qui?-
Bonney
aprì
gli occhi che aveva serrato per lo spavento, scoprendo che si era mezza
rannicchiata su se stessa, un gesto involontario e inconscio dovuto al
trauma
subito da piccola, alzando lo sguardo sul suo aggressore e lasciandosi
scappare
un sospiro di sollievo. Ormai lo conosceva così bene che lo
avrebbe
riconosciuto ovunque quell’ufficiale.
Stava per
sorridere e chiamarlo per nome, ma si ricordò del
particolare riguardante la
pistola che era ancora puntata contro di lei e del tono freddo a duro
che aveva
usato per parlarle, perciò rispose allo stesso modo, non
volendo dimostrarsi
debole e indifesa.
-Combatto
con il popolo.- disse fiera, incrociando le braccia sotto al seno e
fissandolo
dritto negli occhi, quasi a volerlo sfidare.
Drake
strinse la mano libera in un pugno, guardandola in maniera, se
possibile, più
truce di prima. -Torna subito a Montmartre.- le ordinò, ma
aveva fatto male i
suoi calcoli se pensava che Bonney lo avrebbe ascoltato.
-No.-
rispose infatti, inflessibile e arrabbiata. Non si erano più
visti, lui non
aveva più fatto nessuna ronda da quelle parti e lei aveva
ancora la pistola che
aveva dimenticato quella notte. Però non poteva dirgli
quelle cose, non poteva
esporsi e ammettere che la decisione di uscire dal suo luogo sicuro e
rischiare
tanto era stata presa in parte con la speranza di incontrarlo e di
vedere come
stava, se era ferito o peggio. Ad ogni modo, solo allora si rese
veramente
conto di com’era la situazione: erano parti di due fazioni
opposte,
combattevano per ideali e motivi diversi ed erano nemici a prescindere
dai loro
sentimenti.
-Vattene
via, non farmelo ripetere.-
E’
impossibile, pensò
la ragazza, rattristata e incapace di mantenere l’espressione
dura,
mentre tutti i suoi stupidi sogni di ragazzina si sgretolavano,
lasciando
nient’altro al loro posto.
La
scrollata
che ricevette, ritrovandosi schiacciata ulteriormente addosso al muro,
la
riportò alla realtà, scuotendola il necessario
per farle ritrovare un po’ di
verve.
-C’è
un’uscita, attraversando il negozio ti ritroverai
dall’altra parte della
barricata.- parlò svelto Drake, indicandole la strada,
-Appena sei fuori, corri
più veloce che puoi e allontanati, hai capito?-
Bonney
lesse
un sacco di emozioni nei suoi occhi quando ritornò a
guardarla. Era stanco,
nervoso e impaziente, ma quell’ordine nascondeva una
preghiera che, per un
attimo, pensò di esaudire, accontentandolo e dandogli un
pensiero in meno.
Ma
così non
fu.
Si
divincolò
dalla sua presa, colpendolo all’improvviso allo stomaco,
abbastanza forte da
farlo allontanare di qualche passo e avere il tempo di sgusciare fuori
e
dirigersi verso i suoi compagni. Doveva avvisarsi della falla sulla
barricata o
si sarebbero ritrovai i soldati all’interno senza rendersene
conto. Doveva
muoversi, erano in pericolo un sacco di persone e dipendeva tutto da
lei.
Quando,
però, qualcuno alle sue spalle urlò il suo nome,
tanto forte e distintamente da
farle venire i brividi, fu costretta a fermarsi, bloccandosi
all’improvviso e
rischiando di cadere. Ebbe solo il tempo di voltarsi per vedere Drake
che
puntava la pistola verso di lei e sparava.
Angolo
Autrice.
E’
tardissimo, lo so. Mi dispiace, davvero. Mi dispiace un sacco, ma ci
sono.
Adesso ho due capitoli pronti, buttati fuori con sudore e ansia, ma ci
sono e
il prossimo non tarderà, promesso!
Sono di
fretta, perciò niente immagini, slittano al prossimo
incontro, settimana
prossima, non so quale giorno ;___________;
Faccio
schifo come tempistiche, sono la ritardataria numero 1 al mondo su
tutto, ma
sto continuando a lavorarci, non ho mollato nulla.
Sono
ancora
qua e la porto avanti.
Non sono
convintissima del capitolo, volevo aspettare ancora, ma ho deciso che
stavolta
va così. Metterò più sangue e
più stragi nel prossimo, promesso, LOL.
Un
abbraccio
infinito e grazie alle povere anime che continuano a seguire la ff
;__________;
See ya,
Ace.
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