Come sei veramente
Leave out all the rest
When my
time comes
Forget the wrong that I've done
Help me leave behind some
Reasons to be missed
Don't resent me
And when you're feeling empty
Keep me in your memory
Leave out all the rest
Capitolo 1 - The secret marriage
Settembre 1973
La cucina era buia, illuminata solo dalla luce della luna piena che
filtrava dalle tende, la neonata continuava a strillare, paonazza in
viso, agitando braccia e
gambe, e Jack Twist sospirò, sconsolato, tenendola fra le
braccia con lo stomaco contro il proprio petto, la piccola testa contro
la spalla.
Neanche un'ora prima le aveva lavato il
sederino pieno di
cacca gialla, liquida e odorosa di formaggio andato a male, le aveva
messo un pannolino pulito (diamine, com'era complicato mettere i
pannolini), l'aveva
rivestita e infine nutrita, dopo averle preparato un biberon pieno del
latte in polvere più
maledettamente costoso che esistesse sulla faccia della terra -
chissà perché doveva poi somministrarle del latte
in
polvere sciolto in acqua oligominerale, quando le mucche della fattoria
producevano latte fresco e sano in
abbondanza; ma Janice, che aveva tre figli e se ne intendeva,
non
aveva ammesso repliche: niente latte di vacca, almeno per i primi
dodici
mesi. Ovviamente, i produttori di latte in polvere e di acqua in
bottiglia se ne
approfittavano, e praticavano prezzi stratosferici.
Non che Jack avesse problemi di denaro; non più, almeno.
E se anche ne avesse avuti, avrebbe preferito digiunare, piuttosto che
affamare la piccola C.J..
Ma adesso il problema era un altro: dopo il latte e mezz'ora di
sonno, la neonata si era svegliata strillando come se qualcuno la
stesse sgozzando, ed era l'una e mezzo di notte, o di mattina, se si
preferisce. Jack l'aveva presa in
braccio e l'aveva portata al piano di sotto,
cullandola e cantandole una ninnananna sottovoce, controllandole il
pannolino che era più che pulito, ma adesso,
dopo dieci minuti di pianto disperato della piccola, non sapeva
più a che santo votarsi.
Avrebbe potuto chiamare Jan, ma dopo avere considerato la
possibilità, decise che era meglio di no: avrebbe dovuto
abituarsi a situazioni del genere, Jan non avrebbe potuto aiutarlo
ventiquattr'ore su ventiquattro, aveva già i propri
ragazzini a
cui badare.
"Sst... buona, piccolina, buona", sussurrò, continuando a
cullarla, anche se quello che davvero avrebbe voluto fare sarebbe
stato appoggiarla sul divano, sedersi ai suoi piedi, prendersi la
faccia fra
le mani e piangere insieme a lei. "Se continui così, sveglierai
persino i cavalli nelle scuderie."
"Aaaaahh!"
strepitò C.J. in risposta, le manine strette a pugno, le
palpebre serrate, la bocca spalancata con la lingua che vibrava in mezzo alle gengive senza denti. "WAAAAAHH!"
Jack non aveva mai avuto a che fare con
una bambina tanto piccola, ma sentirla piangere a quel modo senza
capire cos'avesse
era qualcosa di straziante. Il pannolino era pulito, non poteva
avere fame... e allora, cosa accidenti c'era che non andava?
Era Ennis che avrebbe tanto desiderato dei figli, che adorava i
bambini, che ci sapeva fare con loro e li capiva come dei libri aperti.
Jack non si era mai posto quel genere di problema: erano due uomini,
volenti o nolenti non
potevano
avere figli, quindi perché crucciarsi? Era inutile desiderare
l'impossibile: tanto meglio pensare a tutti i vantaggi dati dal non
avere bambini, e goderseli. Non era forse Ennis che diceva sempre, Se non ci puoi fare niente, devi accettarla com'è?
Jack
considerò che, forse, aveva imparato a godersi fin
troppo i vantaggi del non avere figli, e ora che finalmente aveva una
neonata di cui occuparsi, non
sapeva più da che parte sbattere la testa. In poche settimane,
l'esistenza tranquilla e tutto sommato ordinaria, che si era costruito
faticosamente e di cui andava fiero e soddisfatto, era andata in pezzi,
crollata come una catapecchia durante una scossa sismica, lasciandolo
smarrito e confuso e frastornato, ed ora avrebbe dovuto trovare la
forza per lavorare sodo e ricostruire tutto quanto - niente sarebbe mai
tornato come prima, ma cos'è che non cambia, a questo mondo? Solo le
cose morte.
E malgrado tutto quello che era successo, Jack si sentiva vivo e vitale.
Maggio 1966
Il giorno successivo al torneo, lunedì, come previsto,
gli
Hamilton tornarono a Casper, mentre Ennis rimase a Childress,
alloggiato al motel, per
aspettare che Jack venisse dimesso dall'ospedale: cosa che avvenne
dieci giorni più tardi. Festeggiarono la riunione cenando in
un ristorante dall'atmosfera calda e intima, niente a che vedere con i
locali per cowboys affollati e rumorosi e pieni di fumo di cui
Childress era piena per via delle gare di rodeo, una volta al motel si
abbandonarono alla passione, e finalmente poterono addormentarsi di
nuovo l'uno fra le braccia dell'altro, Jack fra le braccia calde e
rassicuranti di Ennis, che gli sussurrava che presto sarebbe guarito e
tutto sarebbe tornato come prima.
Il giorno seguente ripartirono per Casper, a casa, e la vita continuò, tranquilla com'era stata
prima dell'aggressione, proprio come Ennis gli aveva bisbigliato quella
notte, più per convincere sé stesso che per rassicurare
Jack.
Ennis non ricominciò con le sue solite paranoie; al
contrario,
sembrava essere diventato ancora più geloso, possessivo
quasi, e Jack si rallegrava di non avergli mai raccontato di come
Lureen Newsome, pluripremiata reginetta dei rodei, lo fosse andato a
trovare in ospedale con un grosso mazzo di fiori, i capelli
castani sciolti sulle spalle,
indossando un
abito di sangallo bianco e costosi stivali di coccodrillo
anziché la solita tenuta da gara, provando sfacciatamente
di baciarlo dopo
nemmeno dieci minuti di conversazione - Ennis si era assentato per
andare a comprare un pò di biancheria per quella settimana
di
imprevista lontananza da casa.
Jack l'aveva respinta,
scostandosi, confuso e imbarazzato: "N-no, io... davvero, non posso..."
Come se nulla fosse successo, Lureen aveva ripreso il suo posto sulla
poltrona di fianco al letto: "Non preoccuparti. Sono io che corro
sempre troppo."
"Sei carina, Lureen... ma io..."
"Hai qualcun altro nella testa", aveva terminato lei.
"Bé, sì", aveva risposto Jack, e Lureen aveva
ribattuto, inaspettatamente:
"Quant'è che è morta la tua ragazza?"
Chissà come
l'è venuto a sapere,
si era chiesto lui. Non ricordava di avere mai parlato a Lureen Newsome
di quella storia, ma lei poteva averlo sentito dire: nell'ambiente dei
rodei, ogni tanto, Jack si era trovato a tirarla fuori, anche se non
spesso quanto a casa.
E, onestamente, non ne poteva più. Non ne poteva
più di fingere, di nascondere la verità. Ma dopo
quello
che era successo il sabato precedente, non se l'era sentita di
raccontare a Lureen, che conosceva solo perché
spesso si era trovato sul podio con lei (e
perché una volta, prima ancora di conoscere Ennis, avevano
ballato un lento insieme in un locale di Denver, dopo una gara, ma
lei era scappata via subito dopo, con la scusa che suo
padre l'attendeva in albergo, probabilmente incazzato nero
perché aveva già sforato il coprifuoco di più di
un'ora), che
non c'era una fidanzata
deceduta, non c'era mai stata, e che la persona che aveva in testa, e
nel cuore, era Ennis del Mar. Così aveva replicato,
prendendo
come riferimento il periodo in cui aveva conosciuto il suo compagno:
"Quasi tre anni."
"E' tanto."
"Già."
"Non hai più avuto un'altra, da allora?"
"No."
"Non ti piace parlarne, vedo."
"No. Per niente."
Non è che non
mi piaccia,
Lureen: lo detesto proprio. Perché vorrei tanto poter
smettere
con questa farsa del cavolo, e dire a tutti la verità. E
invece
eccomi qui a mentire, e a cos'è servito, poi? Solo a farmi
schiantare un braccio e sfregiare il viso. Chi vuole capire cosa
c'è davvero fra Ennis e me, lo capisce senza bisogno che
glielo
dica io.
"Senti", lei esitava. "Devi stare attento. Già da un pò,
Hackman va in giro a dire che tu e tuo cugino siete... ehm..."
Grazie dell'avvertimento, mia cara, ma arrivi tardi. "Amanti?" l'aiutò.
"Sì", confermò lei. "Te ne sei accorto, eh? Per
dirla tutta, io quel tipo non lo reggo... secondo me la sua è
tutta invidia."
"Invidia?" fece Jack, sinceramente stupito che un riccone come David
Hackman potesse trovare qualcosa da invidiare a uno come lui. "E
di che?"
"Tu sei", Lureen era imbarazzata, in contrasto con la sfacciataggine di poco prima. "Bè, molto più carino."
"A essere più carino di quello", ribatté lui, "Ci vuole davvero poco."
Lei ridacchiò. "In effetti... Però non mi dire che non te ne rendi conto."
"Di cosa?"
"Del mucchio di ragazze che ti sbavano dietro."
"Ma no, io..."
"Dai, non fare il modesto", insisté lei. "Lo sai benissimo che potresti avere tutte le ragazze che vuoi."
"E se fossi davvero un finocchio?" domandò Jack. Che sarebbe
successo se per una volta avesse detto la verità? Probabilmente nulla
di troppo grave.
Lureen restò raggelata, immobile, per un secondo. Poi scoppiò a ridere: "Ma dai!"
"No, davvero", insisté lui. "Se io fossi veramente il ragazzo di Ennis?"
"Su... non prendermi in giro", fece lei, ancora ridendo. "Tu non puoi essere un finocchio... e tuo cugino, men che meno."
"E perché no?"
"Perché no. Non siete omosessuali, quanto io non sono lesbica." lo guardò,
stringendosi nelle spalle. "Jason Corrs, lui sì che lo
è. Mike Perez anche. E pure Archie Wells."
"E tu come lo sai, scusa?"
"Lo vedo", disse lei, come se si trattasse di un'ovvietà. "E ce
ne sono altri, nell'ambiente dei rodei. Si riconoscono lontano dieci
miglia."
Jack avrebbe voluto domandarle da cosa li si potesse riconoscere con
tanta sicurezza, ma si morse la lingua: meglio chiudere una
conversazione che avrebbe potuto diventare troppo
pericolosa. Avevano parlato d'altro, e neanche un quarto d'ora
dopo che Lureen se
n'era andata, era arrivato Ennis, che gli aveva domandato se
la Lureen Newsome che gli
aveva regalato quel mazzo di margherite fosse
proprio quella Lureen Newsome. Jack gli aveva detto la
verità: non c'era niente di male nell'avere ricevuto la
visita
di Lureen, che tra l'altro abitava a Childress nella principesca villa dei
suoi ricchissimi genitori, a dieci minuti di automobile dall'ospedale.
Ma aveva taciuto la storia del bacio: anche se Jack l'aveva respinta,
ad Ennis non avrebbe fatto piacere saperlo.
Tanto, ormai sono
diventato esperto in bugie.
Ma la gelosia di Ennis li fece discutere spesso, e una volta, due
settimane dopo il ritorno a Casper, litigarono di brutto: la
litigata più assurda che Jack potesse ricordare fra di loro.
In sostituzione di Jack, che a causa del braccio rotto impiegava il
proprio tempo per lo più insieme a Janice, imparando a
tenere la contabilità - cosa che comunque gli sarebbe
servita,
non appena la nuova fattoria fosse stata pronta - Matt aveva assunto un
nuovo operaio, tale Jimmy Maddocks: un diciottenne di Edgerton dai
capelli rossi e la faccia piena di lentiggini, magro come un chiodo, con madre malata a carico, il cui
atteggiamento schivo e riservato ricordava vagamente a Jack
quello
di Ennis quando l'aveva conosciuto.
"Quello non mi somiglia affatto",
grugnì Ennis in risposta, una volta che Jack gli fece notare
la
somiglianza. Erano seduti all'ombra del portico, a fumare una sigaretta
dopo pranzo, prima di tornare al lavoro, Ennis alle scuderie con Matt e
Jack in ufficio con Janice. "Anzi, secondo me è un
pò frocio."
"Ennis!" quando Ennis se ne usciva con battute del genere, Jack non
riusciva a trattenere una risata.
Inizialmente, aveva provato risentimento e delusione: sentire Ennis
negare le proprie inclinazioni sessuali, era un pò come sentirlo
negare il proprio amore, nonché la propria attrazione
fisica, verso di lui. Poi si era
reso conto che Ennis
era davvero
convinto di non essere un finocchio, niente avrebbe potuto
fargli
ammettere il contrario, tantomeno fargli cambiare idea: per Ennis,
essere omosessuale equivaleva ad essere un travestito, un transessuale,
effemminato e avvezzo ai rapporti promiscui - facile che Lureen Newsome la pensasse allo stesso modo.
E invece, io credo che
ci siano molti omosessuali
come noi. Uomini perfettamente normali, innamorati l'uno dell'altro,
che fanno coppia fissa e non vanno in giro sculettando dentro pantaloni
di pelle aderenti. E, fra parentesi, che evitano come la peste anche
solo di sfiorarsi una mano in pubblico, per paura che qualcuno possa
pensare male, guardarli peggio... o tendere loro un agguato armati di
cacciacopertoni e
fracassarli di botte.
"No, davvero", ribadì Ennis. "Quello ti guarda in modo
strano. Non te ne sei accorto?"
"Forse è invidioso di quanto sono bello."
Ennis sorrise e lo guardò con insolita tenerezza, invece di
dargli del vanesio o del pavone, come faceva di solito quando Jack si
vantava del proprio aspetto fisico. "Attento,
Twist, che chi si loda s'imbroda", era uno dei suoi ammonimenti
preferiti.
Jack ricambiò con uno sguardo interrogativo:
"Bé...?"
"E' dal giorno dell'incidente che non ti sentivo fare il pavone. Vuol
dire che va meglio."
Jack annuì, sorridendo: sì, andava meglio, e vedere la cicatrice sul viso non gli bruciava
più come all'inizio. "Mi hai detto talmente tante volte che
sono
comunque
il cowboy più attraente di tutto il paese, che si vede che
sto
iniziando a crederti", sussurrò. "Non è da te
sprecare
complimenti."
Ennis gli passò un braccio
intorno alle spalle e lo scrollò, per poi rimettere a posto
la
mano: "Di solito non lo faccio. Ma quella cicatrice ti dà
un'irresistibile aria da canaglia."
"Forse è di quella
che è invidioso Jimmy. Le ragazze ne vanno matte."
"Forse."
Poi, sul finire di maggio, Jack si trovò da solo con Jimmy,
a
raccogliere in un grosso sacco verde i rami di gelsomino che il ragazzo
stava
potando dalla siepe che divideva il cortile della casa degli
Hamilton dal recinto per i cavalli, inondando l'aria con il profumo dei
suoi fiori bianchi. Erano ormai due settimane che non
faceva altro che stare chiuso in ufficio, e Jack non ne poteva
più di tutta quell'inattività: imparare a tenere
i conti
della fattoria gli sarebbe tornato molto utile, e gli piaceva, ma gli
piaceva altrettanto lavorare sul
campo, insieme agli altri, con il sole e la leggera brezza di inizio
estate sulla pelle, oppure nelle scuderie a
prendersi cura dei cavalli, e ritrovarsi alla sera
con il corpo stanco e la testa leggera, invece del contrario.
Quel giorno però non c'era brezza, l'aria era torrida e
afosa, il
sole delle tre del pomeriggio bruciava come se fosse stato luglio,
estate inoltrata anziché primavera, e Jack si era trovato
più volte a maledire la propria insana idea, rimpiangendo di
non essere in ufficio con Janice, al fresco del ventilatore. Di solito amava il caldo, ma il
pesante gesso gli stava facendo vedere i
sorci verdi, pizzicandogli la pelle, e il
tutore di gomma blu che gli teneva il braccio ripiegato fermo contro le
costole e lo stomaco non faceva altro che aumentare la sua
insofferenza. Così, aveva domandato a
Jimmy di aiutarlo a
togliersi la t-shirt sudata, rimanendo a torso nudo, con indosso
solo il cappello, i vecchi jeans sdruciti che gli stavano troppo larghi
e gli scendevano sui fianchi, che usava per fare quelli che
definiva i lavori
sporchi,
e gli stivali.
Non aveva pensato alla conversazione avuta con Ennis qualche giorno
prima a proposito di Jimmy.
O meglio, ci aveva pensato, ma il pensiero non era nemmeno riuscito a
sfiorargli l'anticamera del cervello. Jack era convinto che quella di
Ennis
fosse una delle sue solite fisse da amante geloso, e in ogni caso, i gusti
sessuali di Jimmy Maddocks non
erano affar suo. Sapeva fin troppo bene come ci si sentisse a scoprire
che le proprie inclinazioni non erano quelle che avevi sempre
creduto,
quelle che appartenevano alla maggior parte della gente.
Jimmy lo aiutò a
liberarsi della maglietta senza battere ciglio, senza guardarlo in
alcun modo strano, come l'aveva definito Ennis. Se anche era
omosessuale, Jack non sembrava rientrare nei suoi gusti.
Continuarono il lavoro per un altro quarto d'ora, e Jack era chino sui
suoi ramoscelli, fischiettando fra sé una canzone di Roger Miller, che
proprio quella mattina aveva sentito alla radio e ancora non era
riuscito a togliersi dalla testa, sentendosi meno accaldato malgrado il
sole che gli batteva sulla schiena e apprezzando
il piacere che di solito provava nel faticare fisicamente, quando
improvvisamente udì Ennis gridare: "Che cazzo stai facendo,
razza di bastardo pervertito?"
Jack si rialzò, giusto in tempo per vedere Ennis che saltava
addosso a Jimmy, rotolando con lui sull'erba e prendendolo a pugni.
"Ennis, che cavolo..." fece Jack.
"Ehi, amico..." gemette Jimmy, cercando di ripararsi la faccia con le
braccia ripiegate.
"Amico un accidente, cazzo!" gridò Ennis.
"Ennis!" Jack si precipitò dai due uomini e, con il braccio
sano, prese Ennis per il polso destro, impedendogli
di tirare l'ennesimo pugno a Jimmy, che sotto di lui stava cercando
difendersi come poteva. "Ennis, smettila, Cristo santo... che cavolo
stai facendo?"
"Io, proprio niente!" Ennis alzò la testa e lo
guardò, la faccia paonazza, gli occhi inferociti.
Era a cavalcioni del torace di Jimmy, tenendogli il collo della
maglietta con la mano sinistra, pronto a mollargli un altro diretto. Il
naso del ragazzo stava sanguinando. "Era questo qui che ti
stava guardando il culo!"
"Che cosa?"
Jack non riusciva a credere alle proprie orecchie. "Ennis, è
solo una tua..."
"Avevo ragione, è un maledetto frocio. Ti stava guardando il
culo, e aveva un bozzo grosso così sul davanti."
Jack avvampò. Non era abituato a fare colpo sugli uomini, la
cosa non lo interessava. Anzi, a ben pensarci, lo disgustava: lo
disgustava essere guardato in quel modo da qualsiasi altro uomo che
non fosse il suo compagno, mentre ricevere apprezzamenti da parte del genere
femminile lo compiaceva e lo divertiva, forse perché sapeva che
mai più sarebbe riuscito ad andare con una donna, dopo avere
convissuto per tre anni con Ennis. Rimase
un secondo senza parole, poi tirò Ennis per il polso,
cercando
di alzarlo in piedi con sé. "Dai, lascia perdere. Lascialo
stare, non ha mica..."
Ennis si lasciò tirare in piedi, ma poi fulminò
Jimmy con
un'occhiata, puntandogli il dito contro: "Tu, vattene. Fila via da qui,
e se ti becco un'altra volta a fare quello che stavi facendo, giuro su
Dio che ti faccio il culo con quelle cazzo di cesoie."
"S-sì... sissignore", balbettò Jimmy, sconvolto, tirandosi
in piedi, e filando
di corsa verso le scuderie con la mano sul naso.
"Porca puttana, vengo a portarvi due birre ghiacciate, e guarda cosa mi
tocca vedere", sbottò Ennis, indicando la sporta di
cellophan
che aveva lasciato sull'erba poco distante. "Quello lo faccio
licenziare in tronco, madre malata o no. Che vada a farsi drizzare il
suo fottuto uccello da qualche altra parte."
"Così sei ingiusto", tentò Jack. "Ammesso e non
concesso
che mi stesse guardando, non stava facendo niente di male."
"Tu stai zitto!"
la collera
era tornata negli occhi di Ennis, ancora più incendiaria di
prima: non più diretta verso Jimmy, bensì verso
Jack.
"Che cosa diavolo ti è saltato in mente di conciarti in questo modo?"
Jack iniziò a vederci rosso: "Non provare mai più a
dirmi di stare zitto, del Mar, altrimenti..."
"Altrimenti, cosa?
Sembra
che tu lo faccia apposta, maledizione!"
"Apposta a fare cosa?"
"Anche quella sera, su alla Brokeback... non dirmi che non ti sei
cavato apposta
la camicia!"
"Ma di cosa stai..."
"Tu sei andato nella tenda e ti sei tolto la camicia, cazzo, e l'hai
fatto appositamente per sedurmi.
Non dirmi che non è vero."
Jack
avvertì un misto di
rabbia e imbarazzo salirgli alla testa. Ricordava di essersi rifugiato
nella tenda, la sera dopo la loro prima volta, e di essersi sfilato la
camicia e la canottiera. Ricordava il proprio disagio di fronte alla
fuga e al silenzio di Ennis, ricordava come
si fosse sentito una verginella sedotta e abbandonata, ricordava il
senso di colpa per avere preso la mano di Ennis, la notte precedente,
ed essersela portata sulla patta dei jeans.
Ma era stato Ennis che l'aveva preso, poi.
Aveva tentato di sedurlo, la sera successiva? Sì, era
così, era la pura e semplice verità - altrimenti,
con
quel freddo, col cavolo che si sarebbe spogliato. Ma era altrettanto
vero che Ennis si era lasciato sedurre fin
troppo facilmente, e l'aveva raggiunto nella tenda, e quella, in fondo,
era stata la loro prima volta: la prima volta che si erano baciati, che
si erano coccolati, che avevano fatto l'amore lucidamente, con
trasporto, non una scopata in preda ai fumi dell'alcol, al gelo della
notte e a un desiderio tanto bruciante quanto inesprimibile. "Io volevo la stessa cosa che volevi
tu", ribatté. "Solo che tu eri troppo codardo per
ammetterlo."
"Chissà perché, sei sempre tu quello che
prende l'iniziativa."
"Cosa vorresti insinuare, adesso? Che ci ho provato con Jimmy Maddocks?"
"No. Ma che bisogno avevi di svestirti, quando ti ho già
detto che ti aveva messo gli occhi addosso?"
"Avevo caldo, santa pazienza",
replicò Jack. "E non avrei pensato neanche lontanamente
che..."
tacque un attimo, poi sospirò, sbottando: "Ma che razza di
conversazione assurda è questa?"
"Non lo so", ammise Ennis. "So solo che quello che è
successo prima non mi è piaciuto."
"Questo l'avevo capito."
"Non mi piace che ti mettano gli occhi addosso. Né altri
uomini, né delle donne."
"Avevo capito anche questo."
"Scusami", Ennis abbassò gli occhi. "Scusami per averti detto che volevi sedurmi."
"Accidenti, che onore. Ennis del Mar che mi pone le sue scuse."
"Te le devo, questa volta. Tu forse volevi sedurmi, ma io non aspettavo
altro che essere sedotto."
"Tu non avresti mai preso l'iniziativa, vero?" domandò Jack,
malgrado sapesse fin troppo bene quale sarebbe stata la risposta di
Ennis.
Ennis esitò. "No. Mai, credo", ammise, guardandolo con il
mento
appoggiato al collo. "E alla fine, sarei tornato a Sage, da solo, se tu
non fossi tornato indietro a riprendermi. Ancora non capisco come sei
riuscito a convincermi a salire con te. Forse anche quella volta io non
aspettavo altro che fossi tu a chiedermelo."
Lo sapevi,
rifletté Jack. E
allora, perché ti senti così deluso? Sei
tu che hai voluto sentirglielo dire.
Ennis dovette notare la sua delusione, perché gli
batté
una spalla: "Io sono un maledetto codardo, lo sai. Ringrazio ogni
giorno il tuo fottutissimo coraggio."
Jack sorrise. Lo strappo rimaneva, ma almeno, Ennis era riuscito a
cucirvi sopra una pezza. "Non lo farai licenziare, vero?"
"Chi, Jimmy?"
"Sua madre è vecchia e malata di cuore. Hanno a malapena di
che vivere, e se perde questo lavoro..."
"Hai a cuore la loro sorte, o sbaglio?" Ennis sembrava pronto a
scaldarsi di nuovo.
"Sì. Ma non per il motivo che pensi tu. Perché
non capisci che non hai motivo di essere geloso?"
Ennis abbassò di nuovo lo sguardo, esaminandosi gli stivali, che
avevano bisogno di una lucidata. "Forse perché ho paura di
perderti", disse, infine,
sollevando gli occhi. "Ormai mi hai sconvolto la vita, e senza di te mi ritroverei perduto anch'io."
Jack lo tirò a sé, passandogli il braccio buono
intorno al collo. "Sei un maledetto codardo, del Mar."
Ottobre 1966
Janice adorava i film di Hitchcock, e quel sabato sera Jack ed Ennis si
erano offerti di fare da baby sitter ai tre ragazzini, per permetterle
di andare con Matthew a vedere Il
sipario strappato,
in prima visione al multisala di Casper, e magari fermarsi in un pub
a bere qualcosa con il marito, cosa che non faceva dall'era mesozoica.
Era ormai mezzanotte, Hope, Ken e Pete erano a letto già da
un'ora (quando restavano a casa con loro, Jack ed
Ennis si lasciavano immancabilmente convincere a lasciarli andare a dormire
con almeno un'ora di ritardo rispetto all'orario previsto dai
genitori), e Jack stava guardando svogliatamente La parola ai giurati,
ritrasmesso per l'ennesima volta in seconda serata, cambiando canale
per un breve zapping ogniqualvolta si accorgeva di ricordare i
dialoghi della scena a cui stava assistendo.
Ennis, seduto sul divano accanto a lui, era crollato dal sonno non
appena aveva appoggiato il sedere sul cuscino, reclinando la testa
sulla spalla destra di Jack: si
era impuntato che la nuova fattoria dovesse essere pronta entro Natale,
e nelle ultime settimane aveva lavorato come un pazzo per terminarne
l'approntamento, oltre al solito lavoro nelle stalle e nelle scuderie
degli Hamilton. Jack l'aveva aiutato, ma doveva ammettere che, se lui
era più portato per il lato umano della faccenda, come
tenere i
contatti con gli operai e i muratori, nonché con i fornitori
di
materiali edili e sanitari e rubinetterie e piastrelle e mobili e Dio solo sapeva
cos'altro (com'era complicato tirare su una casa nuova dal nulla), sollecitarli e rabbonirli e
irruffianarseli e talvolta arrabbiarsi blandamente quando qualcosa non andava per
il verso
giusto, Ennis era molto più portato per il lato materiale:
mostrare
agli operai come eseguire le cose a regola d'arte, ovvero
com'era lui a volerle eseguite, e nel
contempo aiutarli e sorvegliarli.
D'istinto, Jack gli aveva passato il braccio intorno alle
spalle, stringendolo a sé - era stata dura, ma ormai aveva
ripreso la piena funzionalità dell'arto. Quando
gli avevano tolto il gesso, era rimasto sconvolto nello
scoprire
il proprio braccio bianco, flaccido e ossuto e talmente debole da non
riuscire quasi a sollevare la mano, e aveva giurato di darci dentro con
con la riabilitazione, nonostante la propria innata pigrizia verso qualsiasi forma di ginnastica ripetitiva, per
recuperare il tono muscolare
perso durante i due lunghi mesi di ingessatura.
Erano rimasti così, Ennis a dormire, russando appena, e Jack
a
tenerlo stretto, sostenendolo, entrambi in pigiama, sotto al grande plaid di lana, fino a
quando la testa del compagno aveva iniziato a pesargli troppo:
allora, l'aveva fatta scivolare pian piano nel proprio grembo, e gli
aveva tenuto una mano sulla spalla, e l'altra fra i capelli.
Fra poco, potremo stare
così
tutte le sere. Non avremo bisogno di aspettare che Jan e Matt escano, e
i ragazzini siano a letto.
Proprio come una coppia
normale.
Non ne avevano mai parlato con Janice e Matthew, ma era chiaro che
questi disapprovassero qualsiasi gesto d'intimità fra di
loro:
del resto, in pubblico quei due si scambiavano a fatica una carezza, benché fossero donna e uomo, e regolarmente
sposati.
Jack chiuse gli occhi, e provò a immaginare come sarebbe
stata
la loro vita di lì a poco, da soli nella stessa abitazione.
Di
certo, inizialmente avrebbero fatto un mucchio di sesso, cosa
impossibile in casa altrui. E di certo,
anche i battibecchi sarebbero raddoppiati: lui ed Ennis erano
diametralmente opposti, impossibile non litigare quando ti trovi a
dividere l'abitazione, i problemi, le gioie, i dolori, gli affari, e
anche le cose più terra terra come le faccende di casa e il
conto in banca, tutta l'esistenza insomma, ventiquattr'ore su
ventiquattro, trecentosessantacinque giorni all'anno, con una persona
che è il contrario di te e testarda quanto te, senza nessuno a
fare da mediatore, come ora accadeva con gli Hamilton sotto lo
stesso tetto: se da un lato impedivano loro di abbandonarsi
troppo spesso alle effusioni, allo stesso tempo impedivano loro di lasciarsi
andare ad alterchi epocali.
Anche alla Brokeback era stato così. Si erano
trovati
soli, e fra loro era scoppiata la passione, ma
accidenti, quanto avevano litigato...
Jack era convinto che, se e quando avessero smesso di litigare, avrebbe
significato che non avevano più voglia di perdere tempo a
discutere: la fine del loro rapporto.
A poco a poco, anche lui si abbandonò al sonno, scivolando
addosso ad Ennis, la testa sul suo fianco. Si ridestò
all'improvviso, al rumore della porta del salotto che si apriva.
"Jack?" la voce di Janice.
Jack tirò su la testa, intontito, strofinandosi gli occhi. Jan e
Matt erano tornati. Quanto tempo era passato? Doveva essersi
addormentato senza accorgersene, non aveva udito né la Mercedes
che tornava, né Buck abbaiare, né la porta dell'entrata
che si apriva. Alla televisione, La parola ai giurati era terminato, sostituito dalle news della notte.
Janice era rimasta sulla soglia del salotto, con
indosso ancora il cappotto e la sciarpa, la bocca incurvata in un mezzo
sorriso: "Buonanotte."
"Ciao, Jan", Jack si raddrizzò, imbarazzato. Lui
ed Ennis erano... bè, in una posizione che
né Jan
né Matt avrebbero approvato. Non che stessero facendo qualcosa
di
male, ma non era neanche quello che gli Hamilton avrebbero voluto
vedere, rientrando: Ennis con la testa e le mani nel grembo di Jack,
Jack con la testa sul sedere di Ennis e un braccio intorno alla sua pancia. "Ennis
è
crollato, e anche a me devono essere scappati gli occhi... come...
com'è stato il film?"
"Bello. Dovreste andare a vederlo anche voi, prima che lo tolgano. Le
tre pesti?"
"Sono a letto già da un pezzo", disse Jack, come se quello
giustificasse la sua condotta. Quello che aveva sempre temuto era
infine successo, dunque: Jan li aveva beccati in un atteggiamento
potenzialmente sconveniente. "Senti, Jan", tentò. "Eravamo
stanchi... e i ragazzini sono su... e voi eravate fuori... e..."
"Lascia perdere", fece lei, sciogliendosi il nodo della lunga sciarpa
di lana viola.
Lui la guardò.
"Eravate stanchi, i ragazzini sono su, e noi eravamo fuori", ripeté lei. Poi aggiunse: "E non
stavate facendo niente di osceno, mi sembra."
"Sì... ma..."
"E in ogni caso, tu ed Ennis state insieme da più di tre
anni."
Jack la osservò togliersi il cappotto, non riuscendo a
capire dove Jan volesse andare a parare.
"All'inizio ero prevenuta", ammise lei, ripiegandosi il cappotto
sull'avambraccio. "Parecchio. Quando Ennis mi ha detto che tu eri il
suo ragazzo, per poco non mi è venuto un colpo, e sono stata
lì lì per cacciarvi via tutti e due. E anche Matt...
inizialmente, non è che fosse proprio felicissimo di avervi in
casa, lo sai. Se vi abbiamo tenuto, è solo perché
avevamo bisogno. Eravamo in una brutta situazione e non era il momento
di fare gli schizzinosi, e se vi foste
comportati male, saremmo stati sempre in tempo a mettervi fuori." Poi, quasi scusandosi: "So che suona cinico, ma..."
"Noi avevamo bisogno più di voi", l'interruppe Jack.
"Chi mai avrebbe dato lavoro, vitto e alloggio a una coppia di
finocchi?"
"Sarete pure finocchi", ribatté lei. "Ma io
trovo che voi due siate una coppia migliore di tante altre cosiddette
normali, e Matt la pensa come me."
Jack tacque, sbalordito.
"Chiudi quella bocca, che entrano le mosche. Non ho detto che condivido
la vostra scelta, né tantomeno che potete saltarvi addosso
come
se niente fosse. Quella volta che vi ho beccati nel fienile, che vi
stavate baciando..."
Jack arrossì violentemente: "Quando? Siamo
sempre stati attenti a..."
Lei ridacchiò: "Sciocco, non vi ho mai beccati, almeno non a
baciarvi.
E spero che non succeda mai, perché non so cosa potrei fare.
Però posso dirti per certo che Matt vi caccerebbe di qui a pedate."
Jack abbassò lo sguardo, sentendosi in colpa. Quando si
trovavano soli, ed erano pressoché certi che nessuno fosse
nei
paraggi, lui ed Ennis talvolta si lasciavano andare. Niente di
esagerato, raramente qualcosa di più che un bacio, una carezza o una strusciata, ma...
Lei si avvicinò e gli scompigliò i capelli: "Sono contenta che Ennis ti
abbia
incontrato, Jack. Malgrado tutto quello che comporta."
Febbraio 1967
Alla fine, la nuova fattoria riuscì ad essere pronta per la
fine
di gennaio dell'anno successivo, un fabbricato di pietra grezza con le
strutture di legno, con un portico davanti e uno più grande
dietro, vicino al
quale troneggiava un grande pozzo. All'interno, una grande cucina in muratura
completa di caminetto, salotto e bagno di servizio, lavanderia e
sgombraroba al piano terra, tre camere da letto e due bagni al piano
superiore. In più, un'autorimessa sufficiente per
due furgoni, una stalla con venti posti, in cui sistemarono le
dieci vacche che Jack aveva ereditato dai genitori, e una piccola
scuderia completa di recinto per i loro due cavalli, Fiona e Ranger. Il
tutto, su un appezzamento di terreno di quasi tre ettari, circondato da
una siepe di bosso che lo divideva dalla strada, e dalla
proprietà confinante degli Hamilton.
Il primo sabato di febbraio, Jack ed Ennis ne presero pieno
possesso, iniziando a viverci: nei tre giorni precedenti vi avevano
traslocato tutti i propri averi, pulito e riordinato, e quel
pomeriggio avevano fatto la spesa al nuovo
supermercato di Casper. Non tutto era sistemato alla perfezione,
mancava
ancora una parte dell'arredamento, due delle camere da letto erano
completamente vuote, senza lampadario, senza considerare che, nel mettere a posto
i loro acquisti di quel pomeriggio, si accorsero di avere dimenticato
parecchia roba.
"Accidenti, avremmo dovuto fare una lista", esclamò infine
Jack, quando si rese conto di avere scordato persino il
detersivo per i
piatti.
"Man mano che ci accorgiamo di quello che ci manca, bisogna che ce lo
scriviamo", suggerì Ennis, riponendo in dispensa la senape e il tabasco. "E lunedì andremo
di
nuovo a fare la spesa. Intanto... che ne dici se stasera, dopo cena, ce
ne andiamo a festeggiare al Wolf's Ear? Mi pare che abbiamo dimenticato
anche il whisky."
"Ma cos'abbiamo comprato, allora?" sbottò Jack, iniziando a
sistemare le posate nel primo cassetto sotto l'acquaio della cucina. "A
me
sembrava di avere speso un capitale."
E l'avevano speso: fra le provviste, i detergenti e gli attrezzi per la
pulizia della casa, nonché un servizio di piatti, uno di
posate
e uno di bicchieri, una piccola batteria di pentole e un pò
di
biancheria per la tavola, per il letto e per il bagno, erano loro
usciti più di duemila dollari.
Ma in fondo, la cosa più importante era riposta dentro
all'ultimo
cassetto del comò della camera da letto. L'atto di proprietà, firmato da
entrambi alla
presenza di un notaio di Casper e redatto il mese precedente, in
cui si dichiarava che John Charles
Twist Jr., ed Ennis Diego del Mar, erano conproprietari, ognuno al cinquanta
per
cento, di quel terreno e di tutti i fabbricati costruiti sopra di esso.
Jack amava considerarlo alla stregua di un atto di matrimonio: era
quanto di più simile potessero permettersi di firmare. Ma
guai a
dirlo ad Ennis... e guai a proporgli di indossare due anelli identici,
come Jack avrebbe tanto desiderato. La settimana prima della firma
aveva tentato di parlargliene, ma Ennis aveva ribattuto con un
grugnito: "La tua fantasia
corre troppo, Twist, e prima o poi ti metterà nei guai. Non
possiamo sposarci, no? E non potremo mai farlo. E allora, tanto vale
non desiderarlo nemmeno."
Forse Ennis aveva ragione. Ma a Jack piaceva considerarsi suo marito. Che male c'era?
Quella notte, dopo essere
tornati dal Wolf's Ear alle due, entrambi un pò brilli, si
lavarono i denti, e poi via, a letto, sotto la grossa e calda trapunta
che Janice aveva loro cucito, come dono per la nuova casa. Jack si
accorse di non essere solo brillo: era proprio ubriaco, come non gli
capitava
da parecchio. Avrebbe voluto inaugurare la nuova casa e il nuovo letto,
saltare addosso ad Ennis e succedesse quello che doveva succedere, ma
il corpo sembrava non rispondergli, disconnesso dal cervello, e la
testa gli girava peggio che in
giostra. Non era nemmeno sicuro di essere coricato su di un fianco, o a
pancia in su oppure in giù. Come aveva fatto a bere così tanto senza
accorgersene?
Doveva essere sdraiato sul fianco sinistro, perché Ennis
l'abbracciò da dietro, passandogli un braccio intorno
alla vita, infilando la mano nel pigiama, negli slip. "Ehi, piccolo."
"Ciao", fece Jack. Sentiva la propria voce provenire da lontano, come fuori da sé stesso.
"Ti senti bene?"
"Mi gira la testa. Credo di essermi beccato l'influenza..."
"Influenza da whisky", disse Ennis, il tono condito da un sorriso.
"Nooo... influenza davvero. Non hai sentito il telegiornale? L'australiana, quest'anno, sta contagiando migliaia di persone. Porta giramenti di testa, intontimento, nausea, debolezza..."
"Proprio come un'ubriacatura."
"Certamente."
"Quindi, se ti dico qualcosa, domani te ne sarai dimenticato, proprio come se questa notte tu fossi stato ubriaco fradicio."
"E' possibile."
Jack avvertì Ennis stringerlo ancora di più a sé,
bisbigliando al suo orecchio: "Se solo il mondo fosse diverso, se
potessi
avere la possibilità di sposarti, Dio solo sa che l'avrei fatto
dopo una settimana che ci conoscevamo."
Jack provò un tuffo al cuore, ubriaco o meno. "Tu credi che io possa dimenticare quello che mi stai dicendo?"
"Lo dimenticherai, e lo dimenticherò anch'io. Perché sono solo le farneticazioni di due ubriachi."
"Lo dimenticherò. Va bene."
Ci fu un attimo di silenzio. Poi Ennis gli prese una mano, intrecciando le dita con le sue, e dichiarò, con la voce
ormai ridotta a un sussurro roco: "Io, Ennis Diego del Mar, prendo te,
John Charles Twist Jr...."
"Jack", lo corresse Jack. Quello che stava dicendo Ennis gli sembrava
assolutamente surreale. "Solo Jack. Mia madre mi ha sempre chiamato
così."
"Prendo te, Jack Twist", ripeté Ennis, "come mio sposo. E
prometto di amarti e onorarti nella gioia e nel dolore, nella salute e
nella malattia, finché morte non ci separi. E' così che
si dice, giusto?"
"Credo di sì. Non sono molto esperto di queste cose."
"Ora tocca a te."
"Sei sicuro, Ennis?" Jack sentiva lo stomaco annodato.
"Sì. Tanto, domani avremo dimenticato tutto. Non è una
cosa che possiamo fare davvero, né potremo mai farla.
Però... questa è la nostra prima notte qui, e siamo
brilli, e possiamo permetterci di sognare."
"Buffo, Ennis del Mar che si lascia andare ai sogni."
"Sono ubriaco anch'io quanto te", disse Ennis, e lo baciò sulla
nuca. "Ora, ti va di fare la tua promessa, prima che si faccia mattina?"
"Io..." Jack sentì la propria voce che tremava. Era un sogno, un bellissimo sogno, l'indomani mattina avrebbero dimenticato ogni
cosa, ma la sostanza sarebbe rimasta, niente e nessuno avrebbe
potuto sciogliere il loro giuramento. Si schiarì la gola e si
voltò verso Ennis, senza lasciargli la mano: sentiva gli occhi
umidi e brucianti di
lacrime di commozione, ma voleva promettere guardando in faccia il suo
compagno. Anche gli occhi di Ennis luccicavano, nella penombra della
stanza: forse era l'alcol, o forse era qualcos'altro. Gli
carezzò il viso con la mano libera e mormorò: "Io,
Jack Twist, prendo te, Ennis Diego
del Mar, come mio sposo... e...
e prometto di amarti ed onorarti, nella gioia e nel dolore, nella
salute e nella malattia... finché morte non ci separi."
"Dovresti ridere, Jack, non piangere", Ennis gli passò i
polpastrelli di una mano sotto agli occhi, asciugandogli le lacrime.
"Non è quello che volevi?"
"S-sì... ma lo sai che rido e piango ancora più in fretta del solito, quando bevo troppo..."
"Di solito, ora gli sposi si baciano. Forse siamo troppo ubriachi per
andare oltre, ma un bel bacio fatto bene penso di meritarlo."
Jack accostò le proprie labbra a quelle del compagno. "Grazie, Ennis..."
"Grazie a te, piccolo."
Novembre 1967
Tutto era proseguito a meraviglia, se si
evitava di considerare le discussioni iniziali per decidere chi dovesse
fare la lavatrice, o
stirare, o pulire i bagni, o pulire i pavimenti o cucinare, alle quali
avevano posto rimedio decidendo di fare una volta per ciascuno, per poi
iniziare nuovamente a litigare quando qualche faccenda non riusciva
alla perfezione a colui al quale era spettato il gravoso compito, come
quando Jack bruciava la cena, o stirando inceneriva un pezzo di
camicia, o Ennis tingeva di rosa o azzurro intere lavatrici piene di
indumenti bianchi, a causa di un capo colorato inavvertitamente finito
lì nel
mezzo.
Chissà se alle coppie eterosessuali succedeva. Forse no,
perché di solito erano le donne ad occuparsi delle faccende
domestiche, e di solito non commettevano errori tanto grossolani - Dio
solo sapeva come potessero riuscirci.
Di certo, una coppia eterosessuale non poteva scambiarsi la biancheria
- un bel vantaggio, quando nel tuo cassetto erano finiti i calzini
puliti.
Per agosto, avevano racimolato abbastanza soldi da comprare tre
giovenche dagli Hamilton, e un toro da monta, un esemplare pregiato che
Jack scovò ad una fiera di bestiame a Cheyenne: la loro
intenzione era di mettere su un allevamento in proprio, e sfruttare il
terreno circostante la loro fattoria a frutteto - niente di imponente
come quelli degli Hamilton: il giusto per vivere degnamente, e magari
assumere qualche operaio, ma senza sfiancarsi di lavoro. Quando
avessero avuto abbastanza soldi, avrebbero comprato qualche nuova
vitella, più giovane di quelle appartenute a John Twist, e
piantato dei meli; ma intanto Thunderstorm, così si chiamava
il
toro ("E dai con questi tuoni",
aveva commentato Ennis), entro novembre aveva già fecondato
le
tre nuove manze, che avrebbero partorito alla fine del mese di luglio
del nuovo anno.
In ottobre, ricevettero una chiamata da Katherine, che li invitava a
Sage per il terzo compleanno dei gemelli: gli Hamilton, che a novembre
sarebbero stati alle prese con diversi parti di giovenche e giumente,
declinarono l'invito, ma si dichiararono disponibili ad accudire le
bestie di Jack ed Ennis, qualora questi avessero voluto raggiungere i
del Mar a Sage.
Dove, del resto, c'era ancora qualcosa da sistemare: questa volta,
Ennis avrebbe
dovuto dire la verità a K.E. riguardo al rapporto
che
legava lui e Jack. Ormai era inevitabile: al telefono, Kat aveva
espresso tutte le perplessità del marito riguardo alla
convivenza di Ennis e Jack, al fatto che nessuno dei due si fosse
ancora trovato una donna. "Va bene soci in affari", aveva detto K.E.
alla moglie, secondo quanto aveva riferito Kat. "Ma da qui a
vivere insieme... quei due si cacceranno in
qualche guaio."
Così, un venerdì di fine novembre, Ennis e Jack
partirono per Sage, al fine di trascorrervi il fine settimana, ma
le cose non andarono proprio come
Jack,
Kat e Janice avevano sperato: andarono piuttosto come Ennis aveva
sempre immaginato sarebbero andate.
Arrivarono
il venerdì
sera
- il compleanno era previsto il sabato pomeriggio - e, dopo
avere
lasciato Noah e Natalie con una giovane baby sitter, K.E. e Kat li
portarono a cena in un nuovo ristorante inaugurato da poco ad Evanston,
il Black and Blue Eagle, dove nel week-end si esibivano gruppi musicali country e rock.
Durante la cena,
parlarono di tutto ciò che era accaduto in quegli anni di
lontananza, della nuova casa più grande che Kat e K.E.
avevano
comprato, nella quale avrebbero traslocato nella primavera
successiva, anche
della nuova fattoria, ma Ennis non colse l'occasione
di andare più a fondo, e K.E. si
guardò bene
dal chiedere qualsiasi tipo di informazione, entrambi toccando appena
le portate, bevendo troppo vino e fumando troppe sigarette, mentre
Jack e Kat si
lanciavano occhiate deluse e preoccupate. I due fratelli temevano l'uno
la reazione dell'altro, nessuno faceva il primo passo e l'aria era
carica di tensione, Jack poteva percepirlo, come poteva sentire e
vedere la tensione di Ennis dal modo in cui si rosicchiava le unghie,
si mangiava le pellicine e teneva la testa incassata fra le spalle,
alzando a malapena gli occhi.
Avevano appena terminato di mangiare il dolce, quando il complesso attaccò con I will never let
you go. "Adoro
questa canzone", esclamò Kat. "Chi mi fa ballare?"
"Non pensarci neanche", sbuffò K.E..
Ennis si riparò dietro i palmi aperti: "Spiacente, ma il
ballo non fa per me."
"Che coppia di noiosi", fece lei. "Jack?"
A Jack non dispiaceva ballare, ma se anche non gli fosse piaciuto, dopo
avere notato la faccia di Katherine si sarebbe alzato in piedi come se
avesse avuto il fuoco sotto la sedia. Quella faccia diceva: Voglio provare a lasciarli soli,
quindi vieni a ballare, altrimenti ti prendo e uso questi
piatti come supposte.
"Volentieri", rispose, alzandosi in piedi.
Scesero in pista fra le altre coppie, senza distogliere
per troppo tempo gli occhi dal tavolo dov'erano rimasti i due fratelli.
"Dici che ce la possono fare?" domandò Kat.
"Non so. Non so nemmeno se ne ho voglia. Ho iniziato anch'io a temere
la reazione di K.E.."
"Non è stupido come sembra, se lo immagina che fra voi ci
sia
qualcosa. Solo che non ne vuole la conferma. Vuole poter pensare di
sbagliarsi."
"E' contorto quasi quanto Ennis."
"I del Mar sono gente strana."
"Non me ne parlare."
Il complesso terminò il brano, e iniziò con The
devil's
right hand, e ancora i due fratelli al tavolo non riuscivano a
distrarsi dalle proprie importanti occupazioni, Ennis impegnato a
girarsi il bicchiere di whisky da una mano all'altra, agitando il poco
liquido color miele e fissandolo come se vi potesse leggere il futuro,
K.E. che si torturava le gengive con lo stuzzicadenti. Ogni
tanto si scambiavano qualche parola, ma sembrava non essere quella
giusta.
Il gruppo attaccò con i lenti, e la voce roca della cantante intonò No one's gonna love you like
me. Jack e Kat continuarono a
ballare, mentre alcune coppie lasciarono la pista e altre si strinsero
un pò di più, e
lei gli domandò, a bruciapelo: "Non è con me che vorresti
ballare se potessi farlo in pubblico,
vero?"
"Ennis non balla", rispose lui, per nulla imbarazzato: con Kat, sentiva
di poter affrontare certi argomenti in tutta tranquillità.
"Non sa cosa si perde, sei un ottimo ballerino."
"Grazie. Ma comunque, conoscendolo, mi verrebbe
un pò da ridere se lo facesse con me, anche solo in privato."
"E' uno zuccone", fece lei. "Proprio come suo fratello."
Terminata la canzone, fecero per tornare al tavolo, proprio quando
l'orchestra iniziava un altro brano, ma ecco che
l'incredibile stava accadendo: i due fratelli stavano discutendo, ogni
secondo più animatamente. Jack prese la mano destra di Kat,
le
passò la mano intorno alla vita: "Vieni, torniamo su."
Lei gli passò il braccio sinistro intorno al collo: "Certo."
"Spero solo che vada tutto bene."
"Bene o no, era una cosa da fare."
"Già."
Ma neanche dieci secondi dopo, ecco K.E. alzarsi dal tavolo, e
raggiungerli in pista. Ahia,
pensò Jack.
"Tu, lascia
mia moglie, razza di schifoso pervertito", lo minacciò K.E.,
rosso in faccia, puntandogli contro l'indice.
"Io..." Jack lasciò Katherine, senza sapere bene cosa fare,
sentendosi sconfitto e inerme. Il suo amore per Ennis era tutto, per
lui, ma perché il mondo sembrava non capire?
"Smettila", fece lei, diretta al marito. "Te lo immaginavi, allora
perché tante storie?"
"E tu", ribatté lui. "Tu lo sapevi, e non me
l'hai mai detto."
"Mi aveva promesso di non farlo", disse Ennis, dietro di lui.
"Gliel'avevo chiesto io."
"Tu stai zitto", replicò K.E., ed Ennis fece per tirargli un
pugno, ma Jack, pronto, immaginando quel tipo di reazione, lo prese per
il braccio: "Ennis, no!", subito seguito da Kat, che gli afferrò l'altro.
"Andiamocene a casa", ordinò K.E. alla moglie, ma lei
resistette, trattenendo il braccio di Ennis: "Io resto qui."
"Non farmelo dire due volte, Katherine."
"Kat..." tentò Jack. Non voleva dare spettacolo proprio
lì, in mezzo alla pista, ma le coppie che li circondavano
avevano smesso di ballare e stavano osservando la scena incuriosite,
mentre il
complesso continuava la sua canzone: "No, I don't want to say goodbye, All I want to do is live with you..."
"Io resto qui, dannazione!" insisté lei.
"Non con questi due schifosi", disse K.E., e Jack sentì i
muscoli di Ennis, già tirati, tendersi ulteriormente, come
cavi attraversati dalla corrente elettrica.
"Sei tu lo schifoso, se ti comporti in questo modo", l'apostrofò
lei.
"Allora tornatene a piedi con loro, se ti fa tanto piacere!"
esclamò K.E., imbufalito. Girò i tacchi e se ne
andò.
"Brutto zuccone sentimentalmente stitico!" gli gridò dietro lei.
E' andata,
rifletté Jack. Ed
è finita.
Per tornare a casa chiamarono un taxi, attendendolo fuori
dal
ristorante, sferzati dal freddo vento di novembre che faceva ondeggiare
gli orli della gonna di Katherine e le scompigliava i capelli sciolti,
e sollevava i cumuli di foglie ammucchiati ai bordi della strada,
disgregandoli. Ennis se ne stava appoggiato allo stipite della porta d'entrata,
rosicchiandosi le unghie senza ritegno, scuro in viso, la testa bassa, il cappello calcato quasi fin sugli occhi. Kat fumava una sigaretta dietro l'altra, amareggiata e
furente, tenendosi i lembi del pellicciotto bianco stretti al corpo con
l'altra
mano. Nessuno parlava.
E' tutta colpa mia,
pensò Jack, con le mani nelle tasche, osservando la strada
deserta illuminata dalla luce gialla dei lampioni. Credevo potessimo essere felici,
ma perché la felicità di qualcuno deve sempre
andare a scapito di qualcun altro, o offenderlo?
"Kat, mi dispiace", mormorò, ad un certo punto. Non ne
poteva
più di tutto quel silenzio.
"Eh?" lei lo guardò, come se non afferrasse il concetto.
"Hai litigato con tuo marito a
causa
nostra", spiegò Jack.
"Non è colpa vostra", disse lei. "E' lui che
è uno
zuccone."
"E' colpa mia", insisté lui. "E' da me che è partito tutto, lo sai."
"Tu hai reso migliore quest'altro zuccone", lo interruppe lei,
accennando ad Ennis con il capo. "Non prenderti colpe che non hai,
quando hai solo dei meriti."
"Un accidente. Sono stato io a convincerlo a stare con me. Lui non
avrebbe..."
"Sì, hai ragione, non
avrei", intervenne Ennis. "Perché sono uno
zuccone. Zuccone e codardo."
A disagio, Jack si passò l'indice sopra la cicatrice sotto l'occhio, ormai ridotta ad un sottile filo bianco.
"Avrei dovuto parlargliene prima", ammise Ennis, rivolto a Kat. "Mi
dispiace che abbiate litigato."
"Oh, ragazzi, finitela di scusarvi", sbottò Katherine. Prese
un
tiro dalla sigaretta. "Passerà presto. Non è la
prima
volta che litigo con tuo fratello, e non sarà nemmeno
l'ultima."
"Ho paura di no", fece Ennis. "Dopo questa sera..."
"Voi vi amate", disse lei. Gettò a terra la sigaretta fumata
fino al filtro, la schiacciò, poi li
guardò
in faccia entrambi, gli occhi grigioverdi calmi e sicuri. "Io vi ho
sempre sostenuti, e non cambierò idea. Sarà lui che la
cambierà, prima o poi."
Più poi che
prima, rifletté Jack quando, una volta arrivati a casa,
trovarono K.E. ad attenderli su una delle panchine del
giardino di fronte alla lavanderia, con ai piedi una dozzina di
mozziconi.
Scesero dal taxi e Jack pagò il conducente, mentre K.E. si alzava in piedi, e lasciava che Kat lo raggiungesse.
"Come stanno i gemelli?" domandò lei, come se nulla fosse
successo. Poteva anche essere cascato il mondo, ma sapere come stavano
i suoi bambini era la questione primaria: poi veniva tutto il resto, e
ci si poteva anche scannare, e K.E. lo sapeva e la pensava allo stesso
modo.
"Dormivano già, quando sono tornato", mugugnò lui.
"Che hai detto a Mary?"
"Di non chiedermi niente. Ha capito che abbiamo litigato, e se ne
è stata zitta."
Kat sospirò.
"Ora", disse K.E., "Quei due se ne tornano diffilato a Casper."
"K.E...." Katherine iniziò a scaldarsi.
"No, va bene", intervenne Ennis. "Prendiamo le nostre cose, e andiamo
via subito."
"Tu prendi
le vostre cose", precisò K.E., "E in fretta. Lui", e
indicò Jack, "Non lo voglio in casa."
Prima che Ennis o Katherine potessero ribattere, Jack
replicò: "Va bene."
"'Sti due maroni, cazzo", sbuffò Kat. "E' anche casa mia, e posso fare
entrare chi voglio."
"No, Kat, lascia stare", insisté Jack. "Aspetterò
qui fuori."
"Jack, mi dispiace..."
"Non dobbiamo più scusarci fra di noi, okay?" Jack
tentò
di sorridere. Avrebbe voluto abbracciarla, ma temeva la reazione di K.E..
Fu lei ad abbracciarlo, stringendolo e sussurrandogli in un orecchio:
"Andrà tutto bene, Jack. Diamo tempo al tempo."
"Grazie, Katherine."
"Di niente", lei gli strizzò l'occhio. "Ti voglio un
sacco
di bene, sei il mio cognato preferito. Se non fossimo stati entrambi
impegnati, ci avrei fatto un pensierino."
Jack sorrise, ma il sorriso gli si spense quando, con la coda
dell'occhio, vide K.E. che iniziava a spazientirsi, e tornava in casa
con un moto di stizza, biascicando: "Vi farete ammazzare, prima o poi,
e non venite a dire che non vi avevo avvertiti."
"Kat, è meglio che tu vada da tuo marito", le disse.
Nonostante
il calore che gli trasmetteva il corpo di Katherine, si sentiva gelare,
un gelo che gli partiva dalla pancia e dallo stomaco, che nessun fuoco
avrebbe potuto sciogliere.
Tenendo il braccio sinistro intorno al collo di Jack, Kat
staccò
quello destro e lo passò intorno al collo di Ennis,
attirandolo in
quell'anomalo abbraccio a tre.
"Coraggio, ragazzi", disse lei. "Andrà tutto a posto."
Ennis sospirò. Jack tolse un braccio dalla vita di Kat e
glielo
passò intorno alla schiena, scrollandolo. Ennis
restò
immobile, le mani nelle tasche del giubbotto, senza abbracciare
né Jack, né Kat.
Era stata davvero brutta. Peggio di quando Alma aveva mollato Ennis.
E perché doveva sempre essere Ennis a finirci in mezzo, Ennis a
rimetterci più di ogni altra persona?
Janice aveva iniziato ad approvare la loro unione, trovandola migliore
di molte unioni eterosessuali, e Kat era sempre stata
convinta che Ennis fosse stato fortunato ad incontrare Jack,
innamorarsene e decidere di restare con lui. Jack pensava la stessa
cosa di sé stesso, ma non era più tanto sicuro di
pensarla per il suo compagno.
Ed Ennis? Cosa pensava, Ennis, di tutto questo?
Molto probabilmente, non l'avrebbe mai saputo. Ennis gli aveva
testimoniato svariate volte il proprio amore, con i fatti e con le parole,
ma quello che pensava davvero, chi poteva saperlo? Forse, nemmeno Ennis
lo sapeva con chiarezza. Forse evitava di pensarci, com'era nel suo carattere.
Chi poteva sapere se si fosse mai pentito delle scelte fatte?
Chi poteva sapere se, tornando indietro con il senno di poi, avrebbe
deciso di tornare a Sage e sposare Alma e...
Finiscila,
si costrinse Jack. Non
si può tornare indietro.
No. Ma il punto è, come si va avanti, da qui?
Credits: "Leave out all the rest" è una canzone dei Linkin Park, "The secret marriage" è di Sting, e
le
altre canzoni che ho usato per questa storia sono tutte della colonna
sonora di "I segreti di Brokeback Mountain".
Giusto un appuntino: non so se nel 1967 esistessero le lavatrici, e se
potessero essere di uso comune o solo appannaggio di pochi benestanti,
ma non mi sono nemmeno preoccupata di accertarmene, come invece ho
fatto per altre cose (tipo "La parola ai giurati", o l'agente 007 citato
in "Thunderbird"): nella mia immaginazione, Jack ed Ennis hanno
una lavatrice, e almeno una volta al mese tingono di rosa o azzurro un
carico di capi bianchi. Del resto, tutta questa serie di storie è
pura fantascienza: Jack forse avrebbe potuto trovare il coraggio di
chiedere ad Ennis di restare con lui, ma l'Ennis originale non avrebbe
mai accettato, e l'avrebbe respinto in malo modo, ben diversamente da
come ho fatto accadere in "Before it's too late".
Disclaimer: I
personaggi di Jack Twist e i suoi genitori, Ennis del Mar e i suoi
genitori e fratelli, Lureen Newsome e Alma Beers appartengono ad Annie Proulx,
così come il Black and Blue Eagle e il Wolf's Ear. Non l'ho
mai precisato, ma i nomi che ho dato ai
due
gemelli di Katherine e K.E., Natalie e Noah, sono un omaggio alla mia
insegnante di
danza e al suo secondogenito, nato nel gennaio 2008 (e voi direte, chi
se ne frega!).
Se qualcuno
riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua
proprietà,
mi creda se gli dico che non l’ho fatto apposta, e spero non
si
offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza
alcuno scopo di lucro.
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