Titolo
storia: Il cielo prega ancora per salvarti
Nickname
sul forum e su EFP: Ayumu Okazaki —
Ayumu
Fobia
utilizzata: ommetafobia
Fandom:
Makakucity Actors/Kagerou Project
Personaggi:
Mary Kozakura
Genere:
Angst, Drammatico, Introspettivo
Raiting:
giallo
Avvertimenti
+ note: Tematiche delicate [?]
Introduzione:
Lasciò che
il sangue la macchiasse e
senza pensare alle conseguenze affondò la disperazione sulla
figura
dinnanzi a sé; la lastra di vetro si ruppe e nel punto in
cui aveva
colpito, le schegge non trovarono sollievo nel cadere a terra, ma si
accontentarono di insediarsi nella carne di Mary.
Note
dell'autore: (alla fine)
Il
cielo prega ancora per salvarti
Dolcemente
affonda con te, la speranza di sopravvivere ancora.
Mary
credeva che allontanarsi dalla città per un po' le avrebbe
fatto
bene. Le cose inutili come il trambusto, il caos, i clacson che
ripercuotevano nei padiglioni auricolari quello stridio –
come lo
chiamava lei – sgradevole, le persone che marciavano
convulsamente
come formiche rosse e seguivano la monotona routine di tutti i
giorni, era riuscita a lasciarsele alle spalle. E di questo ne era
felice, quel luogo di montagna le comunicava calma e pace. Se la sua
anima era, da una parte, in uno stato di beatitudine, dall'altra non
riusciva ad accettare il fatto di convivere con la paura. L'ansia di
evitare accuratamente ogni contatto umano era diventata una mania. E
sottrarsi a qualsiasi legame era diventato difficile; pensava che
ritirarsi in una casa isolata di montagna avrebbe migliorato la
situazione, ma gli
occhi
erano dappertutto, persino nei suoi sogni, dove ormai la sua mente
non distingueva più ciò che era reale da
ciò che era solo frutto
del suo inconscio. In un moto perpetuo la sua coscienza tentava di
ridestarla da quel sonno a occhi aperti, ma l'intelletto non ne
voleva sapere di darle ascolto.
Per
un paio di giorni non si era imbattuta in nessun riflesso, o
qualunque cosa che potesse rivelare la sua persona, in particolar
modo le sue iridi rosa perlato, con sfumature di magenta chiaro.
Bastò uno spiraglio di spensieratezza a far cadere tutte le
sue
speranze, o come preferiva chiamarle: illusioni.
Quando
ciò avvenne, camminava tranquilla verso il bagno di casa,
era
mattina presto, la luce del sole picchiettava sulle ante in legno e
gli uccellini bisbigliavano armoniosamente, appoggiati a qualche ramo
secco. Quando vi entrò non pensò minimamente di
evitare lo specchio
e l'idea di potersi osservare finalmente, dopo tanto tempo, ebbe il
sopravvento. Quindi sorrise, e fissò lo sguardo su di lei.
Fu
pietrificata lentamente da se stessa, quelle pupille che la
guardavano le rimembrarono tutti i momenti disperati in cui tentava
di lottare contro la sua fobia, e regolarmente perdeva.
Allungò
una mano e protese il dito indice verso la superficie fredda e
liscia. Al primo tocco ritirò l'arto, incapace di fermare il
tremore. Lo specchio traballò leggermente sotto la pressione
causata
da Mary. L'oscillazione modificò, seppur impercettibilmente,
i
lineamenti della giovane, un movimento così simile al sasso
che
affondò nel lago lo scorso pomeriggio, facendo ondeggiare
l'acqua.
Al secondo toccò, la mano era chiusa su stessa e le unghie
affondavano nella pelle morbida, qualcuna graffiava l'epidermide.
Lasciò che il sangue la macchiasse e senza pensare alle
conseguenze
affondò la disperazione sulla figura dinnanzi a
sé; la lastra di
vetro si ruppe e nel punto in cui aveva colpito, le schegge non
trovarono sollievo nel cadere a terra, ma si accontentarono di
insediarsi nella carne di Mary. Si distese sul marmo, e unì
il palmo
sano a quello ferito, cercando conforto. Le fitte si fecero mano a
mano più acute, e l'angoscia offuscò la sua vista
di gocce salate.
Le lacrime erano calde, come il rosso che fluiva dalla ferite.
Ora
che finalmente aveva trovato un luogo in cui pensava di poter
guarire, sentiva di dover andare via. Come la casa di città
anche
quella si era infettata della sua paura, e non poteva continuare a
vivere lì. Si alzò, ancora scossa,
uscì dall'abitazione e si
diresse al dirupo, un luogo dove poteva pensare lucidamente e
prendere la decisione migliore. Il tragitto si fece sempre
più
scosceso e impavido, Mary inciampò svariate volte
procurandosi
sbucciature su entrambe le ginocchia. I sassolini che si alzavano
sotto i suoi passi, si incastravano tra la scarpa e il piede,
ricordandole le punture degli aghi, veloci e amare. Arrivò
alla meta
con il respiro irregolare, le ginocchia dolenti e la mano martoriata
la sentiva appena. Mosse ancora qualche passo verso la punta del
precipizio e esaminò il fondo, un cumulo di rocce che si
stagliava
per chilometri e chilometri.
Un'aquila
padroneggiava con elegante sicurezza le correnti d'aria e si librava
sola nel cielo, scrutando le sue prede dall'alto. Sbatteva le ali
quando voleva riprendere quota e si riposava, lasciandole
semplicemente spiegate quando voleva abbassarsi. Mary ne rimase
incantata, mai ne aveva contemplata una. Le sembrò libera in
tutto
quel fluire azzurro che la volta celeste le riservava. Anche lei non
voleva più essere sottomessa da quella paura che la
incatenava lì
dov'era. Così, mosse un passo di troppo e il sostegno
mancò sotto i
suoi piedi.
Non
si accorse nemmeno di star cadendo, ora che il suo sogno era
diventato realtà si concentrò su quei pensieri
positivi. Essi le
infondevano un'infinita sicurezza, e solo quando urtò
violentemente
il suolo si rese conto di aver sbagliato tutto. Di lei rimase solo un
corpo afflitto e scomposto dalle molteplici ossa rotte. Il sangue era
rimasto accanto a lei, fino alla fine.
♣
NOTE
DELL'AUTRICE
Premetto
che la bozza di questa storia non mi era piaciuta per niente, ma
quando sono andata a correggerla, riguardarla e ampliare certi
momenti, ne sono rimasta soddisfatta. Non mi sarei mai aspettata di
approdare su questo fandom con una storia così triste,
drammatica,
però è successo, quindi pace. Mary è
un personaggio che amo tanto
e mi dispiace averla fatto morire, ma è così che
doveva andare. La
paura che presenta Mary è l'Ommetafobia (paura degli occhi)
e non so
se sono riuscita a renderla al meglio, io comunque so di essermi
impegnata con tutta me stessa.
La
storia doveva essere una flash, ma contro ogni mia previsione
–
come spesso capita – si è trasformata in una OS,
non troppo lunga
ovviamente. Credo di aver detto tutto il necessario, quindi sparisco,
con l'augurio di tornare presto a scrivere su questo fandom con Kano
Shuuya, l'amore mio, perché sì.
Ayumu
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