Apparition
Le
dita gli dolgono ancora dall'intensità con cui ha stretto la
maniglia di casa prima di abbassarla, ignorando la voce forte alle
proprie spalle; ma Patroclo non esita un momento a chiuderle attorno
ai sassi nel terreno, sollevandone una manciata umida e valutandone
il peso.
Alza
il capo sfidando la pioggia che gli impedisce di vedere alcunché,
odiandola per l'ennesima volta quella sera; non ha fatto che battere
sulla sua pelle, scavando nei suoi lividi e irritandolo
ulteriormente, e ora impedirà ad Achille di sentire i suoi
richiami. Prende comunque la mira verso la finestra della sua stanza,
riservandosi un momento per maledire anche l'occhio gonfio che non
vuole smettere di lacrimare; e tira con un gesto frustrato e goffo.
Il
sasso centra comunque la finestra; Patroclo si prepara a tirare di
nuovo, certo che un sasso solo non basterà, ma proprio in quel
momento la tenda scura della finestra si sposta e un profilo di
ragazzo sostituisce le ombre. Scompare subito dopo, e Patroclo già
sa che non passerà che un momento prima che la porta del retro
a pochi metri da lui si spalanchi. Un momento dopo sente la chiave
girare nella toppa, e quello dopo ancora le braccia di Achille stanno
stringendolo con una forza che probabilmente nemmeno si rende conto
di star impiegando. Patroclo chiude gli occhi e sopprime la necessità
di chiedergli di entrare in casa – qualunque altra necessità
non sia quella di godere di quel momento, di quella stretta salda e
certa nel suo mondo andato in frantumi.
-
Lo ha fatto di nuovo. -
La
voce di Achille è un ringhio terribile che non lo spaventa.
Glielo ha detto una volta, mentre lo teneva stretto allo stesso modo
– in circostanze molto più felici: sul prato di un
parco, lontano da chiunque altro al mondo, ha affondato il naso nei
suoi capelli castani e ha sussurrato “Patroclo, nemmeno se mi
tradissi nel peggiore dei modi potrei mai odiarti. Nemmeno se fossi
tu stesso a odiarmi. Troverei un modo per farti capire che ti amo
abbastanza per entrambi, e ti riporterei da me. Ti riporterei
indietro.”
Sente
le sue dita stringere nella carne della sua schiena quando annuisce
piano. Achille allenta la presa sospirando per qualche secondo, e le
sue dita salgono a sfiorare i lineamenti di Patroclo e i lividi
violacei sulle sue braccia nude, sul suo volto. Gli occhi verdi sono
pesanti di angosce che non esprime ad alta voce, e che Patroclo può
comunque leggere nei suoi movimenti. - Sei gelato. Entriamo dentro. -
-
Sì. - Patroclo annuisce, grato di non averglielo dovuto
chiedere lui stesso. È già abbastanza problematico che
si sia presentato a casa sua a quell'ora di notte, anche se sa che
per Achille non è un problema – ma per Achille niente di
ciò che lo riguarda è un problema, dopotutto. Patroclo
entra nel caldo rifugio che è la cucina guardandosi attorno
alla ricerca di una massa di capelli neri e un profilo austero e
minaccioso, ma Teti non è da nessuna parte. Come gli avesse
letto nel pensiero, Achille prende parola.
-
Mamma non è in casa. Neanche papà. -
In
altre circostanze quell'informazione avrebbe avuto tutt'altro peso.
Ma quella sera Patroclo si sente sporco, debole, pesante; crollerebbe
sul pavimento se solo non volesse far preoccupare Achille più
del dovuto. Si trascina fino a una sedia e fa per spostarla, ma
Achille è più rapido di lui; lo blocca sul posto e
lascia scivolare un braccio sotto le sue ginocchia, l'altro attorno
alle sue spalle. Lo solleva da terra con una facilità
disarmante. Patroclo fa per protestare, ma sul volto del più
alto scorge una visione rara – una vera e propria dimostrazione
di turbamento. Achille sta mordendosi il labbro inferiore, e i suoi
occhi saettano dal volto di Patroclo al corridoio avanti a sé.
Poggia la fronte contro quella di Patroclo piano, come se temesse di
causare un altro livido. Come se fosse qualcosa di prezioso.
-
Non tornare mai più in quella casa. Resta qui con me. -
Sussurra. - Ti prego. -
Patroclo
spalanca la bocca per dire qualcosa, poi la richiude. È quasi
un sogno, e come ogni sogno appare troppo bello per essere vero. Lo
vede avanti a sé, quasi riflesso nel verde degli occhi di
Achille: un futuro vicino in cui solo suo padre si trascina per le
stanze della casa in cui una volta ha abitato una famiglia felice, un
futuro in cui non esistono serate dove prende a picchiarlo per
nessuna ragione valida. Un futuro che ha il sapore delle labbra di
Achille, che tendono ad arrossarsi quando le bacia una volta di
troppo – e del suo profumo al mattino, così inebriante
che Patroclo teme sempre di diventarne dipendente.
Ma
è impossibile, un'utopia. C'è sua madre che ha bisogno
di lui, e soprattutto c'è Teti che non accetterebbe mai di
averlo sotto il suo stesso tetto.
-
Tua madre... - Fa per protestare. Achille scuote subito la testa.
-
Mia madre dovrà capire. - Mormora. E come se questo chiudesse
la questione, prosegue per il corridoio e su per le scale – il
movimento dei suoi passi è dolce, e Patroclo quasi si appisola
contro il suo petto, gli occhi chiusi e pesanti di sonno e lacrime.
Li riapre solo nello sentire lo scroscio dell'acqua, e scopre le
piastrelle azzurrine del bagno. Teti ama quel colore. Achille gli ha
spiegato che le ricorda il mare.
-
Posso spogliarmi da solo. - Borbotta, vagamente conscio di quali
siano le intenzioni di Achille. Ma lui lo aiuta comunque, senza il
minimo timore di risultare invasivo – timore che in ogni caso
sarebbe infondato – e dimostrando una delicatezza commovente
quando le sue dita sfiorano i lividi disseminati sul corpo troppo
piccolo e troppo giovane di Patroclo. Ha solamente sedici anni, ma la
sua pelle è segnata di piccole cicatrici bianche e rosa che
Achille già conosce, e che ogni volta vorrebbe non aver mai
conosciuto. Di quelle Patroclo si vergogna – lo sa perché
ha cercato di nascondergliele, le prime volte che hanno fatto
l'amore. Ma sono troppe; nessuna di loro è visibile quando
Patroclo è vestito, e Achille prova una strana sensazione nel
rivederle. Come se ognuno di quei segni fosse un segreto che solo
loro condividono – come se ogni cicatrice fosse ben più
della testimonianza della violenza cieca e senza senso di Menezio;
come se Patroclo lo avesse legato a sé, dandogli il diritto di
guardare quella parte di sé di cui più si vergogna.
Achille
aiuta Patroclo ad entrare nella vasca sostenendolo per le braccia e
aiutandolo a sedersi nei pochi centimetri d'acqua tiepida, per poi
allontanarsi a prendere una spugna. Gli occhi di Patroclo sono
rivolti verso il basso, vuoti e spenti; la sua bocca è una
linea sottile priva di qualunque espressione. Achille si scopre a
odiare quel suo stato, e a desiderare di scuoterlo per le spalle e
svegliarlo da quella trance; sospira piano e si prepara a farlo nella
maniera più delicata che il suo carattere irrequieto gli
concede, inumidendo la spugna e poggiandola sulle spalle puntellate
di lentiggini del ragazzo più basso. Patroclo trema appena a
quel tocco, e chiude gli occhi per assaporarla appieno, tracciando
mentalmente il modo in cui la mano di Achille si sposta sulla sua
schiena, lavando via la pioggia e il dolore. La spugna raggiunge le
sue scapole, passa sul suo collo; Patroclo inclina la testa di lato e
Achille strizza la spugna in quel punto, e rivoli d'acqua scivolano
sul suo petto ricongiungendosi all'acqua tra le sue gambe aperte.
Achille
si sposta sul fianco della vasca e Patroclo si volta a guardarlo. Si
è rimboccato le maniche della maglia indietro ed è in
ginocchio, e lo supera comunque in altezza. Per qualche motivo
vederlo così concentrato a cancellare via dal suo corpo i
lividi muove qualcosa in lui – un singhiozzo rompe il suo
petto, distrugge ogni certezza di potercela fare senza dimostrare
ulteriore debolezza; ha già pianto molto quella sera, ma
riprende a farlo gettando le braccia nude al collo di Achille,
sentendo i capelli contro la pelle dei propri avambracci mentre lo
stringe a sé. Achille lascia che pianga senza dirgli che tutto
andrà a posto, che tutto si sistemerà; perché sa
quanto lui che sarebbe una bugia, e che non è quello ciò
di cui ha bisogno. Patroclo ha bisogno di silenzi e sussurri, e
carezze sulla fronte; ed è quello che Achille gli dona,
allontanandolo appena da sé per guardarlo negli occhi scuri.
Un pollice carezza la tempia dolorante – è lì che
Menezio l'ha colpito per la prima volta. Lo ha sorpreso mentre
cercava di uscire di casa per sfuggire a una furia ubriaca; al primo
colpo è seguito un calcio allo stomaco, e insulti che Patroclo
nemmeno ha udito. Ha avuto tempo per imparare che in quei momenti la
cosa migliore da fare è pensare ad altro.
Gli
occhi di sua madre che tremano appena mentre si siede accanto al suo
letto nella clinica e le racconta la sua giornata. La felicità
folle provata nel richiedere la borsa di studio per l'università.
Il modo in cui ogni espressione si cancella dal volto di Achille
quando corre, e il modo in cui la gioia e l'amore rifioriscono su
quei lineamenti perfetti quando si volta a chiedergli il tempo.
-
Patroclo. -
La
voce di Achille lo riporta alla realtà. Ha le dita strette con
dolcezza attorno ai capelli alla base del suo collo, ora; lo guarda
con quel suo maledetto sguardo che lo fa sentire unico, meritevole di
un amore che in realtà non capirà mai perché
Achille abbia deciso di donare a lui – e che si vanta di
possedere solo nel privato dei suoi desideri più intimi.
-
Sì? -
-
Non mi hai detto se saresti rimasto qui con me. -
-
Rimarrò. -
-
Stanotte stessa? -
-
Sì. -
-
E poi per quanto? -
Patroclo
attende un momento. Il momento necessario a tuffarsi nel coraggio che
Achille gli infonde, per pronunciare quelle parole. - Per sempre. -
Le
labbra di Achille si infrangono contro le sue ed è troppo –
sarebbe troppo per chiunque. Com'è possibile sentirsi così
completi e forti per un gesto così semplice e banale? Che
diritto ha di dargli tanta stabilità senza volere nulla in
cambio? Con quale coraggio cerca il contatto con la sua pelle e
stringe le sue dita fragili con le proprie, senza farsi beffe del suo
essere così piccolo e livido e incapace?
Patroclo
si pone tutte queste domande e molte altre nell'arco di un secondo,
quello che precede l'abbandono totale di ogni ansia e preoccupazione
e ogni realtà che vada oltre le labbra che lo stanno baciando
e il verde che brilla da sotto le palpebre non del tutto chiuse. Le
braccia di Achille lo sollevano per la seconda volta quella sera, e
per la seconda volta Patroclo si stringe a lui senza smettere di
baciarlo, l'acqua che scivola via dal suo corpo e macchia il
pavimento altrimenti lindo. A nessuno dei due importa.
Achille
lo lascia cadere sul suo letto ed è un gesto familiare,
abbastanza perché un sorriso faccia capolino sulle labbra di
Patroclo mentre rimbalza sul materasso e Achille lo segue, facendolo
ondeggiare un altro po'. Poco importa che abbiano diciassette anni;
per entrambi stare con l'altro annulla ogni convenzione dettata
dall'età, ogni responsabilità. Davanti ad Achille,
Patroclo può fingere che i problemi non esistano; a Patroclo,
Achille può parlare di quei rari dubbi che lo affliggono e lo
rendono umano. Un braccio di Achille si posa sul materasso accanto al
fianco sinistro di Patroclo, l'altro accanto al fianco destro.
Achille lo bacia di nuovo e di nuovo lo intrappola in un circolo
vizioso fatto di dubbi che arrivano e vengono portati via dalla
marea; è a causa delle sue lacrime che il bacio sa davvero di
sale, almeno per quella volta.
Poi
crollano, le teste vicine sui cuscini e i corpi intrecciati, tanto
uniti da sembrare una cosa sola. Achille è vestito, Patroclo
no; e il biondo si affretta a svestirsi e poi alzare le coperte su
entrambi, provocando un secondo sorriso al più basso.
-
Avremmo potuto rivestirci entrambi. -
-
Così è più bello. - Mormora Achille, e le sue
dita tornano a giocare con capelli scuri e mossi. - Domattina i
lividi saranno già sbiaditi. -
Patroclo
annuisce. - Sì. -
-
E il giorno dopo, ancora un po' di più. -
Patroclo
annuisce nuovamente. La sua gamba si solleva su quella di Achille. -
Sì. -
-
E un giorno. - La voce di Achille trema, quasi stesse sforzandosi di
contenere la felicità. - Un giorno saranno scomparsi del
tutto. -
Patroclo
affonda nel cuscino. Il sonno lo assale sempre più, e quasi
spera di non sognare Achille e il suo corpo illuminato dalla luce del
mattino; sarebbe solo una pallida imitazione dello spettacolo che lo
attende la mattina dopo. E quella dopo. E quella dopo ancora. “Per
sempre”.
-
Sì. -
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Sono
così poco abituata a postare al di fuori dei miei fandom che
mi sale l'ansia da prestazione – più del normale, gulp.
E vabbè.
Ho
da poco finito di leggere La Canzone di Achille (*crying whale noises
in the background*); la mia intenzione era di scrivere una fan
fiction ambientata nel canonverse, ma alla fine ho passato la serata
a bombardare (ed essere bombardata) di headcanon la mia
bae/partnerdivitaetero e...abbiamo concepito questa modern!AU in cui
Patroclo e Achille abitano nello stesso vicinato, Pat ha un rapporto
col padre che quasi il canon invidia e Achille è..beh,
Achille. Coi genitori che vivono separati in casa e Teti che è
una meraviglia per gli occhi e per il cuore (sia mai che mi sfugga
un'altra os su questo stesso universo vedrò di inserirla).
Spero
abbiate apprezzato! Anche in caso contrario, mi piacerebbe sapere
cosa pensate della storia, cosa vi è piaciuto e cosa no.
Grazie per aver letto!
-
Joice
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