Don't Kid Yourself
Don’t kid yourself
Don't kid yourself
and don't fool yourself
this love's too good last.
Me n’ero andato perché pensavo fosse la cosa più giusta da fare.
La cosa migliore per il suo bene.
E
fino a qualche istante fa avevo sempre pensato fosse l’unica buona cosa
che mai avevo potuto fare dopo essere entrato nella sua vita. Dopo
averla distrutta, sbriciolata, annientata. Uccisa. Per sempre.
Fino
a qualche istante fa avevo sempre avuto la convinzione che il mio gesto
l’avesse liberata ad una nuova vita; migliore, sicuramente, senza di
me. Senza il pericolo, la paura, l’angoscia di essere uccisa in qualunque istante solo perché in mia presenza.
Evidentemente non era così.
E ripensare all’accaduto mi provocava un dolore che penetrava come un coltello fin nelle ossa.
Camminavo, passo dopo passo, sforzandomi di non evocare il suo volto nella mia mente, costringendomi a non pensarci.
Camminavo,
passo dopo passo, colpendo rumorosamente l’asfalto con la suola delle
mie scarpe, nella debole speranza di soffocare quelle cose che sentivo
agitarsi dentro di me. Sentimenti. Emozioni. Così umani.
Camminavo,
passo dopo passo, quando qualcosa vibrò nella mia tasca. Ah. Il
cellulare. Lo ignorai, come d’altronde facevo sempre. Chiunque fosse
avrebbe perso le speranze non sentendomi rispondere. Dopo molto smise
di vibrare. Dopo poco riprese a vibrare. Un’altra chiamata. Che tortura.
Mi conoscono, non rispondo: perché insistere? Incuriosito, decisi di
tirare fuori il cellulare dalla tasca e di scoprire chi insistesse così
tanto per sentirmi. Magari avrebbe potuto essere lei .. Zittì
all’istante quel pensiero, troppo doloroso da sopportare, e lo
ricacciai nell’antro buio della mia testa da dove era venuto. Pensarci
avrebbe fatto solo più male. Guardai chi stava chiamando e riconobbi il
numero.
Rosalie.
Rosalie?
Erano passati ormai mesi, ma mai
Rosalie mi aveva chiamato da quando me n’ero andato. Probabilmente ne
era solo contenta. Ancora incuriosito ma perlopiù stupito, accettai la
chiamata e risposi.
“Pronto”
“Guarda chi si degna di rispondere”
“Evita i commenti, Rosalie. Cosa vuoi?”
“Mmh ..” Esitò. Rosalie che esitava?
“Allora?”
“Alice mi ha detto una cosa”
“Cosa?”
“Non partirò dai convenevoli. Lei è morta”
Non
riuscì nemmeno a pensare che fosse uno sciocco, crudele scherzo.
Rosalie non avrebbe mai potuto ferirmi in questa maniera, neanche
dominata dal suo lato più crudele e perverso. All’istante quelle
taglienti parole attraversarono l’aria, e come lame squartarono la mia
pelle, scorsero bruciando nelle mie vene vuote, sbriciolarono le mie
ossa e colpirono, colpirono così forte il mio cuore che ormai, morto, aveva smesso di battere da molto, troppo tempo.
E
riuscì quasi a sentirne il rumore agghiacciante, il suono di qualcosa
dentro di me che si spezzava. Ma spezzandosi aveva lasciato uscire un
liquido freddo, ghiacciato come la neve, che circolò nelle mie vene e
riempì il mio corpo come fosse sangue. Sangue che bruciava
terribilmente. Riuscì a raggiungere il cervello, impedendogli di
pensare all’accaduto, ed impedendomi di riuscire a decidere di fare
qualcosa, qualsiasi cosa pur di sfuggire a quel freddo. E dopo
arrivò il dolore. Il mio cuore, ormai freddo e congelato da quel
liquido, si mosse contorcendosi in una morsa, stringendomi il petto ed
impedendomi di respirare. Tanto non cambiava. Potevo anche non
respirare. Potevo anche morire.
Ed ecco, un lampo veloce luccicante ed abbagliante come una saetta percorse il mio corpo, colpendomi nel vivo la testa.
Morire.
Potevo fare solo questo.
Solo questo per liberarmi con la forza da quel dolore insopportabile. Da quel dolore talmente forte, talmente malato ...
Dopo
averla incontrata, non ho più potuto immaginare la mia esistenza senza
di lei, ma solo da qualche mese ho dovuto provarla. Costretto da me
stesso, dalla malignità del mio essere. Solo da qualche mese ho dovuto
vivere immerso in una realtà che torturava senza pietà ogni minuto che
passa, quando per ogni secondo di questo mesi ho dovuto chiedermi se
avessi fatto la cosa giusta, e ho dovuto convincermi che lei avrebbe vissuto meglio senza di me. Senza il suo inferno personale al quale aggrapparsi e bruciarsi le mani.
Ma solo ora avevo realizzato l’enorme errore che avevo fatto.
L’enorme voragine che avevo aperto nel suo cuore, specchio della mia.
L’enorme dolore che le avevo causato ..
L’enorme errore di averla uccisa! Di aver ucciso la mia Bella, unico ragionevole motivo della mia esistenza senz’anima, esistenza dannata, eternamente dannata.
Eternamente. Ecco qual’ era il problema. Io non avrei mai vissuto
eternamente, intrappolato in questo corpo tanto divino quanto
assassino. Assassino.
Ed ora sono pronto. Spogliato di
tutta l’umanità che ero riuscito a succhiarle, ora mi ritrovo nudo
davanti alle mie colpe, che stanno bruciando sotto il sole cocente di
Volterra. Stanno cantando per me, cantano e mi chiamano, con la voce
più soave del mondo, una melodia irresistibile, che mi ricorda
terribilmente la sua.
“Edward! Edward!”
Oh, che voce melodiosa. Paradisiaca. L’inferno è così bello?
“Edward! Non farlo!”
Non fare cosa? Cosa non devo fare, bella voce? È così tremendamente, così dolorosamente
uguale alla sua. Così bella che non oso muovermi, non oso mostrarmi al
caos di una splendente giornata umana, per non rischiare di perderla.
L’inferno è così bello?
E
mi volto, decido di voltarmi. E la vedo. Oh, che apparizione.
Paradisiaca, come la sua bella voce. E mi chiama, urla il mio nome, che
suona ancora più dolcemente quando esce dalle sua soffici labbra,
spinto dal fiato caldo, e corre verso di me, mi tende le braccia, si
affanna per raggiungermi.
E capisco.
È lei.
È veramente lei.
Sì, l’inferno è così dannatamente bello.
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