capitolo1
Capitolo 1 In cui si parla di animali e delle relative zampe
«Guarda! Guarda come trattano quella povera bestiola!»
Claudia è un’amica degli animali, e noi lo sappiamo, ma
avevo l’impressione che stesse esagerando.
«Che tenero! Che occhietti vispi!» continuò lei.
«Claudia…»
«Le hanno pure legato le zampine! È un trattamento inumano!»
Iniziavano a guardarci, io volevo trascinarla via, oppure
sotterrarmi.
Provai a convincerla con le buone maniere, parlando adagio.
«Ti prego… Non mi sembra così inumano come dici… e in realtà
non mi sembrano nemmeno zampe…»
Mi fulminò con lo sguardo.
Poi scosse la testa come se, invece di un’amica, avesse
appena visto l’abominevole uomo delle nevi. Anzi, no. Claudia proverebbe
simpatia per lo yeti, perché si innamora a prima vista di tutti gli animali,
quelli carini e simpatici ma anche quelli brutti e orrendi. Se fossero solo
orrendi, ci sarebbero delle scusanti. Amore per la natura eccetera. Invece, come
giustificare la sua passione per le bestie pericolose, velenose, assassine, o
anche semplicemente quelle che non si lavano mai nel corso della loro
insudiciante vita?
Lei li trova tutti adorabili, tutti carini, tutti teneri.
Fino a quando parliamo di animali con un pelo carezzevole e
morbido sono d’accordo. Molti cuccioli, anche di specie strane, sono davvero
teneri. Anch’io provo una certa simpatia istintiva per i gattini, ma di certo
non terrei in casa un cucciolo di tigre. Non lo terrei nemmeno in braccio e,
per la precisione, non so nemmeno se lo accarezzerei. Di certo non se ci sono i
suoi genitori in vista.
Quanto a certe bestie sporche o puzzolenti, abbiano o meno
un pelo morbido o un musino simpatico, proprio non le sopporto. Bestiacce
squamose, viscide od orrende devono stare fuori dal mio campo visivo.
Claudia – stavo dicendo – mi guardò come se fossi io quella
strana.
Volevo almeno spiegarle la faccenda delle zampe e aprii la
bocca, ma una voce mi fermò.
«Che c’è, signorina?»
«È lei che tiene in queste condizioni quella povera
bestiola?»
Era fatta. Volevo scomparire. Sprofondare nel terreno e non riemergere mai più.
«Quali condizioni?»
La mia amica puntò un dito pieno d’indignazione contro
l’animale incriminato.
«Ma non si vergogna? Tenerle le zampe legate!»
«Non sono zampe» disse lui.
«Te l’avevo detto, io…»
«Ah sì? Se non sono zampe, tu come le chiameresti?»
Eravamo in due a sostenere quella tesi, ma Claudia si voltò
verso di me, con una mano sul fianco e lo sguardo altero.
«Sinceramente, io le chiamerei chele…»
«Certo, signorina» disse il cameriere. «Le aragoste non
hanno zampe, si chiamano proprio chele. E se non gliele chiudiamo, pinzerebbero
qualsiasi cosa e qualsiasi persona alla loro portata.»
Se non si fosse ancora capito, passavamo davanti ad un
ristorante e Claudia si era scandalizzata per un’aragosta viva in bella mostra
tra la porta e il menu a cartellone.
«Voglio comperarla» disse lei, decisa come un motoscafo di
Greenpeace che attacca una baleniera giapponese.
«Certamente! Preparo un tavolo per due?»
«Voglio salvarle la vita, non mangiarla!»
«Claudia, ti prego… ci stanno guardando…»
«Stefania, sei un’insensibile! Non vedi la tristezza nei
suoi occhi?»
«Io vedo solo degli occhi inespressivi. È un crostaceo, non
un cucciolo di mammifero.»
«Quindi, solo perché è un crostaceo, può morire gettata
nell’acqua bollente? Vorrei vedere te, se ti buttassero nell’acqua bollente!»
«Io non sono un’aragosta!»
Tranne che nei primi giorni in cui prendo il sole, in cui
assumo all’incirca lo stesso colore, ma evitai di specificarlo.
«È una splendida morte, signorina, mi creda.»
Il cameriere portò le dita raccolte alle labbra. Una morte
buonissima, intendeva dire.
«Voglio comperarla» ripeté Claudia.
«Viva?»
«Viva e vegeta!»
«Questo è un ristorante, non un acquario. Non vendiamo
animali, a meno che non siano cucinati nel piatto!»
Non avevo intenzione di passare tutto il pomeriggio in
università a lezione con un’aragosta nella borsa. Neanche se la borsa fosse
stata quella di Claudia. È vero che le aragoste sono animali puliti, perché
vivono nell’acqua, ma – sarà pure un trattamento inumano – ma non penso che ci
sia niente di male nel cuocerle e mangiarsele.
La mia amica mercanteggiò a lungo. Parlò con il cameriere,
con il capocuoco e infine con il proprietario.
Venti minuti dopo, Agenore passava nelle mani di Claudia,
tutta felice per averlo salvato da morte sicura. L’aveva pagato molto più che
non cotto e mangiato, ma lei era contenta così.
«Vuoi accarezzarlo?»
«Non ci penso neanche! Più lo vedo da vicino più mi fa
impressione!»
«Stefania, sei proprio un’insensibile! Non vedi com’è
contento adesso?»
«Se devo essere sincera, non trovo differenze.»
Mi fissò come se avessi appena dichiarato di sgranocchiare
cuccioli di foca per colazione invece dei biscotti.
«Io porto Agenore a casa.»
Non volevo sapere come se la sarebbe cavata con un’aragosta
in metropolitana, quindi io mi diressi verso l’università mentre Claudia si
avviava chiacchierando con il riconoscente Agenore verso i mezzi pubblici.
NdA
Benvenuti in questa mia nuova storia!
Troverete un sacco di personaggi e, tra di loro, una voce
narrante d’eccezione: me.
Dato che non posso promettervi che tutto quello che racconterò
sarà vero, vi assicuro fin da subito che è tutto falso, così non rischio guai
di nessun genere.
Se vi può interessare una storia simile a questa (ma molto
migliore), vi consiglio “il capitano Pamphile” di Alexandre Dumas, un libretto
esilarante che mi ha fatto venire l’idea di questa storiella.
Due annotazioni: dato che racconterò in prima persona,
scriverò poche note a fondo pagina, questa storia è già abbastanza strana così…
Secondo! Dato che è completa, la pubblicherò con regolarità. Terzo! È stato
divertentissimo scriverla, spero di cuore che per voi sia lo stesso nel
leggere. Ah,
un'ultima cosa: credo proprio che questa sarà la mia ultima
storia, non l'ultima in generale ma l'ultima che inizio prima di finire
quelle che ho in corso, dunque l'ultima per molti e molti mesi.
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