Empty Walls.
Prologue: Contact.
Kuroko
non aveva mai dato troppo ascolto a Midorima quando parlava di destino e
affini, tuttavia si ritrovò, a distanza di anni, a dover ammettere che forse la
sorte esisteva e che questa doveva avere un senso dell’umorismo abbastanza,
come dire, particolare.
Sentì
il borsone scivolargli dalla spalla, cadendo a terra con un tonfo sordo, ma non
gli prestò più che una scarsa attenzione, ripensando a tutti gli eventi che
l’avevano portato ad essere lì in quel momento.
Una
volta uscito dal liceo, passare l’esame d’ammissione per l’Università Imperiale
di Tokyo era stato molto difficile, ma non impossibile; decisamente più ostico
era stato trovare un appartamento che costasse poco, nei pressi dell’Università
e, soprattutto, dove potesse portare anche Nigou.
C’erano
voluti un paio di mesi, ma aveva scovato l’annuncio perfetto, un ragazzo che
affittava una camera. Avevano parlato al telefono ed aveva scoperto che anche
il ragazzo in questione frequentava la Todai, anche
se alla facoltà di Medicina e si erano dati appuntamento per quel pomeriggio,
in modo che Kuroko potesse vedere di persona la casa e cominciare a portare le
sue cose.
Questo era quanto successo, non
sembrava affatto l’inizio dell’apocalisse. Certo, quando avevano parlato al
telefono gli era sembrato che quel ragazzo avesse una voce conosciuta ma, adesso
che ce l’aveva davanti, non riusciva a credere ai suoi occhi.
Il ragazzo che gli aveva aperto
la porta era Hanamiya Makoto.
«Ma quanto è piccolo il mondo»
commentò Hanamiya, ironico, dopo un momento di silenzio tombale dove entrambi
valutarono l’altro e la situazione. Si poggiò allo stipite della porta scura,
tuttavia gli lasciò abbastanza spazio per entrare, quindi Kuroko raccolse il
borsone e il proprio coraggio e si fece strada all’interno dell’appartamento,
mormorando un “Con permesso” appena udibile.
Si guardò attorno, constatando
che quello in cui si trovava era un normalissimo appartamento, le pareti erano
tinte di colori chiari e accoglienti, l’ordine era quasi maniacale e non
c’erano poster di videogiochi o film splatter appesi ovunque, come si sarebbe
aspettato da un tipo come Hanamiya.
«Cos’è? Ti aspettavi di trovare
teste mozzate appese alle pareti come trofei di caccia?»
«Più o meno» non riuscì ad
impedirsi di ammettere, facendo ridere il più grande.
Con un sorrisetto degno del
migliore dei film horror, Makoto chiuse la porta, avendo cura di farla cigolare
il più possibile durante l’operazione e facendola sbattere all’ultimo con un
tonfo secco.
“Sta cercando di spaventarmi?” pensò Kuroko, per nulla
impressionato, “È evidente che non
conosce l’insana ossessione per l’horror di Riko-san e le serate film del Seirin”.
«Non ti preoccupare» esordì
Hanamiya, «Le teste le nascondo in cantina e gli scheletri nell’armadio».
Se Kuroko non alzò gli occhi al
cielo, borbottando un “Molto divertente, davvero”, fu solo grazie al suo
autocontrollo; restò in silenzio, con lo sguardo impassibile puntato su Makoto
e ciò fece intuire a quest’ultimo il proprio fallimento, qualunque fosse stato
il suo scopo.
«Strano, di solito funziona».
«Non mi dire, passi le giornate a
far scappare possibili coinquilini?»
«Di solito non mi spreco per possibili coinquilini, ma per
coinquilini effettivi».
Kuroko inarcò appena le
sopracciglia, «In questo modo non ti tocca pagare l’affitto doppio?»
Makoto lo superò e si lasciò
cadere sul divano in salotto, per poi sbuffare con aria quasi infastidita,
«L’appartamento è di mia madre, non mi fa pagare l’affitto. Ma è assurdamente
convinta che avere un coinquilino faccia bene ai miei “evidenti problemi di socializzazione”».
Prima che potesse impedirselo,
l’accenno di un sorriso divertito affiorò sulle labbra di Kuroko, decidendo
tuttavia di non far notare all’altro quanto fosse riduttivo parlare di problemi
di socializzazione, nel suo caso, «E immagino che tu esprima il tuo dissenso
cercando di far scappare chiunque osi condividere il tuo spazio vitale».
«Però, sei perspicace» borbottò
Makoto. Non ci fu bisogno che usasse un tono sardonico per far intuire la presa
in giro. «Ora, potresti anche risparmiarmi la fatica di escogitare qualcosa.
Sparisci, fantasmino, mi dicono che ti riesca piuttosto bene» aggiunse e fu un
grosso errore.
Se un attimo prima Kuroko aveva
pensato che non c’era modo che lui potesse condividere l’aria con un individuo
come Hanamiya, adesso era diventata una sfida e non era da lui arrendersi, per
nessun motivo.
Tetsuya alzò lo sguardo indolente
sull’altro e Makoto sarebbe stato pronto a giurare che per un solo istante gli
occhi del più piccolo avessero brillato della luce della beffa, «La mia camera
qual è?»
[…]
Un vecchio adagio della Teikou diceva che un Akashi preoccupato tendeva a diventare
possessivo e un Akashi possessivo era molto – molto! – pericoloso. Ecco perché
adesso Tetsuya si stava seriamente pentendo di aver raccontato a Seijuurou del
suo nuovo coinquilino.
«Ricordo di averti offerto di
venire a stare da me» gli fece notare, bevendo un piccolo sorso dalla sua tazza
di caffè e sbirciandolo appena da sopra di essa.
La caffetteria della Todai era così piena che era stato solo grazie alle
capacità persuasive di Akashi se avevano trovato un tavolino libero – per non
dire opportunamente liberato alla sola vista di Seijuurou – tuttavia la sua
voce era ben udibile al di sopra del frastuono, nonostante si fosse limitato ad
un sussurro.
«Ricordi anche che ho declinato
la tua gentile offerta?»
La smorfia contrariata dell’altro
sarebbe potuta bastare a confermare la sua ottima memoria, ma non gli era mai
piaciuto lasciare risposte in sospeso, «Sì, ricordo, ma adesso ti ritrovi a
vivere con un folle».
E qui Kuroko avrebbe potuto
trovare più che opportuno fargli notare che pochi anni prima ha quasi piantato
delle forbici in un occhio al suo attuale fidanzato e quello potrebbe essere
considerato a tutti gli effetti il comportamento di un folle e di conseguenza
Akashi sarebbe dovuta essere l’ultima persona col diritto di parlare sul fronte
“pazzia”.
«So a cosa stai pensando» lo
ammonì Seijuurou, puntandogli contro il cucchiaino con aria fintamente
minacciosa, «L’Imperatore non era il
fior fiore della sanità mentale, ma non andava in giro a spaccare ginocchia per
diletto».
«Devi ancora rendere le forbici a
Midorima-kun, vero?»
«Cos-?»
«Sai che, quando l’oggetto
fortunato del Cancro sarà di nuovo un paio di forbici, si arrabbierà molto?»
Le dita di Seijuurou
tamburellarono sul tavolino, sintomo della sua pazienza agli sgoccioli,
«Kuroko, non cambiare discorso. Piuttosto, spiegami ancora perché
improvvisamente ti è sembrata un’idea geniale andare a convivere con Hanamiya».
Tetsuya represse uno sbuffo
bevendo un sorso di frappè alla vaniglia, «All’inizio non sapevo che fosse lui»
precisò, perché per quanto la mente di Seijuurou fosse brillate, da un’ora a
questa parte tendeva a dimenticare in
continuazione quel piccolo particolare, «L’affitto è basso, l’appartamento
è a due passi da qua e posso tenere Nigou e sai bene
quanto sia difficile trovare un condominio dove permettono di tenere animali»
concluse, per poi tornare a dedicarsi al suo frappè.
«Anche casa mia è poco distante e
Nigou non sarebbe un problema» gli fece notare
Seijuurou, testardo almeno quanto l’altro.
Kuroko sospirò mentalmente,
chiedendosi per quante volte ancora avrebbe dovuto rifiutare l’ospitalità
dell’amico, «Akashi-kun, sei molto gentile, ma la mia risposta non cambia».
«Almeno c’è un motivo?»
«Sì, non ho bisogno di essere
protetto».
Lo sguardo di Seijuurou si incupì
appena e decise di appellarsi al più improbabile degli alleati, «A Kagami l’hai
detto?»
Tetsuya abbassò lo sguardo.
“Ah, colpito e affondato!” esultò Akashi nella sua mente.
«Non ancora» ammise l’altro,
passando l’indice sul bordo de bicchiere. Alzò di scatto lo sguardo verso
Seijuurou e il suo tono di voce fu mortalmente serio, «Ma glielo dirò io. Se
farai la spia, mi costringerai a non rivolgerti mai più la parola».
Akashi era pronto a giurare che
mai avrebbe spiattellato tutto a Kagami – e probabilmente avrebbe mentito
almeno un po’ – ma in quel momento entrò in caffetteria il vertice di tutta la
loro discussione, Hanamiya, che parlottava fitto con l’ex capitano del Touou,
Imayoshi Shoichi – o, meglio, Shoichi parlava e lui di tanto in tanto annuiva,
con aria quasi annoiata e le mani infilate in tasca, sembrava l’immagine stessa
della pigrizia.
Akashi si alzò in piedi,
ignorando le deboli proteste di Kuroko, «Hey, tu!» lo
chiamò.
Hanamiya inarcò appena le
sopracciglia, per poi indicarsi con il pollice, come a chiedere conferma che
Seijuurou ce l’avesse proprio con lui; ad un cenno affermativo da parte
dell’altro, le labbra di Makoto si aprirono in un ghigno strafottente e si
avvicinò ai due con passo lento e strascicato, per far innervosire ancora di
più Akashi. Già intuiva cosa volesse da lui, ma nulla gli vietava di divertirsi
un po’, giusto?
«C’è qualche problema?»
«Non proprio, ma sarai tu ad
avere parecchi problemi se farai qualcosa a Kuroko».
Subito, il ghigno crollò dalle
labbra di Makoto, lasciando il posto ad un’espressione tanto triste da far
male, «Io sono cambiato, anche se… nessuno mai ci crede… nessuno mi dà mai la
possibilità di dimostrarlo» mormorò, abbassando lo sguardo.
Kuroko si sporse appena verso il
ragazzo, «Hanamiya-kun, io…»
«Ci caschi sempre, tu, eh?»
Ridacchiò Makoto, rialzando lo sguardo, gli occhi brillavano di scherno. Scosse
appena la testa, incredulo di tanta ingenuità, poi superò entrambi, «Noi due ci
vediamo a casa~».
Death Note: Sono una persona strana che ama alla follia la HanaKuro e questo è il risultato <3 amatemi <3
No, okay x° Seriamente, spero che la storia possa interessarvi
nonostante la ship non eccessivamente quotata x°.