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Questa fic doveva partecipare al contest Naruto on Movie indetto da Matta_Mattuz,
annullato per mancanza di partecipanti.
La
fic è tratta dal Signore degli Anelli ed è ambientata prima del Consiglio di
Elrond in un luogo lontano. Diciamo che per la pace della terra di mezzo tutti
lavoravano ù.ù non solo vicino ad Aragorn.
Il nome che usa Shikamaru, Aras, significa in
elfico Cervo ù.ù
Spero vi piaccia!
Vedere L'Alba Con Te
“ Chi siete e che affari vi portano qui nella Cittadella Bassa di Minas Tirith?”
Voce gracchiante e roca, seccata per quella brusca interruzione della quiete
serale da parte di un viandante.
Gli occhi cristallini del vecchio uomo lo scrutarono in attesa di risposta.
Già sapeva che avrebbe mentito.
Una delle principali regole non scritte di quella Terza Era riguardava il
preservare la propria identità. Di quei tempi, avere un nome anche solo
vagamente simile a quello di un membro della famiglia reali poteva significare
molte cose particolarmente negative.
Ciononostante, attendeva una risposta da quel giovane dall’aspetto trasandato,
il cui viso era coperto da un logoro cappuccio bagnato dalle intemperie che
avevano inondato in quegli ultimi giorni il regno.
“ Aras. E i miei affari sono ovviamente miei.”, rispose con tono altrettanto
seccato il giovane viaggiatore.
“ Non si scaldi. Faccio solo il mio lavoro.”, rispose il guardiano, aprendo
l’ampio cancello in legno che dava alla parte più bassa e infima di Minas Tirith.
Un tempo, quella era la dimora dei contadini quando a regnare vi era il Re, ma
con l’inizio del regno dei Sovrintendenti tutto era caduto nell’ombra.
Un regno che doveva essere provvisorio si era quasi tramutato in permanente e
l’orgoglio che un tempo risiedeva nella Cittadella Bassa ormai era ormai formato
dalle prostitute che rallegravano le locande.
Locande che Aras avrebbe dovuto visitare.
Tutti coloro che entravano a Minas Tirith in quegli ultimi tempi erano guidati
da affari in quanto nessuno, sano di mente, avrebbe scelto come meta uno dei
luoghi più vicini a Mordor se non per affari.
Il giovane percorse le umide stradine illuminate da fievoli lanterne.
Al suo naso giungeva il leggero profumo della terra bagnata.
Dolce e rilassante.
Era una delle cose che più amava al mondo e lui amava ben poche cose.
Scrutò con occhi seccati le insegne delle varie locande.
Doveva incontrarsi con un informatore di un suo compagno.
Delle ombre si muovevano a Mordor e si vociferava che alla Contea, il territorio
degli Hobbit, fosse riapparso l’Unico Anello.
C’era chi temeva quel potere e chi invece lo bramava.
E chi, come lui, non aveva alcun interesse se non quello che venisse distrutto
per venire lasciato in pace.
Era dura la vita del Ramingo e c’era chi era tagliato, come Kiba Inuzuka, che
amava i lunghi viaggi e la vita nomade e chi, invece, era stato costretto a
scegliere quella via.
Lui, era l’esempio di come rifiutare la mano di una principessa potesse metterlo
in serio pericolo.
Non aveva mai amato la principessa Ino e mai sarebbe riuscito a farlo.
Troppo luminosa e pretenziosa.
Certo, era bella, ma lui non poteva desiderare la donna scelta da qualcun altro
e, ovviamente, aveva rifiutato,
La conseguenza?
La fuga.
Non tanto da Ino e da suo padre, arrabbiati per quell’affronto, ma più che altro
da sua madre che aveva visto un’occasione d’oro per avere un titolo nobiliare
andare in fumo.
Per quello era diventato un Ramingo e sempre per quello aveva nascosto il suo
nome, Shikamaru Nara, dietro quello di Aras.
Uno sbuffò abbandonò le sue labbra imbronciate mentre i suoi occhi leggevano
l’ennesima insegna.
“ Dannato Kiba. Una locanda più vicina, no?”, borbottò poco prima di venir
attirato dalle parole, intagliate nel legno, di un cartello: ‘ La
Locanda della Cagna’.
Già dal nome era facilmente intuibile a cosa sarebbe andato incontro e si
ritrovò di nuovo a maledire l’Inuzuka e il suo inesistente gusto.
Certo, in un luogo malfamato come quello lui e l’informatore non avrebbero avuto
problemi per discutere data l’alta quantità di ubriaconi ma avrebbero avuto
alle calcagna ben altri tipi di seccature.
Posò la mano nella rovinata maniglia del locale e, spingendola, non riuscì a non
trattenere un ansito di fronte al potente odore di erba pipa e birra
che aleggiava all’interno.
Si fece forza, ben conscio che si sarebbe presto abituato, e si appoggiò ad un
logoro bancone dove una donna dall’aspetto giovane ed un succinto abito rosso,
che metteva in risalto il suo abbondante seno senza però essere volgare, si
apprestò per aiutarlo.
“ Buona sera.”, un suadente sorriso spiccava tra le sue rosse labbra. “ In cosa
posso esserla utile? Una camera? Compagnia?”
Shikamaru si abbassò il cappuccio, mostrando lunghi capelli castani ancora umidi
per il piovoso viaggio che aveva sostenuto.
Ignorò volutamente lo sguardo d’apprezzamento della donna e cercò di trattenersi
dal richiedere una stanza.
Non era lì per riposare, doveva solo aspettare che l’informatore che aveva
contattato Kiba si facesse vivo.
“ Solo un tavolo, mia dama.”, rispose assumendo un tono forzatamente educato.
“ Saremo a sua disposizione.”, dichiarò lei, facendolo accompagnare ad un tavolo
da una ragazza dai capelli di un rosso sbiadito.
Aveva in volto un’espressione seria e gli occhi, smeraldi, lanciavano
riprovevoli occhiatacce a chi osava allungare le mani su di lei senza
autorizzazione sfiorandole il rosso abito che indossava.
Era una donna forte e autoritaria, carina ma non spiccava tra le altre bellezze
che servivano ai tavoli.
“ Volete una birra?”, domandò.
Il Ramingo assentì, non doveva sembrare sospetto agli occhi degli altri ospiti.
“ Mezza pinta.”, precisò sedendosi.
I suoi occhi iniziarono velocemente a percorrere la sala.
Uomini e stupende donne si scambiavano ardenti sguardi, altri si allontanavano
in stanze private e da lì gemiti, risa e suoni gutturali che si levavano
nell’aria intrisa di sesso, alcool e fumo.
Sarebbe stato difficile riconoscere l’informatore dato che aveva solo una
sommaria descrizione e sperava vivamente che Kiba fosse stato più preciso con
l’altro.
“ Signore.”, una accattivante voce lo distolse dai suoi pensieri e si volse
verso una nuova donna.
Bella.
Non c’erano altre parole per definirla.
Capelli color dell’oro.
Occhi del mare più profondo.
Perfetta pelle liscia.
Corpo formoso e atletico.
Sfortunatamente era una bellezza dannatamente volgare.
“ La vostra birra.”, osservò senza batter ciglio i suoi movimenti volutamente
sensuali.
Lenta si era abbassata per posare la pinta e mostrare il prosperoso seno che
pareva scoppiare in quel succinto abito blu scuro, accuratamente stretto appunto
per giungere a quell’effetto.
“ Il mio nome è Temari e se volete... mi unisco a voi.”
Lo guardò senza pudore dritto negli occhi ammiccando.
Volgare.
Non era più bella.
Quel suo muoversi.
Quel suo sorrisetto sicuro.
E quel suo sedersi al suo tavolo alzando la gonna per mostrare le lunghe gambe
che, sensualmente, accavallò.
Era volgare.
“ Quali affari vi portano in questa locanda?”, domandò Temari, leccandosi appena
le labbra tinte di rosso.
“ I miei.”, rispose Shikamaru, allungando la mano sulla pinta.
“ Che caratterino. Sei veramente così o è solo una facciata?”, il tono della
donna cambiò appena, più diretto e canzonatorio. “ Magari sei uno di quegli
uomini che alla prima occasione vanno a piangere dietro le sottane della madre.”
Nessuna donna di buon nome avrebbe mai osato rivolgersi in quel modo ad un uomo.
Solo le prostitute avevano quel diritto.
Il Ramingo però iniziò a sorseggiare lento la birra, assaporando il dolce sapore
dell’alcool che gli scivolava lungo la gola.
Doveva ignorarla.
Dimostrarsi non interessato alle sue attenzioni e poteva anche farlo se la
donna non si fosse messa a cavalcioni su di lui, strusciando - sicuramente non
casualmente - il bacino contro il suo.
Shikamaru rabbrividì appena.
“ Sei così codardo da non mostrarmi la tua virilità?”, domandò la donna,
leccandogli l’orecchio.
Un lungo brivido lo scosse e, con fermezza, le posò una mano sulla spalla.
“ Signorina, se pensa di eccitarmi con gli insulti si sbaglia.”, dichiarò. “ Con
gli altri uomini può funzionare... ma per me è solo una seccatura.”
Temari strinse le labbra in una smorfia offesa e, di gran carriera - muovendo le
anche in modo fin troppo accentuato per essere definito sensuale -, si
allontanò.
“ Temevo non se ne andasse più.”
Un’altra voce bloccò Shikamaru e un uomo alto, ammantato da un mantello verde
scuro, si fece avanti.
“ Lei è il compagno di Kiba Inuzuka.”, era un’affermazione e non una domanda.
Era decisamente sicuro di sé, forse il suo compagno era stato decisamente più
preciso con l’informatore, dato che a lui aveva detto un sospirato: “ Ne
rimarrai incantato... è una creatura celestiale.”
E, anche se di celestiale in quel momento aveva ben poco, un qualcosa gli
diceva di fidarsi.
“ Sì.”, confermò.
“ Gradirei parlarle nel mio alloggio qui sopra.”
Shikamaru si alzò posando la pinta ormai vuota sul tavolo.
“ D’accordo.”
Poco dopo, facendo slalom trai tavoli - dove la prostituta di poco prima sveva
trovato consolazione in un giovane uomo dai capelli scuri e folte sopracciglia
-, salirono nelle stanze della locanda.
Il Ramingo non poteva fare a meno però di notare la luce che l’uomo
pareva emanare.
Nonostante il suo serio aspetto oscuro, attorno a lui aleggiava un luminoso
calore.
Lo osservò con attenzione aprire una porta e fargli cenno di precederlo.
Ubbidì subito scrutando la stanza dove, con sommo stupore, vide una giovane Dama
seduta accanto al fuoco scoppiettante del caminetto.
Al contrario di Temari, niente in quella donna era volgare.
Il viso, chiaro e liscio, era incorniciato da lunghi capelli corvini.
I suoi occhi color delle fredde acque del nord fuggirono subito al suo curioso
sguardo e il suo dolce ma maturo corpo era fasciato da un elegante abito dai
colori azzurri.
Era... luminosa.
“ Lei è mia cugina, la Principessa Hinata.”, ancora una volta la voce
dell’informatore lo riscosse. “ L’ho portata con me in quanto il nostro segno a
nord di Bosco Atro non è più sicuro.”, spiegò brevemente liberandosi del
mantello, mostrando un fisico giovane ed atletico.
Aveva un viso bello e regale, accompagnato da una folta e scura chioma.
Poi gli occhi, simili a quelli della cugina ma più seri e gravi.
Nonostante ciò era bello.
Non sapeva in che altro modo definirlo se non celestiale, come aveva
detto Kiba.
“ Il mio nome invece è Neji e vi porto tristi notizie per quanto riguarda Gollum.”
Il Ramingo si mise subito all’ascolto.
Prima aveva le informazioni meglio era.
Non voleva far aspettare Grampasso e, inoltre, non voleva rischiare che la
prostituta cercasse di ammazzarlo nel sonno.
Voleva andarsene.
“ È morto?”, domandò.
“ No. L’abbiamo ritrovato gravemente ferito dalle torture delle prigioni di
Mordor. L’abbiamo curato con le nostre arti ma... è fuggito.”, abbassò appena il
capo, come se quella fuga fosse causa sua. “ La sua anima era troppo inquieta
per stare in quei luoghi.”
“ Siete riusciti a ghermire informazioni da lui?”
Neji scosse la testa.
“ Le uniche parole che sussurrava e gemeva erano Tesoro, Contea e
Hobbit. Cose che già tutta la Terra di Mezzo interessata all’Anello
conosce.”
“ Esatto.”, assentì assumendo un’espressione pensierosa. “ Non c’è altro che
possa esserci utile?”
“ Da noi, temo di no. E anche queste notizie sono inutili.”
“ Come?”
“ Il Principe Legolas è partito alla volta di Rivendell e prendo incontrerà il
Ramingo che voi chiamate Grampasso.”
Shikamaru restò un attimo interdetto.
“ E allora, che ci faccio qui?”, domandò visibilmente seccato.
Aveva fatto un viaggio lunghissimo inutilmente forse?
“ La vostra presenza qui non è vana.”, rispose Neji, scostando appena una ciocca
di capelli dal suo viso, mostrando le classiche orecchie appuntite della
famiglia degli Elfi. “ Abbiamo bisogno di altre informazioni che solo lei può
donarci.”
“ Io?”
“ Secondo Kiba lei è il più intelligente del vostro gruppo di nomadi.”
“ Confermo.”, borbottò.
“ Sarò breve. Nelle biblioteche di Minas Tirith ci sono dei documenti che
possono esserci utili. Chiedere al Sovrintendente è come andare in pasto agli
animali feroci. Lui vuole il potere dell’Anello per sé per non restituire il
trono all’Erede di Isildur.”
Il Ramingo assentì.
Bene o male aveva già compreso che doveva fare e, come spiegò successivamente
l’Elfo doveva solo intrufolarsi nelle biblioteche, leggere e imparare a memoria
qualche scritto e tornare a riferirglielo.
Niente di più semplice.
Faticoso e seccante, certo, ma era allettante l’idea di poter finalmente trovare
un po’ di pace dopo quella missione.
Così, abbandonati i due Elfi, andò alla volta della parte alta di Minas Tirith.
Approfittando della fitta coltre di nebbia dovuta alla crescente umidità e
all’oscurità della notte riuscì senza troppe fatiche a superare tutti gli anelli
della Cittadella fino a giungere al suo obiettivo.
Scese le oscure scale che conducevano alle biblioteche attento a raccogliere
ogni suono e pericolo, e subito i suoi occhi notarono un qualcosa di fuori
posto.
Nella biblioteca, che di norma doveva essere deserta, stava una candela accesa.
Sola.
Su una scrivania piena di fogli.
Restò immobile e, non notando movimenti, si convinse che quella fosse solo una
semplice dimenticanza e si apprestò a spegnerla.
“ M-mi scusi... la biblioteca a q-quest’ora è chiusa...”
Una vocina, fine e un poco spaventata, bloccò ogni suo gesto, mentre i suoi
occhi scorrevano sulla figura femminile che, carica di libri, era apparsa da
degli scaffali.
Non vi prestò molta attenzione, la prima cosa che gli era balenata davanti agli
occhi era: “ Sono stato scoperto.”
Era nei guai.
Quella giovane dama poteva farlo catturare e tutti i suoi sforzi e la tanto
sudata pace che stava cercando di conquistare... sarebbe tutto sparito.
Trasse un leggero sospiro e, guardandola serio, provò a mentirle.
“ Ho visto la candela. Temevo bruciasse qualcosa. Non intendevo disturbarla, mia
Dama.”, rispose cavallerescamente, apprestandosi a toglierle gran parte del peso
dei libri.
Doveva darle l’impressione di essere una persona sicura e pratica.
Doveva rassicurarla.
“ G-grazie... nessuno si era mai preoccupato...”, mormorò imbarazzata, ritirando
dietro l’orecchio un ciuffo dei suoi capelli fulvi.
Shikamaru allora si permise di studiarla.
Non era né abbagliante come Hinata, la cugina di Neji, né volgare
come la prostituta.
Il suo aspetto era semplice e trasandato, vestita con un semplice e chiaro
vestito da contadina - forse usato per essere più comoda tra tutti quei libri.
La sua pelle inoltre era lattea, quasi in contrasto con i capelli arruffati,
mentre i occhi erano azzurri.
Chiari. Non scuri e persi come quelli di Temari.
Non era una bellezza che rimaneva impressa ma in lei c’era un qualcosa che
poteva attrarre un attento osservatore come Shikamaru.
“ Strano. Questo è il cuore di Minas Tirith.”
La donna arrossì appena mentre sorrideva.
“ Vero. Senza questa biblioteca tutta la storia della Terra di Mezzo andrebbe
persa. Peccato a che molti non interessi.”
Parlava e il suo viso prendeva colore e passione.
Lei amava quel luogo e il Ramingo lo sentiva.
Sentiva il suo affetto per tutte quelle scartoffie.
Era così grande che sicuramente poteva approfittarne per apprendere tutte quelle
nozioni, però... non voleva.
Poteva prendersi gioco di lei, adularla, e convincerla ad aiutarlo ma non
voleva.
Non davanti a quegli occhi felici.
Non nel regno di quella Dama.
Voleva essere sincero.
“ Mi scusi... mi può dire il suo nome?”
“ S-shiho...”
“ Bene, Shiho.”, le sorrise. “ Ti dirò la verità. Sono un Ramingo ed ero qui per
prendere delle informazioni utili all’Erede di Isildur.”, spiegò serio.
“ Aragorn?”, domandò prontamente la giovane Donna. “ L’albero genealogico dice
che è lui l’ultimo sopravvissuto.”
“ Non lo conosco.”, tagliò corto, nascondendo un sorriso per la prontezza di
Shiho. “ Ma cerco informazioni. Mi vuoi aiutare?”, domandò guardandola serio
facendola sussultare.
Nessuno l’aveva mai guardata in quel modo.
Anzi, nessuno l’aveva mai presa in considerazione.
“ I-io...”
“ Non voglio sfruttarti. Ma c’è di mezzo il destino di questa Terra.”
“ M-mi fido... s-signor...?”
“ Shikamaru.”, era stato semplice dirle la verità anche di fronte al suo nome.
Semplice.
Fin troppo.
Significava forse qualcosa?
Aveva forse un senso che quella giovane donna fosse normale... come lui?
Forse sì, o forse no.
Non lo sapeva, almeno per il momento.
“ Sì... la a-aiuterò”
E senza altri indugi, seduti con le spalle che si sfioravano e i respiri che si
mischiavano, iniziarono a lavorare.
“ Ma-mastro Shikamaru... è mattina ormai...”, sussurrò la Dama, interrompendo la
lettura dell’uomo.
“ Come? Mattina?”, la guardò allarmato.
Se lo trovavano lì per lui era la fine.
“ Sta sorgendo il sole...”
Il Ramingo si guardò attorno senza vedere una fonte di luce esterna.
“ Sono abituata a capire quando qui a Minas Tirith tutto prende vita...”, spiegò
imbarazzata. “ Ma dovete andare via.”
L’uomo tacque.
Sì, era quello che stava pensando ma...
“ Vieni con me?”, domandò guardandola negli occhi.
Era stato diretto e sicuro.
Voleva che Shiho vedesse l’alba con lui.
Voleva che vedesse il tramonto.
Le nuvole e la pioggia.
Voleva che restasse in sua compagnia.
Non sapeva il perché ma in quel momento una vecchia poesia elfica che Grampasso
era solito citare gli tornava in mente.
Quella degli innamorati e delle loro anime.
Forse, quelle poesie non erano tutte una stupidaggine.
“ N-non vorrei e-essere...”
“ Ti sto invitando io Shiho.”
La guardò ancora, parlandole con gli occhi.
Doveva accettare.
Doveva farlo per lui.
La osservò arrossire e abbassare la testa.
“ S-sì... vengo.”
E solo quelle parole potevano rendere un uomo felice.
Più di qualsiasi bella gamba, viso o corpo.
La realizzazione dei desideri e la felicità del cuore ecco che cosa serviva.
Shikamaru sorrise e, prendendo il mantello, la condusse all’estero mentre l’alba
baciava tutta Minas Tirith con stanche ma tiepide labbra arancioni.
Era bello vedere l’alba in compagnia.
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