Stereotype
E' credenza diffusa al Campo Mezzosangue -
beh, effettivamente non solo al Campo ma praticamente tra ogni
semidivinità, divinità, ninfa o satiro che sia.
Dicevo, è
credenza diffusa che i figli di Ares e i figli di Afrodite tenderanno
sempre ad attrarsi e cercare di stare inseme così come i
loro divini genitori (senza contare l'altrettanto divino cornut-, ehm, marito della
più vecchia dell'Olimpo. Fortunatamente i figli del
fuciniere celeste hanno più istinto di sopravvivenza di
quello smanettone del loro padre) hanno fatto e continuano a fare
dall'alba dei secoli dei secoli. Amen.
E' credenza diffusa
anche che tutti i figli di Apollo siano dei luminari della medicina e
dei completi idioti come quel belloccio che, a furia di trainare il
carro del sole, una bell'insolazione coi controfiocchi deve essersela
di sicuro presa - altrimenti, davvero, non si spiega.
ΩΩΩΩΩ
«Certe volte
credo che nostro padre abbia preso un abbaglio
riconoscendoti» è una frase che il Capo della Casa
numero sette ripete spesso, tirandosi su gli occhiali squadrati dalla
leggera montatura con il medio della destra - proprio come sta facendo
in questo momento. Così come spesso quegli occhi verdi come
un campo bagnato dal sole si ritrovano a squadrare con biasimo il
ragazzo più giovane seduto al suo fianco, precisamente al
lato destro, alla tavolata riservata ai figli di Apollo nel padiglione
della mensa.
Sa perfettamente quanto
le sue parole non possano corrispondere alla realtà; primo
perché gli dei non sbagliano mai nel riconoscere i propri
figli, preferendo talvolta non riconoscerli affatto piuttosto che dare
un motivo per dare ulteriormente da parlare a quelle comari su
all'Olimpo, secondo perché quel ragazzo incarna
più di lui e tutti i suoi fratelli messi insieme l'essere il
figlio del dio legato al sole. Peccato che la cosa, a parer suo, si
limiti principalmente all'aspetto.
Tutto a cominciare dai
lisci capelli biondissimi per continuare con i sottili occhi dal taglio
felino che rilucono d'oro, come se avessero catturato un raggio
dell'astro in sé, passando poi per l'incarnato altrettanto
dorato - ma appena appena, quel tanto che basta per farti girare a
guardarlo, irrimediabilmente attratto dalla sua presenza, senza avere
alcuna voce in capitolo - e terminando infine con un sorriso
abbagliante di denti bianchissimi e perfetti lo rende talmente brillante che
è impossibile non accomunarlo al genitore divino. Senza
contare, ovviamente, come sia stato riconosciuto da questo la sera
stessa in cui è arrivato al Campo, ormai quasi tre anni
prima.
Forse, ma solo forse,
Shintaro è un po' geloso del fratello minore (il divino
padre ci ha messo ben tre giorni per decidersi a fargli spuntare un
sole brillante sullo smeraldineo testolino, tre giorni d'inferno
passati tra quei matti dei figli di Ermes) e questo potrebbe
interferire con la considerazione che ha di lui. Il resto,
però, è tutto dovuto al suo atteggiamento e al
fatto che abbia dimostrato, sin da subito, che la medicina non sarebbe
mai stata il suo mestiere. Ancora oggi non è in grado di
mettere nemmeno un cerotto come si conviene. Un cerotto, andiamo!
«Uhm
uhm»
La risposta, che non
è affatto una vera risposta, fa fremere il sopracciglio
destro del semidio come sempre quando è irritato. Tornando
poi a risistemarsi nervosamente gli occhiali malgrado non ce ne sia
affatto bisogno.
Dopo qualche istante di
silenzio, e di meditazione interna, si convince a malincuore che
infilzargli la forchetta sul dorso della mano con cui sta riducendo in
briciole il pane da circa mezz'ora non sia la soluzione migliore.
Sei
un guaritore, Shintaro, un guaritore. Non ferisci la gente, la curi.
«Non mi stai
neppure ascoltando, vero?»
«Uhm
uhm»
Il tremito al
sopracciglio si fa più evidente. Beh posso sempre curarlo, dopo.
«Ryouta, dii immortales,
vuoi smetterla di guardare così la tavolata di Ares? E'
imbarazzante, sul serio» sbotta, alla fine, optando per
strattonarlo per un braccio e convincerlo così a
distogliere, finalmente, la sua attenzione dal tavolo da picnic dietro
quello occupato dai figli di Demetra- intenti a fare colazione con il
loro orzo, fiocchi d'avena, o qualcunque prodotto della terra riempisse
in quel momento i loro calici e piatti.
Il semidio
più giovane gli rivolge una smorfia scontenta, mettendo su
un broncio infantile che concorre ad aumentare gli istinti omicidi nel
fratello.
Padre,
se mi impedisci di essere sbattuto fuori dal Campo per fratricidio,
stasera ti sacrifico l'intero vassoio dei dango.
«Certo che
sei proprio antipatico Midorimacchi. E poi non stavo guardando i figli
di Ares» aggiunge, arrossendo leggermente e riprendendo a
martoriare ciò che resta del suo panino e non è
ancora tornato farina sotto le sue dita nervose.
«Giusto,
perché tu guardi solo un figlio di Ares in
particolare»
Shintaro sobbalza,
rovesciandosi addosso il suo thé all'arancia, chiedendosi
cos'ha fatto di male in una vita precedente per meritarsi questo. E'
seriamente peggio di un'eternità a vagare nei Campi della
Pena.
Si riprende velocemente
però, scoccando un'occhiataccia al ragazzo dai capelli
corvini che è spuntato dal
nulla fra lui e quella testa vuota di Ryouta.
Il suddetto gli rivolge
però uno dei suoi sorrisi malandrini, tutto labbra incurvate
e occhi azzurri sfuggenti - lo sguardo di chi una ne pensa e cento ne
fa.
«Quante volte
devo dirti che questo non è il tuo tavolo, Takao?»
Il figlio di Ermes si
produce in una smorfia, dandogli una leggera gomitata al fianco che poi
tanto leggera non è se lo porta a piegarsi in avanti con un
''ouch'' e fargli scivolare gli occhiali sul naso.
«Ryo-chan ha
ragione, sei il solito musone antipatico Shin-chan! Sono solo venuto a
fare una visita ai miei amici» arriccia persino il naso,
mettendo su la peggior espressione innocente del suo repertorio.
Nemmeno quegli addormentati dei figli di Ipno si lascerebbero
abbindolare da lui.
Ryouta annuisce,
però, dandogli man forte nonostante la sua mirabile uscita
l'abbia fatto arrossire talmente tanto da credere che abbia ficcato la
testa in un forno. O qualcosa del genere.
Dopotutto ha appena
quindici anni, si ripete il semidio più grande dall'alto dei
suoi diciassette anni, è normale che i suoi ormoni siano
sballati dall'adolescenza e abbia la sua prima cotta. Il problema
è però chi
è l'oggetto della sua cotta.
Sbuffa, ignorando Takao
che lo paragona ad uno dei tanti mostri che di solito fanno fuori -
quando non sono i suddetti a cercare di far fuori loro -, mentre
incrocia severamente le braccia al petto e rimane a guardare l'alto
ragazzino dalla pelle brunita e gli ardenti occhi blu, in cui sembrano
agitarsi le fiamme della battaglia (a parer suo pura e semplice follia)
del dio della Guerra, che al tavolo di Ares sembra impegnato in uno
scontro particolarmente violento a braccio di ferro con uno dei suoi
fratelli dai capelli rossi e le sopracciglia improponibili - Kagami,
gli pare che si chiami, quei due tendono a finire in infermeria un po'
troppo spesso per i suoi gusti.
Non capisce proprio
cosa il suo stupido fratellino possa trovarci in un tipo come Aomine
Daiki, ma se lo chiedesse ai figli di Afrodite si sentirebbe rispondere
che l'amore è una magia strana. E che prevede il passaggio
di pene dell'Ade, prima.
Si domanda soltanto
perché debba sorbirsele anche lui, le suddette pene, visto e
considerato che non prova alcun interesse verso quel pallone gonfiato
perennemente abbronzato.
Takao Kazunari
è uno dei semidei più fastidiosi dell'intero
Campo. Questo Midorima l'ha capito fin dalla prima volta in cui ha
messo piede nell'Undicesima Casa, dopo non essere stato riconosciuto
durante il falò da nessuna delle divinità
olimpiche. Ricorda l'imbarazzo e la frustrazione provati ed il timore
di dover rimanere un indeterminato
per sempre. Ricorda anche come quel ragazzino smilzo gli sia comparso
davanti dal nulla, facendogli prendere un colpo, tirandogli addosso una
palla a spicchi aranciati con un sorriso furbetto che avrebbe, negli
anni, imparato a conoscere tristemente bene. Era tardi, il coprifuoco
scattato da un pezzo, ma quell'intrigante lo aveva comunque convinto a
seguirlo fino al campo da basket senza voler spiegargli da dove avesse
rubato («Preso in prestito, Shin-chan!») il
pallone. Ovviamente
lo aveva stracciato, era pur sempre un figlio di Apollo anche se il suo
divino paparino si era apparentemente dimenticato di lui, e non avrebbe
mai ammesso come la cosa lo avesse risollevato. Ad ogni modo da quella
fatidica sera, Takao non aveva più mollato il suo fianco.
Vedi
tu che fortuna.
«Appurato che
l'unica cosa che non vada in te è quel poco di materia
grigia che naviga nella tua scatola cranica, mi faresti il piacere di
liberare quel lettino e... chessò... sparire?»
Il figlio di Ermes non
sembra particolarmente colpito dall'insulto, segno che deve esserci
ormai abituato, piuttosto continua a rimanersene seduto su una delle
brande dell'infermiera al momento deserta e rigirarsi interessato una
tavoletta di ambrosia fra le mani.
Shintaro sgrana gli
occhi e, con un movimento fulmineo, gliela strappa via infilandosela in
una delle tasche del camice da medico che indossa; ormai non si chiede
neppure più dove le trovi, certe cose, o come faccia a
recuperarle senza che nessuno se ne accorga. Oltre che fastidioso
è pure pericolosa, quella piattola.
«Smettila di
rubare qui dentro» sbotta, infastidito.
«Io non rubo-»
«''Prendo in
prestito'' sì, sì, lo so. Allora cosa aspetti ad
andartene? Non hai da fare alla rimessa?»
Il ragazzo dai capelli
corvini fa spallucce, guardandosi annoiato i piedi ed iniziando a
dondolarli in maniera alquanto infantile. Forse solo per far saltare
ulteriormente i nervi al figlio di Apollo in piedi davanti a lui con
un'aria così truce da essere un vero spasso.
«Diciamo che
al momento la rimessa non è il primo posto in cui andrei,
ecco» si degna finalmente di rispondere, sollevando
allusivamente un sopracciglio nel guardare il coetaneo.
Tutti sanno che quel
posto è il preferito dalle giovani coppie di semidei per
imboscarsi, quando non è occupato da chi si ci rifugia per
fare una pennichella o scappare a qualche lezione.
Shintaro sospira,
scuotendo il capo.
«Non che
muoia dalla voglia di saperlo, ma chi...?»
Takao sorride,
smagliante, come sempre quando si tratta di pettegolezzi. Certe volte
sembra un figlio di Afrodite «Akashi e Nijimura. Sai credo
che Sei-chan stia molto meglio da quando ha rinunciato a Tetsu-chan e
si è reso conto che Shuuzo muore dietro di lui da una vita,
tipo»
Già,
decisamente quel ragazzo passa troppo tempo vicino alla Decima Casa.
Ma è pur
vero che è strano che un figlio di Nike abbia accettato di
essere battuto, anche se in campo sentimentale, da un figlio di Ares.
Quelle due Case sono in perenne lotta fra di loro e concorrono ad un
buon novanta percento di tutti gli incidenti al Campo - e del suo
lavoro, ovviamente. Ma da quando Seijuro - ucciderebbe sicuramente
quell'idiota se si sentisse chiamare ''Sei-chan'' - ha dato la sua
benedizione a Kagami e al giovane figlio di Ade, gli incidenti sono
notevolmente diminuiti. Probabilmente il Capo della Casa di Atena che
gli è compagno riesce a farlo raggionare nonostante gli
influssi della divina madre. E tutto il Campo sentitamente ringrazia.
«E quindi hai
deciso di venire a disturbarmi? Non potresti andare ad allenarti? La
prossima caccia alla bandiera è fra due settimane»
gli fa notare pazientemente, anche se la sua pazienza è
andata agli Inferi già da un pezzo. Circa da quattro anni e
tre mesi, per la precisione.
Kazunari sorride ancora
e Shintaro pensa che avrebbe dovuto permettergli di fare
indigestione di ambrosia, dopotutto.
«Dovrei
allenarmi con l'arco ma...»
«Ma?»
Il semidio chiude gli
occhi e si lascia cadere sdraiato sulla brandina, le braccia dietro il
capo e l'aria totalmente rilassata.
«Ma la
lezione la tiene un certo biondino di nostra conoscenza. E le mie fonti
dicono che l'unico partecipante di oggi sarà un figlio di
Ares che probabilmente ha crisi di identità con
Nike»
Il figlio di Apollo,
impegnato a sistemare al taschino la penna a scacchi neri e rossi che
è l'oggetto fortunato di questa giornata (sì,
è un figlio del dio della preveggenza che non ha ereditato
un briciolo di quel potere ma è assolutamente devoto a
quell'oroscopo mortale, Oha Asa), solleva di scatto il viso e mastica
un insulto in greco quando il suddetto oggetto gli sfugge di mano e
rotola per terra costringendosi a chinarsi per cercarlo sotto la
brandina dov'è spaparanzato l'altro.
«Quei due non
finiranno bene. Non finiranno bene per niente. Apollo e Ares? Ma quando
mai?»
Takao sorride
dolcemente, aprendo un occhio per seguire i movimenti dell'altro
ragazzo sotto il letto e chiudendolo nel momento in cui lo sente
sbattere la testa e riprendere la sequela di parolacce in greco antico
che sono così tanto poco da Shin-chan da renderlo
decisamente tenero. Perché anche se non lo
ammetterà mai è sinceramente preoccupato per il
suo fratellino e questa è una delle innumerevoli
qualità che l'hanno fatto innamorare di lui.
«Tu sei
intelligente e serioso, non riesci a indovinare neppure i risultati di
una scommessa sulla gara di bighe e, seriamente, dovresti proprio
lasciare perdere le velleità musicali... alcune nereidi mi
hanno detto che hanno scambiato il tuo canto per il verso di dolore di
un lamantino spiaggiato»
Ancora in ginocchio
sotto il lettino, Shintaro arrossisce indignato e imbarazzato fino alla
punta delle orecchie e ringrazia il fatto che la penna sia rotolata
così avanti per avere il tempo di recuperarla e tornare ad
un colorito normale una volta che riemerge, appoggiandosi sul bordo
metallico della struttura e guardando il suo occupante in cagnesco
«E con questo che vorresti insinuare?»
Il figlio di Ermes deve
trattenere una risata, per evitare di dover rimanere su quella branda
da ospite dell'infermeria, ma si sporge comunque per sfiorare le labbra
dell'altro semidio con le proprie incurante del fatto che sia arrossito
di nuovo.
«Semplicemente
che sono contro certi stupidi stereotipi,
Shin-cha... ahio!»
Peccato che il contatto
del suo povero posteriore con il gelido pavimento non glielo possa
risparmiare neppure Zeus in persona.
Chi dice che i figli di
Apollo siano tutti gentili e disponibili, decisamente, non ha mai
conosciuto Shintaro.
ΩΩΩΩΩ
Ryouta non
sarà molto bravo con l'arte della medicina. Ok, non
è affatto bravo con la medicina. Però
è il migliore arciere della Casa di Apollo e questo lo sanno
tutti al Campo.
E' anche piuttosto
bravo con la musica, strimpella niente male con la sua chitarra, e la
sua voce è una delle più apprezzate durante i
canti attorno al falò la sera.
Ma, principalmente,
è uno dei combattenti più capaci della sua
generazione. E questo non è dovuto soltanto alle
capacità ereditate dal padre, ma soprattutto alla sua
determinazione e forza di volontà.
Il suo dono sarebbe
rimasto semplicemente qualcosa di particolare e divertente da vedere,
nulla più che un mero trucchetto di magia, se non si fosse
impegnato seriamente per sfruttarlo al massimo nelle arti della guerra.
Ryouta Kise è in grado di ricopiare alla perfezione tutte le
tecniche dei semidei presenti al Campo dopo averle viste una sola
volta. Questo lo rende uno dei loro assi nella manica,
poiché assolutamente versatile e prezioso per le sorti di
uno scontro. Geniá
to̱n Thav̱máto̱n, Generazione dei Miracoli,
hanno chiamato quel gruppo di semidei con capacità
particolari che erano stati, anni prima, annunciati da una delle
contorte profezie dell'Oracolo della Casa Grande.
Ed il ragazzo che
osserva, intento a sistemarsi gli ultimi pezzi della divisa da arciere,
è uno degli altri Sei della Profezia.
Aomine incarna alla
perfezione l'ideale figlio di Ares: è alto, ben piazzato, ha
un'aria feroce da pantera perennemente a caccia e una bellezza
selvaggia che ti impone di essere ammirata e di provarne timore. Quando
ride con i suoi fratelli si sente per tutto il Campo e lo stesso
è quando è impegnato in uno scontro. Non dice mai
di no ad una sfida e la competività gli scorre nelle vene
come sangue. Ama dare battaglia e ci vuole poco per convincerlo a
mettere mano alle armi - o darsi semplicemente ai pugni. E' uno di
quelli convinti che ''l'unico
a potermi battere sono io'', cosa attualmente vera
poiché nessuno che abbia cercato scontro con Daiki, mostro o
semidio che fosse, ne è uscito vincitore.
Riesce persino a
batterlo a basket e, diamine, quello è uno dei punti di
forza dei figli di Apollo!
«Ti sei per
caso incantato a comporre un altro di quegli osceni haiku?»
si informa, con un grugnito, il semidio di capelli scuri rivolgendogli
un'occhiata di scherno che lo fa riavere dai suoi pensieri e voltare di
scatto il viso per impedirgli di vedere come le sue guance si siano
tinte di rosa.
«Io non
compongo haiku. L'ho fatto solo una volta perché me l'ha
chiesto quella figlia di Ecate...»
«Sì
sì, certo. Adesso iniziamo questa lezione o no? Mi sto
annoiando» lo zittisce Daiki, con uno sbuffo scocciato a
sottolineare le sue parole, mentre si rigira fra le mani l'arco
d'allenamento.
Deve dire che non gli
piace particolarmente quella disciplina, è più
uno da prima linea e scontro diretto. Non ammetterà mai, non
con Ryouta comunque, che semplicemente è infastidito dal
fatto che il figlio di Apollo sia di gran lunga più bravo di
lui. Soltanto in quello, ovviamente.
Ma brucia comunque.
Kise sospira,
rassegnato ai modi bruschi dell'altro ragazzo, facendoglisi vicino e
indicando poi i bersagli davanti a loro con un sorrisetto
«Vediamo quanti ne riesci a prendere questa volta,
Aominecchi»
«Quest'arco
è stato manomesso» mugugna il figlio di Ares dopo
la seconda freccia andata a vuoto.
Otto su dieci non
è affatto un brutto totale per chi non fa l'arciere per
vocazione, ma ovviamente per lui non è abbastanza.
Kise sorride,
rassegnato, passandosi una mano fra i capelli biondi che alla luce del
sole morente sembrano tingersi di sfumature aranciate che li fanno
brillare.
Sembra un gatto pigro
sdraiato a riposare in una giornata estiva e il baluginare che nota
dietro le lunghe ciglia chiare ad ombreggiargli le guance ricorda a
Daiki l'oro imperiale. Ha visto qualcuna di quelle armi durante
l'alleanza con i romani del Campo
Giove e se n'è innamorato.
Questo pensiero lo fa
accigliare e lo induce a distogliere con un brontolio scontento lo
sguardo dal suo incapace
istruttore, tornando a guardare con astio i due bersagli che non
è riuscito a centrare.
«Gli archi
sono stati tutti controllati dai miei fratelli, Aominecchi,
è improbabile che abbiano qualche difetto o che qualcuno si
sia intrufolato nel magazzino per manometterli» spiega,
condiscendente, come se avesse davanti un bambino particolarmente
capriccioso e con difficoltà di comprensione.
Cosa non del tutto
sbagliata. Dopotutto tutti i semidei soffrono di deficit
dell'attenzione dovuto all'iperattività e la dislessia. Quel
semidio in particolare, poi, è anche parecchio infantile
sebbene stia particolarmente attento a non farglielo presente. Ci tiene
alla sua incolumità e Midorimacchi non è proprio
di compagnia quando è impegnato a fare il medico - in
realtà neppure quando non lo è, ma sono dettagli
trascurabili.
«Ti dico che
è stato manomesso, Kise. Mi stai dando del
bugiardo?»
L'aura battagliera che
sprigiona in questo momento il figlio di Ares, visibilmente offeso,
induce il figlio di Apollo a correre ai ripari e alzare le mani al
petto per cercare di rabbonirlo.
«N-no, non
potrei mai! Hai ragione tu, probabilmente sarà stato uno
scherzo di qualcuno delle altre Case»
Daiki annuisce,
soddisfatto da quelle parole, gettando di lato l'arco incriminato
«Probabilmente quegli idioti dei figli di Ermes. O forse i
figli di Nike... ultimamente sono stati troppo tranquilli per i miei
gusti» borbotta, rimuginandoci su seriamente.
Onde evitare che la
pace venga meno al Campo e qualcuno dia la colpa a lui
(perché deve essere sempre sua, tra l'altro?) il semidio
biondo si affretta ad avvicinarsi all'altro ragazzo e porgergli il
proprio arco con un sorriso.
«Prova con il
mio, Aominecchi. Nessuno oltre me lo tocca mai, quindi è
perfetto»
Il figlio di Apollo non
lo sa, non lo sa proprio come sia finito in questa situazione.
Però è piacevole sentire la schiena di Aomine
contro il proprio petto, inspirare l'odore forte di sudore e terra
bruciata che è proprio della pelle dell'altro, mentre
appoggia cautamente le mani su quelle più grandi del bruno
che reggono il suo arco per guidarlo.
Sente il proprio cuore
battere forte ed è certo che lo percepisca anche il figlio
di Ares, vicini come sono. E' grato, in ogni caso, che non glielo
faccia notare e piuttosto sia concentrato sulla lezione.
«Bravo.
Concentrati e visualizza il bersaglio. Non essere frettoloso, tendi
bene la corda e respira lentamente» gli sussurra
all'orecchio, morbidamente, facendo scivolare la mano lungo il braccio
muscoloso che viene portato indietro a tendere la corda reggendo fra le
dita la cocca della freccia.
Daiki rabbrividisce
appena ma è piuttosto bravo a dissimulare e farlo passare
per uno spasmo dovuto allo sforzo. Del resto si allenano da un po' e
lui non è che sia noto per la sua capacità di
concentrazione. Affatto.
Appiattisce le labbra
quando sente il sorriso di Ryouta contro l'orecchio e, distrattamente,
pensa che non gliene frega proprio niente della lezione con l'arco e
che lui preferisce la xiphos
che gli ha regalato suo padre Ares in persona dopo aver portato a
termine la sua prima impresa. Così come preferirebbe buttare
per terra quel biondino da strapazzo e scoprire se anche la sua pelle
sa di sole - se mai il sole possa avere un sapore, anche se
è convinto che debba essere quello delle labbra del figlio
di Apollo. L'ha baciato innumerevoli volte ma non si è mai
stufato dell'aspra dolcezza di quella bocca (quei rompipalle sottuttoio
dei figli di Atena lo definirebbero un ossimoro).
«Adesso»
il mormorio che giunge alle sue orecchie coincide con il fischio della
freccia che parte, fende l'aria, e finalmente colpisce in pieno il suo
obbiettivo.
Daiki inspira ed espira
rumorosamente fra i denti, sorpreso, abbassando lentamente l'arco e
venendo poi letteralmente investito da Kise che, per l'euforia, lo
butta a terra cercando di abbracciarlo.
«Sei stato
bravissimo Aominecchi!»
Il semidio ha bisogno
di qualche secondo per riprendersi dalla botta della sua povera schiena
contro il terreno erboso, è anche abbastanza sicuro che
qualcuno dei pezzi della divisa gli si sia conficcato in posti dove non
dovrebbe stare, ma il sorriso genuino ed accecante che il biondo gli
rivolge sembra avere il potere di curare
qualsiasi dolore. E dire che è il peggior guaritore della
Settima Casa.
«Tsk, lo avevo detto
che era l'arco» ribatte, invece, inarcando un sopracciglio
come a sfidare l'altro a contraddirlo.
Ryouta rimane in
silenzio per qualche secondo poi scoppia a ridere, chinandosi a
baciarlo per zittire qualsiasi rimostranza.
Che importa se sono al
centro del campo di addestramento al tiro con l'arco, dove tutti
possono vederli? Il cielo è ormai tinto del tramonto e tutti
saranno impegnati a raggiungere la mensa per poter accorgersi di loro.
Hanno ancora qualche
minuto prima che quella rottura di Midorima o quell'idiota di Bakagami
decidano di venire a cercarli.
Daiki sorride,
stringendo con sicurezza le mani sui fianchi magri del suo ragazzo.
Quel figlio di Apollo
è mille volte meglio di qualsiasi oca tettona della casa di
Afrodite. Non sa proprio cosa suo padre ci trovi in quella.
Ma, questo, al pari
della sua invidia per la bravura con l'arco, non glielo dirà
mai.
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»Angolino
di Red:
è che ho finalmente letto "Il Sangue dell'Olimpo", capitemi.
L'ispirazione è venuta da sé e l'ho lasciata
entrare ringraziandola per l'onore. Onestamente un AU!Percy Jackson era
l'ultima cosa che avrei mai pensato di scrivere per questo fandom. Ma
mai dire mai. Cosa posso dire di questa OS?
Fino
all'ultimo sono stata indecisa per chi dovesse essere figlio Kise, lo
ammetto. Erano in ballottaggio Apollo e Afrodite, ma sorella poi mi ha fatto
notare la somiglianza del biondino con il divino idiota splendido
splendente e posso dire che è davvero azzeccata.
Il MidoTaka
era d'obbligo, perché sono la mia seconda coppia preferita e
perché sì, e poi fanno da conforto
comico
e ci stanno sempre bene. Ho adorato scrivere di Midorima fratello
maggiore premuroso et rompipalle.
Per gli altri
accennati: Akashi sarebbe figlio di Nike (la Vittoria) mentre Nijimura
di Atena e Kuroko di Ade. Takao non avrebbe che potuto essere figlio di
Ermes.
Ah, e per chi
se lo chiede sì... i figli di Apollo sono davvero bravi nel
basket.
Questo
è tutto. Per qualsiasi domanda, curiosità, lanci
di pomodori (?) sono qui. Insomma, è apprezzato il vostro
pensiero.
Adesso me ne
torno a scribacchiare per la raccolta, giurin giurella.
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