Nei tuoi occhi vedo questi rami, che si annodano, crescono, e avvolgono ogni cosa. Sto appollaiata lì sopra, riflesso di me stessa. Coccolo tutti quei fiori che mi sommergono, li accarezzo con lo sguardo.
Crescono. Si colorano, i petali si allargano, mi circondano col loro calore.
Le mie labbra tremano.
Vorrei guardarmi i piedi, sembra che si siano inabissati, molto, molto lontano.
Vorrei torturarmi le mani, ma sembra che si siano piantate bene nelle mie tasche.
Vorrei baciarti.
Non ci sono ansie o paure, è un bacio fugace. Strappato al tempo. Strappato a tutto ciò che lo impedirebbe, a tutto ciò che è contrario. Un bacio che non dovrebbe esistere. Un bacio durato qualche secondo, ma più del dovuto.
Le labbra, stavolta certe, che si cercano e per pochi istanti si riconoscono, è il tempo di un respiro, una sfida alla distanza che continua a separarci.
Quel bacio è l’unico ponte che regga fra le nostre mani timide e i le nostre guance rosee.
Un respiro profondo, e quando apro gli occhi di nuovo, la condensa mi appanna la vista e le dita si stendono, congelate.
Pian piano ricompare la strada, ricompaiono le case e le altre persone. Il tuo volto si riempie di squisiti dettagli. Suoni e chiacchiere sbocciano ovunque. Ma tra di noi resta un silenzio pieno di complicità, e consapevolezza.
Ed è quello che ci resta, poi, quel silenzio così pieno.
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