capitolo2
Capitolo 2
Nel quale si incontrano due bionde
Il giorno seguente ero curiosa di sapere cosa avesse
combinato Claudia con la sua aragosta.
Arrivai in aula e raggiunsi subito il mio gruppetto di
amiche. Non so cosa farei senza di loro. Mi sento già sufficientemente persa in
università. Senza il loro conforto psicologico non saprei organizzarmi.
Perché io ho fatto un grave errore, in università. Ho
commesso una sciocchezza pressoché imperdonabile.
Mi sono iscritta.
Il problema è abbastanza semplice, ma non per questo meno
importante. Non mi dispiace l’ambiente, apprezzo la compagnia, imparo persino
qualcosa nel frequentare le lezioni. Il vero punto dolente, come si può
facilmente capire per sottrazione,
sono gli esami. Come quel tale che sosteneva che la sua vita era andata a
gonfie vele fino al giorno in cui era nato, anch’io dico che in università va
tutto alla perfezione fino a quando non arriva la sessione d’esame.
Del resto, non posso darmi all’ippica perché il settore è in
crisi e comunque non sono appassionata di animali. L’unica che si darebbe
volentieri all’ippica è proprio Claudia. Neanche a farlo apposta, il suo
bestiario personale comprende anche un cavallo. Quanto alle braccia rubate
all’agricoltura, mi sono informata e ho scoperto che non è questione di braccia
perché al giorno d’oggi il lavoro nei campi si fa con i trattori. Chi sa
guidare un trattore? Io no di certo!
Quindi è comunque più adatta a me la vita della studentessa
in università. Se non esistessero gli esami, o se fossero anche semplicemente
più facili, tutto sarebbe perfetto.
Dicevo, dunque, che avevo raggiunto subito le mie amiche,
compagne di scorribande nonché supporto psicologico.
Ovviamente il giorno prima avevo diffuso la voce. Avevo
raccontato a tutte dell’aragosta sottratta ad una patetica morte in pentola e
quindi non ero la sola ad aspettare con ansia l’arrivo di Claudia.
«Ciao ragazze» dissi.
«Ehilà!»
«Ciao!»
«Oh, guardate, oggi Stefania si è vestita da donna.»
L’ultima spiritosaggine era di Alice.
«Ah, è così? E di solito da cosa mi vesto?»
«Sei diventata pure permalosa!»
Incrociai le braccia e aggrottai le sopracciglia.
«Non è la prima volta che metto la gonna!»
«In questo secolo… sì.»
Tre a zero per Alice. Vorrei dire che detesto quando le mie
amiche fanno così, ma in verità mi diverto troppo con loro per offendermi.
«Sei carina, Stefania.»
«Grazie, Candida.»
Feci la linguaccia ad Alice, che mi rispose con una smorfia.
Mi fecero posto e sedetti vicino a loro, tutta soddisfatta
per la mia gonna fashion. Perché
Alice scherzava.
«Dov’è Claudia?»
«Probabilmente è a caccia di aragoste» rispose Sofia, che
era accanto a me.
«Pescarle costa meno che comperarle» replicai.
La nostra animalista non era ancora arrivata. Quando
frequentiamo insieme di solito sediamo vicine, o comunque non manchiamo mai di
fare quattro chiacchiere prima o dopo la lezione.
Tirai fuori dalla borsa il blocco degli appunti e una
matita. Io scrivo quasi sempre a matita. Essenzialmente la uso perché si può
cancellare, in realtà non cancello mai niente. Non c’è ragione di modificare o
correggere gli appunti. Anzi, a volte il tratto della matita si scolorisce da
solo e mi ritrovo con fogli mezzi bianchi semi illeggibili. È controproducente
scrivere in questo modo e lo so bene, ma non riesco a farne a meno. Dovrei
farmi analizzare da qualche psicologo esperto in linguistica e scienza dell’apprendimento.
Avrebbe un bel da fare, con me.
Alice e Candida avevano già davanti i loro quaderni, Sofia
aveva appoggiato i gomiti sul ripiano vuoto. Lei prende appunti solo in casi
estremi. Vederla scrivere a lezione è raro quasi quanto vedere me con la gonna.
A dispetto di quello che sostiene Alice, nella bella stagione metto gonne
abbastanza di frequente, mentre Sofia scrive poco comunque. Dice che ha bisogno
di sistemare le informazioni a modo suo nella sua testa. Il suo metodo di
studio è inspiegabile. Ne parlerò nei dettagli, uno dei prossimi giorni. Da
quello che ho capito, lei memorizza qualsiasi cosa senza bisogno di fissare su
carta. Io non mi ricordo neanche quello che scrivo sul blocco degli appunti. Se
il tratto di matita si scolora potrei anche non riconoscere la mia scrittura.
Dicono che i pesci rossi abbiano memoria solo per gli ultimi cinque minuti di
vita. Ecco, io ho la memoria di un pesce rosso sbadato. Sofia, invece, ha una
specie di registratore nel cervello.
Claudia entrò in aula di corsa, ci vide e ci raggiunse.
«Ciao ragazze! Oh, Stefania, come siamo carine oggi! Ehi,
bionde, fatemi spazio per favore.»
A questo punto noi dovevamo sapere.
«Come sta Agenore?»
Lei sollevò un sopracciglio. Claudia è molto carina ma non è
brava col linguaggio dei gesti, quel sopracciglio poteva significare qualsiasi
cosa.
Io spalancai gli occhi, Sofia abbozzò un sorriso, le bionde
girarono la testa incuriosite.
Devo specificare che Alice e Candida hanno veramente i
capelli biondi, quindi se facciamo riferimento alle “bionde”, non è uno dei
soliti scherzi, parliamo di loro per forza. Sofia, invece, ha i capelli castani
tendenti al rosso, Claudia è castana con una sfumatura scura.
Anche nel colore degli occhi c’è molta varietà. Sofia e
Candida hanno occhi azzurri, Alice verdi e Claudia marroni.
Ho già raccontato del mio più grande problema in università.
Il mio secondo più grande problema è
di non aver trovato delle semplici amiche, ma di essere finita in un gruppetto
di fotomodelle. Sono anche mie amiche, ovvio, ma tutt’e quattro sono belle in
maniera imbarazzante. Candida potrebbe fare la modella, alta com’è, bionda e
con gli occhi azzurri, Alice è meno vistosa ma è incantevole, Sofia è alta
quanto Candida, è snella e ha un sorriso fulminante – oltre che un’intelligenza
straordinaria – Claudia è molto bella, la tipica ragazza mediterranea. Manca
qualcuno? In effetti sì. Infine ci sono io, il brutto anatroccolo della
situazione.
In un gruppetto di ragazze bruttine potrei anche fare la mia
figura, ma con loro sono rassegnata ad essere l’amica meno popolare, come
dicono gli americani. Però sono simpatiche, gentili, mi prendono per come sono
e per questo voglio loro molto bene e non cambierei loro quattro per nessun’altra.
Dicevo che Claudia aveva sollevato un sopracciglio.
«Allora, come sta Agenore?» ripetei.
|