Shuriken di carta

di Spider_Flower
(/viewuser.php?uid=858172)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


#Shuriken di carta

 
Nickname EFP: Spider_Flower. (Ciao a tutti/e.) Sono molto loquace, eh? xD
Titolo Storia: “Shuriken di carta.”
Rating: Verde.
Personaggi: Sasuke Uchiha, Itachi Uchiha, Shisui Uchiha; Fugaku Uchiha, Mikoto Uchiha.
Genere: Introspettivo, Malinconico.
Tipo di coppia: Nessuna.
Note: “Missing Moments”-leggera- nella quale si parla di un Sasuke ancora bambino, in preda alla curiosità, alla frustrazione per le attenzioni mancate da parte dei genitori e del fratello, consapevole, nonostante tutti i suoi sforzi,  di avere davanti un ostacolo impossibile da superare, ovvero Itachi. In questa fanfiction, ho deciso di parlare di loro due, ovvero dei  fratelli Uchiha, perché amo –sebbene tutte le loro malefatte- questi due personaggi, che mi hanno accompagnata dai primi capitoli del manga fino all’ultimo. Ho voluto rendere loro omaggio, con questo breve racconto per cimentarmi in qualcosa di nuovo, affascinante e magico, quale la scrittura, e di conseguenza per dare spazio ad una delle tante passioni che ho. Infine, ringrazio EFP, per avermi permesso di rendere pubblici “i miei scritti” e tutte le “anime pie” che leggeranno la storia.                                             
PS: Non ho inserito l’IC tra le note ma, spero comunque che i caratteri dei personaggi non siano poi così tanto diversi da quelli originali.
Un saluto e buona lettura.
-Spider_Flower   

                                

«Se tu mi rivenissi incontro vivo,
con la mano tesa,
ancora potrei,
di nuovo in uno slancio d’oblio, stringere,
fratello, una mano.
Ma di te, di te più non mi circondano
che sogni, barlumi,
i fuochi senza fuoco del passato.
La memoria non svolge che le immagini
e a me stesso, io stesso
non sono già più 
               che l’annientante nulla del pensiero.» 
                                                                                                                                                               [“Se tu mio fratello” di    
Giuseppe Ungaretti.]

 

  
 
 
 
Nel villaggio di Konoha, regnava una pace quasi irreale, talmente fittizia, che metteva i brividi.  
Un bambino seduto sull’engawa, sospirò rigirandosi uno shuriken tra le dita, sbuffando poi impercettibilmente. Aveva compiuto da poco sette anni e non poteva certo permettersi di sfigurare difronte ai suoi amici con quell’origami, non che gli importasse molto il loro parere, ovvio.
Ripassò con fare assorto il contorno di quell’arma fatta di carta (perché quello vero lo aveva perso) con i polpastrelli, quasi a volerne imprimere ogni particolare nella mente e si ritrovò a sospirare ancora una volta, ricordando in quali circostanze, gli era stato donato.
Un mesto sorriso si dipinse sulle sue labbra rosee.
Quella volta -tre anni prima con esattezza-, aveva deciso di porre fine agli allenamenti di Itachi, irrompendo con fare quasi disperato nella sua stanza, col solo pretesto di “giocare a fare il ninja”  e il maggiore, credendo che si facesse male, gli aveva consegnato senza particolari preamboli, quella figura tridimensionale. 
Alla veneranda età di quattro anni, compiere quel rituale, ovvero: mangiare i suoi amati pomodori, sfogare i propri bisogni nel vasino e pregare il suo nii-san affinché gli svelasse qualche nuova tecnica micidiale da utilizzare, era di dovere. 
Purtroppo, però, i suoi propositi venivano sempre ostacolati, da quel suo maledetto buffetto sulla fronte e da quel: 
«Sasuke, sarà per una prossima volta.», lui ovviamente ci cascava e con le guance imporporate, correva avvolgendo le sue esili braccine, con fare un po’ goffo, attorno alla sua gamba, ormai robusta per via dell’addestramento.
Scosse la testa, con un evidente cipiglio sul viso, no! Questa volta sarebbe andata diversamente, avrebbe riavuto quel benedetto shuriken -perché era un regalo di suo padre, e lui lo riteneva speciale-, e si sarebbe allenato con Itachi, era grande dopotutto!
Non si accorse che non era più seduto sull’engawa, ma che, a furia di navigare con l’immaginazione si era allontanato, ed aveva percorso per più di un centinaio di metri, ritrovandosi al di fuori del Quartiere Uchiha.
Un pensiero gli percorse la mente. 
Già, perché erano così separati dal villaggio? Loro, a suo dire, erano il pilastro portante di Konoha. 
Erano o no, i ninja più talentuosi del paese? 
Eppure c’era qualcosa di losco, che non quadrava, e questo  al secondogenito di Fugaku non era sfuggito, era sveglio lui! 
Ultimamente, poi, suo fratello aveva un atteggiamento strano; era schivo, freddo e contrariato, tra l’altro era diventato spaventosamente calmo e ancor di più irraggiungibile di quanto già non fosse.
Tutto ciò pareva astruso a Sasuke, ma lui non demordeva, anzi, rifletteva talmente tanto, da spremersi le meningi.
I ricordi nella sua testolina bruna riaffiorarono prepotenti.
Ricordò di una sera passata a spiegarsi i motivi, i perché di quei comportamenti  tanto ambigui, delle fervide ambizioni del villaggio, del vero significato della parola “ninja”, e rimase così, con le gambe incrociate sul letto, e lo sguardo inchiodato sul pavimento; maledicendo poi se stesso per le sue assurde teorie che non avevano né capo e né coda, e l’imminente mal di testa che di lì a poco tempo gli sarebbe venuto.
Rammentò il suo primo giorno di accademia.
Quel lunedì corse, corse come un dannato e su consiglio di sua madre –santa donna-, portò con sé una merendina, convincendosi solamente dopo venti minuti, diciannove dei quali passati ad imprecare contro la sua genitrice.
«Mamma, ti ho detto che non mi serve mangiare! Tanto è il primo giorno e usciremo a mezzogiorno.» dopo quell’esclamazione, Mikoto aveva assunto un’ espressione inconfondibilmente minacciosa e aveva battuto reiterate volte il piede sinistro sul parquet di legno, consegnandogli il contenuto tra le mani, senza aggiungere altro.
Niente da fare, quella donna poteva sembrare docile, femminile e raffinata all’apparenza; ma quando perdeva la pazienza, diventava un essere spaventoso di cui tutti avevano timore, persino lo stesso Sasuke.
A quest’ultima dichiarazione, scosse il capo, con fare puerile. Lui non aveva paura di niente e di nessuno, anche se doveva ammetterlo, sua madre sapeva essere veramente severa.
I giorni passarono inesorabili e finalmente, ottenne dal maestro i complimenti tanto agognati.
Per diventare un ninja di alto livello e accrescere il suo potere, (ma soprattutto per raggiungere Itachi), si allenò con dedizione fino allo stremo, e ci riuscì.
In poche settimane diventò un ottimo allievo dal talento riconosciuto, tanto è vero, che ricevette dagli insegnanti numerosi elogi e, grazie ai suoi sforzi, voti invidiabili.
Ebbe gratificazione una mattina di venerdì precisamente, quando, il sensei tra una lusinga e l’altra, aveva detto, che somigliava tanto al suo nii-san ma, il suo sorriso si era smorzato immediatamente quando poi aveva aggiunto: 
«Sì, è proprio vero, lui è un ninja eccezionale. Sicuramente sarai fiero di lui, dopotutto è il genio degli Uchiha!». 
Ed era lì, che il dolore accresceva smisurato, e la rabbia irrompeva  burrascosa nel suo animo.
Non che odiasse Itachi, per carità, lui lo adorava; ma allo stesso tempo provava un moto di gelosia che non aveva eguali nei suoi confronti. 
Allontanò quel pensiero, ritrovandosi con lo sguardo fermo su un ramo. Lì, su quell’albero, posava un corvo dal manto nerissimo; era elegante, fiero e oscuro.
Un po’ come il suo fratellone. 
Pensò molto, così tanto, da navigare letteralmente con la fantasia, perché sì, nonostante tutto, Sasuke Uchiha, quando si rilassava (quelle poche volte che si permetteva di farlo), -ed era solo-, spesso meditava, immaginando scenari alternativi.
Ragionava su come sarebbe stato bello avere una famiglia perfetta, senza macchie; immaginava gli omaggi del padre e perché no?
Che diventasse più forte di Itachi con il solo schiocco delle dita.
Un ghigno beffardo spuntò su quel volto paffutello. Lui non si sarebbe accontentato della via più facile da seguire per compiacere i suoi scopi, avrebbe combattuto altero ed astante, proprio come qualsiasi altro membro della famiglia avrebbe fatto, perché doveva onorare il ventaglio –come Fugaku gli diceva spesso- che aveva sulla schiena.  
Sussultò, quando gli apparve di fronte la figura di un Itachi stanco e assonnato, con in mano qualcosa. 
I suoi occhietti vispi, però, si spalancarono ancor di più, quando spostò lo sguardo, incontrando per un attimo le iridi scure di Shisui, che fulmineo, era spuntato dietro alle spalle del suo nii-san, facendogli un cenno con la mano.
Adesso capiva perché gli abitanti del villaggio, usavano riferirsi a lui a quel modo, rifilandogli quell’appellativo.
Con la stessa velocità con cui era arrivato, suo cugino scomparve, lasciando dietro di sé una scia di polvere, che agli occhi del ragazzino non sfuggì.
Sul volto del fratello maggiore apparve un tenue sorriso e, ringraziando mentalmente il suo migliore amico - per avergli reso le cose più semplici- (ironicamente parlando), si incamminò fino a catturare l’attenzione del suo otouto.
Sicuramente era riuscito nel suo intento, infatti il bambino in questione, in preda all’ incredulità, rimase bloccato per alcuni secondi.
Con sua stessa sorpresa, il più grande avvicinò una mano cauto, lentamente, come se avesse avuto paura del suo stesso gesto; infondo era da tanto che non vedeva Sasuke (perché era stato occupato per via di una missione complicata), ma al contempo non voleva apparire più sdolcinato del dovuto, perdendosi in smancerie superflue.
Il più piccolo dei due, aspettava con trepidazione un gesto d’affetto da parte di quel nii-san fin troppo cresciuto, che non tardò ad arrivare. 
Due dita avevano già cominciato ad avvicinarsi pericolose, tanto è vero che poteva sentire -nonostante la lontananza delle stesse-, l’imminente arrivo di quel tocco affettuoso comprimergli la fronte. Cinque centimetri, quattro, tre, due, uno.
Se soltanto, si fosse mosso più velocemente di quella mano, a quest’ora, non avrebbe subito quell’umiliazione, ormai era un uomo.
A modo suo, certo. Sbuffò per l’ennesima volta, lasciando perdere i convenevoli, che in quel momento non erano importanti. 
«Ora che sei tornato, potremo finalmente allenarci insieme.», formulò quella frase incerto, iniziando a pregare tutti i Kami, affinché il fratello non facesse come di consueto; ovvero declinare l’invito. Itachi era già in procinto di rispondere negativamente, come usava fare spesso, ma venne interrotto  all'improvviso:
«Me lo hai promesso.» puntualizzò prontamente il bambino, per mettere a tacere quella risposta che il maggiore stava per dargli, era sicuramente un ”no” categorico. 
Il ragazzino subito gonfiò le guance in preda alla collera.
Difronte a quella scena particolarmente buffa, l’espressione del primogenito si affievolì e, ripetendo quel gesto - che Sasuke odiava-,  rifiutò la richiesta.
«Mi dispiace fratellino, devo proprio rimandare. Facciamo un’altra volta?». Il minore non si arrabbiò molto, però, si lasciò sfuggire dalle labbra un ”bugiardo”, che le orecchie di Itachi captarono immediatamente. Mentre il più piccolo imprecava sottovoce, il maggiore prelevò incurante dalla tasca un fazzoletto di stoffa ripiegato. «Sasuke», disse richiamando la sua attenzione.  
«Come ben sai, sono stato assente il giorno del tuo compleanno, per via della missione.» continuò, facendo un paio di pause, per notare se suo fratello lo stesse ascoltando.
Una volta notati i suoi occhi ancorati sulla sua immagine, riprese a parlare.
«Ho trovato questo, nel campo dove di solito mi allenavo quando eravamo più piccoli, mentre con la squadra stavamo perlustrando le vie di Konoha.»
Lo aprì lentamente e Sasuke, alla vista di quell’ oggetto, spalancò la bocca meravigliato. Era sconvolto e forse anche un po’ felice.
Le iridi poi, che di solito erano sempre scure, quando riconobbero quell’arnese, cominciarono ad acquisire una tonalità diversa, come se brillassero di luce propria.
Era quello shuriken, quello che suo padre gli aveva regalato qualche anno prima.
Se lo rigirò più volte tra le mani, proprio come aveva fatto con quello di carta, ed osservò assorto le sue iniziali scolpite su quel pezzo di ferro, ripercorrendone poi i contorni con le dita. Fu un attimo.
Alzò lo sguardo, rimanendo sbigottito per ciò che era appena accaduto. Itachi si era dissolto, era letteralmente sparito nel nulla, proprio come aveva fatto Shisui pochi attimi fa. 
Il piccino, ancora disorientato, avvolse l’arma nel fazzolettino, infilandola subito dopo nella tasca dei pantaloni.
Rise fievolmente, sapeva che l’avrebbe perdonato anche stavolta. Lo avrebbe aspettato ancora, gli avrebbe rivolto la stessa domanda all’infinito, finché lui non avrebbe risposto di sì, e finalmente si sarebbero allenati assieme, come fratelli.
Rimosse fin troppo presto quel pensiero a suo dire melenso e, con ancora la brezza di metà aprile a scompigliargli i capelli corvini, annuì convinto.

«Arigatou, nii-san.». Soffiò con voce ovattata un fanciullo -ormai divenuto uomo-, ai piedi di un ciliegio in fiore, consapevole di essere –nonostante tutto- orgoglioso di quel fratello, da tutti conosciuto come “Il genio degli Uchiha”.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3192481