Premessa.
La storia è suddivisa in due parti; la prima metà è ambientata durante
l’infanzia di Gale, quando il bambino aveva quattro, cinque anni. La seconda è
ambientata dopo l’epilogo del Canto della Rivolta; Gale è ormai adulto e ha
avuto un figlio di nome Joel. Questa storia è stata scritta per il contest A
tutto Fluff indetto da Eireen23 e per l’iniziativa Ready Set,
Prompt! Indetta dal gruppo Facebook The Capitol con la canzone “So
Volare” della Gabbianella e il Gatto come prompt. Ho utilizzato anche il
prompt “Da grande imparerò a volare” lasciatomi da Macy Mclaughlin.
«Non
permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa.
Se hai
un sogno tu lo devi proteggere.
Quando
le persone non sanno fare qualcosa
lo
dicono a te che non la sai fare.
Se vuoi
qualcosa, vai e inseguila.
Punto.»
La
ricerca della felicità. 2006
Ti
porto a volare
Giocava con due sassolini.
Uno era lui, l’altro suo padre.
Volavano come falchi, ma presto sarebbero tornati giù a prendere la mamma con
il fratellino ancora in pancia.
Quando suo padre lo trovò,
sdraiato per terra dietro casa, stava ancora giocando.
“Che combini, discoletto?”
domandò Joel Hawthorne, arruffandogli i capelli. Si sedette accanto a lui,
sporcandosi mani e pantaloni; non ci badò.
“Gioco a volare” spiegò Gale,
spingendo uno dei sassolini fino al padre. “Questi siamo io e te e voliamo via
in un posto dove si può sempre correre nei boschi. E portiamo anche la mamma e
tutti quelli che vogliono venire con noi.”
Un guizzo divertito animò lo
sguardo dell’uomo.
“Però! Mi piace questo gioco. E
come facciamo a portare con noi tutta questa gente, se siamo solo in due?”
Il bambino ci pensò su per
qualche istante.
“Io e te siamo forti” spiegò
infine, fissando assorto il movimento delle pietruzze. “Guarda che ce la
facciamo.”
Il padre ridacchiò.
“Ti piacerebbe fare questo come
mestiere?”
Gale annuì.
“Io da grande imparerò a volare”
confermò con sguardo fiero. “A volare per davvero.”
Il padre gli sorrise; l’orgoglio
luccicava nei suoi occhi, inombrato leggermente dalla malinconia del suo
sorriso.
“Tu diventerai un pilota,
ragazzo” affermò, sfiorandogli una guancia. “Uno di quelli che viaggiano sugli
Hovercraft per portare a spasso la gente importante. Sai cosa sono gli
Hovercraft, vero? Quegli affari che assemblano nel Distretto 6.”
Il bambino annuì e riprese a
giocare con i suoi sassolini, sotto lo sguardo compiaciuto del padre.
“Ricordatelo, Gale” ordinò Joel
dopo qualche minuto, sollevando il mento del figlio. “Ricordati sempre quello che
prometti a te stesso. Se hai un sogno tu lo devi difendere, anche se prima o
poi arriverà qualcuno a cercare di metterti i bastoni tra le ruote. Se vuoi
qualcosa, vai e inseguila. Punto.”
Gale lo ascoltò con attenzione;
non aveva ancora compiuto cinque anni, ma il suo sguardo sembrava quello di un
adulto.
“Quando cresco scappo di qui e ti
porto a volare” dichiarò infine con decisione, mentre si alzava in piedi. “È
questo il mio sogno”.
A quel punto corse via, ma prima
prese una mano di Joel e vi lasciò dentro uno dei sassolini.
Dentro quel sasso, l’uomo lo
sapeva, il bambino aveva deposto un desiderio: il sogno di volare via con lui.
Il sogno di liberarlo.
«Ora lo so chi sono io
ed
il cielo è il posto mio;
e
queste ali, lo sento già,
sono
la mia libertà.»
So
volare. La Gabbianella e il Gatto
***
L’Hovercraft guadagnò velocità, rischiarando
lo sguardo assorto del pilota che lo stava manovrando.
Gli occhi grigi dell’uomo rimirarono
le nuvole che si aprivano per lui, come aveva sognato che facessero sin da
quando era bambino.
Chinò poi lo sguardo verso il
piccolo Joel, che si era sporto per ammirare a sua volta lo spettacolo che li
circondava.
Per anni Gale aveva creduto di
aver fallito, pur avendo a imparare a volare.
A lungo si era rimproverato per
non essere riuscito a proteggere il suo sogno, portando suo padre con sé.
Quel pomeriggio, tuttavia, si
accorse per la prima volta di non aver sbagliato del tutto.
Perché suo padre c’era: era nel
volto fiero di quel bambino chiamato come il nonno, che sedeva sulle sue
ginocchia.
Suo padre era nell’abbraccio in
cui Gale stringeva il figlio, nelle sue mani appoggiate a quelle del bambino, mentre
lo aiutava a manovrare la cloche. Era nell’affetto che li univa, lo stesso
amore incondizionato e gremito di orgoglio e che ancora legava Gale a suo
padre.
Così, nello stesso modo in cui le
nuvole scoprivano a volte qualche timido raggio di sole, sul volto ombroso del
pilota comparve un sorriso.
Suo padre era lì con loro, adesso
ne era certo.
Adesso lo sentiva.
«I
piedi miei non toccan più,
sto
volando dentro il blu.
Il
mondo cambia da quassù:
non
ha barriere più
So
volare»
So
volare. La Gabbianella e il Gatto