Hold On To What You Believe
Hold On To What You Believe
Il viso della piccola Elsa era
incollato alla finestra della
sua cameretta: gli occhi spalancati, i pugni tremanti che battevano non
troppo
forte sul vetro e la bocca che emanava lunghi e impazienti sospiri. Lo
spirito
dell’inverno sarebbe arrivato quella notte, avevano detto gli anziani
di
Arendelle, e la principessa non vedeva l’ora di incontrarlo. Aveva
letto decine
e decine di leggende su Jack Frost, udito decine e decine di racconti
su di lui
e nel suo cuore si era annidata la flebile speranza di aver trovato
qualcuno
come lei. Qualcuno di speciale, magico, freddo, ma non pericoloso
quanto lo era
lei. Qualcuno che non avrebbe mai fatto del male a nessuno e che la
gente amava
e attendeva ogni anno con grande entusiasmo.
Alcuni narravano che Jack Frost fosse
solo un folletto,
altri che fosse l’aiutante di Santa Klaus, altri ancora che non
esistesse
affatto e fosse solo un’invernale allegoria. Elsa scrutò attentamente
il sereno
cielo notturno e tra le infinite e luccicanti stelle, scorse l’astro
più
brillante di tutti e il suo corpicino ebbe un fremito. Era così
maestosa e
incantevole la luna, tanto pallida quanto luminosa, la sovrana più
regale ed
elegante di tutte. Elsa la pregò di portare Jack Frost da lei, di darle
prova
di non essere sola al mondo, l’unico fenomeno da baraccone da celare
agli occhi
dell’indifesa gente. Chiuse gli occhi e pose le mani, unite, davanti al
petto,
le lacrime iniziarono ad attraversare le sue scarne guance. Pensò alla
sua prigionia,
pensò alle cose belle che la vita le avrebbe negato fino alla fine dei
suoi
giorni, pensò alla sua insostenibile solitudine. Pensò, fermamente
convinta,
che Jack esistesse eccome e avesse bisogno, come lei, di un amico che
credesse
in lui. Pregò con maggior devozione la luna di esaudire l’unico
desiderio che
animasse il suo cuore già stanco e ferito, pregò per Anna affinché non
dovesse
più elemosinare alla porta un’ora o poco più di gioco in compagnia di
Elsa.
Chissà se la Luna, lassù, in alto, la
stava ascoltando.
“Per favore”, sussurrò Elsa ad occhi
chiusi.
La finestra si spalancò di colpo e un
gelido vento colpì
dritto in volto la bambina. Fiocchi di neve iniziarono a cadere e Elsa
decise
ad aprire gli occhi. Che la Luna avesse udito le sue preghiere?
Raccolse alcuni
fiocchi sui palmi di entrambe le mani coperte dai guanti e sorrise di
cuore
come non faceva da tempo. Si mise a studiarli attentamente e notò
quanto
fossero perfetti, meravigliosi, l’opera di un vero maestro. Anche lei
voleva
diventare altrettanto brava, stupire la gente invece di terrorizzarla
ed essere
amata per questo. Sorrise e portò le mani sul volto per sentire quel
brivido
freddo sulle sue guance ancora bagnate dalle lacrime. Quel gelo che le
scorreva
nelle ossa era parte di lei, un alito di vita che soffiava dritto sul
suo
cuore. Era una sensazione che Elsa opprimeva ed era incapace, il più
delle
volte, di apprezzare a causa di ciò che aveva fatto ad Anna. Tutto ciò
era
sbagliato, eppure così giusto e naturale secondo un punto di vista che
solo
Elsa poteva assumere. Solamente Elsa e il celeberrimo Jack Frost.
“Ti piacciono, eh?”
Una voce squillante, ironica, a
tratti dolce, risvegliò Elsa
dai suoi pensieri. La bambina alzò lo sguardo e trovò Jack Frost – sì,
proprio
lui – appollaiato sul davanzale della sua finestra. Così diverso da
come lo
avevano sempre descritto, ad Elsa non appariva affatto come un piccolo
e
sinistro folletto, bensì come una delle persone più belle che avesse
mai visto.
Gli arruffati capelli argentei come un raggio di luna, gli occhi
azzurri come
un cielo estivo sgombro di nuvole e un sorriso che Elsa capì subito non
essere
davvero radioso e divertito. Quello era il sorriso malinconico di chi,
esattamente come lei, aveva un cuore colmo di dolore e solitudine, il
sorriso
di chi cerca, speranzoso, un posto nel mondo. Elsa lo sapeva, sapeva
talmente
tanto per essere solo una bambina.
“Tu esisti”,
fu
l’unica cosa che riuscì a dirgli con una voce mista di emozione e
incredulità.
“Tu esisti sul serio, la Luna mi ha ascoltato”.
Jack strabuzzò gli occhi e sul suo
volto si dipinse
un’espressione indecifrabile. Strinse con decisione il suo bastone e i
fiocchi
di neve smisero di cadere.
“Tu mi vedi?”, chiese scandendo per
bene ogni sillaba.
Elsa annuì, nel petto un martello
insistente e le mani
nascoste dietro la schiena, e pensò che questo fosse un sogno.
“Tu mi vedi?”, ripeté il guardiano
smarrito. Jack si voltò
in direzione della sua amata Luna. “Lei mi vede, mi hai mandato qui per
questo?”
La Luna sembrò sorridergli, notò
Elsa, e il ragazzo decise a
scendere dal davanzale e toccare il pavimento bagnato con suoi piedi
nudi. La
bambina ebbe l’impulso di mandarlo via dalla sua inaccessibile stanza,
quella a
cui non faceva accedere nemmeno la sua sorellina, ma non gli diede
ascolto e si
ritrovò faccia a faccia con colui che tutti credevano fosse una
fantasia
popolare. Jack le si era inginocchiato davanti con quell’aria ancora
scettica
che non riusciva ad abbandonarlo. Era sul punto di piangere, così come
Elsa che
si stava lasciando intenerire da quello che per lei non era che un
ragazzino
speciale.
“Tocca la mia mano”, le disse, quasi
implorandola.
“Toccala”.
Elsa non ebbe il coraggio di fargli
vedere la sue mani e
dissentì con il capo.
“Per favore”.
La bambina, intenerita e allo stesso
tempo spaventata, si
sfilò prima un guanto e poi l’altro con estrema lentezza. Li gettò per
terra e
con il cuore in gola, si avvicinò alla mano di Jack, temendo fino alla
fine che
se l’avesse toccato, lui si sarebbe dissolto nel nulla.
“Non devi aver paura”, fece lui
dolcemente. “Non averne”.
Nel momento in cui le loro mani si
sfiorarono, Elsa non
riuscì a fare a meno di emettere un verso di pura meraviglia. Jack era
ancora
lì, ancor più stupito di quanto lei potesse esserlo, e la fissava
intensamente
negli occhi, scolpendo nella sua mente ogni suo singolo particolare per
renderlo eterno ed indimenticabile. Entrambe le loro mani erano fredde,
pallide, e in qualche inspiegabile modo sembravano combaciare, come se
fossero
fatte l’una per l’altra. Elsa venne colpita da un sentimento
prorompente,
enorme, e in quella frazione di secondo crebbe nell’esistenza di Jack
Frost più
di ogni altra cosa al mondo. Lui era vero, lui era come lei e d’ora in
poi
sarebbe andato tutto bene. Mai più paura, mai più.
Elsa gli saltò addosso, intrecciò le
sue manine intorno al
collo di Jack e scoppiò a piangere. Non si era mai sentita tanto felice
e
pervasa da una selvaggia speranza.
Jack lasciò cadere il bastone e
ricambiò l’abbraccio.
Piansero entrambi: adesso non erano più soli.
“Guarda, anche io sono come te”,
esclamò Elsa orgogliosa
materializzando un imperfetto fiocco di neve sul palmo della sua mano.
“Anche
io faccio quello che fai tu”.
“Ma io lo faccio meglio”, ribattè
Jack divertito.
Elsa gli rivolse un’occhiataccia e il
guardiano le prese la
mano e la mise sul suo palmo. “L’unico modo che hai per controllare i
tuoi
poteri è accettare i tuoi poteri. Questo è quello che sei e devi voler
bene ciò
che sei”.
Parole vissute, ricche di esperienza
e dolore: Jack
conosceva bene l’argomento che stava trattando. I suoi non erano
incoraggiamenti di circostanza, banali e Elsa le apprezzò tantissimo,
anche se,
data la sua giovane età, solo con il tempo avrebbe potuto comprenderne
appieno
il significato e farle proprie.
Fallì nuovamente nel tentativo di
creare un perfetto fiocco
di neve e sbuffò, delusa. Jack strinse più forte la sua mano.
“Non aver paura”.
Elsa ci riprovò più di tre volte e
solo quando si sentì
perfettamente a suo agio tra le braccia di Jack Frost, solo quando si
sentì
perfettamente a suo agio con se stessa, i suoi occhi videro un fiocco
di neve
degno del guardiano dell’inverno, impeccabile. Dalle sue mani era
venuto fuori
qualcosa di buono. Da quella che lei riteneva essere una maledizione,
era
venuto fuori qualcosa di buono. Aveva cacciato via la paura e la
vergogna e
aveva lasciato vincere se stessa. Se solo Anna avesse potuto vederla!
Elsa
riusciva già ad immaginare il suo faccino lentigginoso pieno di
orgoglio e
gioia, riusciva ad immaginare mille e mille bellissimi pupazzi di neve
da
costruire insieme.
Si voltò verso Jack con un enorme
sorriso colmo di
riconoscenza. “Vicino a te non ho paura, non ne avrò mai”.
Il guardiano impresse nel cuore
quella frase e sfiorò il
dorso della mano di Elsa, cogliendola di sorpresa. Era indescrivibile
poter
toccare qualcuno, poterlo abbracciare, potergli parlare … ed era ancora
più
magnifico se questo qualcuno condivideva il suo dono.
Jack mise a letto Elsa e si premurò
di rimboccarle le
coperte e di chiuderle la finestra per tenerla al caldo. Sentiva
un’enorme
responsabilità nei suoi confronti e non voleva negarle alcuna cortesia.
“No”, protestò la bambina. “Se chiudi
la finestra non potrò
vederti imbiancare Arendelle. Voglio veder cadere la neve stanotte”.
“Ma fa freddo …”
Elsa lo interruppe. “A me il freddo
non ha mai dato
fastidio. Sono gli altri che rischiano di morire congelati …”
Le lacrime le punsero gli occhi al
pensiero di ciò che aveva
fatto subire ad Anna e si nascose sotto la pesante trapunta. Provava di
nuovo
paura e vergogna nei confronti di se stessa.
Jack la scoprì appena per poter
scorgere il suo volto e le
diede un bacio sulla fronte. Elsa ebbe un fremito e gli afferrò il
polso,
costringendolo a guardarla negli occhi.
“Promettimi che resterai qui, Jack
Frost”, sussurrò Elsa.
“Qui con me, sempre”.
Jack, con il suo bastone e gli occhi
dipinti di una nuova
luminosa tonalità di azzurro, si posizionò a fianco del suo capezzale,
intenzionato a non lasciarlo prima che sorgesse il nuovo sole.
“Grazie, Jack Frost”.
“Grazie, piccola Elsa”.
“Un momento … come fai a sapere il
mio nome?”
Il Guardiano indirizzò lo sguardo al
di là della finestra
per poi ritornare a perdersi nell’unico paio di occhioni nei quali
poteva
vedere la sua immagine riflessa. “Me l’ha detto la mia Luna. Lei sa
sempre
tutto”.
Elsa si addormentò guardando
beatamente l’unico paio di
occhi nei quali poteva vedere la bambina che era e non il mostro che
credeva di
essere. E dopo tanto tempo, si sentì veramente a casa.
Dopo tanto tempo, Elsa si sentì
coraggiosa, impavida.
Mai più paura, mai più.
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