Pazzo. Pazza.

di Hayhey
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Pazzo. Pazza.
 
Un orologio ticchetta. Tic. Toc.
La stanza è buia, senza finestre e sporca.
C’è una sedia in mezzo alla stanza. Una sedia imponente, sembra quasi un trono.
Qualcuno è seduto su quella sedia. La testa è china, le mani sono appoggiate sui braccioli. O meglio, una mano e un uncino sono appoggiate sui braccioli. L’uncino batte sul legno intaccato al ritmo dei ticchettii dell’orologio. Tic. Toc.
La parrucca nera e riccioluta dell’uomo è rovinata, quasi come il suo propietario. Rovinato, come un giocattolo buttato via.
L’uomo indossa una giacca di tempi antichi, una giacca importante, da capitano.
L’uncino continua a ticchettare e ad esso di uniscono anche gli anelli dell’altro mano. Tic. Toc.
L’uomo alza la testa di scatto e la gira verso la porta sbarrata. Si alza di colpo, quasi come se volesse sfondarla, ma con uno strattone ricade sulla sedia, tirato dalle catene legate ai polsi.
“È inutile che ci provi Uncino. Non uscirai mai di qua, sei pazzo.” Dice una voce malvagia, con una nota sadica. Proviene da oltre la porta.
Uncino alza di nuovo la testa e si gira verso la voce. Parla, con il tono di chi è stato zitto per troppo tempo.
“I miei uomini arriveranno a prendermi un giorno.”
La voce sadica emette una risata crudele.
“I tuoi uomini non esistono ‘Uncino’. Sei solo un povero pazzo a comando di una finta nave. Sei pazzo.”
Uncino sente la risata dell’uomo allontanarsi. Abbassa di nuovo la testa, sconfitto. Guarda i polsi scarni, feriti da tutti quei tentativi di fuga.
Comincia a canticchiare una canzoncina.
A morte il coccodrillo, yo-ho // il coccodrillo pazzo, yo-ho // uomini! All’attacco, il coccodrillo pazzo è qui, yo-ho // il coccodrillo, tic-toc... il coccodrillo tic-toc...” la sua voce di affievolisce in diminuendo. Gli anelli e l’uncino ricominciano a ticchettare. Tic. Toc.
 
Un orologio ticchetta. Tic. Toc.
La stanza è grigia, senza finestre e sporca.
C’è un fagotto in un angolo della stanza. Un fagotto che quasi non si noterebbe, grigio com’è. Non si noterebbe se non fosse per i capelli biondi e sporchi e quel barlume di azzurro impolverato che spunta da sotto la coperta grigia.
Il fagotto è una ragazzina sui quindici anni.
La ragazzina è raggomitolata su se stessa, le braccia che avvolgono le gambe piegate e il viso appoggiato su di esse.
Si sentono delle parole uscire dalla sua bocca screpolata, un mormorio continuo.
“Sei in ritardo, Alice. Corri, Alice. Sei in ritardo, Alice. Corri, corri!” La ragazzina comincia a dondolare, il mormorio si fa sempre più forte e veloce, sino a diventare un urlo. “Tagliatele la testa!” urla.
Poi sente dei passi avvicinarsi e torna a raggomitolarsi, questa volta tremando.
I passi si fermano davanti alla sua porta.
“Allora, ancora in ritardo Alice?” chiede la voce, enigmatica.
Alice continua a mormorare la sua cantilena. Trema ancora.
“Alice, la tua ora è già passata da un pezzo. Nessuno viene più qui per te.”
Alice comincia a piangere e ormai i tremolii di prima si sono trasformati in scossoni.
“No...”
“Alice, la povera, piccola Alice è pazza. Nessuno la vuole più. Povera, pazza, Alice.” L’uomo ride, crudele. “Qual’è la differenza tra un corvo e una scrivania Alice?” la risata si allontana, sparendo.
Alice piange ancora. Pian piano si calma e ricomincia la sua cantilena.
Sei in ritardo, Alice. Tic-toc, tic-toc. Corri, Alice, corri. Tic-toc, tic-toc. Sei in ritardo, Alice.

My Corner
Non chiedetemi niente, mi è uscita così.
Come si sarà capito sono entrambi in un manicomio. Chi è quell'uomo che li ha rinchiusi? Alla fine sembra il Cappellaio Matto, ma chissà... a voi il dubbio.
hayhey:3

 




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