Ich
steh
ganz
allein
hier
und
kämpf
Capitolo Uno: Nur zu
Besuch
La figura si stagliava
contro la luce rossa del crepuscolo, il fumo usciva lentamente dalle
sue labbra salendo verso il cielo, verso le nuvole rosate. L'uomo
teneva gomiti poggiati alla ringhiera lavorata e laccata di nero e
oro che delimitava il grande terrazzo, nell'angolo un vecchio
tavolino in ferro battuto e la corrispondente sedia, ai suoi piedi un
posacenere pieno di mozziconi di sigaretta, poco più avanti delle
piante ormai appassite, secche, morte.
La tuta che Anis
Ferchichi -meglio conosciuto come Bushido- indossava era lisa e
vecchia, un po’ larga sul sedere magro, i piedi erano scalzi e
indossava -sotto la giacca sportiva- una t-shirt, sulla quale era
stampato in caratteri neri la scritta “Le
rap c'etait mieux avant”,
il rap era meglio prima.
E non solo il rap,
pensò Anis con amarezza mentre con l'indice dava un colpetto alla
sigaretta lasciando cadere al piano inferiore la cenere. Prese un
altro lungo tiro, se ne saziò e lasciò uscire il fumo dalla bocca,
lentamente, come se in realtà avesse voluto trattenerlo in sé.
I suoi capelli scuri
erano più lunghi del solito, disordinati sul capo, ben diversi da
come li portava fino a poco tempo prima -rasati ai lati, una cresta
nel mezzo della testa- dando vita ad una pettinatura in voga negli
ambienti musicali… che lui, però, non frequentava da mesi.
D'un tratto, Anis
inarcò le sopracciglia nere e grandi, raddrizzò la postura dando
sollievo alla propria schiena dolorante e piegò leggermente il capo
da un lato, incuriosito da una figura che risaliva velocemente il
sentiero pietroso davanti a casa.
Aguzzò la vista,
strinse gli occhi scuri e sentì il cuore perdere un battito.
Riconobbe in quella figura Bill Kaulitz, proprio lui, che con la sua
giacca di pelle nera come i jeans stretti, i capelli nuovamente
biondi e corti, camminava a passo sostenuto verso la porta
d'ingresso, come volesse arrivare ed andarsene il più fretta
possibile. D'altronde, Anis, non lo biasimava.
Spense la sigaretta
premendola contro la ringhiera e guardò la cenere sperdersi nel
vento serale, perso nei ricordi: come erano cambiati, in quegli anni,
i gemelli Kaulitz. Anis poteva giurare di saper elencare in ordine
cronologico tutte le loro trasformazioni, sin da quando li aveva
conosciuti nei primi anni duemila. La sua attenzione era stata rapita
da questa band che, secondo la propria opinione, faceva proprio una
musica di merda. Eppure, c'era qualcosa che lo attirava
particolarmente. Si erano frequentati per qualche mese, si erano
incontrati alle feste, alle premiazioni musicali, incrociati in
corridoi di qualche studio televisivo.
E poi... come era
infame, a volte, il destino.
Il rapper -o ex
rapper?-, con i palmi delle grandi mani contro la ringhiera, si diede
una piccola spinta all'indietro e rientrò in casa per avvicinarsi
alla porta di casa per accogliere l’ospite che, secondo i propri
calcoli, doveva essere proprio lì, ad aspettare sugli scalini. Fece
scattare la serratura, ed eccolo lì.
Lo guardò per un lungo
attimo, lo soppesò con lo sguardo e dentro di sé sentì una fitta
allo stomaco che cercò di ignorare con tutte le sue forze. Allora
gli fece un segno col capo, per salutarlo e Bill si strinse nelle
spalle, evitando per un lungo attimo i suoi occhi scuri come la
notte. L'uomo portò le braccia al petto, le incrociò e prese un
lungo sospiro, come se solo in quel momento avesse riordinato e
collegato le idee e avesse finalmente capito.
“Ovviamente non si
prende le sue responsabilità, eh?” fece pungente Anis, la mano
stretta in un pugno e l'altra serrata sulla maniglia della porta
cercando di ingoiare la rabbia ed anche la delusione che provava in
quel momento.
BIll, gli occhi
ambrati, grandi e intensi come quelli del fratello, lo guardò, poi
alzò le spalle, distogliendo nuovamente lo sguardo.
“Non so che dirti,
Anis. Mi ha chiesto un favore e glielo sto facendo. Non prendertela
con me, quello che ti ha spezzato il cuore è Tom” rispose
freddamente il biondo. Anis giurò di vedere della tristezza nei suoi
bellissimi occhi e di percepire della rabbia nelle sue parole.
“Sì, hai ragione,
non è colpa tua” concesse l’uomo scostandosi per farlo entrare
in casa “Posso offrirti un caffè?” propose poi con tono di
riconciliazione dirigendosi verso la cucina, senza attendere una
risposta.
“Sarebbe stupendo,
An. È un bel viaggio fino qui” rispose Bill, slacciandosi la
giacca e passandosi una mano tra i capelli biondi naturali, le
braccia muscolose strette in una t-shirt chiara e sul il viso ormai
adulto, un accenno di barba chiara.
“Sei venuto da
solo...?” domandò l'uomo dopo averlo fatto accomodare nella grande
cucina ordinata.
“Sì, Anis, non...
lui non c'è” confermò Bill appoggiandosi al ripiano in legno, le
mani strette attorno ai bordi.
“No, dico, hai
guidato fin qui da solo?” si spiegò meglio, pensoso.
Ricordava perfettamente
quel lontano giorno di settembre, i gemelli avevano da poco compiuto
vent'anni e come regalo, una nota casa automobilistica aveva donato
loro due macchine nuovissime; dovevano raggiungere gli MTV Europe
Music Awards tutti e tre, sia lui che i gemelli, ma Bill aveva deciso
di farlo da solo, di provare quella potente auto nuova. Ricordava
come Tom non fosse entusiasta all'idea che Bill guidasse proprio
quella sera, diceva di avere una brutta sensazione.
Lui e Tom avevano
passato il pomeriggio insieme e il giovane chitarrista era stato
inquieto per tutto il tempo finchè gli era venuto un gran mal di
testa. Improvvisamente,
sosteneva Tom, come se significasse qualcosa,
continuava a dire ma Anis lo aveva tranquillizzato, sei
solo agitato per l'esibizione di stasera, lo
aveva rassicurato, adesso mangiamo qualcosa.
Nemmeno il tempo di aprire il frigo che il cellulare di Tom aveva
iniziato a squillare e il ragazzo era completamente sbiancato senza
aver nemmeno risposto. Anis aveva fatto per avvicinarglisi ma lo
aveva visto correre verso la porta d'ingresso e lui lo aveva seguito,
di fretta ma in silenzio. Bill aveva avuto un brutto incidente
stradale.
Per fortuna non si era
fatto altro che un graffio sulla fronte e si era voluto esibire
ugualmente alla manifestazione musicale, ma da quel giorno non si era
mai più messo al volante, per questo adesso, dopo aver rispolverato
i propri ricordi, si stupiva tanto che Bill avesse intrapreso un
viaggio di molte ore solo per venire a casa sua. Per fare cosa, poi?
Si voltò verso il
biondo che era intento a guardare il paesaggio dalla grande finestra,
probabilmente anche lui era perso nei suoi pensieri.
“Sì, ho guidato da
solo” si ricordò di rispondere Bill incrociando i suoi occhi
scuri, alzò le spalle, come se in quel momento non fosse importante.
Anis, per togliersi
dall'imbarazzo, invitò Bill ad accomodarsi sulla seggiola, mentre
lui avrebbe cominciato a preparare un buon caffè. Tornò a dargli la
schiena, cercando di nascondere le numerose emozioni che lo
tartassavano in quel momento.
Il cantante rimase in
silenzio e si guardò attorno focalizzando ogni oggetto: quella casa
era sempre stata molto bella, colorata e moderna, ma ora sembrava più
vuota, più grigia, più triste. Rispecchiava in pieno il suo
abitante che il biondo trovava decisamente più magro, sciupato,
trasandato e stranamente silenzioso.
Per alcuni minuti, gli
unici rumori udibili furono il sibilare dei cassetti lungo le loro
guide, lo scorrere dell’acqua e l’accendersi meccanico del fuoco.
Una volta posata lì la moka -perché sì l’uomo aveva imparato a
fare il caffè all’italiana- Anis prese un grande respiro. Era
giunto il momento.
“Bill, perchè sei
qui…?” chiese voltandosi verso di lui e puntandogli gli occhi
addosso.
“Per prendere delle
sue cose, An. Tom è sicuro siano qui, d'altronde praticamente
convivevate” pronunciò lui, sperando di non incombere nella sua
ira. “Mi dispiace non averti chiamato prima di venire,” aggiunse
“ma ho pensato che non avresti risposto al telefono. A causa dei
giornalisti, dico.”
Già, i
giornalisti..., pensò
amaramente Anis abbassando gli occhi per un attimo. Gliel'avevano
rovinata, la vita e lui aveva deciso di autoescludersi da quel mondo.
Dopotutto, non era nemmeno più ben accetto.
“Hai fatto bene,
Bill, non avrei risposto” confermò prendendo due tazze dalla
credenza di legno di mogano e posandole accanto al fornello.
Altri lunghi attimi di
silenzio, in cui Anis meccanicamente portava sul tavolo una
scatoletta con le zollette di zucchero, tazzine rosso lucido e due
cucchiaini. La moka prese a borbottare lì, sola sul fuoco debole,
mentre il caffè caldo riempiva la sua metà superiore. L’uomo
spense il fuoco e versò il liquido nero nelle due tazze, ne avvicinò
una a Bill sedendosi anche lui, di fronte al biondo. Lo guardò
ancora, per qualche secondo: lo aiutava a ricordare come era fatto
Tom, il sorriso, i tratti perfetti, gli occhi ambrati grandi e sempre
attenti. Distolse lo sguardo ed anche i pensieri, ma solo per un
attimo perchè poi, nonostante tutto il dolore che provava ancora e
prima che si potesse davvero rendere conto di cosa stava per fare,
sussurrò un “Come sta?”
che colse Bill totalmente di sorpresa. E questo, Anis, lo notò.
C'era per caso qualcosa che Bill non voleva rivelargli?
Ci fu altro silenzio,
solo il cozzare dei cucchiaini contro la ceramica riempiva il vuoto e
Bill, molto probabilmente, raccoglieva le idee.
“Si è allontanato da
me” rispose il biondo, come a volersi giustificare, il suo tono
era asciutto e le labbra erano strette contro il sapore della
caffeina, che in quel momento sapeva di dispiacere, tristezza e
mancanza.
“Non so dirti
esattamente come stia” ammise Bill “Lui... è sempre fuori, torna
tardi e noi non...non dialoghiamo più. Non avrei mai pensato che io
e Tom... saremmo stati così disconnessi un giorno” mormorò
continuando a girare il cucchiaino nel caffè, ormai tiepido.
Non si era sbagliato,
l'uomo, aveva davvero letto tristezza nei suoi occhi poco prima e sì,
era successo qualcosa tra quei due, ma in quel momento non era
particolarmente incline a conoscerne il motivo perchè aveva un'altra
domanda da porre al giovane Kaulitz.
“Ha un'altra…?”
lasciò quindi uscire in un sibilo di paura e rabbia. Di tutto il
resto non gli importava, in quel momento. Magari un’altra volta.
Bill annuì
impercettibilmente, senza guardarlo. Anche questa volta aveva paura
di quella che sarebbe potuta essere la reazione dell'ex fidanzato di
suo fratello, ma diversamente da come avesse potuto pensare, Anis
rimase fermo, assimilando la risposta che gli faceva tremare le mani
e mordere a sangue le labbra.
Aveva dato tutto, a
Tom, tutto. Ma lui era come un uragano. Passava, prendeva, portava
via, non era mai sazio. E se ne andava. Giocava col cuore delle
persone, con il loro amore. Si prendeva tutto, si prendeva la vita,
il respiro, l’anima e se ne nutriva, diventando più forte. E poi
se ne andava, via, lontano, dissolvendosi nel nulla, lasciando a
terra brandelli del cuore, frantumato in tanti piccoli pezzetti e non
facendo ritrovare null’altro. E Anis era come una vittima che
vagava sola, nella speranza di rimettersi in sesto, di unire i
brandelli e rinascere.
Ma siamo solo umani, e
tutti ciò che riusciva a fare Anis ora, era strisciare il cuore tra
il casino e la confusione che Tom aveva lasciato.
Il biondo alzò gli
occhi guardando le mani dell’uomo tremare, strette attorno alla
tazza calda, i pensieri persi chissà dove.
“Non capisco,” fece
poi Anis raddrizzando il capo e rivolgendogli un'occhiata penetrante
“ha detto che non voleva più essere impegnato sentimentalmente per
potersi dedicare al suo lavoro. E ora mi dici che ha un'altra
persona” sputò con rabbia, ma poi tornò a trattenersi. Non voleva
spaventare anche Bill. Schiuse le labbra e si passò una mano sul
viso stanco.
“Forse non andavo più
bene io…” disse infine, arrivando da un'amara conclusione.
-An, tu... tu avevi
promesso una cosa a te stesso ma soprattutto l'avevi promessa a mio
fratello” cominciò Bill con aria seria e portando una mano in
avanti, sul tavolo, sfiorando la sua a mo' di conforto.
“E non hai mantenuto
il giuramento. Lo sai, ciò che gli hai fatto non si perdona…”
lasciò cadere il discorso perchè fondamentalmente non si sentiva di
dare ancora addosso ad Anis. Aveva sbagliato, aveva pagato e tuttora
ne stava male, era un uomo distrutto e anche Tom aveva indubbiamente
delle colpe, in quella relazione. Sarebbero potuti essere felici, se
solo avessero voluto.
“Comunque,” riprese
qualche attimo “io cercherei degli occhiali da sole, una vecchia
giacca di pelle e poi....ah, sì, la sua tuta da sci.”
Anis raccolse le due
tazze rosse, ormai vuote, le posò nel lavabo ordinato ma poi puntò
nuovamente gli occhi nei suoi.
“Ho bruciato tutte le
sue cose” lo informò con un tono di voce piatto. Ricordava quando,
settimane prima, aveva raccolto tutto ciò che gli rimaneva di Tom ed
aveva acceso un fuoco nel giardino e aveva guardato il fumo salire
verso il cielo, aveva ascoltato l'accartocciarsi dei materiali che
bruciavano, era rimasto seduto lì accanto desiderando fare la loro
stessa fine.
“Mi dispiace che tu
abbia fatto questo viaggio a vuoto, e mi dispiace avertelo detto solo
ora e non appena sei arrivato” continuò, laconico alzando
nuovamente gli occhi verso quelli ambrati del ragazzo.
Quello che vide lo
sorprese. Bill gli stava sorridendo, un piccolo sorriso timido ma
sincero, sembrava dire non ti preoccupare, va bene così.
Ed effettivamente Bill, in quel momento, non si era sentito di odiare
Anis come aveva fatto nei mesi precedenti, perchè era davvero
distrutto, era tutt'altra persona, come se il rapper Bushido non
fosse mai esistito e ci fosse solo un comunissimo uomo di nome Anis
che, vuoto ed assente, pagava le conseguenze delle proprie azioni.
“Allora forse è
meglio che io vada” fece il biondo alzandosi e prendendo la giacca
dalla sedia accanto.
“Stammi bene, An. E
chiamami, se hai voglia di fare due chiacchiere” gli sorrise ancora
una volta, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
Anis si limitò ad
annuire, poi lo accompagnò alla porta principale, tenendogli una
mano sulla schiena, guidandolo attraverso il corridoio.
“Ciao, Bill” soffiò
fuori dalle labbra, guardandolo ancora una volta e focalizzandosi sul
suo viso, la copia perfetta di quello di Tom. Aveva bisogno di
chiudere quella porta immediatamente per evitare di crollare come un
ragazzino.
“Ciao, Anis, grazie
per il caffè” rispose educatamente Bill scendendo gli scalini.
Anis, con una fitta al
cuore, chiuse la porta senza guardarlo andare via, come se facesse
troppo male.
Ed effettivamente era
così: faceva malissimo. Era come se sapesse che non si sarebbero mai
più rivisti. Tornò ad invaderlo la malinconia, lo stomaco gli si
contrasse dolorosamente e con le fitte arrivò la nausea, insieme al
mal di testa, aveva voglia di piangere.
L’uragano Tom era
passato un'altra volta.
*
Angolino
dell'autrice: Ciao a tutti! Per prima cosa, grazie per essere
arrivate fino alla fine del primo capitolo :)
Il
titolo della storia significa “Rimango qui tutto solo e combatto”
(è tratto dalla canzone di Bushido “Wärst
du immer noch hier?”) mentre quello del capitolo, tratto da
una canzone di “Die toten Hosen”, significa “solo per una
visita”
Questa
storia è nata qualche anno fa e, sinceramente, ne avevo scordato
l'esistenza. Qualche giorno fa l'ho ritrovata e ho deciso di
aggiustarla, togliere qualche pezzo, aggiungerne altri e soprattutto,
da One Shot è diventata una storia di pochi capitoli.
La
scelta dei personaggi è stata dettata da un film, quello sulla vita
di Bushido (che si intitola Zeiten
Ändern Dich)
ed inizialmente doveva essere una Billshido (BillXBushido), ma mi ero
detta che sarebbe stato troppo scontato e ho preferito mettere in
mezzo Tom.
Se
vi è piaciuto il capitolo, fatemelo sapere!
A
presto!
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