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DISCLAIMER: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà
di Hiromu Arakawa; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ciao a tutti! Prima
di augurarvi buona lettura volevo precisare alcune cose: si tratta della mia
primissima one shot (il che contravviene ad una mia vecchia abitudine, quella di
essere particolarmente prolissa XD), quindi sono molto ben accette critiche
costruttive e suggerimenti. Lo so, il pairing è assolutamente poco gettonato, ma
fin dalla prima puntata dell'anime in cui sono stati introdotti i personaggi di
Greed e Martel, ho pensato che formassero una bellissima coppia e che, in fondo,
Martel provasse un affetto molto profondo per il "Signor Greed"; quindi, se la
fiction dovesse essere collocata in una saga, di certo rientrerebbe in quella
dell'anime, non del manga. Stavo cercando un'idea per una RoyAi e invece, in
maniera del tutto inattesa, mi è venuta in mente questa ispirazione e ho dovuto
metterla per iscritto, spero ne sia venuto fuori qualcosa di buono!
Beh, non credo di
dover aggiungere altro. Recensite, se vi va, e...enjoy it!
NO ONE ELSE WOULD HAVE BEEN SO
LOYAL...
“Che cosa stai fissando?”
Martel trasalì. “Di cosa parli?” disse con tono piatto, voltandosi verso il
compagno.
Dolcetto seguì la direzione del suo sguardo. “Ah” sollevò le sopracciglia,
osservando Greed che scherzava con due avvenenti fanciulle, seduto ad uno degli
squallidi tavolini di legno scuro del Devil’s Nest.
Sospirò. “Quell’uomo è proprio incorreggibile. Non ti devi preoccupare così
tanto per il signor Greed. Sa cavarsela benissimo da solo, non è necessario che
tu gli faccia la guardia ventiquattro ore su ventiquattro”
“Guardia? -ripetè Martel, prendendo un bicchiere di whiskey dal bancone del bar-
Non dire stupidaggini”
“Uhm…comunque, il cane sono io. Non mi rubare il mestiere” ribattè, sorridendo
divertito. Le fece un cenno di saluto, prima di voltarle le spalle e
allontanarsi a passo deciso.
Martel non riuscì a trattenere a sua volta un sorriso. Scosse la testa. Vuotò il
bicchiere che teneva in mano. Sollevò lo sguardo verso il tavolino di fronte a
lei. Già, Dolcetto aveva ragione, non aveva motivo di preoccuparsi per il signor
Greed. Accidenti, era l’uomo più forte che avesse mai conosciuto. Diede
un’occhiata ai due cubetti di ghiaccio che si stavano lentamente sciogliendo nel
bicchiere. Uomo? In effetti, il signor Greed non era un uomo come tutti gli
altri, era qualcosa di diverso. Di incredibilmente diverso. Ma ormai, da quando
la sua ferita sul campo di battaglia l’aveva spedita dritta dritta in un
laboratorio di ricerca, per lei il concetto di umanità era del tutto relativo.
Se il signor Greed non poteva dirsi umano, che diritto aveva lei stessa di
considerarsi tale?
Guardala lì, quell’oca con il caschetto castano. E la svampita bionda, che
diavolo ha da ridere in quel modo?
Martel era cresciuta con la convinzione che sarebbe stata un militare, un
militare vero, di quelli che si guadagnano l’onore sul campo di battaglia, e che
importanza poteva avere se era una donna? No, non avrebbe avuto alcuna
importanza. E, infatti, era stato proprio così. Martel era un ottimo soldato. Ed
era una donna determinata. Così come era stata una ragazza risoluta e una
bambina decisa. Eppure, c’era stato qualcosa che non aveva potuto prevedere. Se
pure qualche volta le era capitato di pensare che sarebbe morta durante una
guerra, non aveva mai neppure lontanamente immaginato di risvegliarsi da un
sogno destinato a concludersi in modo irreparabile. Né tantomeno che al suo
risveglio si sarebbe ritrovata in un corpo che non era il suo. O meglio, che era
il suo. Fuso con quello di un animale.
C’erano stati dei momenti in cui si era fermata a riflettere sulla mezza vita
che albergava in lei, convivendo con il suo corpo e con la sua anima. La vita
strisciante di un viscido serpente. Si era domandata se esistessero delle
affinità tra lei e quella strana bestia. Certo, era una cosa priva di senso, non
c’era nessun motivo razionale per cui avessero deciso di unire il suo corpo a
quello di un serpente, nessun motivo logico, chiunque fosse stato l’artefice di
quel maledetto esperimento. Era successo e basta. E tutto sommato, si era
abituata alla nuova condizione che le era stata imposta. In fondo doveva
riconoscere che sarebbe potuta andarle peggio. Avrebbe sempre potuto
risvegliarsi nel corpo di un cane, pensò con un sorriso benevolo.
E poi, un giorno, qualcuno li aveva riportati indietro. Aveva ridato loro la
libertà. Li aveva fatti tornare nel mondo. L’aveva fatta tornare alla vita. E
che l’artefice di tutto fosse stato un…essere…che portava il nome di uno dei
sette peccati capitali, beh, questo non aveva alcuna importanza. Martel gli era
sempre stata grata, incredibilmente grata per tutto quello che il signor
Greed aveva fatto per lei e per i suoi compagni. Non l’aveva soltanto
salvata da un destino crudelmente scontato. Lei, una cavia da laboratorio per
tutta la sua esistenza. Lei, proprio lei che aveva sempre cercato di vivere a
modo suo. L’aveva fatta sentire parte di qualcosa, di nuovo. Parte di un gruppo.
Parte di un piccolo mondo. Un mondo popolato di creature che non potevano dirsi
umane, questo si. Eppure felice.
Martel fissava quello strano uomo senza neppure rendersene conto. E lui, con il
suo giubbino con tanto di colletto di pelo, con i suoi occhialetti rotondi a
coprire gli occhi piccoli e sornioni, con il suo ghigno beffardo, continuava a
ridere, facendosi portare di tanto in tanto un bicchiere di liquore.
Martel distolse lo sguardo. Dopo tutto, lui era Greed. Lui era avido. Prendeva
qualunque cosa volesse. E voleva sempre di più. Ma in fondo, in che cosa era
diverso da un comune essere umano?
I sotterranei del Devil’s Nest erano sempre un posto gradito in cui rifugiarsi.
Quando voleva stare da sola, Martel andava lì. Si sedeva in un angolo solitario
e silenzioso, uno qualsiasi, e rimaneva ferma ad ascoltare rumori che soltanto
lei poteva udire. Erano spari di armi da fuoco, urla di uomini e donne feriti a
morte, pianti disperati di bambini che non avrebbero più rivisto i propri
genitori. Martel odiava quel boato assordante. Voleva farlo cessare. Eppure, il
silenzio le faceva tornare in mente ricordi ben peggiori. Un freddo laboratorio
dalle pareti bianche. Un ambiente terribilmente squallido e asettico. Una vita
che le era stata rubata. Un’altra che le era stata imposta contro la sua
volontà.
Qualcosa cui preferiva addirittura gli strepiti assordanti della guerra: erano
familiari, nonostante il dolore e il sangue e la terribile sofferenza, le
facevano tornare alla mente ricordi sereni, trascorsi con amici fidati. Amici
che erano accanto a lei ancora adesso, questo non poteva negarlo. Anche se non
erano più gli stessi, né mai lo sarebbero stati. Posò la testa sulle ginocchia,
stringendole a sé, in una posizione che le dava sicurezza. Perché, dopo tutto,
Martel ne aveva ancora bisogno. Aveva ancora bisogno di sentirsi protetta. Aveva
ancora bisogno di sentirsi a casa. Quando mise a tacere i fragorosi strepiti
nella sua testa, le giunse sommesso il brusio del Devil’s Nest. Un confuso suono
di risate miste a voci indefinite e indefinibili. Eh si, quella era la sua nuova
casa.
“Ehi”
Martel sollevò lo sguardo. Non che ce ne fosse bisogno.
“Signor Greed…”
“Che ci fai qui da sola?”
Martel abbassò di nuovo gli occhi. Rimase in silenzio.
Greed la scrutò con aria interrogativa. “C’è una festa di sopra. Sembra
divertente” disse stringendosi nelle spalle.
“Arrivo” Martel si sforzò di sorridere.
Tutto sommato, non conosceva neppure lei il motivo della propria malinconica
tristezza.
Greed sollevò un sopracciglio. Non sembrava affatto convinto delle sue parole.
“Uhm…”
“Davvero. Arrivo. Sento le voci. E le risate. Deve essere veramente…divertente…”
L’uomo si guardò intorno. “E allora perché te ne stai qui? Tutta sola?”
sottolineò volutamente le ultime due parole.
Martel non sapeva proprio cosa rispondere. Bella domanda. Perché se ne stava lì?
Tutta sola? Aggirò l’ostacolo nell’unico modo cui seppe pensare. “Perché
lei non è di sopra, signor Greed?” Il suo tono era un po’ più duro di quanto non
desiderasse.
Probabilmente la biondina e la brunetta non sono contente che lui non
ci sia.
“Uhm…mancava qualcuno”
La ragazza sollevò lo sguardo. Lo fissò con aria incredula.
Greed si appoggiò al muro e si lasciò scivolare fino a ritrovarsi seduto accanto
a lei. Martel gli rivolse un’occhiata furtiva, poi voltò la testa. La poggiò di
nuovo sulle ginocchia. Silenzio. Lui guardava il soffitto, respirando
lentamente. Lei guardava il vuoto, con gli occhi socchiusi.
“Non è necessario che lei rimanga qui, signor Greed…” esordì, a mezza voce.
Greed piegò il capo, volgendo lo sguardo verso Martel. “Lo so. E ti confesso che
non ho nemmeno voglia di starmene qui. In effetti, l’unica cosa che voglio è che
tu venga con me al piano di sopra –fece un cenno verso l’alto- E tu sai che
quando voglio…”
“Non con me” ribattè lei, lapidaria.
Greed sospirò. “Accidenti, hai la lingua forcuta come quella di un serpente”
disse con noncuranza.
Martel sorrise. “Si…” mormorò.
“Stai ridendo? Bene”
Martel non rispose.
Greed si strinse nelle spalle. “Va bene, ho capito” decretò, grattandosi la
testa. Fece per alzarsi.
“Aspetti…”
Lui riprese il suo posto. Non che sembrasse veramente intenzionato a lasciarlo.
Martel sollevò la testa e appoggiò la schiena alla parete. Lentamente, rivolse
lo sguardo verso l’uomo che le stava accanto. “La verità è che…non ha mai
pensato che noi non saremmo mai dovuti esistere?” chiese semplicemente, come se
rispondere a quella domanda potesse essere la cosa più facile e normale del
mondo. Eppure, lei non conosceva la risposta. Non la conosceva, ma voleva che
qualcun altro gliela desse.
Greed si prese il mento tra il pollice e l’indice. Girò la testa verso di lei.
I loro sguardi si incontrarono. Martel era sempre intimidita da quei piccoli
occhi sfuggenti. Cercava di evitarli tutte le volte che poteva. E adesso lì, nel
silenzio del sotterraneo di uno squallido bar di periferia, sembravano brillare
di una luce strana. E incredibilmente rassicurante. La ragazza arrossì
leggermente.
Greed sorrise, tornando a guardare il soffitto. “Si. Certe volte ho considerato
il fatto che sarei potuto non esistere. No. Non credo di aver mai pensato che
non sarei mai dovuto esistere. Ma in fondo, non c’è alcun bisogno di porsi
questa domanda. Avrebbe avuto un senso se le cose non fossero andate come sono
andate. E invece…io sono qui a parlare con te in questo sotterraneo. Io e te
esistiamo. Siamo vivi, camminiamo su questa terra, dunque abbiamo diritto di
esistere. Almeno diritto, se non motivo. Non credi?” rise sommessamente.
Martel fissava lo spazio di fronte a sé. Sorrise. “Si. Ha ragione lei”
“E poi, se voi non foste esistiti, chi mi avrebbe guardato le spalle?”
“Avrebbe trovato qualcun altro”
“Uhm…probabilmente. Ma non sarebbe stato altrettanto fedele. E valido”
Martel scoppiò a ridere.
Greed la guardò. Spiò il volto della ragazza di fronte a lui, di solito così
serio…era la prima volta che la vedeva ridere così di gusto? Si. “Che c’è?”
chiese ghignando, a metà tra il sorpreso e il divertito.
“Niente, niente. Solo…fedele…mi è venuta in mente l’immagine di Dolcetto
scodinzolante e con un giornale in bocca” rispose lei, soffocando una risata.
Greed parve pensarci su per un attimo. Poi scoppiò a ridere a sua volta.
Continuarono così per alcuni minuti, ridendo e ridendo fino alle lacrime. Martel
si asciugò gli occhi con una mano. Quando fece per posarla di nuovo sul
pavimento, sfiorò quella di Greed. La ragazza la ritrasse subito. Lui non parve
accorgersene. Martel ne fu lieta, si sentiva stranamente stupida. Stupida, senza
sapere perché. Era solo…una mano. Le rivolse un’occhiata. Vide quello strano
tatuaggio rosso, un serpente intento a mordersi la coda.
“Carino eh?” disse Greed, portandosi il dorso della mano davanti al viso.
Martel trasalì. Non si era accorta che lo stava fissando.
“Mi scusi, signor Greed…”
“Ah, sciocchezze. –fece un gesto di noncuranza- Questo disegno è ciò che mi
ricorda ogni giorno quello che sono. Ed è una consapevolezza divertente, sai?”
Martel abbassò lo sguardo. “Certo. Lo è. Lo è se si è in pace con sé stessi”
disse con amarezza.
“E tu non lo sei?”
Silenzio.
“Te l’ho già detto, ragazza mia. Se tu non fossi esistita, avrei dovuto
guardarmi le spalle da solo”
Ancora silenzio.
“Quindi, lo vedi? Anche tu hai una ragione per la quale esistere”
Martel si voltò di nuovo verso di lui. Esitò. “Quale?”
Greed sollevò la mano. “Questo” disse indicando il tatuaggio con uno dei suoi
sorrisi obliqui.
La ragazza piegò la testa da un lato. Ricambiò il sorriso. Annuì.
Greed si mise in piedi. Allungò un braccio verso Martel. “E allora? Che cosa ci
facciamo ancora qui? C’è una festa, mi pare”
Martel si alzò da sola, allontanando con un gesto di risoluta gentilezza la mano
che le era stata porta.
Lui si strinse nelle spalle. Si voltò. Fece qualche passo.
Martel rimase immobile per alcuni secondi.
“Signor Greed”
Lui si fermò. Le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Io…non le ho mai detto grazie…”
Greed la fissò. Coprì a passi calmi la breve distanza che li separava. Le mani
affondate nelle tasche. I capelli spettinati come al solito. Le si parò davanti.
Poi, lentamente, le sistemò dietro l’orecchio il biondo ciuffo ribelle che le
ricadeva davanti al viso. Martel trattenne quasi il respiro, sorpresa, mentre un
leggero rossore le colorava le guance. Lo sguardo smarrito.
Greed sorrise. “Dovere” rispose semplicemente.
Martel guardò il cielo. Si era allontanata da quello strano ragazzino con il
corpo di metallo. Aveva fatto esattamente quello che le aveva ordinato il signor
Greed. Aspetta l’alba. Se non sono ancora tornato, scappa. Anche lui.
Dolcetto, Roa…e adesso…anche Greed. Si guardò intorno. Appoggiò la schiena al
tronco di un albero. Nascose il viso tra le mani. Sentì le lacrime scenderle
calde sul volto, rigarle le guance, cadere lente e brucianti sul tappeto erboso
di quella piccola radura in una foresta sconosciuta.
La sua casa…era così lontana…
Respirò profondamente. Aveva davvero tempo per il dolore? Si asciugò gli occhi
con un rapido gesto della mano.
Per un attimo, le parve di vedere qualcosa. Un serpente rosso che si mordeva la
coda.
Martel sollevò lo sguardo verso il cielo. Nonostante tutto, sorrise tra le
lacrime.
Grazie, signor Greed.
Sono esistita per un motivo.
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