L'odore della paura: lillà, vaniglia, cardamomo e patchouli. di Valpur (/viewuser.php?uid=2169)
Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Hermione
era nota a tutti come una persona estremamente razionale. Certo, Draco
Malfoy trovava sempre qualcosa da ridire (“La mia guancia! La
mia pallida, eburnea guancia è rimasta arrossata come quella
di una contadinotta per ben venti minuti!) e anche Ron ogni tanto
nutriva i suoi sanissimi dubbi (“Hermione Granger: un caso
clamoroso di ciclo mestruale perenne”, aveva detto prima di
trovarsi smutandato e penzolante dall’appendiabiti), eppure
la giovane Grifondoro rientrava tutto sommato nei canoni della
normalità.
Tuttavia convivere nello
stesso edificio con Harmonya Lucrezia Christancia da Montefeltro, il
suo ego smisurato, il suo fondoschiena marmoreo e la sua collezione di
scarpe di marca per un periodo superiore ai tredici secondi era
un’impresa al di là delle sue
possibilità.
Quel lungo supplizio
durava ormai da ben più di tre mesi; i capelli di Hermione
avevano ormai vita propria (Lavanda Brown andava raccontando a tutti
che un giorno aveva dovuto disimpigliare un picchio rimasto
intrappolato in quel groviglio senza senso), tutte le penne che
conservava con gran cura avevano l’estremità
arruffata dall’eccessivo rosicchiare… girava voce
che fosse stata lei a scrivere “Redrum” sulle
pareti del bagno delle ragazze, ma nessuno aveva prove.
Sta di fatto che quella
gelida mattina di Gennaio, quando scese nella Sala Grande di
buon’ora per evitare studentesse in trasferta, era nervosa.
Tutto si sarebbe aspettata, tranne che vedere al tavolo di Grifondoro
un improbabile gruppetto di persone.
“…
capito?” disse la voce di Harry Potter, soffocata dalla ressa
e tenuta bassa in tono cospiratore.
Alle sue spalle Ernie
McMillan batté le palpebre con un vago timore, guardandosi
attorno; a malapena riuscì ad annuire in silenzio, ma vicino
a lui le reazioni furono più convinte. Persino la testa unta
di Piton, che staccava di una decina di centimetri almeno quelle degli
studenti, fece un deciso cenno d’assenso.
“Capito,
Potty”, sussurrò Draco Malfoy, stranamente privo
della solita aria tracotante. Ci fu un ulteriore, breve conciliabolo,
quindi Piton mise un braccio attorno alle spalle di Draco e di Zabini e
li portò via.
In breve la piccola
folla si disperse; al tavolo restarono solo Harry e Ron,
l’uno di fronte all’altro. Quest’ultimo
seguì con lo sguardo i due giovani Serpeverde e il
professore, sul viso un’espressione assorta.
“Sai, Harry,
secondo me Malfoy è gay. Lo negherà fino alla
morte, ma è così”.
“Sì,
è gay e se la fa con Piton… Ron, sei
ridicolo!” sbuffò Hermione sedendosi lì
accanto.
I due ragazzi
trasalirono.
“Oh…
buongiorno, Hermione. Non… non ti avevamo sentita
arrivare”, disse Harry con un sorriso.
“Immaginavo.
Sembravate piuttosto assorti”, chiese la giovane –i
cui occhi non mandavano bagliori dorati e i cui capelli erano
semplicemente crespi e castani, non boccolosi e sensuali- lanciando una
pila di libri sul tavolo e avvicinando il piatto con le salsicce.
Sembrava così irritata che Ron non si sognò
nemmeno di fare battute sconvenienti sulla scelta
dell’alimento.
“Così
pare”, rispose sereno Harry versandosi del succo di zucca.
Per qualche istante
l’unico suono fu quello delle posate sui piatti e i tonfi dei
bicchieri sul piano di legno.
“E suppongo
che non vogliate mettermene a parte, giusto?”
sibilò Hermione, piantando con violenza la forchetta nella
salsiccia. Ron e Harry trasalirono; il primo rabbrividì.
“Ecco…
no, non per ora, no…”
Hermione
sbatté violentemente le mani sul tavolo e si alzò
in piedi. Il suo sguardo prometteva poco di buono e molto di pericoloso.
“Scommetto che
c’è quella vacca di mezzo! Allora, cosa mi dite?
Chi di voi due ha vinto il premio? Chi ha impalmato la gallinella dalle
chiappe d’oro? Chi? Chi è stato quel viscido,
bugiardo traditore col cervello sotto la cintura
che…”
“Hermione…”
“…
ma io non ho parole! Vi credevo persone in gamba, vi credevo amici! E
con tutto quello che c’è in ballo, V-Voldemort
–Ron sputò una generosa sorsata di tè-
e Silente con la mano secca e tutto…”
“Hermione”,
ripeté Ron con un filo di voce e la lingua ustionata.
“…
voi due sbavate dietro quella scema come se foste due carlini! Non
è possibile, non è davvero…”
“Silencio”, sussurrò Harry
coprendosi gli occhi con una mano e scuotendo la testa sconsolato.
Dalla bocca di Hermione
uscì un breve rantolo; la rabbia le si spandeva nella testa
tingendole il viso di viola.
“Hermione,
calmati. Davvero”.
La giovane
sbuffò. Offesa si sedette ed accavallò le gambe,
rovesciando, con l’urto del ginocchio, un paio di bicchieri;
le gambe incrociate e le sopracciglia aggrottate lasciavano ben
intendere che, appena passato l’effetto
dell’incantesimo, la sfuriata sarebbe stata degna della
miglior Strillettera.
Harry e Ron sospirarono
di sollievo.
“Allora, una
cosa per volta. Sì, stiamo progettando qualcosa; no, per ora
non possiamo parlartene; sì, c’entra
l’oca giuliva; no, nessuno di noi due se
l’è fatta. Per nostra fortuna, direi.
Può bastare per ora?”
Il tono di Harry era
paziente, come se stesse parlando a una bambina capricciosa.
Hermione era ancora
imbronciata ma annuì.
“Posso
togliere l’incantesimo o ci aggredirai di nuovo?”
Hermione fece cenno di
no col capo ricciuto, e Harry, con un sorriso, agitò la
bacchetta.
Finalmente tornata in
possesso della voce, la studentessa erroneamente nota come Grifoncina o
Regina dei Grifoni (Hermione aveva cercato più volte di
render noto che era Babbana di nascita e figlia di due plebeissimi
dentisti, ma la cosa sembrava non interessare a nessuno) prese una
lunga boccata d’aria.
“Bene”,
disse con voce forzatamente calma. “Posso stare tranquilla?
Badate, mi irrita che mi teniate all’oscuro di tutto, ma
posso capire che…”
Hermione tacque un
istante, annusando l’aria con un cipiglio ostile.
“Shhht!”
sibilò Ron, indicando la porta con un cenno secco del capo.
Non che ce ne fosse
bisogno: un profumo penetrante invase la stanza, preannunciando
l’inevitabile.
Hermione
roteò gli occhi, aprendo con rabbia un libro e
seppellendocisi dietro.
Ron e Harry si
guardarono intensamente. In quel preciso istante dall’ampio
portone fece il suo ingresso la ninfa sinuosa –con tutte le
curve al posto giusto, è sempre meglio precisarlo,
l’ispirazione dei poeti, la luce degli occhi che conoscono
solo le tenebre.
Insomma, Harmonya, con
la divisa meticolosamente discinta, i capelli sollevati da un vento
sovrannaturale (“Odio gli spifferi di questo
castello”, si lamentò Pansy Parkinson, giunta da
poco) che lanciavano bagliori dell’oro più puro e
un sorriso ammagliante incorniciato dall’immancabile gloss
rosa glitterato.
I due Grifondoro si
guadarono alle spalle, incrociando lo sguardo di Draco, Blaise e di
tutti gli altri compagni coinvolti. Piton si era precauzionalmente
nascosto dietro Vitious, con pochissimo successo peraltro.
“Si
comincia”, ringhiò Harry con decisione, abbassando
lo sguardo verso le sue uova strapazzate ormai fredde.
Harmonya fece una
piroetta in mezzo alla sala, giusto per ricordare il suo passato di
stellina della danza classica, e raggiunse non già il
semivuoto tavolo di Tassorosso, ma quello di Grifondoro.
“Ron, Harry,
lieta giornata a voi, eroi del mondo magico!”
trillò, ignorando deliberatamente Hermione, le cui dita si
infissero con tale violenza nel cuoio della copertina da lasciarci i
segni.
Ron mugugnò
qualcosa di indefinibile, sputacchiando un po’di bacon
tutt’attorno; questo fu sufficiente a renderlo un oggetto
poco interessante.
Al contrario, Harry
sfoggiò un gran sorriso.
“Ciao,
Harmonya, buona giornata. Hermione, hai mica sotto mano gli appunti di
Storia della Magia? Mi sono addormentato a lezione. Di nuovo”.
Colta alla sprovvista,
Hermione alzò la testa di scatto; era tanto sorpresa da non
trovare nulla da ridire.
“Come? Oh,
certo, io… eccoli”, disse, estraendo da un
raccoglitore un bel plico di fogli accuratamente scritti.
“Li ho
anch’io gli appunti se vuoi”, intervenne solare
Harmonya, aprendo la borsetta (“Prada?”
mormorò Hanna Abbott stringendo gli occhi per leggere la
marca. “Mi sembrava che la città fosse Praga, ci
deve essere un errore su quella borsa…” ) e
mostrando un quaderno rosa con le pagine coperte di cuoricini e
scarabocchi in rosa.
“No, grazie
Harmonya…”
“Harmonya
Lucrez…”
Harry la
ignorò.
“Preferisco
quelli di Hermione, sono abituato a studiare sui suoi; sei stata
gentile però”, concluse Harry, rivolgendole un
sorriso tiepido e tornando alle sue uova.
L’espressione
affascinante di Harmonya si incrinò solo un poco. Ridato
lustro al suo sorriso si volse verso Ron.
“E tu, Ron?
Hai gli allenamenti di Quidditch oggi?”
“Chi,
io?” chiese quello, guardando l’attraente
Tassorosso come se fosse sbucata dal terreno. “Sì,
perché?”
Harmonya
gettò indietro la chioma.
“Pensavo…
sai, oggi è la tua giornata fortunata. Sono libera, e
pensavo di venire a darti una mano, so giocare anche da Portiere
e…”
Ron arrossì e
distolse lo sguardo.
“No, meglio di
no. Devo allenarmi seriamente, preferisco non…”
“Oh, no, ho
un’idea migliore! Senti qui: potrei diventare la capo
cheerleader di Grifondoro, eh?Che ne dite?” chiese con
entusiasmo guardando i due ragazzi.
“Harmonya”,
sbuffò Harry visibilmente infastidito. “Non le
vogliamo, le cheerleader; non siamo mica un college di tamarri
americani. E comunque tu sei di Tassorosso, quindi non… ehi,
ciao, Luna!”
Luna Lovegood stava
giusto giusto passando alle spalle di Harmonya, immersa in un motivetto
senza parole che sembrava prenderla molto.
“Ciao,
Harry!” lo salutò.
Harmonya, ora parecchio
irritata, fece per accomodarsi di fianco a Harry.
“No, ehi,
scusa… lì che Ginny”, la
fermò Ron, severo.
“Cosa?”
chiese la Tassorosso.
“Quello
è il posto di Ginny, non puoi sederti
lì!”
Harmonya emise una
risata sarcastica.
“Cos’è,
c’è per caso scritto il suo nome?”
“Veramente
sì”, rispose Hermione indicando la scritta
‘Ginny Weasley’ incisa con un temperino sulla panca.
Harmonya
ringhiò un’imprecazione.
“Potrei
sedermi lì”, riprese con garbo andando alla
sinistra di Harry.
“No,
c’è Neville… ma comunque
perché non vai al tuo tavolo? Non sei una
Grifondoro”, la rimproverò Harry perentorio.
“E
allora?”
Hermione prese fiato.
“La divisione
in Case ha motivazioni precise, e tu non sei nessuno per contestare
questa decisione. Quindi, se non ti dispiace…”
Con la mano fece un
cenno in aria, come se stesse scacciando una mosca.
Ormai furibonda,
Harmonya prese il suo carico di fascino e stile e marciò
ancheggiando superba verso il suo tavolo.
In quel preciso istante
Luna si accomodò di fianco ad Hermione.
“Ti scoccia se
mi siedo qui?”
“Ovviamente
no!” le rispose l’altra con un sorriso amichevole.
“TU puoi”.
Ron e Harry finirono di
mangiare in silenzio, con un certo anticipo rispetto a Hermione. Dopo
averla salutata si alzarono e si allontanarono.
“Non male come
inizio”, disse Ron compiaciuto. “Non vorrei che
fosse persino una buona idea!”
“Fratello, io
sconfiggo i cattivoni di fine livello, ti pare che le mie idee non
siano buone?”
Piton
odiava il mercoledì. Più del lunedì,
che notoriamente è un incubo.
Il martedì
era pesante perché il fine settimana era ancora lontano, e
il giovedì portava, senza mantenerle, promesse di riposo.
Per non parlare del venerdì, così vicino alla
domenica (l’ultimo giorno prima di una nuova, odiosa
settimana) da perdere il gusto dell’attesa.
No, il
mercoledì era peggio.
Il mercoledì
aveva lezione con Grifondoro e Tassorosso.
Assieme.
Potter e Tette Letali
assieme. Un incubo.
Ma quel
mercoledì di Gennaio c’era una novità.
La lezione di Difesa
contro le Arti Oscure era proseguita quasi come al solito: Piton faceva
le domande, gli studenti provavano a rispondere e di solito facevano
pena.
Quel giorno
c’era una novità, però.
Nonostante
l’ansia e la paranoia (e non per il triplo gioco che
conduceva da anni, no no), Piton aveva ancora un cervello notevole.
Quando le due classi si
erano accomodate, approfittando del piccolo trambusto che sempre
seguiva la campanella di inizio lezione, aveva puntato in silenzio la
bacchetta contro Harmonya. Una breve scossa, indice della magia che si
sprigionava, percorse il braccio del professore extravergine,
strappandogli un mezzo sorriso.
Una mezz’ora
di spiegazione sulle contro fatture, e poi…
“Sentiamo un
po’: chi sa dirmi in che modo si può deviare una
fattura se non si è in possesso di una bacchetta?”
La mano di Hermione
Granger scattò rispettosa e saccente verso il cielo;
Harmonya, superiore a queste inezie, si erse sulla sedia e, con un
sorriso, fece per rispondere.
Dalla sua bocca
uscì una lunga pernacchia umidiccia.
“Sì,
signorina Granger?” chiese Piton, stranamente cordiale.
Hermione
tardò un istante a rispondere, smarrita tra il desiderio di
scoppiare a ridere e lo stupore per il tono meno antipatico del
professore.
“Io…
ecco… si può interrompere il…
lo… quello che lancia l’incantesimo prima che lo
termini, magari con un colpo o qualcosa del genere”, rispose
balbettando, priva della solita precisione chirurgica.
“Bene,
sufficiente, direi. Due punti a Grifondoro”.
Harry guardò
Ron.
Ron guardò
Harry e si tolse di bocca il foglio di pergamena che aveva usato per
soffocare la risata.
Entrambi guardarono
Hermione, e poi Piton (voltato, le spalle scosse da qualcosa che poteva
essere un risolino silenzioso), quindi Harmonya, assolutamente basita.
Altri dieci minuti,
altra domanda… altra pernacchia.
E così via,
per tutta la lezione. Alla fine Harmonya uscì a lunghi
passi, inviperita.
Per la prima volta Harry
ebbe l’impulso di abbracciare Piton.
“Sapete”,
disse mentre andavano verso le serre di Erbologia, “quasi
quasi mio figlio lo chiamo come lui, che ne dite?”
A quelle parole
profetiche tutti e tre risero.
Harmonya marciava
spedita avanti e indietro, in prossimità del corridoio che
portava ai sotterranei.
“Non
è possibile”, sibilò tra sé
mentre i tacchi da dodici centimetri battevano sulle pietre.
“Qui c’è qualcosa che non va. Non
possono ignorarmi tutti! Non è possibile che il mio fascino
non abbia successo, che le mie forme prorompenti su un corpo snello e
tonico non abbiano alcun effetto! Nemmeno il mio profumo sembra darmi
un’opportunità…”
In lontananza
risuonarono dei passi e alcune voci.
Lo sguardo bicolore di
Harmonya ebbe un guizzo.
“Ma non
è ancora finita… posso giocarmi
l’ultima carta!” si disse. Con gesto teatrale si
tolse la cravatta e slacciò un altro bottone della camicia,
lasciando al suo posto giusto quello appena sopra l’ombelico.
Dalla stoffa candida fece capolino un push up di pizzo nero. Un colpo
di bacchetta, e la gonna si aprì in uno spacco vertiginoso,
rivelando l’orlo di una calza autoreggente.
“E ora a noi
due, signor Malfoy…”
Dopo pochi istanti
dall’angolo sbucarono Draco, Blaise e Pansy, immersi in una
fitta conversazione.
Così fitta
che le passarono davanti senza degnarla di uno sguardo.
E sì che si
era data un gran da fare per essere sexy: languidamente appoggiata a un
arazzo – i cui occupanti se l’erano preventivamente
data a gambe, imbarazzati- con una gamba piegata e il piede poggiato al
muro, la schiena inarcata e i capelli un po’scomposti gettati
all’indietro. Le labbra socchiuse, lo sguardo
acceso… tutto, in Harmonya, avrebbe dovuto gridare
“sesso!” a gran voce.
I tre Serpeverde le
sfilarono davanti senza una parola.
E questo era davvero
troppo.
Harmonya
batté il piede a terra.
“Ora
basta!” strillò, stringendo i pugni e rovinandosi
la french manicure. “Si può sapere
perché nessuno mi caga? Io sono… sono bella,
ricca, intelligente, ho fascino, buon gusto, vesto di marca, so tutto,
sono… sono così feeka!”
Draco passò
un braccio attorno alle spalle di Pansy.
“Ah, sei tu,
quella col nome lungo”, disse laconico.
“Mi chiamo
Harm…”
“Lo sappiamo
come ti chiami, solo che non vale la pena perder tempo a pronunciare un
simile spreco di lettere”, rispose Blaise agitando mollemente
la mano.
Il gran clamore aveva
richiamato qualche curioso, non ultimi Harry, Ron e Hermione,
palesemente divertiti.
Harmonya
guardò Zabini con gelido odio e strinse gli occhi. Il
giovane trasalì e si tenne una mano davanti alla bocca,
reprimendo un singhiozzo. Fu questione di un istante, però:
un nobile contegno gli scese sui bei lineamenti, a malapena distorti da
un ghigno sarcastico.
“Non provarci,
tesoro: sono un uomo e sono bello nero. Mio nonno era africano, quindi
basta storie”. Deglutì rumorosamente e
il singhiozzo sparì.
Harmonya era
sull’orlo delle lacrime. Guardò prima Harry
(distratto dalla visione di una Ginny particolarmente a sui agio) e poi
Draco.
“Non…
non è possibile! Come posso non piacervi? Come potete
preferire quelle anonime sciacquette a… a me? Sono il
massimo che ci sia sul mercato!”
“Ma che ce
l’hai con me?” chiese Draco, arricciando il naso.
Con gesto teatrale baciò Pansy, lasciandola senza fiato e
soddisfatta. “Guarda che tu sei palesemente troppo
vistosa per i miei gusti. La mia è una famiglia
all’antica, mi ci vuole una consorte che sappia stare al suo
posto e che non sfiguri ai party nell’alta
società. Tu vai giusto bene per un Babbano arricchito col
suv”.
Ben in pochi capirono
l’ultima osservazione.
Harmonya si
guardò intorno mentre il trucco le colava impietosamente
sulle guance.
“Quindi…
non…”
“No!”
esplose un coro di voci concitate.
“Harmonya, ora
basta”, intervenne Harry avanzando di un passo. Ormai alle
sue spalle s’era formata una folla notevole, comprendente
professori e bidelli. “Sono io l’eroe della storia:
non puoi pretendere che tutte le attenzioni siano su dite! Questa trama
non ti appartiene!”
L’immagine si
bloccò su un impietoso fotogramma di Harmonya con la bocca
spalancata e gli occhi vacui, spenti. Sembrava un’orata.
La poltrona della
Presidentessa si voltò lentamente senza cigolare.
Le dita congiunte sotto
al mento ebbero un fremito. Gli occhi celati dagli occhiali dalla
montatura di metallo erano gelidi come il vento che, in superficie,
sferzava le colline inglesi.
Forse, da qualche parte,
una mucca guardava passare il treno… ma no, dai, torniamo
alla storia.
“Abbiamo
fallito”, scattò la voce della donna
nell’aria tesa della sala riunioni. “Non era questo
che volevamo ottenere”.
Con uno scatto si
alzò e prese a misurare avanti e indietro la stanza.
“Sono delusa,
molto delusa. Potevamo fare di più”.
I seri scienziati si
agitarono sulle loro sedie.
“Capo, siamo
dispiaciuti, ma si trattava di un prototipo, un esperimento
che…”
“Che
è andato a rotoli!” gracchiò la donna,
inflessibile. “Sarà meglio che tiriate fuori
qualche altra idea, sennò…”
“Con
permesso”, disse una giovane voce femminile in fondo alla
sala, “avrei un progetto da proporre”.
La presidentessa
posò lo sguardo freddo sulla rampante fanciulla in camice
che aveva parlato con tanta sicurezza.
“Ah
sì, e di cosa si tratta?” chiese, non senza
sarcasmo.
“Il progetto
MS539K”, rispose la giovane senza batter ciglio.
Un mormorio perplesso si
diffuse per la sala.
“MS539…K?
E K per cosa starebbe?” chiese il capo.
La giovane ricercatrice
puntò con nonchalance un telecomando alle proprie spalle e
premette un pulsantone rosso. Un pannello si aprì sulla
parete rivelando una sagoma in controluce avvolta da una nube di fumo
azzurro. Tutti i presenti trattennero il respiro.
"K... come kattiva!"
Lei era giovane e
minuta. Il viso di porcellana era di una bellezza assoluta,
strafottente e distratta. I capelli verdi e lucenti ricadevano sulle
guance pallide come la neve, incorniciando un paio di grandi occhi
pesantemente truccati di nero. Erano viola, ma virarono rapidamente al
rosso quando, infastidita da tanti sguardi puntati su di lei,
sollevò il dito medio nella direzione degli scienziati.
Tra le labbra dipinte di
viola scuro pendeva una sigaretta fumata a metà; era vestita
senza cura apparente, jeans neri strappati con cintura borchiata e
catena pendente dai fianchi, All Star viola, una maglietta degli
Evanescence e, a tracolla, pendeva una borsa di tela
anch’essa nera, tempestata di spillette rotonde con
l’icona di vari gruppi goth e Emo rigorosamente Babbani.
“Allora”,
disse la misteriosa ragazza con voce strascicata.
“Dov’è questo Draco Malfoy? Ho giusto un
paio di cose da insegnare a quel poppante che non ha nemmeno le palle
di ammazzare un vecchio…”
La presidentessa
raddrizzò lentamente le spalle mentre un sorriso spietato le
sbocciava sul viso tirato.
“Sì…”
sussurrò avanzando verso il nuovo prototipo.
“Sì!”
Si portò
davanti all’oscura ragazza e la fissò a lungo.
Poi, d’improvviso, si voltò verso i colleghi, le
braccia levate al cielo.
“Si
Può Fare!”
|
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=322136 |