Era seduto su quella sedia da oltre mezz’ora. Inizialmente
aveva pensato che quella sedia imbottita e foderata di rosso fosse una
benedizione per le sue articolazioni, dopo aver passato tutto quel tempo in
piedi in coda alla reception. Ma ora il suo fondoschiena aveva cominciato a
fargli notare che sarebbe stato utile sgranchirsi, e il caldo estivo lo stava
facendo sudare come un malarico. Come se non bastasse, le sue orecchie e il suo
cervello erano stufi marci di continuare a sorbirsi il noioso monologo che un
uomo sulla sessantina sciorinava dall’altro capo della sala conferenze, gremita
di persone.
Si alzò, voltò le spalle all’oratore e attraversò la stanza
diretto all’uscita. Quel polpettone infinito sulla capacità delle proteine G di
trasdurre il segnale nelle cellule l’aveva annoiato a morte. Gli organizzatori
pensavano forse che non si aggiornasse? Sarebbe stato difficile ignorare un
argomento da premio Nobel! Tuttavia aveva notato che i due terzi della platea
ascoltavano rapiti; ovvero, i due terzi dei medici presenti al convegno erano
idioti incompetenti.
Pensò di raggiungere la sua camera e di depredare il frigo
bar, ma l’idea di recarsi al bar vero e proprio gli parve migliore: faceva un
caldo infernale, e lì avrebbe potuto ordinare una soda ghiacciata.
“Oh, dannazione.”
Il bar era ricolmo di gente in vena di fare festa. Un gruppo
di persone ballava in modo scomposto intorno a un vecchio juke-boxe
che mandava musica alla moda di dieci anni prima. Notò che otto delle persone
nel locale erano medici del convegno.
“Almeno qualcuno si
aggiorna” – pensò – “O almeno ha
capito che l’ultima conferenza è inutile…”
Ordinò la sua soda e rimase al bancone. Il barista gli
rivolse la parola mentre pescava i cubetti di ghiaccio con la pinza.
“Lei è un medico? Partecipa al convegno?”
“No” rispose, guardando la gente al juke-boxe.
Sapeva di non avere esattamente l’aspetto ordinato e inamidato degli altri suoi
colleghi.
“Oh, bene” continuò il barista “Perché questa storia è una
seccatura, una vera seccatura. Quei medici continuano a lamentarsi del baccano
nel locale. Ma insomma, questo è un bar! Pensi che ieri…”
Smise di ascoltare il barista a metà della sua frase. La sua
attenzione era stata attratta dalla scena che si rifletteva sul lungo specchio
appeso all’altro lato del locale.
…If I need a room to escape / when the moment
arose…
“Mi scusi, non vorrei sembrarle sgarbato…”
Un uomo si era avvicinato al juke-boxe.
Si stropicciava le mani, continuava a voltare la testa e guardava verso il
basso mentre parlava con l’individuo che aveva inserito l’ultima canzone.
“… Ecco, è la quinta volta che fa partire Live a Tender Moment Alone e, insomma, a
qualcuno potrebbe dare fastidio…”
L’interlocutore non lo degnò di uno sguardo: afferrò la
bottiglia di birra che stava sul bancone e ne bevve un sorso. Poi riprese a
canticchiare tra sé e sé, sordo alle parole dell’altro, che si allontanò verso
i tavoli ruotando gli occhi in un gesto di impazienza.
“Che idiota” pensò
mentre sorseggiava la sua soda “Non ci ha
nemmeno veramente provato. Avrebbe potuto insistere, minacciarlo, o portare con
sé altre persone cui la canzone fa schifo, guardale là… almeno avrebbe fatto
numero. Codardo”.
Due minuti dopo, l’uomo fece un nuovo tentativo. Ormai aveva
finito la soda, ma rimase al bancone. La vicenda aveva l’aria di farsi
interessante. Lo osservò con più attenzione. Era più giovane di lui di qualche
anno, almeno sei o sette. Era in maniche di camicia: voltò la testa verso i tavoli
e trovò la sua giacca, grigio metallico, appesa a una sedia. Sul bavero era
fissato il tesserino di riconoscimento del convegno, quindi era un medico anche
lui. Fresco di studi, evidentemente. Sullo stesso tavolo c’era una cartella di
documenti.
Ormai completamente incuriosito, si spostò verso i tavoli
senza dare nell’occhio, mentre la discussione tra i due ricominciava.
“Mi scusi ancora…”
“Che diavolo vuoi?”
… I know the moment isn’t right / to told my emotions inside…
“La canzone non è male”
ragionò ancora, mentre si sedeva sul tavolo di fianco a quello dell’uomo. “Se gli dà così fastidio, deve essere nervoso
per qualche motivo…”
Ecco: da quella posizione aveva una visuale migliore sulla
cartella. Avendo cura di non essere osservato, gettò lo sguardo verso il
tavolo. In quei pochi secondi riuscì a distinguere le parole “Coniuge più
agiato” e una data di qualche mese prima.
“Potrebbe cortesemente cambiare canzone? Gli altri avventori
cominciano a lamentarsi…”
Era vero. Le persone intorno al tavolo dove si era appena
seduto borbottavano maldicenze a ciclo continuo e lanciavano sguardi torvi in
direzione del juke-boxe.
“Ah, davvero? Beh, se non vi piace la canzone, andate in un
altro locale!”
“Ecco perché è
nervoso. Questi sono documenti di un divorzio. Recente, sembra… diavolo, se
potessi scommettere con qualcuno, scommetterei cinquanta dollari che lo
prenderà a cazzotti”.
Voltò lo sguardo verso il bancone e si mise comodo sullo
schienale della panca, godendosi la scena. Il giovane medico si stava
scaldando: aveva stretto i pugni e fissava incollerito il suo avversario.
“Senta” ringhiò spazientito “O lei cambia canzone adesso, o la faccio sbattere fuori da
qui a calci nel sedere”
L’altro rise, e bevve un altro sorso dalla bottiglia.
“Sei ridicolo! Che cosa credi di poter fare…?”
… Sometimes I get so afraid / I’ll say
something so wrong…
L’uomo gli strappò la bottiglia di birra dalle mani e la
scagliò contro il lato opposto del bar.
Il lungo specchio appeso alla parete andò in frantumi con un
boato assordante. Tutte le teste del locale si voltarono da quella parte e
ammutolirono, mentre una cascata di vetri infranti pioveva sul pavimento. L’uomo
al juke-boxe dovette chinarsi di scatto per evitare
due bicchieri che filavano nella sua direzione, che si fracassarono dietro al
bancone un istante dopo, mentre tre uomini ai tavoli si alzavano e lo
raggiungevano di corsa. Il primo pugno lo colpì in pieno naso. Gli altri
cominciavano a diventare troppo numerosi per tenerne il conto.
Stiracchiò le gambe davanti a sé, mise le mani dietro la
testa e sorrise.
*
Faceva un caldo asfissiante anche in Broad
Street, ma almeno poteva rimanere in piedi. Si era appoggiato con la schiena
contro uno dei pali della recinzione che circondava un edificio, un massiccio
cubo di cemento che sovrastava le altre costruzioni.
La porta principale si aprì lentamente. Ne uscirono due
poliziotti e un uomo in maniche di camicia. Vide i due agenti scambiare qualche
parola con l’uomo, che pareva impacciato dall’imbarazzo, e poi lasciarlo
scendere i gradini. Egli percorse a capo chino i venti metri di asfalto che lo
separavano dal cancello; poi alzò lo sguardo, e lo vide. Scosse il capo
incredulo e si diresse verso di lui.
“Sei… sei… tu mi hai pagato la cauzione! I poliziotti mi
hanno detto che sei stato tu! Grazie!”
“Così pare” rispose, fissandolo da sotto le sopracciglia per
studiarlo. L’uomo tentò di articolare altre parole, ma il risultato fu solo un
balbettio scomposto.
“Tieni” continuò, e gli porse la giacca e la cartella che
aveva lasciato sul tavolo del bar dell’albergo qualche ora prima. Il giovane
strabuzzò gli occhi dalla sorpresa e le prese con sé.
“Io… veramente, grazie… “
“James Wilson, vero?”
L’uomo spalancò ancora gli occhi, tanto che parve avere un
esoftalmo.
“Ma tu come fai a…”
“Ho letto il nome sulla cartella” disse, indicandola con un
cenno della mano. “Prima che tu prosegua, devo darti due notizie. La notizia
bella è che il gestore del locale ti ha denunciato per vandalismo e aggressione,
e chiede il risarcimento dello specchio. Evidentemente era piuttosto antico”
Wilson spalancò la bocca. “E questa sarebbe una bella
notizia?”
Ghignò al suo sconcerto. “Sì, perché ho chiamato il mio
avvocato per le denunce e ho pagato il barista per lo specchio. Me ne occupo io”
Il rumore del traffico dietro di loro riempì l’aria.
“Beh, io… insomma…grazie”
“Oh, che noia! Se mi ringrazi ancora sarò costretto a
lanciarti contro una bottiglia”
Wilson fissò l’uomo con la camicia sgualcita di fronte a sé.
Poi scoppiò a ridere.
“D’accordo, signor House, non ti ringrazierò ancora… ma qual
è la seconda notizia?”
“Beh, poco più
avanti in Broad Street c’è The big Cheezy. Il
miglior formaggio alla griglia di New Orleans”
Un auto passò rombando alle loro spalle, alzando polvere e
qualche cartaccia.
“Hai fame?”
“Certo”.