Preambolo!
Questa challenge l’ho presa in prestito da
qua, ed è stato il mio modo di riavvicinarmi alla scrittura durante questi
mesi estivi. L’ultima volta che ho messo le mani sulla tastiera per comporre
qualcosa, prima di iniziare questa challenge
verso metà Giugno, è stato per gli inizi di Aprile – e siccome so quanto
stare in stallo così tanto possa nuocere alle mie già discutibili capacità, ho
ben pensato di dare ascolto a uno dei consigli che ho visto dare spesso per
sconfiggere il blocco dello scrittore: scrivi
anche quando non ne hai voglia.
E così ho
deciso di forzarmi più o meno ogni giorno su un foglio di word, imponendomi di
concludere questa avventura nel giro di un mese. In realtà ci ho messo giusto
un paio di giorni in più, ma alla fine ce l’ho fatta!
… e siccome mi dispiaceva lasciare il tutto a marcire, ho deciso anche di
postare il tutto da queste parti. Ho trattato di diverse ship
(anche magari che propriamente non amo alla follia, più
una certa prevalenza ImaHana che è un po’ la mia
coppia-jolly su cui scriverei sempre) e a volte anche di singoli personaggi,
cercando di mettermi il più possibile alla prova.
Ma
ciancio alle bande, taccio e vi lascio alla prima storia!
Genere: Introspettivo, un po’ angst, generale
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: Hanamiya
Makoto, Imayoshi Shoichi
Rating: Verde
Parole: 2400+
Note: Si basa tutto sull’idea che ho di una
coppia di genitori –quelli di Hanamiya- che con
il proprio figlio è infinitamente distante, così
distante che certe differenze sembrano non avere possibilità di essere
appianate. Ma forse c’è qualcuno, al di fuori di tutto
questo, che può alleviare un po’ una situazione tanto angosciante.
Scritta il: 13/06/2015
1# • Things you said at
1 am
Era decisamente
una cosa positiva che, nonostante fossero quasi le una di notte, Imayoshi fosse ancora sveglio.
Non che potesse fare
altrimenti, in ogni caso: con gli esami di ammissione dietro l’angolo, era più
che normale che la caffeina si sostituisse al sangue, e che le sessioni di
studio intensivo si protrassero ben oltre orari considerati sani. Fece dunque
poco caso all’orario in cima allo schermo del telefono quando lo sentì risuonare di una musichetta allegra che aveva
dimenticato di disattivare, domandandosi chi fosse a contattarlo proprio nel
cuore della notte.
“Hanamiya
Makoto”
Oh? Questa era una
sorpresa. Da quando avevano iniziato a vedersi già era
raro che fosse lui a cercarlo per primo, figuriamoci ad orari improbabili come
quelli! Sollevò le sopracciglia sopra un’espressione curiosa, esplorando il
contenuto di quell’inaspettato messaggio.
“Aprimi.”
Sarà stato pure un piccolo
genio, ma doveva smettere di abusare così tanto del suo dono della sintesi.
Sospirò, ma un sorrisetto malizioso gli increspò le
labbra mentre digitava la sua risposta.
“Di solito sei così
audace solo in camera da letto.”
“Idiota, aprimi la
porta, sono fuori dal dormitorio.”
Stava succedendo davvero, o
erano gli effetti del sonno, del troppo studio, dei troppi caffè bevuti per
mantenere il focus dell’attenzione? Distolse lo sguardo dallo schermo,
domandandosi per caso se fosse una sorta di allucinazione, ma quando tornò con
gli occhi sul rettangolo luminoso il messaggio era ancora lì.
Si precipitò fuori dalla
stanza quasi senza pensarci, senza nemmeno considerare che potesse trattarsi di
uno dei suoi tentativi di coglierlo alla sprovvista e
di giocargli così qualche brutto tiro. Non avrebbe avuto senso, d’altronde, o
no? Non avrebbe comunque potuto vederlo cadere in un’eventuale trappola, non avrebbe avuto nessuna
soddisfazione papabile da uno scherzo del genere… !
E infatti,
quando si ritrovò nel corridoio d’ingresso, la prima cosa che vide oltre la
porta vetro fu una figura stretta in una felpa troppo leggera per il clima
notturno ancora pungente, la testa incavata nelle spalle e le mani sprofondate
nelle tasche. Come era riuscito ad entrare nel plesso
senza farsi beccare? Attento a non far troppo rumore lasciò che varcasse quella
soglia, concedendogli qualche secondo per tornare ad
un’umana temperatura corporea prima di porgli qualsiasi domanda e limitandosi
dunque ad osservarlo con attenzione.
Era raro, davvero, vederlo
completamente sereno, quindi non si preoccupò neanche eccessivamente della
solita espressione accigliata che gli adornava il viso. C’era qualcos’altro a
catturare la sua attenzione - una specie di ombra scura a velargli gli occhi
puntati chissà dove, la schiena incurvata, e nessuna apparente volontà di
dargli contro in alcun modo. Da dove arrivava tutta quella mesta passività? Il
più grande si sistemò gli occhiali sul dorso del naso, decidendosi finalmente a
rompere il ghiaccio.
- Vogliamo rimanere qui
tutta la notte? - ad essere del tutto sinceri, di
battute anche più fastidiose ne aveva in serbo parecchie, ma l’atmosfera
pesante non aveva fatto tardi a suggerirgli di tenere tappata la bocca per
evitare rumorose ritorsioni. Hanamiya, infatti, si
limitò a tirargli una semplice occhiataccia
mentre il moto tornava nelle sue gambe, e con passo deciso si avviava verso
quella stanza che ormai conosceva quasi meglio della propria, non aspettando
nemmeno il legittimo proprietario per fiondarcisi dentro e imbozzolarsi,
immobile e silenzioso, sul materasso.
… era venuto solo per un
posto letto? Che piccolo lunatico, era proprio incorreggibile! Gli si avvicinò con passo felpato e appena percettibile,
sperando che parlare con l’ostinata schiena che gli stava mostrando potesse
sortire qualche risultato.
- Come mai qua? Ti sei perso, Mako-chan? -
E sì che a
quell’appellativo reagiva sempre - ma non stavolta, se non per un irritato
sussulto. Ci sarebbe stato verso di cavare dalla sua bocca una qualsiasi
informazione? Non che gli pesasse avere quel ragnetto in giro per casa, ma
almeno uno spettro di motivazione sarebbe stato gradito…!
Sospirò per l’ennesima
volta, come arreso. Poteva vantarsi, era vero, di capirlo molto più di chiunque
altro - ma persino per lui, per quanto fosse difficile ammetterlo, a volte Hanamiya era un mistero. Non esprimeva mai i suoi veri
pensieri, quando aveva un problema preferiva tacerlo
piuttosto che parlarne; e per quanto riuscisse quasi sempre in un modo o
nell’altro a ricavare le informazioni che voleva, quando si trovava davanti ad
un silenzio più freddo e impenetrabile del solito sapeva che le cose che
potevano fare erano ben poche.
La prima,
fare finta di niente. Sarebbe potuto tornare alla sua scrivania e studiare,
aspettare che l’emergenza fosse rientrata da sola e proseguire quella serata
nell’esatto modo in cui era cominciata. Sarebbe stato sicuramente più facile,
ma altrettanto facile era prevedere le conseguenze:
come avrebbe potuto fronteggiare un offeso, imbronciato e particolarmente
manesco Hanamiya, poi?
La seconda, dunque, per
quanto dall’esito incerto, era senz’altro la più consigliabile: si defilò dalla
stanza per tornarne poco dopo con qualcosa in un bicchierino di plastica, il
cui odore si librò presto in quelle quattro mura. Vide chiaramente il naso
dell’ospite reagire al profumo, e subito il suo sguardo fu puntato su di
lui.
- Cioccolata calda della
macchinetta? - borbottò - Ti sei sprecato. -
- Eh, questo passa in
convento, lo sai. - se non altro, pensò, almeno aveva attirato la sua
attenzione.
Prese
posto sulla sua seggiola, scorrendo verso il letto e
porgendogli la bevanda calda. L’altro lo fissò come
una specie di bestiolina iraconda, prendendosi qualche secondo di esitazione
prima di accettare e allungare le mani verso di lui. Non poterono sfuggire,
agli occhi di Imayoshi, le nocche arrossate e a
tratti tumefatte, facendo un po’ di resistenza prima di consegnargli il
bicchiere per osservare ancora un po’ quelle ferite che proprio non si
aspettava. Era per quello che era così tanto sulla difensiva?
- Hai fatto a botte? -
domandò, sorpreso. L’altro schioccò, seccato, la lingua sul palato, tirandogli
via dalle mani il dannato bicchiere e accoccolandosi con la schiena contro il
muro.
- No, fatti i cazzi tuoi. -
soffiò, distogliendo immediatamente lo sguardo e poggiando le labbra sul
bicchierino. Shoichi incrociò le braccia.
- Vorrei, ma sei sbucato a
casa mia alle una di notte con un broncio lungo fino a terra e un’aria da
funerale! Sono preoccupato per te, lo sai? - … o forse era solo curioso, e il
suo animo un po’ pettegolo non voleva fare a meno di ficcanasare in certe
questioni. Hanamiya lo sapeva benissimo, e
l’occhiataccia che gli rivolse fu più che eloquente.
Non durò più di qualche
secondo, però. L’espressione sul suo viso parve rilassarsi, e la stretta sul
povero bicchiere divenne meno marcata. Tornò a guardare il vuoto davanti a sé,
le labbra leggermente dischiuse come a cercare le giuste parole.
- C’è davvero… un motivo,
uno solo, per cui io possa andare bene alla mia cazzo
di famiglia? -
Non era convinto che
fossero solo le tante piccole stranezze di quella serata a tenerlo così in
allerta.
Certo, era strano che suo
padre fosse in casa e per di più a cenare con loro, sempre lontano com’era per
il proprio lavoro. Era anche strano, in effetti, stare tutti seduti attorno al
tavolo, col solito silenzio riempito stavolta dalla tv accesa poco lontana da
loro.
Ma
non era solo questo, Makoto lo sapeva. Non era una persona ‘tranquilla’, ma
persino per lui quell’inquietudine di fondo era fuori
luogo. Voleva finire e defilarsi di lì alla svelta; voleva scongiurare
ogni ulteriore eventuale rottura di palle, voleva prendere le distanze
dall’indifferenza che permeava le relazioni di quella famiglia e non farsene
inquinare ancora più del necessario. Stava per succedere qualcosa da cui doveva
assolutamente sottrarsi, ma il fulmine che squarciò quell’apatica calma arrivò
prima di quanto pensasse.
- Riconoscere le unioni gay? - biascicò disgustosamente il padre con la bocca ancora
piena, commentando severamente le notizie del telegiornale - E poi cos’altro, si potranno sposare gli animali? -
- Certi politici sono
pronti a qualsiasi cosa per ottenere il consenso di certi deviati. - la
risposta della madre fu invece quasi un sussurro, ma Hanamiya sentì con tutta la forza possibile la cattiveria
di quelle due affermazioni. Non era solito lasciarsi turbare da simili frasi,
ma, per quanto per loro non nutrisse praticamente
alcun tipo di rispetto— erano i suoi genitori.
- … oi, non vi sembra di
esagerare? Siamo nel ventunesimo secolo. - di solito era quello che rimaneva in
silenzio, lui. Di solito non metteva bocca in quelle discussioni, soprattutto
da quando si era reso conto che il suo parere, in quella casa, valeva meno di
zero. Persino gli altri due parvero sorpresi da quell’intervento, e non
incontrando ostacoli continuò incoscientemente a parlare - Cosa
fareste se fossi io quello gay? -
Lo stupito silenzio si
protrasse ancora troppo, troppo a lungo, diventando sempre più pesante e gonfio
di biasimo. Si pentì di quelle parole, di aver deciso di irrompere nella
discussione senza che nessuno gliel’avesse richiesto, di essere andato così palesemente incontro al suo presentimento. Vide
il genitore aggrottare le sopracciglia, protraendosi minacciosamente verso di
lui.
- Un frocio in famiglia
sarebbe un disonore. - sentenziò duramente - Ti allontaneremmo da questa casa e
tu da noi non avresti più niente. -
Imayoshi
ascoltò senza proferir parola, lasciando che l’altro si sfogasse.
Conosceva anche fin troppo
bene che aria si respirava in casa Hanamiya. Lui mal
sopportava i suoi genitori e loro non avevano nessuna considerazione di lui, e
la situazione andava avanti in questo precario equilibrio da che ne avesse
memoria. Era pure normale che a volte le cose precipitassero così tanto che
tirare pugni al muro non bastasse più a sfogarsi, e che quelle mura domestiche
diventassero tanto opprimenti da voler solo scappare. Era la prima volta,
tuttavia, che succedeva così tardi - e che di tutte le
persone molto più fisicamente vicine a lui da cui poteva rifugiarsi almeno per
una notte, avesse deciso di fare tutta quella strada per andare proprio da lui.
Era quasi onorato!
… anche se non era certo il
momento di farne un vanto.
- E poi cos’è successo, hai risposto, o… - tentò di domandare, ma l’altro
gli parlò immediatamente sopra.
- Certo che no, non sono un
deficiente! Non che possa permettermi di farmi lasciare col culo
per terra, ho fatto finta di nulla! - ringhiò, accartocciando il bicchierino
adesso vuoto, prima di lasciarlo cadere e infilarsi le mani nei capelli - Non
ho un altro tetto sotto cui stare, ma non ce la faccio
più, non ce la faccio più a stare lì, cazzo… ! -
Poche, pochissime cose
riuscivano ad incrinare, nel bene o nel male, la sua
caratteristica apatia. E tutte le volte che vedeva
Makoto uscire così drammaticamente dal suo tipico personaggio, magari
riducendosi in uno stato del genere, non poteva fare a meno di ricordarsi che
al di là del Bad Boy, del ragazzaccio
violento contro cui nessuno voleva giocare, c’era una persona piena di
conflitti irrisolti, di problemi che andavano oltre a ciò che chi lo conosceva
solo superficialmente poteva immaginare.
Non stava cercando di
giustificarlo, sia chiaro - solo, voleva dire che anche lui meritava ascolto e
consolazione, laddove le sue azioni poco carine non c’entravano
nulla. Si sedette vicino a lui, invadendo quello spazio vitale che sapeva di
essersi duramente guadagnato, stringendogli un braccio attorno alle spalle e
tirandolo verso di sé.
Era l’unico, probabilmente,
a poterlo vedere in simili condizioni. E come tale, l’unico ad avere la
responsabilità, o il potere, di alleviare un po’
quell’angoscia.
- Ascolta… - cercò di
richiamare la sua attenzione - … è ovvio che non potrò stare in questo dormitorio
per sempre… quindi, magari quando troverò una casa dove stare quando inizierò
l’università, potresti venire a stare da me, no?
Avresti un tetto sotto cui stare E saresti lontano dai tuoi senza far nascere nessun sospetto. -
Quasi non ci sperava, ma
quella soluzione così poco pensata innescò un’immediata reazione nell’altro
ragazzo, che si riscosse come se stesse svegliandosi da un brutto sogno.
Guardò verso di lui, le
palpebre sgranate sugli occhi sorpresi. C’era di tutto, in quello sguardo - la
speranza che non fosse uno scherzo, il timore di non poter davvero fare
qualcosa del genere, la… gioia, segreta, appena percettibile, di avere una mano
a cui aggrapparsi per sfuggire a un destino avverso.
Durò poco più di qualche
secondo - quanto bastasse per far sì che la sua familiare espressione
strafottente tornasse a dominare incontrastata sul suo viso.
- Due ragazzi che non sono
neanche compagni di scuola che vivono insieme in un appartamento. Bello. Molto
etero, mi permetto di aggiungere. - uno sbuffo divertito lasciò traditore le
sue labbra - Scommetto che non sospetteranno niente. -
Imayoshi
scoppiò a ridere - Dettagli, dettagli, non che possano avere conferme ad eventuali sospetti! Meglio di niente, comunque, no? -
Era un’idea improvvisata,
qualcosa a cui stava pensando, sì, ma che non credeva
gli avrebbe proposto così presto. Non sapeva neanche se avrebbe potuto farlo, o
se una convivenza tra di loro potesse funzionare senza che non finissero per
uccidersi a vicenda… ma sapeva che era ciò che Hanamiya
aveva bisogno di sentirsi dire.
- Magari ci
penserò, hm. - lo sentì infatti mormorare. E non poteva vederlo, no, perché da
bravo furbo aveva di nuovo abbassato la testa.
Ma
sapeva benissimo che, almeno stavolta, era per concedersi un riservato e breve
sorriso.