Part 1
Salve
bella gente! Ho deciso di iniziare a pubblicare tutte le fiction che ho
sparso sui diversi forum che seguo, meglio tardi che mai insomma! XD
Allora, questa mini long fiction di 5 capitoli risale a prima che il
manga finisse, quindi non tiene conto della maggior parte degli eventi
"canonici". Si svolge post 4 guerra ma Naruto e Sasuke non hanno super poteri power up,
nè hanno perso un braccio a testa e Kakashi possiede ancora il
suo Sharingan. Non tratterà di coppie questa fiction, ma anche
se fosse sappiate che il NaruSaku regna per me, mentre tutto ciò che è canonico fa solo volume! XD
Questa storia la dedicai alla mia adorata Oduchan, ed ovviamente anche
adesso che approda qui su EFP la dedica resta invariata. ♥
Buona lettura miei prodi, ricordate sempre che le recensioni sono
nostre amiche e che pareri, critiche costruttive e quanto altro saranno
sempre ben accetti!
Demons
[Look into my eyes... It's where my demons hide]
Part. 1#
Era la cosa giusta da fare.
Una semplice frase ripetuta
più volte nonostante le ossa rotte, il sangue alla bocca e la paura di aver
lasciato pezzi di se stesso in giro per la vallata.
Era la cosa giusta da fare. Sai lo aveva ripetuto fino a che le
forze glielo avevano concesso, prima di essere trasportato d’urgenza
all’ospedale di Konoha.
Quando Sakura se lo era
trovato davanti, steso sul tavolo della sala operatoria era semplicemente irriconoscibile.
Continuava a dirsi che quell’ammasso di carne sanguinolenta, con evidenti
fratture scomposte alle gambe, non poteva essere Sai.
Trattenne il respiro quel
tanto che bastava per rendersi conto purtroppo che l’angosciante visione era
reale. Shizune e gli altri chirurghi le urlarono di non stare lì impalata, che
il paziente era un codice rosso, di
dare una mano perché ne avevano bisogno.
In un tripudio di sudore,
paura e tanto sangue, Sakura aveva operato Sai, per cercare di salvargli la
vita che ora era decisamente appesa ad un filo.
Non seppe quanto tempo passò
lì dentro, quando finalmente spalancò le porte dalla sala operatoria tirò un
sospiro di sollievo. Fissò per un momento l’orizzonte fuori dalla finestra e
vide che si era fatta notte. Era provata, sia nel corpo che nello spirito, ma
volle ugualmente seguire l’infermiera che condusse la barella con Sai nella
stanza della terapia intensiva. Quando finalmente tutto fu sistemato, Sakura
rimase in silenzio ad osservare. L’artista giaceva in quel letto, praticamente
immobilizzato per via delle molteplici fratture alla gambe e alla braccia. La
testa e parte del volto coperti di bende, non c’era porzione di pelle che non
fosse tumefatta e livida.
La squadra Anbu che aveva
condotto in ospedale Sai, disse che dopo aver seguito alcune tracce sospette
erano giunti in fondo ad una scarpata ove l’artista, a malapena ancora in vita,
era stato trovato coperto di sangue. Però, e questo Sakura non poteva
ignorarlo, le ferite di Sai erano troppo gravi, lui era uno shinobi molto
esperto nei combattimenti a lunga distanza, difficilmente avrebbe permesso ai
suoi avversari di avvicinarsi così tanto da ridurlo in quello stato. Era
strano, sembrava quasi che Sai non si fosse difeso, come se gli fosse stato
impossibile o non avesse voluto, ma era difficile credere che se ne fosse stato
fermo e buono mentre gli spaccavano le gambe. Odiava pensarlo, ma le sue ferite
facevano pensare ad una tortura, tesi avvalorata da segni evidenti di
bruciature e contusioni in via di guarigione. Torture prolungate di chissà
quanti giorni, forse una settimana, che era giusto il tempo in cui Sai non si
era fatto vivo al villaggio.
Lo sguardo limpido di Sakura
si offuscò, non riusciva a concepire tanta crudeltà verso un essere umano. Si
lasciò sfuggire un singhiozzo malcelato, pensando a quanto fosse triste e
furiosa allo stesso tempo. Preoccupata, si chiese inoltre a come avrebbe
reagito Naruto quando fosse venuto a conoscenza delle condizioni del compagno,
temeva per la sua impulsività, anche se in questo frangente lo avrebbe compreso
benissimo. Un rumore di passi la sorprese alle spalle, la voce delicata di
Shizune accompagnata da uno sbuffo le disse “Vai a casa a riposarti Sakura, non
c’è nient’altro che tu possa fare per lui…”
Come ci si aspettava, il
giorno dopo tutto il team Kakashi venne convocato dall’Hokage, per essere messi
al corrente delle condizioni di Sai.
Nessuna parola poté spiegare a
fondo quanto gli era capitato, solo quando Naruto, Kakashi e Yamato se lo
trovarono di fronte poterono comprendere. Yamato sussultò violentemente,
facendo tremare i pugni, al suo fianco Kakashi, strinse sofferente l’unico
occhio visibile, per poi chinare il capo come sconfitto da tale atroce visione.
Infine Naruto, non riuscì a spiccicare parola. Stette immobile con gli occhi
sgranati, la bocca semi spalancata, smossa unicamente da un ringhio silenzioso.
“Ci vorrà molto tempo… e tanta
fisioterapia… ma pensiamo che Sai possa rimettersi in piedi…” La voce di Sakura
era ridotta ad un sussurro, un flebile lamento che parve non venire nemmeno
udito dai presenti.
“Chi è stato a ridurlo così?”
Dopo un tempo interminabile, la voce di Naruto era come esplosa creando un eco
sinistro nella stanza.
“Non lo sappiamo… non ancora…”
Il capitano Yamato fece un passo indietro, dirigendosi verso la porta. Una mano
si poggiò sulla maniglia, bloccandosi prima di aprirla. La voce mutò
radicalmente divenendo bassa e gelida.
“Ma ho tutta l’intenzione di
scoprirlo…”
“L’aiuterò anche io!”
“Pure io!”
Kakashi sbuffò, conosceva fin
troppo bene i suoi ex allievi, così come il suo Kohai.
“Naruto, Sakura voi due vi
occuperete di Sai… al resto ci penseremo io e Yamato!” replicò il copia ninja
con tutta la calma possibile. Poté udire i ringhi di disappunto da parte dei
più giovani.
“Non vogliamo essere esclusi,
Kakashi sensei!”
“Naruto ha ragione!”
“Sporcarsi le mani con certa
gente non è compito vostro!” affermò critico il sensei dai capelli argentati.
Lo sguardo severo si puntò su Naruto e Sakura.
“Kakashi ha ragione, inoltre
ora Sai ha bisogno che gli stiate accanto! Ricordate che siete le persone più
importanti per lui…”
Bastò quella frase per
sgonfiare ogni tentativo di rivolta, più nessuno fra i presenti osò replicare.
In un tacito consenso, uscirono dalla camera, ognuno con una meta diversa.
Ognuno immerso nei propri pensieri.
Ma più di ogni altra cosa,
tutti si chiedevano se fosse il caso di avvisare anche Sasuke. Il nukenin da
poco aveva ripreso a vivere a Konoha, sempre sotto strettissima sorveglianza da
parte degli Anbu, confinato in un piccolo monolocale proprio accanto al palazzo
degli Hokage. Raramente gli era concesso uscire o vedere altre persone, ordine
tassativo di Tsunade tenere questo rigore per i primi sei mesi. Indi per cui,
non poteva sapere nulla di quanto era accaduto all’altro membro del suo vecchio team sette.
L’ultimo degli Uchiha vagava
insofferente fra il letto e la scrivania, stufo marcio di rileggere sempre i
soliti quattro libri pidocchiosi. Sospirando sonoramente chiuse il libro sgualcito
che aveva fra le mani, scostò delicatamente la sedia e si alzò in piedi.
L’ultima volta che lo aveva fatto di scatto, senza pensarci quasi, si era
ritrovato con la faccia spalmata contro il muro e un Kunai puntato alla
schiena. Gli Anbu che lo controllavano giorno e notte erano cinque, e di certo
non conoscevano le mezze misure.
Arrivato davanti alla porta
del bagno, Sasuke inspirò, contrito dalla frustrazione e per niente felice di
avvertire la solita presenza molesta alla sue spalle.
“Vi prego, per una volta
potrei almeno pisciare senza avervi fra i piedi?”
“Sai benissimo che non
possiamo permetterti di rimanere da solo, in nessun caso!”
Se solo non lo gli avessero
tenuto costantemente il chakra sigillato, Sasuke avrebbe volentieri sparato il
suo Chidori dritto nei coglioni di quel tipo. Solo perché il consiglio dei
cinque Kage non si fidava ancora totalmente di lui, questo non voleva dire che
potevano violare così spudoratamente la sua privacy. Erano passati già quattro
mesi da quando era iniziata questa prigionia forzata. I mesi più lunghi della
sua vita.
“Abbiamo visite…” affermò
piatto lo stesso Anbu che aveva tampinato Sasuke fin davanti il gabinetto.
Svanì in una nube di fumo e riapparve all’ingresso del monolocale.
Kakashi Hatake lo attendeva, lo
sguardo greve e impassibile. L’Anbu, più giovane di lui, fece un profondo
inchino invitandolo ad entrare.
Lui era uno fra i pochi
“eletti” che aveva il permesso di incontrare il giovane Uchiha. Kakashi varcò
la soglia, si tolse i sandali che posizionò all’ingresso e si diresse nella
stanzetta, diciamo così, salotto.
“Yo, Sasuke! Ti trovo in forma
anche oggi!”
Come risposta percepì un
sommesso grugnito, ed un espressione altamente scocciata.
“Sempre di buon umore…”
“Perché? Dovrei forse fare i
salti di gioia?”
“Attento a come parli,
Uchiha!” Immediatamente attorno al ragazzo comparvero gli altri Anbu, pronti a
fare da scudo per evitare che aggredisse Kakashi. Anche se era privato del suo
chakra, era comunque un elemento pericoloso.
Sasuke schioccò un occhiata
stizzita, e poi alzò le mani in segno di resa “Chiedo scusa, sensei… quale buon
vento la porta qui?”
Il modo in cui falsava la voce
era anche più orrendo di quanto non avrebbe mai pensato. Kakashi si disse
tristemente che, per una volta, Sasuke aveva tutto il diritto di fare i
capricci a quel modo. Simili arresti domiciliari avrebbero mandato fuori di
testa anche una persona sana. Figuriamoci lui.
“Pensavo ti interessasse
sapere che uno dei tuoi compagni, è rimasto ferito gravemente…” Kakashi non si
lasciò sfuggire il cipiglio di sorpresa che percorse, fugace e silenzioso, il
viso di Sasuke.
“Mh, scommetto che
quell’idiota di Naruto se le è prese dal solito imbecille di turno!” sputò la
sentenza senza remore, impegnandosi nello scandire il più possibile ogni
singola parola. Ma l’espressione che gli rivolse il Jonin era tutta un
programma.
“E’ una cosa seria, Sasuke…”
Si squadrarono male per un
breve istante, quando poi l’Uchiha capì che avrebbe perso questa battaglia di
occhiatacce, si lasciò andare ad un
sonoro sospiro. L’ennesimo di quella maledetta giornata che era iniziata già
con il piede sbagliato.
“Mi racconti tutto…” mesto,
andò a sedersi al piccolo tavolinetto che usufruiva come base per mangiare e
leggere, invitando inoltre Kakashi a fare lo stesso. La sedia scricchiolò
appena quando gli si sedette sopra, segno che doveva essere davvero vecchia e
malandata. Come il resto della casa, composta da mobili scalcinati, mura che
odoravano di muffa, tende spesse e polverose che adombravano l’unica finestra
disponibile. Kakashi sorrise tristemente, era ovvio che nessuno al villaggio si
sarebbe sforzato di rendere “piacevole” la prigionia a Sasuke. Troppo doveva a
Konoha, troppo.
Kakashi si prese il suo tempo,
spiegò di come Sai fosse sparito tutto un tratto la settimana scorsa, di quanto
lo avessero cercato e di come infine fu stato ritrovato da una squadra Anbu di
pattuglia.
“Mh…” fu la criptica
affermazione di Sasuke, nulla di più, nulla di meno. Non che si aspettasse
chissà che, in fondo Sasuke non aveva avuto modo di conoscere Sai al punto da
preoccuparsi per lui sinceramente.
“In qualità di capitano del
team, mi sono sentito in dovere di avvisarti!”
“Buffo, stavolta rischio di
essere io il sostituto del team 7, vero sensei?”
“Tu non puoi nemmeno uscire di
casa Sasuke, figuriamoci l’essere reintegrato nel mio team!” Puntualizzò con
una certa rabbia quel mio team. Una
risata malcelata sgorgava dalla gola di Sasuke.
“Se non faccio più parte del
suo team, perché cavolo si è preso il disturbo di venire fin qui?!”
“Francamente Sasuke, se ancora
non l’hai capito, allora Naruto e Sakura stanno davvero sprecando il loro tempo
con te…”
Il modo in cui Sasuke sgranò
gli occhi fu qualcosa di comico per Kakashi. Sembrava un bimbo a cui avevano
appena detto che doveva fermarsi a scuola, oltre l’orario, perché in punizione
per qualcosa che non aveva fatto. Si morse il labbro, nervoso, assottigliando
lo sguardo come un felino pronto a ghermire la sua preda.
“Sono stanco di ripeterlo… non
me ne frega un cazzo di cosa pensano quei due o il resto del villaggio, se lo
metta in testa!”
Kakashi non gli diede corda,
evitando bellamente di rispondere a quella provocazione spudorata. Si alzò,
silente e elegante imboccando l’uscita dell’angusta abitazione.
“Se ci saranno novità, sarai
informato…”
“Tsk! Come le pare!”
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