«
L'amour est une course d'obstacles ;
au
dernier, il tombe de lui-même ».
La Revue blanche,
Gaston Salandri.
Paragraphe
I.
Ha delle orecchie
veramente buffe, fu ciò che pensò quando lo vide per la
prima volta, ai casting.
Una frase che gli
balenò di nuovo alla mente, in quel momento, mentre
passeggiando fra la gente, imbacuccato nel suo lungo cappotto in pelle
e con una sciarpa stretta ad avvolgergli la gola, Bradley si avviava
per l’innevata Main Street, dopo essere uscito da un negozio
all’angolo ed aver acquistato un regalo per la madre.
Serpeggiando fra la folla colorata che riempiva il marciapiede, si
accorse di una figura dinoccolata e familiare, a pochi metri di
distanza. Stretto in una giubba, con le mani piantate nelle tasche, e
ritto davanti ad una vetrina di un irish pub, c’era
nientemeno che Colin Morgan, tutto intento a guardare strane tazze,
decorate con eccessivi ghirigori rossi ed oro.
Bradley sorrise: fra
tutti i suoi conoscenti, proprio lui, Colin, aveva dovuto incontrare.
« Ehi,
Morgan! », esclamò, attirando
l’attenzione dell’interessato, il quale si
girò all’istante e precisamente nel punto in cui
era fermo Bradley, a sventagliare la mano che teneva la busta. Bradley
si accinse ad andargli incontro, con un ghigno di saluto, e
notò la vaga sorpresa nello sguardo di Colin.
« Ciao
», salutò Colin, grattandosi una guancia con la
mano inguantata appena estratta dalla tasca. « C-che
coincidenza ».
«
Già », concordò Bradley. «
Qual buon vento ti porta a Londra? Non sei irlandese? O sbaglio?
».
« Irlandese,
irlandese », sorrise teso l’altro. « Ma
ho delle piccole questioni di lavoro da risolvere qui ». Poi,
distolse gli occhi da quelli di Bradley.
Bradley
annuì, mordendosi una guancia. Alzò un poco la
busta che stringeva nella mano. « Io mi diverto a far regali.
Londra è un ottimo posto se cerchi roba eccentrica. Certe
cose ti fanno sgranare gli occhi da quanto sono strambe ».
« Ho notato
».
Bradley rispose con un
mugugno di affermazione.
Non conosceva molto
bene Colin Morgan; l’aveva intravisto una o due volte, dopo i
casting, agli studios della capitale britannica, e in quelle volte
avevano al massimo scambiato un saluto veloce, per poi dirigersi in
direzioni distinte. Una cosa che poteva affermare con certezza,
comunque, - e che aveva capito nel giro di pochi minuti – era
che Colin Morgan non era un buon compagno di chiacchiere, al suo
contrario. Due differenti facce della stessa medaglia? Il copione
recitava bene, e senz’altro James aveva fatto centro nella
scelta dei due attori principali.
Bradley non si perse
d’animo: la freddezza dimostrata da Morgan non lo scalfiva
neanche di striscio. Magari – pensò bene Bradley
– chiacchierare un po’ insieme lo avrebbe aiutato a
sciogliersi.
« Ti va una
tazza di caffè? », propose, indicando la porta
all’angolo dell’irish pub.
Colin rimase
interdetto davanti ad un invito tanto diretto, e Bradley si aspettava
una reazione simile. Aveva già avuto a che fare con tipi
così timidi e distaccati; sapeva che la gentilezza e la
cortesia erano le armi giuste per sfondare l’immensa fortezza
fatta di discrezione e d’impaccio.
«
Così, tanto per conoscerci meglio », aggiunse con
un largo sorriso, che diete la possibilità a Colin di
intravedere una fila di denti perlacei ed affilati. Da predatore, gli
suggerì la sua mente, quasi con crudeltà.
« Veramente
», deglutì Colin, staccando gli occhi dalla bocca
ridente, « dovrei fare qualche spesa. Sai, i
regali… Non ne ho comprato nessuno ».
« Ah, ti
ruberò solo pochi minuti », ribatté
Bradley. E lo afferrò per il gomito piegato ad angolo retto.
« Merlin e Arthur dovranno pur fare amicizia, giusto? Se no
Camelot va a male ».
Colin rise, titubante,
e non poté fare altro che seguire quella sorta di petardo
ambulante.
Non appena misero
piede nello stretto ingresso del pub, il calore li invase e si
insediò fin sotto il loro copioso strato di indumenti, fatto
di sciarpe, guantoni e giacche pesanti, che li proteggeva dal gelo di
Londra. Il locale era accogliente e dava un piacevole senso di
familiarità, anche se era arredato con decorazioni natalizie
delle più strampalate. Bradley individuò un
gigantesco e bizzarro Babbo Natale ciondolante dal soffitto, agganciato
malamente alla sua slitta soltanto per le dita tozze delle mani.
« Wow
», mormorò Bradley, osservando curioso
l’enorme ornamento. « Nemmeno mia nonna ».
Colin
sbuffò in una flebile risata, incrociando lo sguardo di
Bradley; insieme, si diressero al bancone, dove una paffuta signora dal
viso gentile impacchettava dei regali per i clienti che attendevano a
lato.
« Tu
caffè? », fece Bradley a Colin, con un gomito
poggiato al bancone. « A me va una cioccolata ».
« Il
caffè va benissimo, grazie ». Colin si
guardò intorno, ticchettando con dita nervose sul legno.
Bradley non poté far altro che corrugare la fronte e
stringere le labbra contro i denti, di fronte a
quell’eccessivo imbarazzo.
« Colin,
potresti occupare il tavolo vicino alla finestra? ».
« Certo
», annuì Colin, e si allontanò
così speditamente da far pensare a Bradley di non voler fare
altro, di non desiderare che allontanarsi un istante da una situazione
un po’ scomoda.
Bradley lo
guardò, gli angoli della bocca piegati velatamente
all’insù, sedersi e poggiare i gomiti sul tavolo,
con compostezza. Il sorriso gli si allargò maggiormente
quando i suoi occhi caddero di nuovo sulle orecchie di Colin, a
sventola ed ancora arrossate per il freddo; a volte, forse senza
nemmeno farci caso, Colin sfregava la sinistra con la manica della
giacca.
« Desideri
qualcosa, bel giovanotto? ».
La voce di quella che
doveva essere la proprietaria gli fece voltare subito la testa in sua
direzione, incontrando un sorrisetto bonario, che ricambiò
con piacere.
« Un
caffè e una cioccolata ».
Mentre Bradley
ordinava ed attendeva l’arrivo delle bevande, con leggera
allegria e disinvoltura, Colin – dal canto suo –
pensava alla situazione in cui s’era cacciato e nella sua
mente non poteva che riderne amaramente, credendola parecchio bizzarra.
Londra era una
metropoli, una città dannatamente grande, con milioni di
persone che vi abitavano e che giornalmente percorrevano le sue strade,
intasandole di traffico. E chi aveva casualmente incontrato, in una
delle centinaia, affollate, vie di Londra?
Si morse il labbro
inferiore e sospirò, gli occhi che scrutavano il vetro terso
della finestra, la cui cornice era ornata da sottili filamenti rossi,
attaccati ai lati.
Non era un
granché piacevole starsene seduto lì, a quello
stretto tavolo di mogano, ad attendere un caffè offertogli
da una persona che conosceva a malapena, di vista, non fosse per il
saluto quasi obbligato che scambiavano agli studios. Di Bradley James
conosceva unicamente la carriera; tra teatro, telefilm e cinema, stava
riuscendo a farsi largo nella strada che conduceva alla fama. Era un
buon attore, per quel che aveva appreso per sentito dire; magari
avrebbero lavorato bene insieme. Magari.
Eppure, non riusciva a
sbloccarsi facilmente.
Pochi minuti di
conversazione con lui l’avevano ridotto alla sillabazione.
Bradley sembrava un tipo socievole, amichevole e cordiale. Il suo
opposto, quasi. Prima di riuscire ad aprirsi, Colin aveva bisogno di
basi solide.
« Et
voilà! ».
Un tazza di
caffè nero si materializzò fra i suoi gomiti.
Colin ne annusò il leggero vapore, avvicinandola a
sé. « Grazie », esordì, per
poi nascondere in parte il viso dietro il bordo.
« Figurati
», sorrise Bradley. Si sedette ed accostò la sua
tazza di cioccolata fumante; ne aspirò il profumo, ad occhi
socchiusi e con un ghigno sornione sulla bocca. « Oh
sì… ci vuole, ci vuole proprio con questo gelo
». Portò il bordo della tazza alla bocca schiusa.
Colin quasi
sputò il sorso di caffè caldo che aveva
sorseggiato con apprensione, per evitare di scottarsi. Cosa che
evidentemente non era passata per la testa a Bradley, il quale esplose
in un mugugno acuto, gli occhi lucidi di lacrime, per poi sfogarsi in
un’imprecazione incomprensibile. Fortuna che ebbe la cura di
dirla a voce bassa. Colin inghiottì il caffè e si
protese verso Bradley. « Tutto bene? ».
Bradley teneva le
palpebre serrate; scosse la testa due volte soltanto, velocemente, ed
inghiottì a stento il sorso di cioccolata. « No
», pigolò.
La risata che eruppe
dalla gola di Colin fu spontanea e del tutto sincera: vedere un
ragazzone di ben ventiquattro anni scottarsi la lingua con della
cioccolata calda avrebbe fatto ridere chiunque, dopotutto, persino la
persona più seria del mondo.
« Ridi delle
mie sventure? Vorrei vederti al mio posto, con la lingua ridotta in
cenere da una dannata cioccolata ».
« Non ci
spererei », sorrise Colin, guardandolo da sopra la sua tazza,
« so essere prudente, io ».
« Ma ero
assetato, ed avevo pure bisogno di riscaldarmi. È normale
partire a razzo ».
« Anche
sapendo che è bollente? ».
Bradley
allontanò con un mano la tazza di cioccolata, lo sguardo
indignato. « Be’, sì ».
Colin scosse la testa
con un’altra risata. Bradley, a dispetto
dell’aspetto da duro, era un tipo simpatico, sì. E
di buona compagnia.
« Vedo che
ti sei ambientato », articolò Bradley, la voce
leggermente impastata, forse a causa della lingua scottata e un
po’ indolenzita. « Dio, ma come parlo…
».
L’indice di
Colin percorse l’orlo della tazza di caffè, che
aveva appena posato sul tavolo. Annuì, sollevando lo
sguardo. « Non sei male ».
« Grazie,
nemmeno tu, alla fin fine ». Bradley ghignò in sua
direzione ed incrociò le braccia, appoggiando la guancia sul
dorso di una mano. « Sai, con tutta sincerità, ti
credevo un po’… mh, moscio? Nah, non è
il termine esatto… Scusami, scusami »,
mugugnò, aggrottando la fronte e riflettendo.
Colin
ridacchiò. « Sembro sulle mie, sì;
magari un po’ posato. È colpa del mio aspetto e
della prima impressione ».
« Ognuno
è fatto a modo suo ». Bradley
riavvicinò la tazza di cioccolata. « Io sono
sfacciato, ad esempio. Senza vergogna, ahimé! ».
Colin
adocchiò i suoi tentativi di familiarizzare col cioccolato.
« Tenti di nuovo? ».
Bradley soffiava sulla
tazza e ne agitava col cucchiaino il contenuto. « Forse
s’è raffreddata ».
« Vacci
piano ».
« Concordo.
La mia lingua potrebbe staccarsi ».
Colin vide sparire
parte del viso di Bradley dietro la tazza. Si morse il labbro superiore
con aria pensierosa; lavorare con lui non sarebbe stato affatto male.
«
M’è andata bene, visto? », disse
contento il biondo. « Oh, finalmente! ».
Trascorsero buona
parte del pomeriggio chiusi al caldo in quell’irish pub, fra
le pesanti decorazioni rosse, bianche ed oro, sotto lo sguardo
indiscreto della padrona e con sottofondi musicali natalizi.
Chiacchierarono del più e del meno, discorrendo su svariati
argomenti e scoprendo uno sempre più sulla vita
dell’altro. Per quanto Colin si fosse mostrato inizialmente
introverso e schivo, non poté nulla contro il
chiacchiericcio insistente di Bradley; un vero e proprio antidoto
contro la timidezza. Alle volte, si accorse Colin, Bradley sentiva come
il bisogno di toccare la persona con cui conversava, sfiorandogli un
braccio o una mano; e poi rideva, rideva tanto, gettando la testa
all’indietro e mostrando il collo candido.
« Freddo
», esclamò Bradley con un sospiro tremule, dopo
essersi chiuso la porta del locale alle spalle. Ficcò i
pugni chiusi dentro le tasche del suo cappotto, la testa piantata fra
le spalle ed il mento nascosto dalla sciarpa.
Il sole era sceso
oltre le alte case del centro di Londra ed il chiarore pomeridiano
stava quasi spegnendosi; per le strade correvano meno viandanti
rispetto a qualche ora prima.
« Mi
dispiace, Colin », si scusò il ragazzo,
indirizzando con una lieve punta di dispiacere le iridi chiare su
Colin.
« Ma no
». Colin alzò la zip fino a chiudersi del tutto il
giubbotto. « Ho passato un ottimo pomeriggio, sul serio
».
« Vale anche
per me », sorrise a trentadue denti Bradley. Gli diede una
poderosa pacca sulla spalla, che gli fece perdere per un momento
l’equilibrio.
« E grazie
per il caffè, sono in debito ».
« Che dici,
Merlin ». Bradley sciorinò leggermente una mano,
come a voler scacciare un insetto molesto. « La prossima
volta offrirai tu e mi pagherai una buona tazza di tè. Ho
chiuso con le cioccolate ». Risero entrambi,
un’ultima volta.
« A presto,
orecchie buffe. E buon Natale », sussurrò Bradley,
sfiorandogli con due dita un orecchio, gli occhi fissi in quelli
dell’altro. Colin trasalì.
Trascorsero pochi
secondi, prima che Bradley gli desse le spalle e si allontanasse per la
via; a Colin parvero minuti, forse ore. Gli occhi di Bradley avevano un
che di ipnotico: costringevano a fissare lo sguardo dentro di loro,
alla ricerca di qualcosa. Un qualcosa che Colin, davvero, non aveva la
capacità di spiegarsi. Fatto stava che quando Bradley se ne
andò, con la mano levata in un saluto, a malapena
riuscì a sollevare la propria per ricambiare. Non rispose al
suo augurio, non ne fu capace. Aveva la gola arida.
Colin
prese la direzione opposta, attraversando la vetrina in cui il biondo
lo aveva avvicinato, e lambì il punto in cui Bradley gli
aveva toccato l’orecchio.
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