BKTS
Di guacamole spaziale ed
egoismi costosi.
Comparve come sempre, come se uno spiffero della corrente
intergalattica l'avesse soffiata accidentalmente al loro cospetto,
quando ormai tutti erano seduti al tavolo da una decina di ore.
«Buongiorno, cari. In ritardo?» sospirò
Seraphi, frusciando insieme alle stoffe celesti dell'ampissima gonna
arricciata, le braccia d'avorio inguainate della luce di una nebulosa a
cui stavano passando vicino, e che colmava le loro vetrate come
specchi. Saltò sui sandali di rame biondo. «Lo so.
Pazienza. Mi perdo un po' di tutto, in questo periodo. Per esempio, lo
sapevate che abbiamo un duecentosettantunesimo piano? Io no. Sto
invecchiando, non c'è altra spiegazione.»
Titus la salutò con un gesto cordiale, distraendosi da una
coppa di succo di ribes. «Buongiorno, madre. Mangiate del
pane, è squisito oggi, e dolce come il vostro
sorriso.»
La colazione era apparecchiata nel fasto copioso di un tavolo imbastito
per sette metri, e Seraphi vi prese posto con l'indolenza di non ha
bisogno di ottenere venia. Il suo figlio più giovane si
serviva di fiori di zucca al miele e nexis, il surrogato della
cioccolato su Horus, una delle numerose tentazioni a cui non riusciva a
resistere. Kalique coglieva da un pianta che s'innalzava dal vaso delle
conchiglie contenenti una polpa verde e salata, che le si scioglieva
sulla lingua e le modulava la voce di un paio di ottave. Balem invece
non mangiava affatto; leggeva, sfogliando con le dita degli schermi
virtuali i cuoi contorni azzurri lampeggiavano in controluce. Quando la
madre entrò, sussurrò i suoi ossequi e la
osservò in sospeso per alcuni istanti, come se cercasse di
risolvere un enigma inesplicabile, poi curvò il collo. Lei
lo carezzò fugacemente con lo sguardo, per poi ignorarlo con
malizia.
«Scommetto che il nuovo piano è solo per te e le
tue compagnie» proseguì scherzando rivolta
all'altro, sedendosi con grazia su una sedia che apparve dal niente
adeguandosi alla curva del suo fondoschiena. «Stanotte,
quando se ne sono andati, c'era una carovana lunga come la via lattea.
Tu pecchi d'ingordigia, Titus.» Lo ammonì
scuotendo l'indice, simulando una severità bonaria.
«Molto probabile, sì.»
Seraphi giocherellò con un'ambra grossa come uno scarabeo,
incastonata all'anello. «Abbiamo rimandato talmente tante
volte di seguito che non ci speravo più. Siete
così belli che è uno spettacolo vedervi insieme,
però sembra che facciate il possibile per negarmi questo
piacere.»
«Non dimenticate che anche voi siete una donna
impegnata» obiettò Kalique, sorridendo.
«Non siete quasi mai libera dalle vostre mansioni, eppure i
vostri figli sentono la vostra mancanza.»
La madre scrollò il corredo di boccoli bruni come cavatappi.
«Forse non ci tieni così tanto a vedere me,
però ho notato che gli aggiornamenti che invio ai database
dell'arredamento delle tue stanze arrivano sempre graditi e puntuali.
Allora,» continuò, mentre la figlia abbassava la
testa mortificata, «immagino che quello che intravedo di
scorcio sia il programma di bilancio di Lenorra.»
«Difficile che a suggerirvi questo sia stata
l'immaginazione» rispose Balem. «Lenorra
raggiungerà la completa maturazione tra soli quattrocento
anni. È già oggetto di speculazione sul
mercato.»
«A colazione non si trattano certi argomenti,
fratello» lo rimproverò Titus con leggerezza,
senza riuscire completamente a celare il disappunto per l'esclusione
che lui e Kalique dovevano subire quando si introduceva gli affari
nella conversazione. L'unica volta che si era infiltrato nel loro
studio mentre si consultavano, chiedendo di fare parte del loro
"piccolo club privato", aveva ottenuto solo di essere preso sulle
ginocchia da quella che all'apparenza era una ragazza più
giovane di lui, un buffetto sulla guancia di compassione e un poco
velato invito a non disturbare più, se ci teneva ad
ereditare almeno un satellite delle dimensioni di una balla da
biliardo.
«Chiedo scusa, fratello. Non intendevo turbare la tua
digestione.» Ugualmente, Balem chiuse le mappe virtuali con
un movimento delle mani affusolate. La madre notò che non
aveva preso nulla dal tavolo.
«Non mangi? Non si può vivere di gloria,
altrimenti io avrei già trovato il modo per farlo.»
«Non sono affamato.»
Seraphi riempì un boccale di vino. «Allora
brindiamo, perlomeno. Alla nostra famiglia. Agli Abrasax e il loro
database per l'arredamento...»
«Madre, perdonatemi-» Kalique non parlò
in tempo per impedire che il vino che la donna stava versando in
ciascun bicchiere straripasse dall'orlo sulla tovaglia. Lei
sollevò la testa.
«Oh, Kalique, non ti avevo guardata finora. Hai il vestito
dello stesso colore del mio. Perchè non me lo hai fatto
notare? È semplicemente spregevole!»
La figlia si strinse nelle spalle. «Vado subito a
cambiarlo.»
«Ferma lì.» Per un attimo, gli occhi di
Seraphi parverono quasi rilucere di minaccia. «Lo
cambierò io, per questa volta, anche se devo ammettere che
quel modello ti invecchia moltissimo, figlia.»
Si alzò e, con un movimento fluido, sotto lo sguardo trepido
e accigliato di Kalique e quello malizioso e un po' avido di Titus, si
slacciò il nastro che legava la veste dietro il collo,
lasciandosela scivolare di dosso fino al pavimento. Poi
scavalcò agilmente la pozza di seta, che si fece liquida e
venne assorbita nel pavimento, per poi ricomparire lavata e stirata
nell'armadio. Ancheggiò per qualche istante sul posto, di
fronte alla variopinta scelta che le si presentava una volta premuto un
pannello sul muro, finchè non si decise per un abito rosa
cipria che scopriva generosamente la schiena e una porzione lunga e
scultorea di gambe da fenicottero. Balem sapeva benissimo
perchè sua madre lo stesse facendo, a parte per la tendenza
all'esibizionismo di cui faceva mostra così volentieri.
Voleva metterlo a disagio, esercitare indirettamente il proprio potere
su di lui, vederlo indifeso e indebolirlo di fronte ai suoi fratelli,
per dimostrare che in fin dei conti non importava chi dei tre se la
portava a letto, comandava sempre Seraphi Abrasax. Non la
guardò. Non aveva bisogno di guardarla, per sapere in quale
frammento di pelle della coscia strusciava il suo manto di capelli e
quanti delitti perfetti compisse ogni giorno ciascuna delle sue ciglia.
Si concentrò su un canestro di ciligie. Dissimulava
così spesso che ormai avrebbe fatto fatica a esprimere
qualcosa di autentico. Titus intanto ghignava, si godeva quelle
pagliuzze di lussuria gettate all'aria come glitter. Se solo avesse
saputo.
«Siete la più bella del reame, mamma, ma non
c'è dubbio che la vostra unica figlia femmina sia in
procinto di spodestarvi...»
La risata di Seraphi fu squillante. «Parli come se non avessi
deciso ogni singolo tassello del vostro DNA. Lei non è
progettata per spodestarmi per bellezza, come tu non sei progettato per
ereditare il mio impero. Quando vi portavo in grembo sapevo
già di che colore avreste avuto gli occhi, quale sarebbe
stata la vostra prima parola e con quanto di ketchup avreste mangiato
le patatine fritte. Siete i miei piccoli prodotti in serie.»
«E quando avete... progettato me,»
domandò Titus, formulando quella parola con un pizzico di
divertimento, «cosa volevate creare?»
«Più di una volta me lo sono chiesto
anch'io» fiatò Balem sovrappensiero,
così piano che nessuno parve udirlo.
Seraphi mandò un bacio al figlio minore. «Ma
è ovvio. Un bambino adorabile. Eri l'infante più
grazioso di tutte le galassie, con quelle fossette e gli occhioni
azzurri... Non ti ricordi?»
La sorella intervenne. «Io mi ricordo perfettamente, visto
che ero quella che doveva rincorrerlo nei corridoi della
casa.»
Titus a sua volta le baciò il dorso della mano, con
galanteria, supplicando di essere perdonato per
quell'incresciosità. Seraphi fissò Kalique
ostile, come si fa con il ragno che non deve avvicinarsi più
di così se non vuole andare all'altro mondo, dimenticando
che il ragno ha più paura di te di quanta tu ne abbia di
lui. Balem, se ne fosse valsa la pena, avrebbe sorriso. Non
amava sua madre, amava la fiera deforme e degenere che vi cresceva
sotto l'epidermide nobile, amava tutto ciò che i suoi
fratelli non conoscevano di lei e non avrebbero mai potuto far altro
che fiutare spaventati. La amava quando i suoi difetti la
inghiottivano. La amava quando si sintonizzava sulla sua stessa
composizione genetica, quando recitava per lui la loro parte preferita,
quando lo scopava e lo chiamava il mio bambino. Sei
lei lo avesse amato, lui non l'avrebbe amata così tanto. Le
sue menzogne, la sua piccolezza, la sua falsità erano il suo
fascino più grande. Un'orchestrazione perfetta che Balem
finanziava fino a bucarsi le mani. Seraphi Abrasax era una matriarca
che non si era creata una famiglia per solitudine, ma che aveva finito
lo stesso per renderli cani da compagnia. Gli investimenti le piacevano
solo rischiosi. Nella sua vita c'era bisogno di elettricità.
Obbedienza e elettricità.
«Balem, caro? A cosa pensi?»
Balem rimirò il suo sopracciglio inarcato, il suo egoismo
splendente e costoso come una pietra.
«Non vorrei sembrare scortese»
bisbigliò, «ma ho urgenza di ritirarmi per un
bagno.»
«Non sarò certo io a impedirtelo,
tesoro.»
Entrambi lo avevano fatto solo la sera prima, nella stessa vasca, ma
dopotutto per svuotarla e riempirla bastavano cinque minuti. E,
qualsiasi conversazione Balem e Seraphi dovessero intraprendere, poteva
avvenire anche nella
stessa vasca. Il figlio uscì e si chiese quale
fantasiosa scusa avrebbe trovato la madre per raggiungerlo. Dopotutto,
le riunioni di famiglia sono una noia mortale, è risaputo.
Note dell'Autrice: Perchè su internet ripetono
incessantemente che questo film fa schifo? A me è piaciuto
ç.ç Dai, già solo perchè
c'era Eddie non poteva fare schifo. Ma poi anche la trama era originale
e adorabile! Io voglio le fanart, le fanfiction, i libri, il sequel, il
prequel! *-* Il sick!pairing Baleraphi è uno spettacolo.
Adoro il fatto che ci sia una sezione apposta su efp. Spero che il
fandom italiano si popoli. Grazie per aver letto, chi volesse recensire
verrà premiato con un pianeta virtuale, ;)
Lucy
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