Wheatcroft

di Triz
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Capitolo 2
Presente - Parte prima

«Sherman Watson, giuro che ti ammazzo!» ringhiò Cassandra quando raggiunse il ragazzo sulla veranda.
«Anche secondo me fa un po' freddo» mormorò lui distratto cercando le chiavi del portone.
«Sherman!».
«Che c'è?».
Con un movimento rapido, Cassandra gli sottrasse le chiavi e, per quanto Sherman si allungasse su di lei per riprenderle, la ragazza riusciva sempre a metterle fuori dalla sua portata: «Non ti ridarò le chiavi finché non mi spieghi quale sarebbe il tuo lavoro».
«Non è proprio un lavoro, diciamo più un hobby».
«Quello che è, pretendo delle spiegazioni».
«E va bene» sospirò Sherman rinunciando definitivamente alle chiavi: «Il proprietario di questo posto mi ha chiamato ieri per convincere il fantasma che c'è qui ad andare altrove ed è questo che faccio, mi chiamano per disinfestare le case».
«Tipo Ghostbusters?».
«Esatto, contenta?» disse Sherman e approfittò dello stupore di Cassandra per riprendersi le chiavi.


Aspetto da vent'anni che mi porti a ballare.
Sherman Watson poteva anche non crederci, ma solo lei, solo la sua Cassandra poteva dire una cosa del genere.
Aspetto da vent'anni che mi porti a ballare.
«Cristo santo, vada più piano o ci ammazziamo!» gridava Edgar nel posto accanto a lui.
Aspetto da vent'anni che mi porti a ballare.
Sherman correva come un pazzo su quelle strade che non percorreva più da anni, schiacciava a tavoletta l'acceleratore e non riusciva a mettere in fila due pensieri che fossero coerenti e logici.
Oh, ma che la logica si fotta!
Era stato logico pensare di portare la propria - quasi - ragazza in una villa nota per essere infestata da un fantasma? Era logico correre in quel modo e sperare che fosse veramente lei, ringraziando Dio per quell'occasione che da mesi sperava di avere e che gli era giunta quando meno ci poteva credere?
Cassandra, la sua Cassandra, la sua Cassie.

«Avanti, Sherman, spara! Di chi è stata l'idea dello scherzo? Scommetto di quella stupida di Melinda!» borbottò Cassandra visibilmente a disagio quando l'ennesimo ratto scappò lungo il corridoio. La villa, un tempo grande e magnifica, era stata lasciata in balia di sé stessa, come testimoniavano le ragnatele e le assi marce del pavimento che scricchiolavano ad ogni passo: il custode era solo riuscito a impedire che i vandali imbrattassero le pareti di scritte volgari, dal momento che persino lui aveva timore di entrare.
«Non è uno scherzo e Melinda non c'entra niente, e anche se fosse lo sai che non mi vede di buon occhio».
Cassandra sbuffò, ricordando di come l'amica l'aveva supplicata di dare due di picche a "quel nerd psicopatico": «E allora chi è il fantasma?».
«Lord Amadeus Wheatcroft, fu lui a far costruire questa villa e ne fu il primo abitante non appena sposò la sua seconda moglie» iniziò a raccontare Sherman con un'eccitazione quasi surreale: «Il venticinque maggio di ogni anno lui riappare nella villa, fa cacciare chi ci abita e sta tutta la notte sul balcone della facciata principale. Ormai qui non ci viene più nessuno proprio per questo».
«E perché proprio il venticinque maggio?».
Sherman alzò le spalle e Cassandra sorrise: era la prima volta che lo coglieva in fallo su qualcosa che non sapeva. Intanto erano arrivati al salone principale e Sherman indicò con la torcia un dipinto a figura intera, che ritraeva un uomo maturo che guardava con un accenno di sorriso a una donna molto più giovane a cui teneva la mano.
«Quello è lord Wheatcroft e, appena usciamo da qui» e indicò il finestrone sporco di fronte al dipinto: «Ce lo ritroveremo davanti. E ora che c'è?» sospirò quando Cassandra lo fissò perplessa.
«Perché hai deciso di portarmi con te, Sherman?» domandò lentamente.
«Mi hanno detto che sei una tipa tosta e molto coraggiosa».
«Solo quando si tratta di dirne quattro a qualcuno» commentò Cassandra cercando di sembrare disinvolta e Sherman sorrise, debolmente illuminato dalla luce della torcia e dal poco che filtrava dai vetri della finestra.
«Pronta?» mormorò nel tono più dolce possibile e tendendole la mano.
Lei esitò per un attimo, poi rifletté che ormai c'era dentro con tutte le scarpe: tanto valeva prendere la mano di Sherman e uscire.
Così fece, e negli anni che seguirono non si pentì mai di quel gesto.




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