Colonna
sonora: TheAntlers - Kettering
Il
profumo dolce e intenso di vaniglia che usciva dal diffusore
perforarono le mie narici risvegliandomi piano dal profondo sonno che
mi costringeva a letto.
Il
lenzuolo che mi accarezzava la pelle scoperta delle braccia e delle
gambe, proteggendole dal venticello freddo che entrava dalla finestra
socchiusa.
Il
cuscino morbido e caldo che sosteneva la mia testa pesante, un altro
cuscino in mezzo alle gambe per non dimenticare il mio passato di
bambina con il divaricatore.
Aprii
gli occhi con fatica, lentamente. Cercai di mettere a fuoco l'ora e
notai quanto presto fosse. Le sei del mattino... mi addormentai
nemmeno cinque ore prima.
Sbadigliai
e rotolandomi su me stessa mi accorsi di una presenza dietro la mia
schiena.
-Meeeow-
Black.
Il gatto si stiracchiò e aspettò con impazienza
che io mi
raggomitolassi su me stessa per poi farmi una coccola sul viso, quasi
a volermi dare un bacio, e sistemandosi di fianco alla mia pancia.
Lo
accarezzai e godetti della morbidezza del suo pelo nero per qualche
minuto con la mente vuota, prima che una fitta al petto e allo
stomaco mi obbligò a fermarmi e a trattenere il respiro.
La
dura realtà che mi era stata nascosta per un breve periodo
dal dolce
risveglio mi piombò addosso come un macigno pesante.
Ero
sola.
Ero
sola da non so quanto tempo ormai.
Un
marito che dopo otto anni se n'era andato. Un lavoro che com'era
arrivato molto giovane, se ne andò altrettanto velocemente.
Un
figlio che era venuto a mancare per un terribile incidente deciso
dalla Sfortuna. I miei genitori e miei fratelli troppo lontani per
potermi venire a salvare da quel baratro.
Mi
toccai il petto che aveva cominciato a muoversi velocemente per colpa
dell'attacco di panico e stringendo forte gli occhi per trattenere le
lacrime che prepotenti cercavano un varco per poter uscire mi misi
seduta, cercando di tornare a respirare normalmente.
Aprii
gli occhi e anche se intorno a me c'erano l'armadio, i quadri, lo
specchio, io non riuscivo a vedere. Era tutto nero e io sentii di
stare per perdere il controllo quindi mi lasciai andare.
Lasciai
che le lacrime mi bagnassero le guance quasi come se mi fossi appena
lavata il viso gettandomi dell'acqua addosso. Lasciai che il dolore
immenso che portavo nel cuore in qualche modo trovasse un modo di
uscire anche se molto lentamente.
-Perché..-
Una
domanda che mi ripetevo troppo spesso in quei giorni in quanto non
trovavo risposta.
Presi
il cuscino e urlai più forte che potei, dando libero sfogo
alla
frustrazione.
Poi
smise.
Il
tempo si fermò, come tutte le volte che mi prendeva un
attacco, e io
smisi di esistere.
Mi
lasciai cadere all'indietro sdraiandomi e il vuoto
s'impossessò di
me, della mia anima e della mia mente.
Non
seppi quanto tempo passò ma il vuoto piano piano
cominciò ad essere
sostituito dai ricordi.
-Mamma...non
sto molto bene oggi..-
-Su
su, niente storie e vediamo di alzarci dal letto. Lo sai bene che a
scuola bisogna andarci e dovresti aver imparato anche che non bisogna
dire le bugie alla mamma-
-Ma
io non sto dicendo bugie mamma..mi fa male la pancia. Mi faceva male
anche ieri sera.-
Guardai
mio figlio J, di sette anni, stringersi il pancino sotto le coperte e
mi fermai nel preparargli i vestiti. Mi avvicinai a lui e mi sedetti
sul lettino accarezzandogli i capelli.
-Facciamo
così. Se tu ora ti alzi e ti vesti la mamma nel frattempo ti
prepara
una buona tazza di tè caldo con la medicina così
che la bua passi e
poi vai a scuola. In cambio stasera ti preparo il tuo piatto
preferito e ti prometto che domani appena esco da lavoro andiamo a
prenderci un gelato insieme. Ok amore mio?-
J
mi guardò con gli occhi lucidi e annuì,
provocandomi un sorriso
dolce che lui ricambiò.
Ci
alzammo insieme e in men che non si dica ero già davanti a
scuola
che guardavo mio figlio varcare le porte dell'edificio debole e un
po' sfatto.
Stava
poco bene, si vedeva, ma aveva già fatto tanti giorni di
assenza per
colpa della scarlattina e non poteva permettersene altri.
Sospirai
e mi diressi verso l'ufficio di mio marito per portargli il pranzo al
sacco come ogni mattina.
Chiusi
la macchina e dopo un pezzo di strada a piedi finalmente lo
raggiunsi.
-Ah
amore, sei tu. Vieni, ti apro.-
Gli
sorrisi, vedendo com'era distratto e preso da quel lavoro che ogni
giorno lo faceva arrabbiare moltissimo ma allo stesso tempo amava.
Entrai
e dopo esserci scambiati un bacio gli posai il pranzo sopra la
scrivania.
-Ti
va di farmi un po' di compagnia o devi andare a lavoro?-
Mi
chiese tornando a concentrarsi sulle scartoffie.
-No
va bene, resto. Oggi per fortuna sono libera.-
Passarono
due o tre ore e io stavo per andare via quando il cellulare, da
dentro la mia borsetta, cominciò a suonare insistente.
Lo
presi e lessi il display: la scuola elementare. Come mai?
-Pronto?-
-Signora
S. sono la maestra Roberta. La chiamo perché suo figlio non
sta
bene. Ha cominciato a vomitare, trema tutto e non riesce a stare in
piedi. Può venire?-
Il
fiato mi mancò per qualche istante. Non me lo dovette
nemmeno
chiedere perché già mentre parlava salutai mio
marito uscii di
corsa dirigendomi velocissima da J.
Quando
arrivai lo vidi tra le braccia di una bidella che veniva dondolato
mentre la maestra, di fronte a loro, provava a parlargli.
Mi
avvicinai a loro e la maestra, vedendomi, mi spiegò
velocemente cosa
successe nei minimi dettagli e, insieme, lo portammo in ospedale.
A
visitarlo fu una Dottoressa di nome Gloria che, dopo aver fatto un
po' di ispezioni sul corpo di mio figlio, decise di ricoverarlo per
degli accertamenti. Io aspettai nella saletta d'attesa agitata e
ansiosa, con la maestra che cercava di rassicurarmi accarezzandomi le
spalle.
-Signora
S.-
Mi
voltai e mi alzai di scatto nell'udire il mio nome, vedendo poi la
Dottoressa Gloria venirmi incontro con degli infermieri.
-Allora?-
-Abbiamo
motivo di credere che suo figlio abbia mangiato qualcosa come un
gioco e che questo gli stia provocando degli spasmi e dolori allo
stomaco e all'intestino talmente forti da provocargli il vomito e
l'abbassamento della pressione. Abbiamo bisogno del suo consenso per
operarlo d'urgenza.-
Mi
disse tutto d'un fiato porgendomi dei fogli e una penna.
-Co.....Come
scusi?-
Non
riuscivo a credere a cosa mi stesse dicendo quella donna.
-Ma
com'è possibile? E perché d'urgenza?-
-Signora
S. suo figlio rischia di morire se non togliamo il più
presto
possibile il corpo estraneo e non togliamo il versamento di liquido
che si sta formando per infiammazione.-
-E...e
quanto costa questo tipo di intervento?-
La
Dottoressa sospirò, abbassando lo sguardo. Nel frattempo la
maestra
Roberta mi prese la mano.
-Dodici
mila euro..-
Cominciai
a piangere a dirotto e mi dovetti sedere.
-Io
non ce li ho questi soldi..non ce li ho!!-
La
Dottoressa Gloria si allontanò un momento e Roberta mi si
inginocchiò davanti prendendomi le mani.
-Mi
ascolti S. deve rimanere forte per suo figlio. Questa Dottoressa mi
sembra troppo sicura di se stessa, io un po' di medicina l'ho
studiata e non so quanto possiamo fidarci. Ha parlato tanto e non ci
ha fatto vedere neanche un esame. NON CI HA FATTO VEDERE J!Vuole un
consiglio? Lo porti via.-
-M..ma
co..così morirà.-
-No.
Lo portiamo da una mia carissima amica che fa la pediatra e lasceremo
che sia lei a valutare la reale situazione. Quei soldi non li
dovrà..senta diamoci del tu. Quei soldi non li dovrai tirare
fuori.
Fidati di me S.-
Rimasi
impietrita per qualche minuto poi decisi di seguire il suo consiglio
e dopo aver aspettato la dimissione lo portammo di corsa nell'altro
ospedale.
Incontrammo
velocemente l'amica di Roberta, la Dottoressa Barbara, che mentre
faceva portare via J mi guardò negli occhi, dandomi una
sensazione
di sicurezza, fiducia e speranza che in quel momento mi fece capire
di aver fatto la scelta migliore.
Da
quel momento tutto fu molto veloce nonostante passò una
settimana.
Fecero molti esami e sempre più approfonditi. Non risultava
esserci
nessun corpo estraneo e, il penultimo giorno di ricovero, andandolo a
trovare notai quanto lui fu migliorato rispetto i primi giorni.
Giocava, rideva, correva, saltava..insomma, faceva le cose che fa
qualsiasi bimbo di sette anni.
Io
ero tranquilla e mio marito ed io andammo nell'ufficio di Barbara
contenti e sereni in quanto ci disse che il giorno dopo l'avrebbero
dimesso.
Arrivò
il momento e quando entrai sola nel reparto di pediatria notai
immediatamente un'aria strana. Mi avvicinai alla camera di mio figlio
ma in quel momento vidi uscire Barbara con un'espressione triste e
preoccupata sul volto.
-Che..succede?-
-Mi
segua S, andiamo nel mio ufficio.-
Così
feci e mi sedetti di fronte a lei che cominciò a
massaggiarsi le
tempie.
-Stanotte
suo figlio ha avuto una ricaduta.-
-I..in
che senso?-
Mi
tremarono le mani. Un brivido mi percorse la schiena e il sudore
gelido cominciò a scendere dalla fronte. Deglutii a fatica.
-Stanotte
ha avuto un attacco. Mentre lo stavamo cercando di stabilizzare il
mio collega, chirurgo da ormai cinquant'anni, ha avuto un brutto
presentimento. Così l'abbiamo sedato e gli abbiamo fatto una
quarta
ecografia seguita da esame con telecamera interna e...signora S
abbiamo scoperto che suo figlio ha la vescica bucata. Il liquido che
tutti credevano essere provocato da un'infezione in verità
è urina
mischiata a sangue e sostanze liquide del corpo. Questo complica
molto la situazione e dobbiamo operarlo d'urgenza per ricucire la
ferita e poter capire la situazione degli altri organi interni dovuta
alla contaminazione delle sostanze di rifiuto che ha versato.-
Fu
tutto molto veloce. Mi ritrovai presto in corridoio seduta su una
sedia con il viso tra le mani che piangevo disperata mentre pregavo i
mille dei e l'universo affinché risparmiassero J e mi
lasciassero
tornare a casa a vivere la mia vita di sempre.
Barbara
mi spiegò che l'intervento sarebbe stato complicato in
quanto
essendo molto debole non sapevano se avesse resistito ancora e che
era un cinquanta e cinquanta.
Mentre
ripetevo a bassa voce e il nome di J sentii un rumore forte provenire
dalla sala chirurgica e poi un NO detto ad alta voce.
Il
mondo smise di girare. Il tempo di fermò. Il respiro si
bloccò. Il
cuore si bloccò.
Era..vero.......quello
che sentii?
Attesi
l'uscita di Barbara. Si appoggiò al muro e non disse nulla.
Mi fece
solo no con la testa mentre piangeva silenziosamente.
Io
mi accasciai a terra e urlai forte, cercando di farmi esplodere il
petto per il dolore. Piansi. E quella sera morii insieme a lui.
Le
lacrime continuavano a scendere nonostante non ci fossero
più i
singhiozzi e il respiro divenne sempre più debole. Il
soffitto
bianco si tinse di rosso, e un altro ricordo arrivò
prepotente
portandomi di nuovo indietro nel tempo, mentre con la mano
inconsciamente avevo cominciato a massaggiarmi all'altezza del cuore.
-Co..cosa...?-
Erano
passati due mesi dalla morte di J e per me e mio marito fu molto
difficile superare quel momento. Lui per fortuna riuscì a
reagire
meglio di me che invece, disperata, non accettavo l'idea che la morte
di mio figlio, la sua vescica perforata, era dovuta ad un possibile
litigio con dei compagni di classe che gli avevano tirato dei pugni e
poi fatto cadere.
Ci
allontanammo molto ma..quel giorno..arrivò a casa da lavoro
prima
del solito e mi si sedette davanti sul tavolino mentre io ero quasi
sdraiata sul divano.
-Me
ne vado S.-
-Perché...-
-Credevo
di non saperlo..ma la verità è che non ti amo
più..è inutile
mentire a me stesso, è inutile mentire a te. La morte di J-
-ZITTO!-
Mi
aveva appena detto che era innamorato di un'altra donna che ormai da
tempo era entrata nella sua vita. Che la morte di J l'aveva reso
sicuro su ciò che voleva davvero, e cioè andare
via per sempre da
quella città con l'amante. Lo capii senza fargli finire la
frase.
Io
non provai a fermarlo. Ascoltai mentre si faceva le valige, mentre si
cambiava e si faceva la doccia.
Mi
si avvicinò, tentando di toccarmi, ma io mi scostai in malo
modo con
gli occhi colmi di lacrime e guardai lontano.
-Non
osare...vattene e basta.-
Lui
non rispose. Sentii solo la porta chiudersi e da quel momento il
silenzio più totale. Nemmeno Black miagolò
più per qualche giorno.
Rimasi per un tempo indefinito su quel divano a pensare come fossi
arrivata a tanto, perdendo prima il figlio, poi il lavoro e infine
mio marito.
Da
quel momento passarono circa due settimane. Due settimane di letto.
Due settimane di notti insonni. Due settimane di dolori al petto,
allo stomaco e alla testa. Due settimane di sofferenza...
Chiusi
gli occhi e cercai di rilassarmi, addormentandomi poi per l'immensa
stanchezza della quale era colmo il mio fisico.
Il
mio ultimo pensiero, prima di prendere sonno, era diverso
però.
Da
che prima mi auguravo la morte e la voglia di sparire, quel giorno mi
augurai la vita. Per lui..per me..
Sorrisi.
Smisi di piangere.
Black
mi si accoccolò di fianco e in un certo senso capii che
forse, a
modo suo, voleva starmi vicino. Che aveva capito.
Non
volevo morire. Non volevo arrendermi. Dovevo lottare.
Per
te amore mio.
Dedicato
a J.
Sonmi451.
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