Photograph
Lo
schermo acceso del portatile era l’unica fonte di luce di tutta la
stanza; le
tende erano state tirate per isolarlo dai mille riflessi della città
sottostante, piena di vita nella sua insonnia perenne. Una tazza di
caffè
fumante era appoggiata sulla scrivania chiara, forse più per abitudine
e
conforto che per vera necessità, visto quanto di quel liquido nero
aveva già
ingerito nel corso della serata.
Stava
odiando il suo lavoro, in quel momento. La sua via di fuga in molte
situazioni
si stava rivelando ora una specie di condanna, forse una punizione per
tutte le
volte in cui aveva voltato le spalle alla sua quotidianità, in cui era
scappato
da ciò che gli faceva paura, per cambiare aria.
E
ora che l’aveva ottenuto, doveva allontanarsene per quegli stessi
impegni a cui
tanto aveva anelato qualche mese prima, per quelle stesse ragioni.
Si
passò una mano tra i capelli biondi, arruffati e trascurati in quel
weekend
passato barricato nel suo moderno appartamento, freddo ed impersonale
come
sempre aveva cercato di condurre la sua esistenza almeno fino a poco
tempo
prima. Almeno tutto quel lavoro che aveva da fare lo distraeva dal
mugugnare e
perdersi in quattromila pensieri negativi.
Gli
venne da sorridere; forse questo era un po’ il karma per tutte le volte
in cui
l’aveva presa in giro quando vagava di pessimo umore per le sale del
Caffè in
preda alle paturnie per il fidanzato lontano, e quanto aveva gioito lui che l’altro
fosse lontano.
Ora,
in fondo, stava capendo come lei si fosse dovuta sentire.
Si
chiese, d’altronde, se almeno ora anche lei si sentisse allo stesso
modo per
lui.
Ridusse
ad icona il file pieno di complicate parole e calcoli per poter
osservare lo
sfondo del desktop, quella foto scattata loro da una delle ragazze.
Lei stava sorridendo, con
quel sorriso
unico che lui non aveva mai ritrovato in nessun altro, guardando felice
verso
la fotocamera, un braccio attorno a lui, lui
che la fissava con quell’espressione per cui Zakuro l’aveva sempre
preso in
giro, perché voleva dire tutto e non voleva dire niente.
Ne
aveva altre cento di loro foto nel computer, ma quella lo colpiva in
modo
particolare, perché sembrava raccogliere tutta la loro essenza. Lei,
piena di
vita e di sogni, pronta a trascinarlo con sé, lui non avrebbe mai posto
resistenza. Non a lei, non ai suoi occhi, alle sue labbra che si
avvicinavano a
quelle di lui con una smorfia contenta prima di lasciargli il proprio
sapore
per ore sulle papille gustative, alla voce che gli sussurrava
l’alternativa
meno spaventosa possibile a tre specifiche parole.
Fissò
la piccola data nell’angolo in basso a destra; ancora due mesi, due
mesi e poi
sarebbe potuto tornare indietro, a casa. Ripensò alle strette allo
stomaco che
l’avevano colto ogni giorno nel mese precedente alla propria partenze,
tutte le
volte che l’aveva riportata a casa, o che avevano dovuto dividersi per
più di
ventiquattro ore. Era stata un’estate calda, e l’afa sembrava aver
pesato
ancora di più su di lui.
Così
era peggio di quando aveva avuto quindici anni, ripensò. Lì, almeno,
c’era
stata la disillusione che niente sarebbe mai potuto accadere, e invece
ora…
invece ora la realtà lo riportava bruscamente con i piedi per terra, e
tirava
molto di più il suo cuore.
Sentì
vibrare il cellulare, tastò alla cieca dietro al computer e lo afferrò,
sorridendo all’ennesima immagine di lei che riempiva lo schermo
rettangolare.
«Sono al pranzo
di
compleanno di Minto e sono un po’ brilla. Ti penso, e mi manchi. Quando
mi
chiami? Notte.»
Lui
sorrise, per davvero questa volta. «Sta’
attenta e divertiti, fai gli auguri a Minto anche per me. Ti chiamo
oggi
pomeriggio. Miss you, baby.»
Si
appoggiò allo schienale della poltrona, e chiuse gli occhi, più
leggero,
concentrandosi solo sul ricordo di lei.
When
I’m away
I
will remember how you kissed me
Under
the lamppost back on 6th street
Hearing
you whisper through the phone
Wait
for me to come home
La
luce giallastra del lampione illuminava appena la via deserta,
proiettando
ombre distorte sul marciapiede. C’era una leggera brezza che
giocherellava con
le ciocche rubino, che cercavano di sfuggire al sentiero salato delle
sue
lacrime.
“Torna
presto, d’accordo?” gli chiese con un sorriso abbozzato, le dita
intrecciate
alle sue.
Lui
annuì: “Tu aspettami.”
Massìììì
perché la domenica pomeriggio è fatta per le cose un po’ deprimenti :3
Buonasera fanciulle e fanciulli, spero che vada tutto bene :) In realtà
oggi
pensavo di aggiornare Musa, ma è da
quando ho ascoltato per la prima volta la canzone in questione, ovvero Photograph di Ed Sheeran, che avevo
voglia di usarla per una fic, e stamattina mi sono alzata con il piede
giusto –
che poi in realtà è quello sbagliato, ma è servito ed è stato un po’
catartico.
È
una fic un po’ strana, scritta molto di getto in quasi un flusso di
coscienza,
ci sono un paio di riferimenti “musicali” e molta… me. xD
Spero
perciò che si sia capito tutto anche nei non detti, mi mancava scrivere
a
questo modo di determinati personaggi :)
Vado
ad ascoltarmi ancora un po’ di canzoni tristi, giusto per… spero che
abbiate
passato un bel weekend, buona settimana :)
Bacioni
a tutte e grazie a chi spenderà cinque minuti per lasciarmi
un’opinione!
Hypnotic
Poison
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