La vita è piena di sorprese, eppure non ne scartiamo nemmeno
una.
Siamo impegnati
a preoccuparci di quello che ci circonda, dei nostri
sentimenti e di quanto non riusciamo a fare una cosa buona in una sola
ora. Eppure, in ogni angolo della strada, c'è qualcosa che
ti sorprende... se solo riuscissimo ad aprire gli occhi.
«Tu
sei ridicola!»
Le giornate non
sono tutte rose e fiori. Alcune sono candide, altre
infernali. Tra i corridoi di un ospedale lo si può sapere
benissimo, un chirurgo lo sa benissimo. E quegli sguardi che prima si
evitano e poi si cercano non fanno altro che aumentare quella voglia di
poter stringere qualcuno tra le tue braccia, baciarlo, graffiarlo per
poter sentire il corpo premere sul proprio.
April era
rimasta incastrata in una morsa salda, una presa micidiale
che non le lasciava andare le gambe. Sanguinava, internamente. Tentava
in ogni modo di sopprimere quei sentimenti che le pugnalavano il petto,
con una forza micidiale da farla soffocare. Non riusciva a venirne
fuori, non ne sarebbe mai venuta fuori.
«Tu,
il tuo Dio... ti rendi conto che sei ridicola?»
Continuava a
ripeterlo, come una filastrocca o un ritornello di una
canzone. Perché si divertiva a farle del male? Certo,
sicuramente anche April aveva le sue colpe -soprattutto-, ma non
avrebbe mai insultato in quel modo la persona a cui teneva di
più al mondo: Jackson.
La forza di
parlare le era rimasta chiusa tra l'esofago e la trachea,
immobile come una statua di marmo che aspettava di essere distrutta per
poter porre fine alle proprie sofferenze. Ogni volta sembravano come
cane e gatto e quando pensava ai loro momenti di discussione le veniva
da sorridere dolcemente. Perché lo amava, con tutta se
stessa.
Tutti i loro
momenti più belli sembravano dimenticati: le
risate al bar, davanti ad una birra, i momenti in cui lei era ubriaca e
non connetteva più i neuroni -cosa che per Jackson faceva
sempre-, rifugiarsi nello stanzino per fare l'amore, chiudersi in una
camera per non farsi vedere... sembrava tutto svanito, come una nuvola
che appena distogli un attimo lo sguardo, ecco che sparisce.
April pregava
con tutta se stessa di vedere apparire dietro Jackson
qualche medico, come Hunt, la Grey, Cristina... ma nessuno
sembrò soccorrerla, semplicemente perché erano
soli. Lui era il capo dell'intero ospedale, colui che dirigeva ogni
singola cosa -o almeno ci provava- e lei era la causa di un macello.
«Jackson...»
E nonostante lei
cercasse di parlare, di dire qualcosa, la gola le
bloccava l'impulso di dar aria alla bocca, di emettere un piccolo
suono. Ma forse il problema non era il suo, ma l'uomo che aveva
davanti: così bello, dolce, e allo stesso tempo un
bamboccione da prendere a pugni.
Chiuse gli
occhi, April, e strinse le labbra in un lieve sorriso
amareggiato. Passare l'esame le era stato d'aiuto per aprire gli occhi,
per scoprire qualcosa di migliore. E forse era per quello che Jackson
le stava sputando tutta quell'acidità che aveva in gola,
quella rabbia che non riusciva più a reprimere.
«Vai,
esci. Prendi le tue cose, vai nel tuo nuovo
ospedale»
Mentre diceva
quelle parole, April si rese conto di quanto amasse il
suo viso ogni volta che sbarrava gli occhi. Quanto quelle labbra si
stringessero come per far capire quanto nervosismo provasse... e
sapeva che non poteva più mentire a se stessa, nemmeno a
lui. Non poteva mentire sull'amore che giorno dopo giorno le logorava
il cuore, le lacerava il cervello di pensieri negativi.
Come
sarà la mia vita con lui? Avremmo una famiglia? E se
litighiamo? E se non saremo solidi?
L'insicurezza
era tutto quello che le restava della sua vita privata.
Non avrebbe avuto una famiglia perché troppo strana, non
avrebbe avuto un amore perché troppo strana: era chiaro, il
problema era unicamente lei. E come poteva fare qualcosa se Jackson era
fidanzato e lei anche? Era tutto uno scherzo e per qualche frazione di
secondo sperò che fosse immersa in un sogno, un incubo.
«Ti
amo»
Non le importava
più niente, aveva finito la sua vita da
santarellina e senza nessuna felicità. Perché
tutto ciò che provava, da sempre, era amore per Jackson. Non
poteva continuare a giocare a nascondino con le proprie emozioni,
sarebbe stata tutta una farsa e a lei non piacevano le bugie. Voleva
chiarezza, sincerità e in quel momento avrebbe potuto averne.
Quelle due
parole lo fecero bloccare, la maniglia della porta abbassata
per uscire, ma ancora chiusa. Si girò appena verso di lei,
come se tutto quello avesse risvegliato il demone nascosto dentro di
lui. Le labbra, quelle labbra, si schiusero in una smorfia sorpresa,
non riuscendo a credere che davvero April stesse dicendo una cosa
simile.
«E
sì, ho sbagliato tutto fin dalla prima volta
che ci siamo guardati negli occhi» iniziò; sul
volto un lieve sorriso triste, malinconico, ricordandosi solamente di
quei momenti che aveva amato e avrebbe amato per tutta la sua vita.
«e so anche che senza di te non avrebbe nessun senso vivere,
perché ti amo, perché ogni singolo giorno penso a
quanto io possa essere felice con te, Jackson, alla nostra famiglia, ad
avere dei bambini... a litigare sul nostro credo, a litigare per
stupidaggini...» non era forte, non lo era mai stata. Quella
maschera che continuava a portarsi davanti al viso si stava lentamente
spezzando, crepando.
Non
riuscì nemmeno a dar freno alla lingua, ormai troppo
impegnata a dire quello che da anni non aveva mai avuto il coraggio di
fare. Perché April Kepner, si disse, non è una
fifona. April Kepner è una donna che ha perso la
verginità, rompendo la sua promessa con Dio, ma che in quel
momento non gli importò.
Ma se nel cuore
le restava ancora un briciolo di speranza, la porta che
si chiuse con un rumore forte era la prova che anch'essa si era
distrutta.
Era rimasta
sola, ancora una volta.
Sola, e con il
cuore a pezzi.
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