April 12

di The Hopeless Girl
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Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci.

Daccapo.

Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci.

Aspettare era così snervante.

Certo, era bene essersi presi per tempo, ma lasciare tutto intonso per un intero giorno e poi aspettare immobili per chissà quanto era stressante.

Ryan spostò il peso da un piede all’altro: le ginocchia iniziavano anche a fargli male. Non solo doveva aspettare, doveva anche farlo accovacciato scomodamente nel buio.

Se la ragione non fosse stata più che valida, già si sarebbe alzato in piedi, avrebbe acceso la luce e fatto qualcosa, qualsiasi cosa che non fosse aspettare.

Attendere lo innervosiva. Lo faceva pensare alle conseguenze e/o reazioni che avrebbe scatenato ciò che attendeva di fare.

E se avessero, che so, mancato il tempismo? E se lui non fosse stato dell’umore giusto? Si sarebbe arrabbiato? O peggio, avrebbe finto contentezza per poi tenergli il broncio?

Cambiò di nuovo piede, dando un attimo di sospiro a quello che lo aveva sostenuto finora.

Col buio che c’era, alzandosi avrebbe anche potuto sbattere addosso a un tavolino o qualcos’altro e rovesciare tutto. Di certo non sarebbe stata una buona mossa.

Ryan strizzò gli occhi nella penombra, cercando di allontanare dalla mente tutte quelle paturnie inutili: servivano soltanto a innervosirlo.

Doveva semplicemente aspettare e… oddio, cos’era? Stava forse arrivando… no, era soltanto una macchina o un taxi di passaggio, già il rumore si allontanava.

Sospirò e provò a rilassare i muscoli contratti: non doveva agitarsi, in fondo era solo… oddio, stavolta arrivava sul serio!

Sentiva distintamente i passi che si avvicinavano: uno, due, tre…

La chiave girò nella serratura: uno, due, tre…

La porta si scchiuse così lentamente che Ryan pensò alle case dell’orrore e a tutta quella suspence culminata in un disastro, ma subito si disse che era solo la sua immaginazione, che tutto era normale e sarebbe andato come previsto…

Finalmente la porta si spalancò del tutto e una figura magra si stagliò nella luce proveniente dall’esterno.

Passarono forse un paio di istanti, dilatati al massimo e carichi di tensione, poi la luce invase la stanza, illuminando tutti gli addobbi, il cibo e le persone, compresa la faccia scioccata di Brendon, ancora fermo sulla soglia.

I muscoli carichi di adrenalina di Ryan scattarono e lui balzò in piedi, accompagnato dalla sua voce e quella di molti altri che, in coro, urlavano: «BUON COMPLEANNO, BRENDON!»




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