Shadow from the Past.
I ciliegi erano fioriti prima quell’anno.
Il colore rosato e delicato dei petali dei fiori appena
sbocciati annunciava l’arrivo della primavera.
Una brezza leggera soffiava su Edo e un tiepido sole
faceva capolino tra le nuvole bianche.
Sembrava una giornata perfetta, una di quelle giornate
che di solito ci si limita a immaginare perché è
troppo raro che si presentino
realmente.
Shanks stava sdraiato sull’erba fresca, gli occhi rivolti
verso il cielo a seguire il lento scorrere del tempo.
Dalle strade giungeva l’allegro vociare del popolo,
immerso nella solita noiosa routine.
Contadini che andavano a vendere il frutto del loro duro
lavoro ai mercati, samurai di passaggio, ronin senza padrone, donne
affaccendate nella pulizia dei cortili.
Amava quella città, le pareti di legno delle case, le
strade polverose, la povera gente che ci viveva; ogni cosa quel giorno
lo
faceva sorridere.
Forse stava diventando sentimentale o forse era l’effetto
causatogli da quella giornata così fuori luogo per quel
periodo dell’anno.
Sapeva bene che probabilmente molto presto il tempo
sarebbe cambiato.
Viveva in un’epoca in cui raramente le cose belle
duravano troppo a lungo.
- Non starai pensando un po’ troppo in questo periodo?
–
gli domandò con voce calma e tranquilla l’uomo
seduto accanto a lui.
- La meditazione porta all’elevazione dello spirito Sanji
– ribatté il Rosso sorridendo – E poi
non esageriamo, sto solamente godendomi
una bella giornata. –
Il compagno, figlio del gestore della taverna in cui lui
e i suoi compari alloggiavano, sollevò le spalle.
Non è che la cosa gli importasse troppo, lui era solo un
cuoco.
Semplicemente quell’uomo lo incuriosiva.
Era arrivato alla locanda qualche mese prima e si era
insediato lì con tutti i suoi uomini. Suo padre non aveva
fatto una piega,
anzi, lo aveva accolto come un vecchio amico e lui non aveva ancora
capito come
si conoscessero, ma c’erano molte cose che non conosceva di
suo padre.
A partire da suo passato.
Nel 1333 Ashikaga Takauji era diventato shogun
spodestando il precedente shogunato Kamakura. In seguito numerosi
Damyo,
signori della guerra, avevano iniziato a darsi battaglia per la
conquista del
territorio.
Shanks il Rosso era figlio di uno di questi Damyo e di
una donna occidentale giunta in Giappone con una nave che
contrabbandava
schiavi. Dopo alcuni anni dalla sua nascita suo padre era stato
sconfitto in
battaglia e la sua famiglia era caduta in rovina. Sua madre, insieme ad
alcuni
soldati fedeli al marito, aveva dato vita a un movimento di ribelli, a
cui capo
si trovava ora Shanks.
Zef era stato, in un tempo lontano, primo ufficiale di
suo padre, ma quel tempo era stato quasi dimenticato da tutti.
- Dì pure che come al solito non fai nulla. –
esordì una
terza voce.
Un uomo sui venticinque anni gli apparve di fronte,
capelli verdi, palesemente tinti con chissà quale pigmento
naturale, un kimono
da uomo, stranamente in tinta con quei capelli assurdi. Dal fianco
destro
pendevano tre katane e uno stesso numero di orecchini dorati
penzolavano
dall’orecchio sinistro, era una sorta di ordine simmetrico,
dovuto in realtà
non al pensiero ordinato di un buddista devoto, quanto più
al caso.
- Roronoa – borbottò Sanji infilandosi in bocca
una
kiseru – Quante volte ti sei perso venendo qua? –
L’uomo gli lanciò un occhiata gelida.
- Nemmeno una sottospecie di mentecatto. –
Ovviamente non era vero.
Si era perso tre volte e ci aveva messo un’ora e mezza
per trovarli, ma questo non lo avrebbe mai ammesso.
- Zoro, Zoro, non sei granché bravo a mentire –
ridacchiò
Shanks –
Comunque che ci fai in città?
Tu odi questo posto –
Era vero lui odiava Edo.
Gli ricordava un passato troppo doloroso anche per uno
come lui.
- Ti vogliono alla locanda, Nami mi ha mandato a
chiamarti – borbottò il ragazzo, fregando al Rosso
l’otre contenente il Sakè.
- Intanto – puntualizzò Sanji – Dovresti
chiamarla Nami
Sama, zotico maleducato. E poi … non
è
che ha mandato te sperando che non tornassi più indietro?
–
Il giovane spadaccino gli fece un gesto non proprio fine
insinuando che sua madre fosse dedita ad attività di dubbio
genere con metà
degli uomini della città.
Nami si era unita a loro non molto tempo dopo di lui e in
circostanze particolari.
E tutto sommato la frase del cuoco non era poi così
assurda.
Quella sera avrebbero dovuto assalire un carico di merci
preziose proveniente dalla Cina orientale.
Un carico destinato allo
Shogun in persona.
Si erano appostati in un bosco, lungo un sentiero che la
carovana avrebbe dovuto percorrere per forza.
Lui non era sempre stato un brigante. In passato era
stato un samurai e una parte di lui lo ricordava molto bene. La
verità era che
non si può smettere di esserlo: puoi smettere di sembrarlo,
puoi non esserlo
agli occhi degli altri, ma il tuo cuore, il tuo animo non cesseranno
mai di
essere quelli di un guerriero.
Zoro era nascosto dietro un cespuglio. Tutti i sensi
all’erta, in attesa di captare anche il minimo rumore.
Poi era arrivata la carovana e pochi minuti dopo il
segnale.
Gli uomini erano balzati fuori dai loro nascondigli,
circondando i portatori.
Le guardie che li accompagnavano erano state uccise tutte
velocemente.
Lui stesso ne aveva decapitata una e trapassata un'altra.
Poi da una delle portantine era uscito qualcosa: non
aveva fatto a tempo a vedere bene cosa fosse esattamente, ma una massa
arancione aveva attirato la sua attenzione e lui l’aveva
seguita.
Dopo poco si era accorto che stava rincorrendo una donna.
Un semplice kimono bianco, una cascata di capelli
arancioni e una paura folle.
Nami correva per la foresta, non aveva la benché minima
idea di dove stesse andando, sapeva solamente che qualcuno la stava
inseguendo.
E quel qualcuno aveva ucciso le sue guardie. Tra le mani stringeva
convulsamente un pugnale dal manico scuro, tremava leggermente.
L’uomo l’ aveva raggiunta e l’aveva
afferrata per un
braccio, lei, istintivamente, si era difesa, lasciandogli un profondo
solco
sulla guancia sinistra. Il sangue aveva cominciato a scorrere.
- Lasciami – gli aveva intimato scivolando via dalla sua
presa e arretrando di qualche passo.
Aveva fatto per scappare, ma dopo pochi metri era
inciampata in una radice ed era caduta a terra nel mezzo di una radura.
Quando l’uomo era uscito dalla boscaglia la luna ne aveva
illuminato il volto.
Nami aveva tremato.
Lei lo aveva già visto, sapeva chi era. Nel suo mondo era
additato come “l’assassino”, il traditore.
Aveva alzato gli occhi incrociando il suo sguardo.
- Io so chi sei – aveva sussurrato piano, non abbastanza
perché lui non la udisse.
Zoro aveva spalancato gli occhi. Non pensava fosse
rimasto ancora qualcuno che si ricordava di lui.
- Roronoa Zoro, il samurai rinnegato. Tu hai ucciso il
tuo Damyo, la principessa guerriera, Kuina Kurasagi –
Fu un attimo.
Non aveva nemmeno finito di dirlo che l’uomo era
già
sopra di lei.
Le aveva tolto il pugnale di mano e lo aveva piantato
saldamente in terra a pochi centimetri dal suo volto candido.
- Lasciami andare! – aveva urlato la giovane sentendo la
presa salda della sua mano sul capo – Assassino! –
- Zitta! –
- Vuoi uccidere anche me? –
- Tu non sai niente – aveva ringhiato Zoro –
Niente! Tu
non c’eri, non hai visto, nessuno ha visto! –
Poi era arrivato il Rosso, dichiarando che la donna non
doveva essere toccata.
Zoro sapeva di essersi perso un pezzo, ma non ci aveva
fatto caso, limitandosi ad allontanarsi più possibile da lei.
In realtà ancora adesso si evitavano abbastanza. Zoro non poteva certo
biasimarla, tutti
avevano paura di lui e lui non aveva nessuna voglia di affrontare il
suo
passato.
- Senti biondastro di merda, poche storie e torniamo in
quella bettola che è il tuo locale! –
- Per tua informazione, razza di deficiente, quella non è
bettola, ma una locanda. – sbraitò il giovane
cuoco parecchio seccato per
l’implicito insulto alla sua cucina.
In quel momento si alzò in piedi Shanks e la discussione
morì lì.
- Andiamo, non litigate, i ciliegi sono in fiore, il sole
splende, il mio sakè è di ottima
qualità. Torniamo da Nami San e vediamo che
vuole –
Camminavano tranquillamente lungo le strade sterrate,
ogni tanto passava qualcuno a cavallo sollevando nuvolette di polvere
gialla, a
costeggiare le vie infiniti filari di ciliegi in fiore.
Il Rosso amava quel periodo dell’anno, i colori, i
profumi, ogni cosa riusciva a mettergli allegria.
Procedeva tranquillo davanti agli altri, il mantello
leggero appoggiato sulle spalle, in mano l’otre di
Sakè, guardava verso l’alto,
non c’era nemmeno una nuvola.
Dietro di lui veniva Sanji, la Kiseru accesa, una mano
infilata nel kimono azzurro, lo sguardo rigorosamente puntato sulle
ragazze a
bordo della strada, si passò una mano tra i capelli,
chissà che quella non
fosse la sua giornata fortunata.
Per ultimo, come a chiudere la fila di quello strambo
gruppo, veniva Zoro, stranamente rilassato nonostante la compagnia del
cuoco.
Non ci misero molto ad arrivare alla locanda. Passeggiare
sotto i petali rosa dei ciliegi era piacevole e, nonostante nessuno dei
tre
fosse un fanatico di Edo, il vociare delle persone metteva allegria.
Il locale di Zef era pieno.
C’era un insolito andirivieni di persone, un affollamento
tale che nemmeno Sanji ricordava di avere mai visto. Camerieri che
entravano
portando piatti pieni di cibo e uscivano dalle cucine a mani vuote,
carri di
bestiame e provviste arrivati direttamente dalla città.
Quando Shanks se ne
avvide alzò gli occhi al cielo.
Conosceva solamente una persona in grado di una cosa
simile.
Gli era già capitato di incontrare quella gente in
passato e, doveva ammetterlo, gli era piaciuta da morire.
Quando entrarono seduto al bancone c’era un ragazzo,
capelli neri, non troppo lunghi, pelle chiarissima, era impegnato a
mangiare e
a quanto potevano vedere loro doveva avere svuotato l’intera
provvista mensile
della locanda.
Sentendo il cigolio della porta il giovane si voltò e
vedendo i nuovi arrivati scoppiò in un grido di gioia.
- Papà! – esclamò salutando Shank con
un gesto della
mano.
Il cuoco osservò l’uomo che gli stava davanti con
tanto
d’occhi e raggiunse il padre dietro il bancone.
- L’avevo detto che prima o poi saresti rimasto fregato!
–
Zoro dal canto suo cercava di non farsi vedere dal nuovo
arrivato che, purtroppo, conosceva bene.
Era l’unica persona che mai avrebbe voluto rivedere.
Shanks tirò al ragazzo un leggero scappellotto sul capo.
- Rufy – iniziò a passandogli la salsa di soia
– come mai
da queste parti? E
piantala di dire che
sei mio figlio! –
Il giovane ghignò, lasciando che tutti vedessero quello
che aveva in bocca.
- Animale! – sibilò Nami tra i denti, portandogli
un
secondo piatto di pollo.
Fu in quel momento che Rufy, dondolandosi sullo sgabello,
si avvide della presenza di Roronoa.
- Ehi! – esclamò sputacchiando ovunque –
Io ti conosco!
Tu sei quello là! –
Zoro cadde a terra.
Non si ricordava di lui.
- Sì, sì quello là. Di quella volta
nella foresta!! –
continuò il moro.
Allo spadaccino si gelò il sangue nelle vene.
Ok, come non detto, si ricordava fin troppo bene.
- Ti sbagli – sibilò, freddo come il ghiaccio
– Mi stai
confondendo con qualcun altro –
- No, no, guarda, sono sicuro eri tu. Perché ti ho
nominato mio vice e mi ricordo perfettamente i tuoi capelli –
Zoro cadde nuovamente in terra.
Ma quanto era stupido?
- Senti, ma davvero lo conosci? – domandò Nami.
Il ragazzo annuì.
- Quindi sei venuto per arrestarlo? –
- Certo che no, ho detto che lui è il mio vice –
rispose
il moro.
Il samurai sbuffò e lasciò la stanza, seccato.
- Ma che gli prende a quello? – chiese la ragazza.
- Gli secca – disse Rufy.
- Cosa questa volta? – domandò il cuoco. Insomma,
non che
quel Marimo non si arrabbiasse mai, anzi, era sempre seccato per
qualcosa a
dire il vero.
- Perché io so la verità. – disse.
A volte il destino è beffardo e rivela verità del
nostro
passato che avremmo preferito dimenticare, che avremmo preferito
nessuno
conoscesse. Perché a volte vivere in una menzogna
è molto meglio che affrontare
i fantasmi del passato, quegli stessi fantasmi che non siamo riusciti a
sconfiggere.
Si sentiva in colpa.
Roronoa era in piedi fuori dalla locanda, guardava il
sole tramontare, ma non lo vedeva realmente.
I suoi occhi guardavano altro, un mondo passato che non
sarebbe tornato.
Ricordi di una vita che non avrebbe più vissuto gli
scorrevano davanti agli occhi uno dietro l’altro, non
riusciva a fermarsi.
Tutto per colpa di quel ragazzo.
Non avrebbe mai dovuto rivederlo.
Mai.
- Perché non mi hai mai detto la verità?
– la voce dolce
e stranamente gentile di Nami lo raggiunse lentamente, come se
provenisse da un
luogo lontanissimo.
Si girò verso di lei.
- Mi avresti creduto? Se ti avessi detto che Kuina non
l’avevo uccisa io, che era parte di un complotto ordito da
suo padre stesso mi
avresti creduto? – domandò.
- No. Probabilmente no. – ammise la ragazza.
Non gli avrebbe creduto perché non si fidava.
Non gli avrebbe creduto perché aveva paura di lui.
Non gli aveva creduto perché nonostante non
l’avesse
uccisa lo reputava un assassino.
- Infatti – sussurrò l’uomo
allontanandosi verso il
tramonto – Come tutti gli altri. –
Note dell’Autrice:
Mi scuso per eventuali errori di battitura,
apostrofi errati o virgole
mancanti. Per mancanza di tempo questa fic non è stata
betata, ma provvederò a
farlo al più presto.
Questa Shot si è
classificata prima al quarto ArtFiction indetto dal Midori Mikan, forum
di Zoro
e Nami.
Potete leggere il bando di concorso qui.
La Kiseru che fuma Sanji è un tipo particolare di pipa
col il manico in metallo, tipica del Giappone antico.
Per tutti coloro che seguono “Il tempio di Giada
Blu”, mi
scuso per il mostruoso ritardo, sappiano che aggiornerò a
breve.
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