Capitolo
10
Carmen
and Tosca
“Chi
desia è posseduto: a quel che ama s’è
venduto.”
(Iacopone
da Todi)
Era bello essere
Carmen, ma altrettanto difficile.
Se avessi dovuto
trovare il modo di descriverla, avrei detto semplicemente che Carmen
era una donna libera. Libera di essere ciò che voleva, di
vivere come voleva, di credere e pensare ciò che voleva.
Forse per questo autorizzata anche ad essere un po’ crudele,
un po’ folle, un po’ ardente, un po’
gitana, un po’ vagabonda, un po’
un’estranea del mondo…
Ma
perché solo “un po’”?
Probabilmente anche più di quanto lo sarei stata io in
qualunque circostanza.
Io non potevo
essere così, non era la mia natura.
E la colpa non era
certo del sangue dei Noah, che anzi forse avrebbe gioito e mi avrebbe
presa per mano nel trasformarmi in una donna fatta di sola passione,
che passa da un uomo all’altro senza la minima cura, reietta
della società, violenta, piena di sé.
Allora era
semplicemente perché quella libertà le permetteva
di fare ed essere tutto ciò che desiderava…
Le invidiavo
enormemente quell’onestà nell’esprimere
chiaramente i suoi sentimenti, le sue decisioni, i suoi pensieri
più nascosti. Non aveva nulla da nascondere, nulla da temere
e poteva esibire ogni tensione del suo animo.
Retino diceva
sempre che io ero estremamente sincera, ma non poteva vedermi
nell’ambiente di menzogna in cui mi ero inserita con le mie
mani. Un luogo in cui potevo essere felice solo se scordavo della mia
identità e mi lasciavo trasportare dal clima
e…dal sangue.
Altrimenti, quando
percepivo la mia diversità o ricordavo il mio dovere morale,
dovevo fingere, velare, nascondere, simulare perché nessuno
oltre a me sapesse ciò che nascondeva il mio
cuore…
Non tutti i miei
parenti, comunque, ci cascavano…
Road sapeva e
vedeva più di ogni altro. A volte, pensavo, ancora
più del Conte. E rispondeva al mio atteggiamento
forzatamente cordiale con sguardi e parole che nascondevano la
minaccia. Mi era ostile e sentivo che avrebbe fatto qualunque cosa per
cacciarmi. Forse non per uccidermi, non sarebbe arrivata a tanto. Ma
quando guardava me, nel suo sguardo non c’era la tenera e
affettuosa malizia che riservava a tutti i nostri famigliari, ma solo
la crudele attitudine dell’odio più oscuro.
A differenza del
Conte, che sembrava non sperare altro che la mia conversione, prova
definitiva della sua onnipotenza, quella bambina provava solo il
desiderio che lasciassi il suo territorio, fossi o meno una Noah non
aveva importanza…
Carmen non ero io,
in nessuno modo. Lei non mi rappresentava.
Nell’interpretarla,
però, semplicemente mi calavo in lei come l’acqua
versata in una bottiglia: priva di forma assumevo semplicemente quel
contorno di libero peccato…
Forse anche questo
era un effetto del mio essere Noah. Non potevo che nutrire questa
impressione e provarne timore.
L’amore
di quell’ardente sigaraia era sincero, su questo non ponevo
dubbi. Ma lo trovavo davvero troppo leggero, superficiale, evanescente.
Lei non avrebbe rinunciato a nulla, neanche per affetto. Perdere la
libertà per lei significava svendere la sua anima.
Ecco
perché alla fine José la uccise, folle per il suo
rifiuto di tornare ad amarsi, folle di passione e gelosia.
Ancora
più di questa troppo generica e vaga definizione di
“libertà”, quella che desideravo sul
serio era la capacità di amare senza preoccupazioni, senza
dubbi o paure.
Perché
io nonostante tutto quello che avevo fatto, in fondo avevo ancora paura
di amare Tyki. Non per mie strane remore mentali, ma perché
sapevo di agire da ingenua e sognatrice.
Forse mi
sbagliavo, ma allora credevo che Tyki non potesse in alcun modo essere
come José, passionale, geloso, possessivo fino alla follia.
Lui era
indipendente, pieno di atteggiamenti esteriori perché
nessuno potesse neanche tentare di sfiorare la sua
interiorità, oscuro, misterioso, disinteressato, distante in
ogni sua parola o gesto, come se nulla potesse turbarlo o interessarlo
davvero.
Eppure in un
contrato quasi irrazionale, non riuscivo a considerarlo un misogino o
un solitario.
La sua essenza era
composta di incontenibile passionalità. Forse desiderava di
uno o più amori solo passeggeri, fatti di istanti e attimi
destinati a bruciare in un battito di ciglia. Ma sembrava che emanasse
lo sprezzo di quell’amore sentimentale e duraturo che tante
donne sperano in segreto, anche se alla fine si lasciano attrarre dagli
uomini in cerca di semplici avventure della notte. Non riuscivo a
leggere che questo in quell’aria sicura e spavalda, quello
sguardo a tratti penetrante e superbo, quell’eleganza sfatta
della camicia semi-sbottonata e l’aria un po’ dandy
e un po’ bohemien con la quale fumava lentamente e
intensamente.
Ecco, se
c’era qualcuno che capiva e condivideva lo spirito di Carmen
era certo lui…
Quindi come al
solito dovevo ammettere che ogni mio gesto, ogni mio pensiero, ogni
pulsione del mio animo era immancabilmente rivolta a lui, nel bene o
nel male.
- E’ una
tragedia, Victoire! – sbraitò Dallas Johnson,
aprendo senza la minima cura la porta del mio camerino, che
sbatté addirittura contro la parete.
- Guarda che NULLA
davvero è peggio delle cattive maniere! Quante volte ti ho
già detto che devi bussare prima di entrare nella camera di
una donna!? – puntualizzai subito. Lo scatto di fastidio fu
molto utile per aiutare la spazzola a sciogliere un nodo tra i miei
capelli, anche se mi feci un po’ male e rivolsi una smorfia
di fastidio al mio riflesso nello specchio.
- Si si, lo so!
– rispose senza prestare la minima attenzione al mio
rimprovero.
Stava per
ricominciare a parlare quando lo fermai ancora, fissandolo nella sua
immagine riflessa:
- Insomma, Dallas!
Che razza di maniere sono!? E se mi stessi cambiando!? -
- In quel caso
avrei fatto e visto la cosa migliore del mondo… - rispose,
sorridendo.
Alzai gli occhi al
cielo: - Dovrò ricordarmi di chiudere il camerino a chiave,
d’ora in poi… -
- Però,
Victoire! E’ successa una cosa gravissima! –
riprese ancora, con un impeto che gli faceva scivolare i capelli
biondicci sugli occhi – Devi venire immediatamente! -
Solo allora mi
accorsi che al di là degli scherzi il ragazzo sembrava
davvero preoccupato.
Quando arrivai nel
magazzino strapieno e in una suggestiva penombra, vidi il panico
più incredibile riflesso negli occhi di tutti i presenti.
- Cosa
succede…? – chiesi, incerta e a mia volta
preoccupata.
- Victoire, mia
cara! – esclamò subito Retino, come sempre pieno
di sussiego – E’ un disastro! – e prese
uno degli appendini del guardaroba.
Vi era appeso un
abito da uomo. Il problema era che per la nostra rappresentazione
avrebbe dovuto essere una divisa spagnola, ma sembrava piuttosto un
abito elegante di foggia italiana o francese con uno stravagante ed
esageratamente grande bavero bianco.
- Ma questi sono i
costumi…? – chiesi ingenuamente.
- No, infatti!
Hanno sbagliato a spedirceli dal Teatro di Mosca! Questi sono i costumi
della “Tosca”!- rispose l’impresario,
asciugandosi il sudore nervoso dalla fronte con un fazzoletto.
- E non fanno in
tempo a mandarcene degli altri, giusto? – chiesi, nel
disperato tentativo di mantenere almeno io la calma.
- Assolutamente
no, mia cara! Da Mosca la strada è ben lunga e poi il costo
di una nuova spedizione ci distruggerebbe il bilancio! Non possiamo
permettercelo! – l’uomo cominciò a
camminare in circolo con l’aria di chi vorrebbe sprofondare
nell’abisso più nero – In
più, come se non bastasse, pagheremo la penale se non
verranno utilizzate le attrezzature russe! Ho firmato una
sponsorizzazione! Oh, cielo! – e con un gesto estremamente
teatrale crollò su una sedia.
- Vi sentite bene?
– chiesi, inginocchiandomi vicino a lui. L’anziano
padrone sembrava rischiare un collasso ed era bianco come un cadavere.
- Si, io sto bene.
Non è questo il problema! Oh no, oh no! Che disastro per la
compagnia… - continuava a ripetere scuotendo la testa.
- Ma, signore, non
si può semplicemente preparare la
“Tosca”? La prima è tra due settimane!
Il tempo c’è… - dissi, con calma,
cercando di trasmettere un po’ di coraggio a Retino.
Lui per un attimo
sembrò illuminarsi, poi scosse la testa e crollò
nuovamente sullo schienale: - Oh no. Abbiamo già mandato a
stampare i cartelloni… -
- Se si chiama
subito la casa editrice andrà bene. -
- La penale,
Victoire, la penale… -
- Se ci
sarà una penale la pagherò io! –
esclamai, convinta, appoggiandomi una mano sul petto.
- No, davvero, non
posso chiedervi questo… -
- Ha ragione,
Victoire. – disse Dallas, poggiando una mano sulla mia
spalla, ma sorrise: – Faremo una colletta tra tutti e
tireremo su il denaro. Giusto? – chiese ai presenti, che
annuirono subito.
- Ma le
prove… - sospirò ancora l’impresario,
triste.
- Su due
settimane, signore, ce la faremo senz’altro!
Basterà un po’ di impegno in più, ma
credo proprio che nessuno si tirerà indietro! –
- Victoire, in due
settimane posso riorganizzare il coro, fare le prove per le comparse,
ma non preparare le esibizioni dei solisti… Il signor Dallas
ha già interpretato Cavaradossi, nella sua precedente
compagnia… Per voi è la prima volta con
Tosca… Non è un compito semplice e non posso
dedicarvi quanto tempo vi servirebbe… -
Lanciai
un’occhiata al tenore, che annuì, ma con estrema
modestia. Era già molto famoso prima di unirsi alla nostra
compagnia, sia per le sue doti canore, sia per la sua sfacciataggine da
donnaiolo. Eppure quando si trattava di lavoro era davvero responsabile
ed efficiente.
In
realtà Retino aveva ragione. Se Dallas se la sarebbe cavata
con qualche prova supplementare, io dovevo preparare dal nulla una
nuova interpretazione e non avevo certo abbastanza esperienza da
impiegare così poco tempo quanto ne avevamo.
- Signor Retino,
se io mi esercitassi a casa? Del resto all’inizio mi basta lo
spartito e la musica. Poi dovrei solo presentarmi per qualche prova sul
palco, ma avrei già pronto il personaggio e non sarebbe
necessario far perdere tempo a tutti. -
L’impresario
a queste parole aveva ripreso colore e un atteggiamento più
tranquillo. Si lisciò i baffi scrutandomi serissimo, poi
sorrise e infine annuì.
- Allora va bene!
Vi voglio tutti attivi e al massimo della forma! Abbiamo un tempo
limite per mettere in campo un’opera del tutto diversa da
quella che abbiamo preparato in questo mese! -
Balzò
in piedi come se fosse ringiovanito di trent’anni in un colpo
e prese ad arringare ancora più arditamente tutti gli
addetti: - E’ un’impresa titanica! Ma se noi non
fossimo titani non lavoreremmo al cospetto di Melpomene, la nostra
gloriosa Musa! Vi chiedo sforzo e fatica per rendere onore alla nostra
arte, signori miei! Nulla è più eroico di una
compagnia teatrale che sfrutta ogni sua energia più residua
per il suo grande orgoglio e dovere! Siate orgogliosi di chi siete e di
che mestiere fate! Tutti, musicisti, cantanti, coristi, costumisti,
scenografi, direttori di palcoscenico e magazzinieri, siete parte
onorevole di questo nostro enorme progetto e proprio per questo bisogna
che agiamo come un corpo solo per gestire questa crisi, da cui possiamo
e dobbiamo uscire vincitori! –
- Si! –
il coro festoso si alzò spontaneamente dai presenti.
Io sorridevo
allegra. Sentire parlare il padrone con tanta passione era inebriante.
- Il percorso
geografico – continuò l’anziano gestore,
sempre più agguerrito – è vasto ed
estraniante, me ne rendo conto: stiamo passando dalla Spagna dei
masnadieri, alla Roma dei papi e degli artisti! Tuttavia, non
sarà questo a fermarci! I teatranti sono cittadini del
mondo! Sappiamo chi siamo ma anche chi dobbiamo essere! Quindi,
preparatevi a ricevere ciascuno i vostri primi compiti! –
puntò il dito verso un giovane magazziniere –
Randal Webster, nostro grande amico dal Paese del sommo Shakespeare,
voi siete incaricato di andare immediatamente alla casa editrice a
fermare la stampa e ad ordinare un cambio di locandina: al Teatro
“Racine” di Nantes si rappresenta “La
Tosca”! -
Si levarono
spontaneamente altre grida di giubilo e tutti avevano già
smesso di pensare alla fatica che avrebbero dovuto sostenere.
- Pensi davvero di
farcela, Victoire? Preparare il personaggio di Tosca da sola non
è una passeggiata. Cantare è il meno, ormai
dovresti saperlo. Potrei darti una mano, se vuoi. -
Dallas mi stava
seguendo per il corridoio senza alcun tipo di ritegno. Snocciolava
quelle frasi galanti mettendo solo brevi pause come se si aspettasse
una mia risposta, che chiaramente non avevo intenzione di concedergli.
Arrivata alla fine alla porta del mio camerino fui costretta a dargli
retta e mi voltai.
La sua offerta era
sincera perché per ragioni di professionalità
desiderava davvero che la rappresentazione andasse al meglio. Ma
nonostante questo l’espressione sorniona dei suoi smunti
occhi azzurri, quell’aria compunta con la quale si scostava i
capelli biondi dal viso e il petto gonfio d’orgoglio facevano
presupporre ragioni ben diverse. E chiaramente queste sue idee non mi
interessavano per nulla.
Per un attimo mi
passarono per la mente diversi momenti in cui avevo visto Tyki
elegantemente provocatorio, ma mi resi subito conto della netta
differenza tra i due: in lui il fascino e lo stile di approccio erano
più studiati e quindi fini e gradevoli, mentre
l’americano era decisamente troppo spudorato, pomposo,
insistente e, di conseguenza, indecente. Riusciva ad innervosirmi da
morire.
- Tranquillo,
Dallas, me la caverò benissimo. – risposi,
cercando di restare cordiale, anche se non vedevo l’ora di
togliermelo dai piedi.
- Da sola!?
Insomma, avrai bisogno di qualcuno che ti segua e ti aiuti…
- e insistendo assumeva sempre più l’aria della
provola. Tanto che mi veniva quasi da ridere, nonostante tutto.
- Ho
già chi lo farà. Non hai bisogno di scomodarti.
–
- Non
sarà per caso il tuo tanto famoso quanto sconosciuto
fidanzato… - commentò con un sorriso che dire
malizioso era troppo poco. L’aggettivo
“malevolo” si adattava di più.
- Esatto!
– risposi, prontissima, sorridendo sfacciatamente.
Ad essere onesta,
quando avevo pensato che qualcuno avrebbe potuto e voluto aiutarmi con
le prove, purtroppo mi era venuto in mente il Conte… Forza
di inerzia, immagino… Con mio sommo rammarico, sarei finita
a cantare con quell’essere bizzarro al pianoforte…
Il pensiero non mi piaceva.
Tuttavia, ero
quasi certa di aver capito alla cena di qualche tempo prima che anche
Tyki sapeva suonare… Era una prospettiva imbarazzante, ma
molto più gratificante… Anche se del tutto
improbabile…
Quindi alla fine
quella risposta decisa era più una menzogna che altro. Per
fortuna, comunque, Dallas non aveva intuito né mi conosceva
abbastanza da capire quando mentivo.
Sbuffò,
insoddisfatto: - Vorrei proprio vederlo questo tale… -
Alzai gli occhi al
cielo: - Me l’hai già detto. E poi comunque non
sono affari tuoi. Se vuoi parlare di questa tua solita, insopportabile
polemica, faccio che entrare in camerino e mollarti qui! –
- Insomma,
Victoire… Un inesperto piuttosto che aiutarti può
portarti fuori strada… Io invece, che conosco bene il
personaggio oltre che le arie, posso aiutarti certo molto di
più… -
Stava cambiando
tecnica, ora era quasi implorante.
Comunque non mi
sarei certo commossa per quelle due moine.
- Sai
perché Retino non ha avuto alcun dubbio quando gli ho detto
che avrei preparato da sola la mia Tosca? – gli sorrisi
candidamente – Perché io SONO Tosca. Quindi
smettila di tormentarmi, d’accordo? –
Rimase basito e ne
approfittai per aprire la porta e infilarmi nella stanza: - Ah, quindi
non ci vedremo per un po’. Probabilmente fino alle ultime
prove del prossimo-prossimo mercoledì… Ciao!
– e gli richiusi la porta in faccia.
Passare da Carmen
a Tosca in fondo era un sollievo.
Lei era un
personaggio davvero romantico e tenero, una donna piena di illusioni,
speranze insoddisfatte e scelte dolorose. Una persona onesta, tanto da
fidarsi anche della promessa di un suo nemico e tanto ardita da
ucciderlo con le sue mani. Una donna gelosa, ma razionale, forte, anche
se troppo innamorata da fare la scelta più giusta e
coraggiosa.
Quindi sentivo di
assomigliare molto di più alla cantante che alla sigaraia,
non c’erano dubbi.
Per riflesso,
Cavaradossi doveva essere lui. Ma in cosa? L’unica vera
somiglianza era l’intemperanza interiore,
quell’ardore rivoluzionario che animava il pittore
pontificio… Troppo poco…
Ma sapevo che
sarei riuscita a sentirmi davvero coinvolta dalla vicenda.
Perché nella mia mente il barone Scarpia era diventato
subito il Conte.
Un uomo disposto a
tutto per prendere possesso di Tosca, per attirarla a sé.
Fino alla disposizione del ricatto crudele con posta in gioco la vita
del suo amato. Un malvagio che fin dall’inizio gioca
crudelmente con i sentimenti della ragazza, convincendola di volerla
aiutare quando invece predispone tutto per l’inganno finale,
il più odioso, il più nero.
Il finale mi
chiudeva il cuore. Scarpia aveva promesso a Tosca di salvare il suo
amato in cambio del suo corpo. Le armi sarebbero state caricate a
salve, Cavaradossi si sarebbe salvato. Lei cedette, ma al momento del
suo pagamento ebbe abbastanza volontà da uccidere il
malvagio…
La giovane illusa
credeva nonostante tutto nella buona fede del suo ricattatore e si vide
invece morire di fronte ai suoi occhi l’uomo amato. Affranta,
sola, distrutta decise per il suicido.
Troppo crudele.
Troppo ingiusto. Troppo parallelo al reale…
Anche il capo
aveva agito così. La merce di scambio non era tanto la mia
anima quanto quella della persona a cui tenevo. E infondo anche il
piano era un po’ lo stesso. La morte come la definitiva
sottomissione al sangue dei Noah. Prima avrebbe fatto cadere lui, poi
immancabilmente sarei crollata anch’io, proprio come Tosca si
buttò da Castel Sant’Angelo…
Questa era la sua
idea… Non glielo avrei permesso… Non sapevo come,
ma sarei stata più attenta e meno ingenua di
Tosca… A qualunque costo…
- Buon pomeriggio,
famiglia. – esclamai entrando nella sala di casa.
- Oh, guarda chi
si vede… - commentò Debit rivolgendomi un cenno
della mano.
Fui davvero felice
che non avesse in mano al solito la sua pistola dorata. Vedermela
puntare addosso non mi metteva molto a mio agio.
- Oh,
già, Vivy! Così presto… Ih-ih-ih!!!
– fece subito eco il gemello,
“accartocciato” su una sedia in una posizione che
io avrei considerato scomodissima.
- Già.
E’ che ci sono stati di nuovo guai a teatro… -
risposi sedendomi su una poltrona di velluto nero.
- Ma non mi
dire… -
- Lo dici
sempre… Ih-ih! –
Sospirai: - Ma
questa volta, è grave davvero… -
Da svogliati e
distratti, entrambi si voltarono di scatto verso di me e mi si pararono
davanti, prendendomi letteralmente d’assedio:
- Niente
rappresentazione!?!? – chiesero, con un entusiasmo che mi
fece sorridere.
- Beh, niente
“Carmen”… - risposi, lasciando
appositamente una pausa più lunga del necessario.
Chissà
da dove veniva tutta quella mia voglia di scherzare…
- Oh,
be’… Che vuoi farci, Vivy…? Capita,
no… - riprese Debit, rinfrancato, fingendo di nuovo assoluto
disinteresse e sedendosi ancora sulla sua sedia imbottita,
scompostamente.
E Jusdero gli si
affiancò subito, con lo stesso atteggiamento soave, anche se
con quella risata un po’ stridula: - Vero, vero…
Succede, succede… Ih-ih… -
Si scambiarono uno
sguardo complice e presero a ridere di gusto, visibilmente sollevati.
- Ma… -
al che entrambi sgranarono gli occhi – Non significa che non
faremo nulla… Devo preparare un’altra
opera… -
- VIVY!!!!
– sbraitarono, angosciati – NON DIRAI SUL SERIO!!!
–
- Be’
si… Vi prego, però, non fate quelle
facce… - aggrottai le sopraciglia.
D’accordo,
li avevo stuzzicati, ma erano davvero anche troppo
drammatici…
- Oh no!!! Il
Conte ci vorrà portare ancora a teatro!!! -
- No, il teatro
no!!! – e, probabilmente per lo shock, invece della classica
risatina, Jusdero interpretò un magnifico lamento greco.
Pensai di
rassicurarli sul fatto che il capo probabilmente, viste le voci di
dissenso che aveva ricevuto il giorno prima, non si sarebbe
più illuso di portarli a vedermi. Tuttavia avevo ormai
capito che quando i gemelli arrivavano a quei livelli di panico
c’era poco da fare. Si sarebbero calmati solo di fronte a
qualche grave distrazione. E speravo di non procurare loro qualcosa di
simile o ne temevo i risultati.
- A proposito di
lui… Avete per caso idea di dove sia il Conte? -
- Nello studio,
credo. – rispose Debit, improvvisamente calmo, prima di
tornare altrettanto repentinamente a lamentarsi a voce altissima.
-
Grazie… - risposi e mi avviai verso la porta.
Poi mi venne in
mente una cosa veramente stupida… Al solito…
- E Tyki?
Dov’è? – chiesi ancora e questa volta mi
sforzai di essere ancora più controllata e neutra.
- AH-AH!!!
– esclamarono entrambi, distraendosi subito dalla loro
occupazione e correndo di nuovo entusiasti nella mia direzione. Pessimo
segno.
-
Perché lo vuoi sapere!? Ih-ih!!! Ih! –
Rimasi per un
momento sconcertata dal sentir parlare Jusdero prima del fratello,
verso il quale per istinto mi ero rivolta subito.
- No, nulla di
particolare… Dovevo chiedergli una cosa… -
risposi vaga e ancora stranita.
Mi fissarono, i
visi truccati segnati dalla curiosità, poi si strinsero
semplicemente nelle spalle:
- Affari vostri.
Meglio non mettersi tra i fidanzatini, no, fratello? -
- Si-si!
“Tra… “ –
-
“…moglie…” –
-
“…e…” –
-
“…marito…” –
-
“…non…” –
-
“…mettere…” –
- …
Eh… Cosa…? Ih-ih-ih!!! –
- Ma si,
Jusdero… - lo interruppe l’altro, sicuro -
…Non mettere… la… il… Cosa
accidenti era!?!? –
Sospirai,
scuotendo la testa: - “…il dito.”
–
- Già,
ecco, appunto!!! – esclamarono all’unisono.
- Ma non vi sembra
un po’ prestino per questi proverbi…? –
commentai, spazientita.
Chiaramente non mi
stavano neanche ascoltando.
Per quel giorno ne
avevo davvero abbastanza di gente che parlava invece di
ascoltare…
- Comunque,
è chiuso in camera a dormire. Questa mattina Road e Lulubell
lo hanno trascinato a fare spese. -
- Ah… -
Dopo una cosa
simile, dubitavo fosse in forma o quantomeno di buon umore…
- Però
Lulubell lo mette il dito… Vero…? –
rise Debit, estraendo alla fine la sua preziosa pistola, che da come
brillava sembrava lucidata di fresco.
Sgranai gli occhi:
- In che senso…? –
- Ma si, ma si!
Oggi era davvero spettacolare! Ih-ih! – aggiunse il gemello,
cominciando anche lui a passarsi la pistola da una mano
all’atra.
- Cosa significa
questa storia? –
Non mi piacevano
le malelingue, ma quelle frasi misteriose mi inquietavano e mi
lasciavano un retrogusto fastidioso.
- L’hai
mai vista elegante!? Oggi è tornata con un vestito verde!
Addosso! -
- E
quindi…? – chiesi, perplessa – Non
è un bene che vesta femminile, finalmente…? -
- E proprio dopo
una sua strana e non programmata uscita…? In compagnia di
quel tiratissimo di Tyki…? Fossi in te, comincerei a
preoccuparmi, Vivy… -
- Ma… -
tentai di ribattere, poi me ne pentii e per poco arrivai anche a
mordermi la lingua per non parlare.
Chiacchiere,
stupide chiacchiere. Non mi importava di cose simili. E poi i gemelli
erano dei gran chiacchieroni e non sempre a proposito.
- Ho capito,
tranquilli. Ora vado dal Conte, però. A dopo. –
risposi, sbrigativa, uscendo dalla sala.
- Ottimo, Vivy!
Veramente ottimo! -
Sapevo che il
Conte avrebbe risposto così, con tutto quello spensierato
entusiasmo.
Niente frasi tipo:
“Non ho tempo, cara… Però puoi sempre
chiedere al secondo musicista migliore della
casa…”, oppure un più malizioso
“Eppure sono sicuro che preferisci un altro
pianista… Vado a chiamarlo…”.
Troppo tardi mi
ricordai che in presenza del capo dovevo evitare di pensare, troppo
intensamente almeno. Però lui non reagì in alcun
modo:
- Vieni con me!
Cominciamo subito! –
Mi
portò, quasi saltellando, in una stanza che non avevo mai
visto. Pareti nerissime su cui erano appesi solo specchi con cornici
spesse ed elaborate. Un paio di mobili di legno colorato di
tonalità shocking carichi di carte, libri e cianfrusaglie di
vario e discutibile gusto. Infine, al centro della camera, un
grandissimo pianoforte a coda, scuro e lucido, di foggia moderna, che
occupava mezza stanza.
- Come mai qui?
– chiesi – Credevo saremmo andati nella sala del
pianoforte d’oro… -
Il Conte si
voltò nel massimo splendore del suo ghigno giocondo:
- Eh
no… Quello è un pianoforte speciale che posso
toccare solo io e che ha delle virtù particolari! Non ci
posso suonare tutta la musica che voglio, ma solo quella
“necessaria”! La musica di quello strumento ha dei
poteri molto importanti per noi! -
-
Davvero…? – dissi, sperando che continuasse a
spiegare.
- Già!
Quindi dobbiamo esercitarci qui! – rispose, assestandosi
comodamente sulla panchetta di fronte alla tastiera. Mi chiesi come
facesse a reggerlo, ma non mi stupii che miracolosamente non si fosse
sbriciolata sotto il suo imponente peso.
Comunque aveva
iniziato a fare finta di nulla. Non era interessato a continuare quella
discussione e tantomeno con me…
- Non avete
bisogno dello spartito, Conte? -
- Per nulla, Vivy!
Io mi ricordo tutte le opere a memoria! – rispose,
più che mai divertito – Però su quel
mobile laggiù deve esserci un libretto con il testo e
qualche indicazione di tonalità! –
- Ah, grazie.
– risposi, andando subito a cercare in quegli scaffali
polverosi.
- L’hai
trovato!? –
- Si. –
e passai una mano su una copertina grigia, che dopo quel gesto,
liberata dalla polvere, si rivelò essere bianca.
- Bene, allora,
all’opera! – esclamò sogghignando.
Le prove con il
Conte si rivelavano meno dannose e antipatiche di quanto credevo.
Certo, la sua presenza mi metteva comunque in difficoltà e
per questo non riuscivo a calarmi davvero nel personaggio.
Collaboravano poi alla tensione i suoi tentacoli che scorrevano
velocissimi, pieni di virtuosismi, sui tasti e mi facevano in effetti
un po’ impressione. Quindi mi riuscivo a dedicare solo al
canto, a renderlo il più possibile corretto e dosato. Alla
fine di ogni aria, il capo si scioglieva in mille complimenti, anche
talmente pazzeschi da darmi parecchio fastidio… Ma a parte
questi elementi negativi, non stava andando male…
Solo che alla fine
della quinta aria, si udirono degli applausi leggeri e moderati.
- Molto
bene… -
Era appoggiato
mollemente allo stipite della porta, che non mi ero neanche accorta che
fosse stata aperta. Un sorrisetto furbo sul volto, tipico di
quell’orgoglio infido che accompagna chi stupisce con
un’entrata ad effetto e inaspettata. Le cicatrici coperte dai
capelli scompigliati con una strana grazia sulla fronte. Gli occhi
gialli ancora un po’ assonnati, ma attenti, che ci
scrutavano. E si, l’immancabile camicia bianca aperta per un
paio di bottoni dal colletto, anche se al contrario accuratamente
infilata nei pantaloni neri.
Dopo lo stupore e
lo spavento iniziale, non potei che sorridere, imbarazzata:
- Grazie mille,
Tyki… Dormito bene? -
- Si, finalmente.
Ora mi sento meglio… - rispose accompagnando il commento con
un plastico stiracchiamento.
- Ti abbiamo
svegliato, Tyki-pon!? – chiese il Conte, con innata carineria.
- A dir la
verità, si. Però non è stato un brutto
risveglio. – sorrise, cordiale.
Che davvero non
fossero parole leggere e bugiarde? Nonostante l’apparenza
formale, non sembrava che fingesse. Allora erano complimenti
sinceri… Probabilmente stavo arrossendo…e sentivo
di non potermelo permettere…
- Oh, bene! Quindi
ti piace l’opera!? – esclamò il Conte,
sempre più arzillo.
Aggrottò
le sopraciglia: - Non esageriamo. Non è che la conosca
abbastanza da dire una cosa simile. Però ammetto che ha
qualcosa di interessante… -
- E’
già molto! Vero, Vivy!? -
- Assolutamente.
– risposi – Meglio di certo delle reazioni dei
gemelli… -
-
Perché…? – mi chiese il ragazzo,
già ridendo.
- Be’,
poco fa hanno fatto di nuovo una scena incredibile, quando hanno saputo
della nuova rappresentazione… - sorrisi, comprensiva.
- Che maleducati!
– si intromise il Conte, con fervore – I Jusdebit
non dovrebbero fare così! –
Tyki si
lasciò andare ad una risata maliziosa: - Mi immagino la
scena…! Che deficienti…! –
- Ma Tyki-pon!!!! -
- Su, Conte! Sono
bambini alla fine! Non fate il fiscale! – e
scrollò le spalle – Tanto non credo che Vivy si
sia offesa! –
- Proprio no.
Ognuno ha i suoi gusti… -
- Allora,
d’accordo! – poi si voltò verso di me
– Comunque, Vivy, temo di doverti lasciare…! Ho
alcuni impegni importanti…! Ti posso lasciare con Tyki!?
–
-
…Io…? – chiese lui, puntandosi addosso
l’indice, confuso.
- Si! Vivy deve
continuare a provare per la rappresentazione che avrà luogo
tra due settimane! Vero che suonerai tu al posto mio!? –
chiese il Conte, alzandosi dalla panchetta con un bizzarro saltello.
Si vedeva
distintamente che stava gongolando per come andavano le cose. Mi chiesi
quale fosse esattamente il suo piano, ma alla fine mi accontentai di
prendere atto che per una volta la sua idea coincideva con la mia
speranza. Forse non era un bene. Comunque, nonostante lo desiderassi,
stavo già diventando molto nervosa…
- Se mi ritenete
all’altezza… - disse con un’aria ancora
un po’ incerta.
- Si, certo! Suoni
piuttosto bene, Tyki! Basterà andare a cercare gli spartiti!
Dovrebbero essere anche quelli lì in mezzo! – e
indicò ancora la vasta libreria.
- Be’,
allora Vivy…? Per te va bene? – e un sorriso
ironico gli comparve sul viso a quella domanda.
- Si, nessun
problema… -
Anche se il
problema c’era eccome perché mi sentivo addosso
un’emozione e un panico non indifferente.
- Umph…
- bofonchiò, fissando dubbioso i tasti del pianoforte.
- Qualche
problema? – chiesi guardandolo in quello strano atteggiamento.
Si
voltò con un’espressione di sufficienza: - Non
credo. Penso che l’istinto del musicista mi verrà
con le note davanti… - poi tornò a scrutare lo
strumento e aggiunse a voce più bassa - Per ora questa
alternanza bianca e nera mi è sconosciuta… -
-
Com’è possibile? – domandai, mentre
continuavo a spostare libri e tonnellate di polvere in cerca degli
spartiti.
- Credo sia un
misterioso potere Noah… - rispose, indifferente.
- In effetti mi
sembrava strano che avessi imparato volontariamente a suonare! Quindi
tu sei capace di usare il pianoforte d’oro, dato che possiedi
questa capacità innata? –
- No. Quella
è una prerogativa del Conte. In realtà
è solo perché è il nostro
“suonatore” che sa suonare ogni diversa musica
desidera.. -
- Continuo a non
capire… - risposi.
Ma Tyki non aveva
voglia di spiegarmi: - Lascia perdere, Vivy… Il punto
è che il Conte è in ogni caso molto
più bravo di me con il pianoforte, quindi ti devi
accontentare di un musicista piuttosto mediocre. -
- Figurati se
è un problema… L’importante
è che suoni le note giuste… - risi.
- Allora qual
è il problema…? – mi chiese
all’improvviso.
-
Problema…? – dissi, cercando di restare
indifferente, anche se due libri parecchio pesanti mi stavano per
cadere di mano.
- Vivy…
Lo sai che mi accorgo quando menti… Anche se non so
perché… Ti ho chiesto se c’erano
problemi e hai detto di no, ma con un’aria del tutto
stranita. Quindi? –
Si vedeva che ero
in difficoltà!? Malissimo… Tanto più
che lui amava sempre un sacco approfittare dei miei momenti di
confusione…
- Niente,
Tyki… Non ho alcun problema, davvero… - risposi,
continuando ad evitare di guardarlo con la scusa della ricerca negli
scaffali zeppi.
- Sicura?
– con un tono insinuatore.
- Trovati!
– esclamai cambiando provvidenzialmente discorso e mi voltai
per soffiare via parte della sporcizia dall’insieme di fogli.
Non mi ero accorta
che lui si era avvicinato e finii per mandargli tutta quella polvere
addosso come una nuvola.
- Ah! In faccia,
Vivy!? – con tono un po’ irritato.
- Oddio! Scusami!
– dissi, forse anche più allarmata del necessario.
Sorrise, gentile:
- Sto scherzando! Non mi hai fatto niente! – ma si sfregava
insistentemente gli occhi.
- Ti ho mandato la
polvere negli occhi! Che stupida! Aspetta! Vieni a sederti! –
- Non
preoccuparti! Non sto morendo! Stai tranquilla! – ma si
lasciò condurre fino al sedile del pianoforte.
Rideva
allegramente, anche se gli occhi gli lacrimavano. Probabilmente per la
scena, che ripensandoci era stata davvero demenziale…
- Ok, adesso cerca
di tenere gli occhi aperti…! – gli chiesi.
Lui
annuì, un sorriso divertito impresso sulle labbra.
Mi accostai al suo
viso e soffiai piano su quegli occhi spalancati a forza.
- Come va ora?
– chiesi, preoccupata.
Sbatté
un paio di volte le palpebre e poi mi guardò:
- Molto meglio.
–
Solo che poi
avvenne qualcosa che non mi aspettavo. Il suo sorriso mutò e
divenne stranamente aperto e sincero: - Non dovresti preoccuparti
così tanto per cose così stupide,
Vivy… Non l’hai fatto apposta… - e poi,
come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi prese la
mano e se la portò alla bocca.
Ecco.
Probabilmente avevo assunto un rossore tutt’altro che lieve,
a giudicare anche dalla frequenza dei battiti del mio cuore, ma non
potevo evitarlo. Oltretutto, mi ero anche appena accorta che il mio
viso era rimasto pericolosamente vicino al suo…
Ma che pericolo
c’era? Perché mi preoccupavo? Cosa c’era
di male? Non era uno sconosciuto con il quale una cosa simile sarebbe
stata impudente o maleducata…
Bastava un
momento. Non serviva molto altro.
Perché
anche quella breve distanza non poteva annullarsi e basta?
Perché nonostante quella vicinanza, lui aveva pensato
istintivamente alla mia mano e non alla mia bocca…?
Io non ero
abbastanza coraggiosa da farmi avanti. Provavo troppa paura di
sbagliare. Di mostrarmi una donna facile, che lui potesse usare e
buttare via. Di essere troppo diretta e rompere quel misterioso
equilibrio che stavamo costruendo. Di vedere quei miei sentimenti, quel
mio desiderio di averlo vicino, sfruttati o peggio ancora rifiutati da
lui. O trasformati in armi per farmi annullare dal Conte.
Ma stava
già succedendo in realtà. Io soprattutto in quel
momento ero Tosca, che avrebbe venduto se stessa per avere
l’uomo che amava…
Tyki aveva
già lasciato la mia mano, ma restava fermo, improvvisamente
serio, a ricambiare il mio sguardo e basta. Avrei fatto di tutto per
sapere cosa stava pensando.
Per quanto mi
riguardava, i miei occhi sembravano non saziarsi mai di vederlo da
così vicino e non facevano che attraversare e riattraversare
tutti i tratti del suo volto. Avrei voluto abbracciarlo forte, poi
prendere quel viso tra le mani e baciare quelle labbra con tutto quel
sentimento assurdo che provavo.
Ma non ero Carmen.
Non ne avevo la forza né la libertà…
E in un attimo
tutto cambiò ancora.
Tyki distolse lo
sguardo, prese in mano gli spartiti e disse, con una calma innaturale:
- Però
ora è meglio se cominciamo o non finiremo mai… -
Il mio cuore
batté due volte più veloce della norma per tutto
il tempo delle prove. Ormai non ne avevo più il controllo.
Eppure cantai
meglio di sempre e mai fui così felice di aver dato il
meglio di me. Tyki suonava con calma, senza sbagliare neanche una nota,
proprio come gli avevo chiesto per scherzo. Era concentratissimo e,
anche se non si lanciava negli strani virtuosismi del Conte, il suo
modo di suonare era fluido e rilassato. Perfetto…
- Secondo me, vai
già benissimo così. –
commentò sinceramente quando finimmo.
- Sei gentile, ma
non posso accontentarmi. Senza prove in teatro tranne gli ultimi giorni
devo continuare a darmi da fare… -
- Certo, capisco. -
Mi feci coraggio e
chiesi, probabilmente con maggiore timidezza del necessario: - Senti,
Tyki… Potresti suonare per me anche domani…?
– presi fiato e aggiunsi – Quando puoi, non appena
hai tempo… E non sei obbligato… Però
finché resti a casa… Mi farebbe
piacere… -
Mi
guardò assolutamente neutrale, come a studiarmi, e infine
rispose, con un sorriso ironico: - Se non verrò obbligato ad
altre misteriose commissioni, non ci sono problemi. –
Gli sorrisi di
rimando e poi uscimmo insieme dalla stanza.
Riusciva
addirittura a rendermi una ragazzina timida e timorosa. Mi chiedevo se
tra tutte queste sue strane abilità non ci fosse per caso
ancora quella di voler bene come un essere umano…
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Salve a tutti!
Eccomi con un capitolo (un po' lunghino, in effetti) narrato da Vivy,
anche lei presa da strani contrasti, guidati in questo caso da due
famosissime figure femminili del mondo operistico...
Tra l'altro ho trovato delle citazioni molto azzeccate per tutti i
capitoli come questa del caro Iacopone... Appena avrò un po'
di tempo, le aggiungerò sotto a tutti i titoli precedenti...
XD
Mi dispiace un po' di non aver ricevuto commenti riguardo il capitolo
scorso, ma ho visto di aver avuto quasi 90 visite e questo mi gratifica
molto di più... Grazie
infinite a tutti coloro che hanno letto e spero continueranno a farlo!!!
Rispondo anche ad una recensione lasciata su un altro capitolo:
Tyki Mikk = caspita! Vedersi recensire da
un nickname simile fa davvero uno strano effetto... O_O Ti
ringrazio moltissimo per i complimenti generosissimi! Cerco di
fare del mio meglio per trattare Tyki con i guanti di velluto (ogni
gioco di parole è assolutamente voluto... ^_^)! Si, in
effetti quel capitolo è uno dei più apprezzati e
condivido che è uno di quelli che ho scritto meglio...
Grazie mille davvero! Non sono riuscita a capire se hai letto anche i
capitoli seguenti (lo spero), in ogni caso spero arriverai fino qui a
leggere questi ringraziamenti! XD
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