Merci.
Sakura uscì di casa svelta, preceduta dai figli. Si era
avvolta nella mantellina di lana infeltrita color grigio sporco, la luce bianca
che filtrava dalle nubi le infastidì la vista, giusto il tempo di abituarcisi.
Spinse la prole avanti a sé con delle pacche di
incoraggiamento sulle spalle e, presi per mano i più piccini, accompagnò i
figli a scuola, un edificio piccolo, in pietra, dai cui mattoni saturavano
gocce di umido.
A dir la verità, a Sainte-Marie-Vierge l’umidità era una
silenziosa pestilenza che si infiltrava ovunque, raggiungeva ogni singolo
angolo del paese, covava nelle fondamenta degli edifici insieme ai fantasmi
delle generazioni andate ed un inquietante lezzo di morte imminente, rodeva i
corpi degli abitanti dalle ossa, si nutriva delle loro sofferenze reumatiche,
strappava loro brandelli di bronchi tramite le malattie respiratorie, sconfitta
solo dai camini accesi, che avevano iniziato a proliferare nelle case.
Un prode Ares infuocato contro una Persefone insudiciata di
ghiaccio e sangue.
La donna lasciò i figli sulla soglia dell’edificio una volta
accolti dalla maestra, una signora anziana ed incurvata, quasi una virgoletta,
scarna e decrepita, dopodiché era tornata a casa.
Preparò la colazione per il marito come ogni mattina: una tisana
all’ortica e una scodella contenente una mistura simile ad un porridge,
ottenuta mescolando pane raffermo, la panna ottenuta con il latte bollito per i
bambini, del latte freddo e del miele di lavanda.
Il dottor Itachi giunse in cucina già vestito di tutto
punto, pronto per recarsi allo studio.
Secondo la solita routine si sedette al tavolo e iniziò a
mangiare silenzioso, ascoltando in sottofondo i passi scattosi ed il respiro
affannato della moglie che si stava affaccendando nel frattempo per la cucina.
“Buongiorno, caro.” Sbuffò Sakura, mentre scrostava le
stoviglie della cena della sera prima.
“Bonjour, mon
cher. Sakura, hai un minuto ?” le fece segno di sedersi. Lei si
lasciò cadere su una sedia di legno, asciugandosi la fronte con il dorso della
mano, un canovaccio umido nell’altra.
“Hai molto da fare in questo periodo? Sai, avevo intenzione
di lasciarti una stanza dello studio per occuparti dei bambini del paese.
Sembra che quelle vecchie chiocce si fidino più di te, mia bella colombina.
Allora, che ne pensi?”
Gli occhi verdi di Sakura si illuminarono improvvisamente: i
bambini! Sarebbe diventata la pediatra del paese, avrebbe guadagnato del
denaro!
Eppure, tutto ciò si sarebbe tradotto con l’allontanamento
dai suoi figli: come avrebbe potuto rimediare?
“Va benissimo caro, ma…i bambini? Marie, in particolare, ha
bisogno di essere ben educata se non vogliamo che diventi una selvaggia.
Bisogna che studino, ed io non posso accudirli sempre.”
“A quello ci penseremo poi, te lo prometto. Ora sarà meglio
provvedere al tuo guardaroba: devi acquistare un abito per quando vieni al
lavoro, non intenderai mica indossare quegli straccetti che metti solitamente.”
Itachi si alzò, lasciando Sakura umiliata, rannicchiata su
un angolo del tavolo; lei si morse il labbro inferiore, nervosa: non era certo
colpa sua se indossava solo “straccetti”!lei la merce costosa non poteva mica
permettersela, aveva una casa, un marito e tre figli da anteporre a sé stessa e
alle sue necessità. Infatti, non avrebbe mai permesso che nessuno dei tre
bambini andasse girando indecorosamente, e preferiva acquistare indumenti
costosi e biancheria raffinata per la prole piuttosto che per sé.
Non che non le fosse piaciuto, ben inteso: semplicemente
aveva accettato il suo ruolo di sottomissione.
A Sakura bastava Sasuke…il suo sguardo che sapeva
oltrepassare agevolmente gli svariati strati di indumenti scoloriti e consunti,
malmessi, l’altrettanta agilità con cui riuscivano a spogliarla le sue mani, il
gelo della sua passione, che spirava su di lei come un vento artico, arrivava,
la stravolgeva e, quando scompariva (con la stessa imprevedibilità con cui
sopraggiungeva) lasciava in lei un nostalgico turbamento.
La coppia di coniugi uscì, diretti all’unica boutique del
paese. Lui apatico, lei trafitta dalla sua solita afflizione.
“Bonjour! Ça
va, madame?” Una voce chiamò Sakura, che si voltò di scatto e sorrise senza
perdere un momento. Era la giovane Hyuuga.
“Bonjour,
mademoiselle, ça va, ça va. E lei ? Problemi con la
sistemazione ?”
“Oh no, nient’affatto. Stavo giusto andando ad acquistare un
abito per lavorare. Sa, volevo riprendere la mia occupazione, e poi il giardino
richiede indumenti più spartani.”
Sorrise, ondeggiando l’abito di taffettà giallo. Sakura
improvvisò un sorriso, invidiosa.
“E di che occupazione si tratta?”domandò, curiosa.
“Non glielo avevo accennato? A Parigi ero un’istitutrice.”
“Magnifico, magnifico! Monsieur, venite, venite!” la
donna fece cenno al marito di avvicinarsi.
Itachi scrutò Hinata, dimostrando un velato interesse. Si
chinò per eseguire un baciamano esemplare, e poi si presentò.
“Docteur Uchiha, al vostro servizio, mademoiselle.”
“Mademoiselle Hyuuga, è un piacere, monsieur.”
Al termine dei convenevoli, Sakura prese parola.
“Caro, pensavo che, dal momento che la signorina vuole
riprendere a lavorare come istitutrice, forse potremmo mandare Marie a lezione,
non trovi?” guardò suo marito, spalancando gli occhi verdi.
“Certo, certo. Ma venga pure con noi, mademoiselle,
così avremo modo di discutere del suo onorario.”
Hinata venne così reclutata.
La fama della bravura dell’educatrice si diffuse a macchia
d’olio, sebbene ella non avesse fatto nulla per questo fine, né intendesse
ricevere altre allieve oltre alle figlie delle sue amiche.
Ogni mattina si alzava alla buon'ora,mangiava del pane con
il burro ed una ciotola di farinata d'avena,dopodiché si costringeva con un
corsetto dalle rigide stecche ricavate dai fanoni di balena, si abbigliava
elegantemente con un austero abito di satin nero,decorato con piccoli fiocchi di
seta bianca, e raccoglieva i lunghi capelli corvini in una cuffietta,che
lasciava libera la frangia sulla fronte, e due ciocche impertinenti all'altezza
delle orecchie.
Alle nove riceveva le sue allieve: Marie e Lilianne, e
impartiva loro delle lezioni di francese, latino, matematica e letteratura in
mattinata; per il pranzo mangiavano in casa, se era brutto tempo, altrimenti
tenevano un picnic sul prato. Entrambe le occasioni fornivano ad Hinata il modo
di educare le bambine al galateo della tavola, mentre nel primo pomeriggio le
faceva esercitare nella conversazione.
Una volta che le bambine avevano terminato,Ino e Sakura
venivano a recuperare le figlie e pagavano una minima parcella ad Hinata. A
volte si trattenevano,mandando le figlie a casa, e restavano a chiacchierare
con Hinata, altre volte invece andavano via,lasciandola alle sue occupazioni.
In quei casi lei si ritirava a curare le orchidee
pervenutele e tenute nella serra, e si dedicava alla manutenzione delle piante
nel suo giardino.
Una sera come tante, udì bussare alla sua porta. Era già
andata nella serra, e stava preparando un liquido rinforzante a base di
bicarbonato e zucchero da somministrare nel terriccio delle piante con una
cannuccia.
Strofinandosi le mani sporche sul grembiule, Hinata corse
alla porta.
La aprì e si trovò di fronte il sindaco. Impallidì. Cosa
fare? Porgergli la mano? No di certo:sporche com'erano! Invitarlo in casa? E se
poi la gente si fosse fatta un'idea erronea delle sue usanze?
"Bonsoir, madame, è
permesso?"domandò l'uomo,in attesa sulla soglia.
"Bien sure, venga, venga, la prego -fece cenno
con la mano di entrare,celando un affiorante rossore -mi perdoni ma stavo
lavorando con le piante...venga, le faccio strada." lo fece accomodare nel
salotto, per poi congedarsi ed andare a lavarsi le mani,abbandonando anche il
grembiule.
Tornò in salotto e si sedette sull'ottomana, in posizione
d'ascolto.
"Mi dica, a cosa devo questa visita?"
"Ho una buona notizia,mademoiselle, abbiamo trovato una
cameriera che prenda immediato servizio: si chiama Matsuri, è una ragazzina, ma
è molto sveglia e volenterosa,ed impara in fretta.
Inoltre volevo invitarla alla festa che si terrà tra una
settimana in onore di Sainte-Therése, copatrona del nostro villaggio...se pensa
di essere interessata..."lasciò cadere la frase nel vuoto,in attesa di una
risposta di Hinata.
"Verrò molto volentieri, mon amis, ma mi
permetta di retribuirla per l'efficace servizio svolto nei miei
confronti."
"Penso che mi retribuirà in maniera più che efficace
acconsentendo al mio invito a cena per questa sera." un bagliore illuminò
gli occhi celesti del sindaco, che rimasero puntati sul viso della donna,pieni
di speranza.
"Va bene, lasciate solo che mi prepari..non sono nelle
vesti adatte..."
"Oh,suvvia mia cara, sarete anche una gran signora,ma
regalatemi l'ebbrezza di portarvi in giro sotto le spoglie di adorabile
maestrina" le sorrise, irresistibile, e questa volta senza alcuna
esitazione le prese la mano e la baciò galantemente, causando l'arrossimento
repentino della donna.
Uscirono senza scambiarsi una parola, Hinata con gli occhi
bassi, rivolti al lastricato scuro, attenti a scegliere le pietre giuste per
non scivolare, Naruto avanti, fiero e nervoso, che si ripeteva mentalmente di
non perdersi in un bicchier d’acqua con una delle sue trovate grossolane, ché
quella era una gran signora.
“Allora, come vi trovate?” le chiese di colpo.
“I-io? Bene, bene…le bambine sono fantastiche, apprendono in
fretta. A-anche le loro signore madri sono molto gradevoli.” affievolì il tono
di voce man mano che giungeva al termine della frase, ripensando con un sorriso
alle allegre chiacchierate tra donne che intratteneva con quelle due.
“Ah sì, le conosco bene le…signore.”
A dirla tutta, Naruto non aveva mai pensato a Sakura e ad
Ino come a due signore, ma piuttosto come a delle belle donne di paese, che di
signorile avevano ben poco.
Ed in breve, come un fiume in piena, Hinata gli aveva
raccontato del suo passato, mentre lui ascoltava attento.
“…e così sono scappata da quell’ambiente soffocante.”concluse.
Lo aveva guardato per sbaglio negli occhi, ed era rimasta
inchiodata dallo sguardo assorto di lui che ne catturava segretamente ogni
lineamento, ogni espressione nel tentativo di imprimerli nella memoria.
Il modo con cui muoveva elegantemente le mani a mezz’aria,
discrete tessitrici delle immagini dei suoi discorsi; i leggeri movimenti
ondulatori della frangetta scura sulla sua fronte, la dizione precisa ed un
tono di voce che sembrava essere cucito sopra alle parole che pronunciava, e
quel rossore a volte più vivido, a volte più tenue sempre adagiato sulle sue
guance, come la screziatura su un’orchidea bianca.
“Siete stata davvero molto coraggiosa.”soggiunse lui,
avvicinando la mano a quella della donna adagiata sulla tovaglia.
“Coraggiosa?”Hinata spalancò gli occhi, incredula.
“Sì, insomma, come Giuseppina Bonaparte.”Naruto aveva
formulato velocemente questo arguto paragone tra la sua potenziale conquista e
la moglie del suo Imperatore, suscitando l’ilarità dell’imbarazzata
interlocutrice.
“Ma volete scherzare?”lo sguardo della donna si fece
improvvisamente di velluto, enigmatico e carezzevole, mentre la mano di lui
iniziò a scivolare, lenta ed insicura, su quelle dita gelide ed affusolate.
“No. Voglio solo farvi…”l’asserzione di Naruto fu spezzata
dalla fragorosa entrata dei due colonnelli tedeschi, quello coperto di
cicatrici accompagnato dall’albino.
Innamorare, pensò l’uomo, terminando così mentalmente
la frase che avrebbe dato qualunque cosa per poter pronunciare.
“Signor sindaco”iniziò Kakuzu, con la sua inflessione severa
e quella g troppo spigolosa “Abbiamo avuto comunicazione dai nostri gerarchi di
un problema di natura interna che deve essere risolto immediatamente. La prego
di venire con noi.”
Naruto si alzò, mordendosi il labbro inferiore per
ricacciare le lacrime di amarezza, e porse il braccio alla donna, che accettò,
seguendoli fuori , verso la notte umida e cupa.
“Esimio colonnello, lei capisce che io sono accompagnato
dalla gentile signora, e non mi è assolutamente concesso di venire meno ai miei
doveri di ospite e di uomo in quanto tale, perciò vi riceverò non appena avrò
ricondotto la qui presente mademoiselle Hyuuga alla sua abitazione.”
Il biondo nascose un sorriso, soddisfatto della sua fervente
proclamazione di orgoglio virile.
“Credo che il mio collega Hidan potrà assolvere in sua vece
ai suoi doveri, con il permesso della signora.” Ribatté Kakuzu, quantomai
irritato dal tentativo di procrastinazione di quel sindaco giovane e
sbruffoncello.
Hinata annuì con dolcezza e scivolò, come un nastro di seta,
dal braccio tremante d’emozione di Naruto a quello rigido e saldo di Hidan, che
guardò con soddisfazione la scena, come chi ha appena soffiato via la vittoria
al proprio acerrimo nemico.
Il silenzio gelido tra i due era scandito solo dal passo
ritmico di Hidan, che costringeva Hinata a correre per tenergli dietro e non
cadere, malgrado lui si sforzasse di rallentare la sua solita camminata,
educata alla rapidità e alla massima efficienza.
Percorrere il massimo dello spazio nel minimo del tempo,
senza lasciarsi turbare da nulla.
Esegui gli ordini senza guardare altra prospettiva che
quella del tuo naso.
Gliel’aveva insegnato Kakuzu la prima volta che si videro
per il corso di addestramento.
Da allora aveva coltivato con attenzione ogni campo della
sua carriera, ed era in breve riuscito a diventare colonnello, il più giovane
mai visto fino ad allora e, senza dubbio, di gran lunga il più bello.
La sua figura svettava nel buio, le spalle larghe
perfettamente armonizzate con il resto del corpo spaccavano l’aria, la postura
con il petto inarcato all’infuori gli conferiva una virilità tutta sua, che
Hinata non aveva mai visto essere sostenuta da nessuno.
Si voltò verso di lei, una ventina di centimetri più in
basso, e ammirò la sua bellezza.
Ciò che più lo colpì fu la luce cerulea della notte che
tingeva con i suoi riflessi blu la carnagione diafana della donna, ricalcandone
le curve dei seni ed i lineamenti delicati del viso.
I loro occhi si incontrarono, per sbaglio, per uno stupido
scherzo del destino, per una sincronia beffarda, e rimasero pietrificati, uno
di fronte all’altra.
Hinata non aveva mai, mai visto occhi così intensi, corridoi
tortuosi di un perverso labirinto nel quale, lei lo sapeva, sarebbe
stato molto meglio non avventurarsi. E invece ci era piombata dentro a pié
pari, e non riusciva a divincolarsi da quella stretta ipnotica, mentre il suo
corpo si infiammava, quasi fosse stato su una pira sacrificale.
Hidan la sentì di nuovo, quella sensazione che lei gli aveva
fatto provare durante il loro primo incontro: una pulsione animale, un
acutizzazione dei sensi tanto forte da fargli percepire il profumo delle sue
mani, della sua pelle, la fluidità dei suoi movimenti, ed infine un insistente
rigonfiamento lì, nel mezzo delle gambe, che lo impacciava terribilmente.
Per carità, non che non sapesse di quale bisogno si
trattasse: non era sicuramente un ragazzino alle prime armi, ma la desiderava
con una furia ed un’irrazionalità a lui sconosciute.
Guardò gli occhi di Hinata, e gli parvero due enormi
lacrime.
Percepì la paura e l’ansia di lei e, invece di continuare e
di accompagnarla dritto a casa, seguendo la traiettoria del proprio naso, la
prese tra le braccia e la abbracciò.
Senza un vero motivo, un movente, nulla che si potesse scrivere
in un rapporto.
Però sapeva che era maledettamente bella, e che viveva
recondita in lei una malinconia infinita,una nostalgia a lui sconosciuta che
gliela fece apparire come una bambina fragile e intimorita, piuttosto che una
gran dama.
D’un tratto, Hinata sollevò il viso e lo guardò, dolcemente.
“Merci.”gli bisbigliò all’orecchio, in punta di
piedi.
E prima che Hidan potesse replicare, lei era già corsa via
nel buio, lasciandogli dentro una sensazione di tristezza infinita.
Una lacrima gli volò giù dagli occhi, e lui tornò indietro,
prima che Kakuzu si insospettisse.
Spazio
Cos:
Non ci credevate
e invece…è arrivato! Ebbene sì, signore e signori, eccoci qui con una bella
threesome in corso. Chi vincerà? Naruto o Hidan? Lo scopriremo solo leggendo!
Un bacio a tutti e recensite numerosi!
Cos.