La
sua volontà non conta
Un
grazie speciale a Lilith,
la
Beta di questa storia,
che
mi ha aiutato in modo fondamentale.
Ambra
siede sul coperchio del water, zitta, immobile, lo sguardo fisso sulla
porta
chiusa a chiave. Precauzione ormai
inutile. Ha
i capelli spettinati, le
forcine fuori posto le tirano le ciocche ai lati del viso e sente fitte
dolorose
propagarsi sotto la cute. Il mascara sbavato si è ormai
seccato sulla pelle
intorno agli occhi arrossati e gonfi. In bocca ha un sapore amaro,
talmente
disgustoso che deve sforzarsi per non vomitare. Tremante, respira a
fondo
cercando di calmare il cuore che batte impazzito. Altre lacrime
scendono,
incuranti del suo desiderio di smettere di piangere. La
sua volontà non conta.
« Basta »
sussurra, la voce strozzata dal pianto e una mano serrata intorno alla
gola. Basta. Basta. Ripete
quell’unica
parola come fosse una cantilena, incapace di pronunciare
un’altra sillaba, il
pensiero ipnotizzato in quell’unico termine che racchiude
tutto ciò a cui
aspira in quel momento. Basta a quel dolore fisico pungente che sente
in tutto
il corpo. Basta alla pesantezza che avverte alla testa, come se un
masso le
premesse sulla fronte e sulle tempie, pronto a schiacciarla per sempre.
Basta
ai ricordi incontrollabili che le riportano alla mente ciò
che è successo.
Basta alla sensazione di sporco che la pervade.
Chinata
in avanti, perché il dolore è troppo grande per
riuscire a rimanere dritta,
stringe le mani l’una nell’altra, alla ricerca di
forza. Le unghie sono
rovinate, si sono spezzate nel tentativo di aggrapparsi a qualsiasi
cosa la
aiutasse a lottare, nel disperato sforzo di trovare un oggetto da usare
come
arma. La sua abitudine di tenere sempre il banco su cui lavora pulito e
ordinato
le si era rivoltata contro: non c’era niente che potesse
aiutarla a portata di
mano. Sapeva che la sua era una battaglia persa in partenza, ma aveva
comunque
tentato tutto il possibile per liberarsi.
Domande
che non aveva mai pensato di porsi le attraversano la mente e mettono
alla
prova il suo fragile stato. Cos’ho
fatto
per meritarlo? Non riesce a richiamare alla memoria niente
che giustifichi
una tale punizione. L’ho provocato
senza
accorgermene? Quand’ era entrato era stata
sorridente e cordiale, com’era
con tutti. Si trattava di gentilezza, non credeva di aver lanciato
segnali
ambigui. Ho detto qualcosa che non avrei
dovuto dire? Non ricorda esattamente le parole che gli aveva
rivolto prima
che tutto iniziasse, ma è quasi certa di non aver detto
nulla che potesse
essere frainteso. Allora perché
è
successo?
È
stata colpa sua? Ambra sa che
quella è una domanda che non dovrebbe porsi
perché rispondere « sì »
mentre si trova in quello stato d’animo è fin
troppo
facile. Dentro di sé, sa che lei non ha nessuna colpa, che
non c’è nulla che
possa aver fatto che giustifichi ciò che le è
successo. Ma la sensazione di
sporco e di disgusto che prova in quel momento la porta a credere di
essere
davvero dalla parte del torto. È un pensiero breve, pochi
secondi in cui
quest’idea si fissa nella sua mente con convinzione. Presto
capisce che non è
così.
Fa un
respiro profondo, ancora tremante, e chiude gli occhi cercando di
calmarsi. Non
è sicura che la consapevolezza di non avere colpa la possa
aiutare. Ciò che ha
subito è stato talmente orribile, talmente indescrivibile
che sapere che
potrebbe capitare a chiunque, che potrebbe capitarle ancora la riporta
nel
vortice di disperazione da cui sta tentando con tutte le sue forze di
uscire. Ambra
non è una sciocca, sa che questo è capitato a
infinite donne prima di lei, ma
non era mai successo a nessuna delle sue conoscenti e, seppur
indignata, si era
sempre ritenuta estranea alla vicenda.
Getta la
pallina di carta che aveva stretto tra le mani contro il muro, esausta.
Ormai
le lacrime sono finite, ma il dolore permane. Si solleva e appoggia le
mani sul
bordo del lavandino per sostenersi, insicura sulle gambe deboli. Non ha
il
coraggio di alzare lo sguardo per vedere il suo riflesso sullo
specchio. Non sa
cosa ci troverà, ma è certa che non
sarà un’immagine positiva. Apre il
rubinetto dell’acqua fredda e vi allunga esitante le braccia.
Si morde il
labbro già martoriato quando il getto le colpisce i polsi
che portano ancora il
segno della sua stretta.
« Ho
subito… » tentenna, incapace di terminare la
frase. Ricorda di aver letto da
qualche parte che per superare un trauma è necessario
accettare che sia
successo. Prova a dire ad alta voce ciò che pensa, tenta di
dare un nome a ciò
che le è capitato ma non ci riesce. Conosce quella parola,
risuona forte nella
sua mente, ma pronunciarla è troppo difficile. Non
è sicura di essere pronta ad
accettarlo, non ancora. È successo
davvero? Non è possibile che sia stato solo un orribile
incubo? « No »
mormora, guardandosi le braccia livide. Non è stato un
incubo. Era la realtà.
« Io…
» la
sua voce si blocca quando Ambra alza gli occhi e si vede nello
specchio. No,
quella persona non è lei. Non può essere lei. Ha
un aspetto devastato. Il viso
è sporco di trucco colato per via delle lacrime, ma non
è questo che la
colpisce così tanto. È lo zigomo tumido, gonfio e
violaceo. Lo tocca con la
punta delle dita, sconvolta. Il loro lieve passaggio lascia scie
infuocate di
dolore, rabbia e vergogna. Vergogna ingiustificata ma incancellabile. Perché mi sento così?
Sa che non
dovrebbe provare quel sentimento, ma per qualche motivo non riesce a
scacciarlo.
L’acqua
mista a sapone brucia mentre si lava delicatamente il viso. Ambra si
morde
l’interno delle labbra per non lasciar scappare un gemito di
dolore mentre
continua quell’operazione. Vorrebbe lavar via tutta la pelle
che ha sul corpo,
tutto ciò che lui ha toccato, ma l’unica cosa che
può fare in quel momento è
togliere il trucco che, lo sa, sta ancora nascondendo parte di quel
livido che
vede diventare più angosciante di secondo in secondo. Si
tampona il volto con
l’asciugamano, lasciando macchie nere dove non è
riuscita a togliere il
mascara. Con un respiro profondo, rialza gli occhi.
« Mi hanno
stuprata » sussurra, fissando l’immagine rovinata
della donna che era e che
sente di non essere più. Era bella, forte, sicura di
sé, sempre con il sorriso
sulle labbra. « Mi hanno stuprata » ripete, un
po’ più forte, osservando ciò
che è rimasto di lei. Una figura distrutta, tremante, che
lotta anche solo per
guardare se stessa nello specchio. Una lacrima scende sulla sua guancia
e lei
la spazza via, veloce. Ripete il movimento ancora e ancora, mentre
altre stille
della sua anima escono dai suoi occhi. Pensava di aver esaurito le
lacrime, ma
la sofferenza sembra crescere senza fermarsi.
« Non ce
la faccio più » mormora, sfinita, tornando a
sedersi e appoggiando il capo
contro il muro alle sue spalle. Non ce la
faccio più. A pensare. A ricordare. A piangere. A lottare. A
guardarmi allo
specchio. A vivere. Sente le forze venirle meno e accoglie
grata l’oblio
che sente scendere pian piano nella sua mente. Non vuole più
pensare o provare
nulla. Ha bisogno di una pausa da tutto e da tutti, senza sogni
né incubi.
Chiude gli occhi e prova a rilassare i muscoli tesi, invano. Quasi
senza
accorgersene, però, ha smesso di piangere. Finalmente,
l’agognato buio arriva.
Occhi
verdi la fissano con cattiveria, con malizia. Occhi piccoli e stretti,
malvagi.
Occhi verde-azzurro, occhi color ghiaccio, pronti a ferirla, senza
rimorso.
Occhi nascosti da un battito di palpebre, occhi che riemergono di un
intenso
color nocciola; potrebbero essere belli, forse, se non avessero
un’espressione
tanto pericolosa. Occhi neri, senza fondo, senza anima. Occhi rossi,
inumani.
Gli occhi del Male. Occhi confusi, che vorticano davanti a lei, che non
riesce
a identificare. A chi appartengono? A
quale nome rispondono? Non ricorda, non lo sa, forse non
l’ha mai saputo.
L’unica cosa certa è che sono gli occhi di lui.
« Puttana,
stai zitta! » Una voce roca le risuona nelle orecchie mentre
torna in sé. Ambra
spalanca all’improvviso gli occhi, spaventata, terrorizzata.
Si guarda intorno,
nonostante la debolezza le faccia girare la testa, tanto che deve
allungare una
mano e afferrare il bordo del lavandino per non perdere il suo precario
equilibrio. Non c’è
nessuno. Era
solamente un ricordo. Un ricordo fisicamente doloroso,
tremendamente vivido
e reale. Si sente invasa dal panico, tutta la calma acquisita prima del
risveglio è scemata in un attimo. L’idea di uscire
da quella stanza, di
lasciare quello che ora sembra essere l’unico luogo sicuro,
l’atterrisce.
Quanto
tempo passerà prima che riesca a riprendersi, a tornare se
stessa? Ci riuscirà
mai davvero? In questo momento sembra impossibile. Tornare a sorridere,
ad
avere fiducia nel mondo, a non cercare di ridurre al minimo ogni
pericolo… La mia vecchia vita
è finita. Il suo
futuro non è come se lo aspettava fino a poche ore prima,
ora è totalmente
mutato e non c’è modo di recuperarlo. Anche se
potesse un giorno svegliarsi
felice, sicura, senza timori, quest’esperienza
sarà sempre alla base della sua
esistenza. Il mondo ora è diverso.
La
sua fede nell’umanità si è spezzata. Per
sempre.
Ridere
è
ormai diventato impossibile. Ambra cerca di formare un sorriso;
è un’azione
fisicamente dolorosa ma che tenta comunque, nella speranza di superare,
almeno
esteriormente, ciò che le è successo. Sa che
anche se riuscisse a sorridere non
cambierebbe niente. La sofferenza, la tristezza e il disgusto
rimarrebbero. Ma
almeno potrebbe dire con certezza di avere ancora il controllo del suo
corpo,
potrebbe affermare che, nonostante tutto, è ancora padrona
di sé. Pian piano
riesce a sollevare gli angoli delle labbra e, soddisfatta, si guarda
allo
specchio. In un attimo, non appena vede i suoi occhi spenti, ripiomba
nella
malinconia.
Stanca
nonostante abbia recuperato i sensi da poco, si appoggia di schiena
alla porta
e chiude gli occhi. Devo andarmene da
qui. Prima o poi dovrò farlo. Posa le mani a palmo
aperto contro la
superficie liscia e fresca, cercando la forza di afferrare la maniglia
e uscire
dalla stanza. E se fosse tornato?
Il
pensiero che, una volta fuori, possa trovarsi davanti a lui
o a qualsiasi altro estraneo le impedisce di muoversi. Non è
sicura che ci sia qualcuno con cui si sentirebbe al sicuro; non
può nemmeno
chiamare la sua famiglia, non ha il telefono con sé.
Trova
il coraggio dentro di te. Ambra si guarda
intorno, cercando qualsiasi cosa possa
essere utilizzata come un’arma: con essa tra le mani,
così da poter almeno
tentare di difendersi, potrebbe uscire. Trova un paio di forbici nella
valigetta di primo soccorso e, sebbene non siano molto grandi, queste
le
infondono forza. Le stringe tra le dita e, la mano pronta a colpire,
torna a
posarsi contro la porta. Questa volta si prepara a girare di scatto la
chiave e
spiare al di fuori della stanza; le servirà solo un istante
per tornare a
richiudervisi dentro, in caso di necessità.
Un
rumore di passi le giunge alle orecchie e lei richiude immediatamente
la porta semiaperta,
facendo attenzione a non farla sbattere per non rivelare la sua
presenza. Gira
la chiave e fa due passi indietro, andando a finire contro il
lavandino.
Impugna meglio le forbici e tiene gli occhi fissi sulla maniglia, in
posizione
di difesa, ma il suo corpo sta tremando, è terrorizzata. È tornato qui. Non riesce
più a sentire nulla, non sa se lui si
stia muovendo, se la stia cercando, se sia uscito o se sia in silenzio
a pochi
metri da lei. Non posso muovermi.
Volge lo
sguardo alla finestra, alla ricerca di una via di fuga. È
troppo alta perché
possa riuscire a raggiungerla e, anche se fosse in grado di trovare un
supporto
per facilitarsi la scalata, non potrebbe mai toccare terra
all’esterno senza
rompersi almeno una gamba. Potrebbe
valerne la pena… La sua attenzione torna ai passi
che ora sono nuovamente
udibili e che, ne è quasi certa, si stanno avvicinando alla
porta del bagno. Cosa faccio?
Osserva la stanza,
disperata, senza speranze. Non può andarsene, non
può proteggersi, non può fare
nulla per salvarsi. Poi una voce: « Ambra? Sei qui dentro?
»
Zitta, per
un istante pensa di esserselo immaginata. Il sollievo
all’udire una voce
familiare è talmente grande che crede di essere sul punto di
svenire. Non è lui. Non
è qui. Le lacrime
riprendono a scendere dai suoi occhi, ma questa volte sono di gioia.
Sono il
segno che è ancora viva, che non è più
in pericolo. Apre la porta, tremante, e
incontra due occhi conosciuti e protettivi. Apre le labbra per parlare
ma si
rende conto che non ne ha bisogno. Cerca nel suo abbraccio la forza di
lottare,
perché sa che la sua battaglia è appena iniziata.
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