For the Dancing and the
Dreaming
I'll swim and sail on savage seas
With never a fear of drowning
And gladly ride the waves of life
If you would...
-
Makoto. -
Il
soffitto sopra le loro teste è di un bianco quasi soffocante.
Il proprietario dell'appartamento è stato ben chiaro riguardo
determinate restrizioni – niente animali, niente rumori molesti
dopo le nove di sera, non pensate nemmeno dii ridipingere le pareti.
Quella, e Makoto lo sa senza che lui gliel'abbia mai detto, è
stata la regola più dura per Haruka. La sua parte della stanza
che condividono è pieno di fogli sparpagliati ovunque, bozze
mai finite di paesaggi e volti e piccole macchie di colore che
rendono quel lato vivo e vissuto. Gli azzurri prevalgono su qualunque
altra sfumatura, assieme a schizzi di un oceano che Makoto conosce
perfettamente.
Si
volta verso la voce sottile che l'ha chiamato, verso la figura che
indugia sull'ingresso della camera da letto. Haru sta indossando una
delle sue magliette – Makoto non ha la più pallida idea
di quando il loro bucato abbia iniziato ad essere così
confusionario, o se Haru lo faccia apposta – e il colletto cade
troppo largo sulle sue spalle, lasciando intravedere il suo petto. Lo
fa sembrare più piccolo dei suoi ventun anni. Lo fa sembrare
vulnerabile.
-
Dimmi, Haru. -
Makoto
abbassa lo schermo del computer portatile abbastanza perchè
Haru sappia che le sue attenzioni sono tutte per lui, e l'altro entra
nella stanza e lo raggiunge sul letto, sedendosi accanto a lui con le
ginocchia vicine al petto. Così da vicino Makoto può
vedere le pupille blu tremare in un modo che a chiunque altro sarebbe
impercettibile – Haru esita, e la cosa lo incuriosisce.
-
Haru... -
-
Insegnami a ballare. -
Makoto
spalanca gli occhi onestamente colpito – in parte dalla
determinazione nella voce di Haru, così in contraddizione con
il suo sguardo disinteressato, e in parte perchè quell'idea
sembra essere nata dal nulla. - Come, scusa? -
Il
braccio che non è stretto attorno alle gambe sottili si sporge
verso Makoto, e le loro mani si incontrano sul lenzuolo blu. È
un gesto leggero e innocente, ma una delle cose che Makoto ama di
Haru è il significato che attribuisce anche ai gesti
all'apparenza più insignificanti – tenersi per mano per
lui è un fiume in piena, baciarsi un oceano in tempesta. Non
ha ancora trovato un paragone valido per le sensazioni che prova
quando fanno l'amore, per quell'incapacità di rimanere
individuo unico e quella necessità di mescolarsi e trovarsi
fino a diventare una cosa sola.
-
Il matrimonio di Gou è tra due settimane. - Spiega Haru.
Makoto annuisce. - Dovremo tornare a Iwatobi. -
-
Sì, lo so. -
-
Si sposa al tempio di Misagozaki, vicino a dove siamo cresciuti. -
Continua. - E il ricevimento è sul mare. -
-
Esatto. -
-
E allora voglio saper ballare. -
Makoto
abbassa gli occhiali che ha sul naso, incapace di vedere il nesso tra
le due cose ma troppo gentile per farlo notare ad Haru. Se un nesso
c'è, è sicuro che domandare chiarimenti non lo aiuterà
– deve comprenderlo da sé, navigare sulla stessa
lunghezza d'onda del suo compagno abbastanza a lungo da trovare la
soluzione a quel piccolo enigma. La sua mano scivola sotto quella di
Haru e ruota fino a intrappolarla gentilmente nella propria, e Makoto
la solleva sotto lo sguardo silenzioso di Haru, lo trascina con sé
giù dal letto.
-
Non sono un granché come ballerino. - Ammette, sorridendo.
Haru scuote la testa e poggia la fronte contro il suo petto,
allungando di nuovo il proprio braccio contro quello del compagno,
lasciando che le loro dita si intreccino. Makoto dubita un solo
istante prima di circondare il bacino di Haru con il braccio libero e
iniziare a muoversi lentamente.
-
Non abbiamo nemmeno messo della musica. -
-
Non ce n'è bisogno. -
Molti
metri sotto di loro il caos che è Tokyo continua a vivere
ignaro di quell'angolo di semplice felicità, creando una
colonna sonora rapida e priva di ritmo a quei piccoli passi esitanti.
Haru non lo guarda negli occhi, preferendo tenere lo sguardo basso;
Makoto abbassa appena il capo, quel tanto che basta perchè
possa affondare le labbra nei capelli di Haru e poi baciare la sua
tempia destra, lentamente, sentendolo tremare.
-
A cosa pensi? - Sussurra. Si sposta a destra, Haru lo segue. A
sinistra e poi un po' più in là, ben attento a evitare
il letto o l'armadio; Haru è sempre mezzo passo dietro a lui,
forse impegnato a tentare di comprenderlo quanto lui.
-
Mi manca l'oceano. -
Makoto
sorride appena contro la sua pelle. - Ti manca nuotare?
-
Haru
scuote piano il capo e Makoto si rialza per guardarlo, questa volta
ricambiato. Ovvio che non gli manca nuotare – lo fa
praticamente tutti i giorni, con l'allenamento intensivo a cui è
sottoposto. - No, mi manca l'oceano e basta. -
-
Il mare è sempre lo stesso. Qui come a Iwatobi. -
Haru
scuote di nuovo la testa. - No. - Le braccia si sciolgono da quelle
di Makoto e salgono a cingergli il collo. - No, non lo è. -
Le
loro labbra si incontrano piano, delicatamente; Makoto lascia che sia
Haru a dettare il ritmo, ad accompagnarlo a sé e dentro sé
con pazienza e amore. Le sue mani si aggrappano alla schiena di
Makoto, ai suoi capelli, sfiorano le sue guance.
I
volti uniti, le labbra distanti l'una dall'altra quel tanto che basta
perchè Makoto possa avvertire quella vibrazione che è
la necessità impellente di tornare a baciarlo; Haru solleva un
dito e lo poggia tra le proprie labbra e quelle di Makoto.
-
Voglio tornare a casa. - Sussurra. Makoto inclina la testa di lato e
socchiude gli occhi. - Voglio vedere l'oceano con te. -
-
Mancano poche settimane al matrimonio di Gou. Torneremo presto. -
-
Non per il matrimonio di Gou. - C'è una pausa che ha la
consistenza di una goccia, e dietro palpebre pesanti Makoto può
quasi vederla scivolare lungo il bordo delle frasi che non si sono
mai detti, dei pensieri mai espressi – e quando scivola nella
loro esistenza prende forma nelle parole di Haru. - Per noi due. -
Makoto
sbatte le palpebre una, due, tre volte; ogni volta la paura di non
ritrovarlo di fronte a sé lo assale, e ogni volta gli occhi
blu di Haru annullano ogni timore. Non sa dove trova l'energia di
alzare una mano verso il suo volto e carezzarlo ma lo fa comunque,
comprendendo un centimetro alla volta il significato di quell'ultima
frase.
-
Non potremmo mai avere una vera cerimonia. - Sussurra. Haru scuote la
testa. Non importa.
- Ma mamma e papà...loro approverebbero, credo. -
-
Saresti alla fine della scalinata che porta al tempio e io ti verrei
incontro. - Mormora Haru. La sua mano si unisce a quella di Makoto
sul proprio volto, e vi preme sopra. - Verrebbero anche i miei
genitori. -
Makoto
sorride, e sente un'emozione incontrollabile scuoterlo nel figurarsi
la scena. Non si sforza di trattenere le lacrime, nemmeno sotto lo
sguardo condiscendente di Haruka. - An...anche Ren e Ran. E Nagisa e
Rei, ci sarebbero anche loro. Sarebbero tutti felici per noi. -
Haruka
scosta la sua mano, tenendolo delicatamente per la punta delle dita
con le proprie, senza mai separarsi da lui, fissando quel contatto
pensieroso. È l'ultima pennellata nel quadro dei suoi
pensieri, e ora Makoto comprende cosa gli passi per la testa.
-
Vuoi ballare al nostro matrimonio? - Domanda.
Haru
annuisce, e un sorriso dolce piega le sue labbra.
-
Vuoi ballare con me. - Continua, quasi singhiozzando. - Davanti
all'oceano? -
Haruka
annuisce nuovamente, e nuovamente lo bacia.
Ci
sono molti tratti di Haru che Makoto ama – lati del suo
carattere visibili a chiunque, particolarità che solo lui
conosce. C'è il modo in cui inclina la testa mentre disegna,
la forma che assume mentre nuota – assoluta, intimidatoria, ma
indiscutibilmente bella;
ama i suoi occhi pesanti appena sveglio e i suoi silenzi, il fatto
che gli basti sfiorarlo nel sonno perchè ogni traccia di
preoccupazioni dal volto di Haru scompaia.
Ama
il modo in cui Haru attribuisce un significato anche ai gesti
all'apparenza più insignificanti . Toccarsi è un fiume
in piena, baciarsi un oceano in tempesta. Fare l'amore è
diventare un tutt'uno con l'altro, come acqua.
E
amarsi – forse per qualcuno significa esserci, forse per
qualcuno significa un altare e due anelli – per Haru è
un ballo di fronte a qualcosa che ama, tra le braccia di qualcuno che
ama. E a Makoto va benissimo così.
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Devo
davvero smetterla di scrivere queste cose smielate con questi titoli
chilometrici
anzi
no
sorry
not sorry
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