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CAPITOLO I ◊
Wildest dreams.
Le mie amiche
continuavano a guardami, come se da me si aspettassero qualcosa.
Più volte avevo provato a dire loro che quando mischiavo i
vari alcolici ai succhi di frutta, non avevo la minima idea di quello
che facevo, eppure, per qualche strana ragione loro mi consideravano il
guru dei cocktail.
Distolsi velocemente lo sguardo dai loro occhi nascosti
dall’oscurità della camera, riportandolo sul
tavolo stracolmo di qualsiasi tipo di bevanda alcolica. Bottiglie di
Gin vuote, si confondevano con altre ancora da aprire, molte tipologie
di Vodka erano sparse su per il tavolo, mentre i vari succhi, erano
sistemati disordinatamente ovunque.
-Come sempre hanno comprato solo alcool. - Borbottò Mya,
mentre le passavo il bicchiere. Avevo deciso di mischiare della
semplice acqua tonica al limone e gin. Nonostante fosse uno dei
cocktail più semplici, restava il mio preferito.
- E poi è tutto così buio e questi non fanno
altro che strusciarsi tra di loro. - Aggiunse poco dopo, facendo una
smorfia con le labbra.
Scossi appena la testa, gli occhi di Mya mi scrutarono mentre si girava
tra le dita il bicchiere di plastica. Era uno sguardo che conoscevo
bene, sicuramente nella sua testa era in corso una di quelle analisi
super dettagliate della situazione. La sua mente era in grado di
memorizzare ogni piccolo dettaglio e poi riproporlo come se
l’avesse registrato su un dvd. Molti trovavano irritante
questa sua parte di carattere, infatti più delle volte si
ritrovava leggermente messa da parte o tenuta all’oscuro su
alcune cose. Beh, delle volte anche io mi trovavo a tenerla un
po’ a distanza, i suoi modi di fare spesso mettevano in
subbuglio mezzo dormitorio femminile.
-Beh, non parlare troppo presto, tra dieci minuti sicuramente ci sarai
anche tu in mezzo a loro. - Dissi sicura di me, guadagnandomi
un’altra smorfia da parte sua. Non potevo farci nulla, ma non
sopporto proprio chi predica bene e razzola male.
-Nike, ti prego, a me non farlo troppo pesante. – Mi chiese
Ellie, arricciando il naso a causa dell’odore di alcool. La
mia compagna di stanza non faceva altro che scostarsi una ciocca di
capelli dagli occhi, chiunque avrebbe preso il suo atteggiamento come
qualcosa che la poneva sulla difensiva, in realtà, la
poverina, tentava di nascondersi dalle occhiate languide di un tizio
che l’aveva puntata.
Dopo aver terminato di preparare anche il suo drink, glielo passai
velocemente, cercando di non mostrare loro quando realmente mi sentivo
a disagio in quel momento. Odiavo quelle stupide feste, tutti nel
nostro dormitorio sembravano essere impazziti.
Quel giorno, eravamo lì a festeggiare la laurea di due
ragazzi. Uno era un tizio per me del tutto anonimo, ci avevo scambiato
massimo due parole in croce e sinceramente non avevo nessunissima
intenzione di diventare sua amica. Il vero motivo per cui mi trovavo
lì quella sera era Julienne, finalmente era riuscita a
terminare i suoi studi in Giurisprudenza e ora, come neo avvocatessa,
se ne stava distesa su una sedia completamente ubriaca.
-Ehi Naaike, fai un drink anche per me! - Mi urlò una voce
maschile nell’orecchio destro.
-Ti ho detto ventimila volte che il mio nome si pronuncia Nike. -
Sbottai. –E puoi anche preparartelo da solo, le mani ce
l’hai John! - Risposi a voce alta tentando di sovrastare la
musica.
-Sei sempre così scontrosa. - Borbottò John,
stringendosi le braccia al petto, per poi voltarsi verso Ellie,
cambiando totalmente espressione. –Ehi, stasera stai proprio
bene. - Disse con sicurezza, per poi sfoggiare un sorrisone.
Come previsto, Ellie assunse l’espressione di una persona che
era stata appena colpita in faccia con un pomodoro, rispose velocemente
con un grazie ma la sua voce fu coperta da un’altra che
arrivava alle mie spalle, piantandomi un bicchierone in mano.
-Non va mica bene che sei ancora sobria, su, voglio vederti ballare. -
Un sorriso smagliante era presente sul viso di Meredith, mentre i suoi
occhi brillavano.
Scossi la testa, mentre un sorrisetto si formava sulle mie labbra. Non
mi ero mai fatto nessunissimo problema a bere, l’alcool mi
faceva sciogliere, era l’unico modo in cui riuscivo a dare il
meglio di me ad una festa e sinceramente, se quella sera volevo
divertirmi, allora avrei dovuto bere almeno qualche bicchiere.
Mentre tracannavo il cocktail che aveva preparato per me la mia amica
(una cosa imbevibile per quanto era forte), una mano si strinse intorno
al mio braccio, trascinandomi in pista.
Mya, dal suo metro e cinquanta, e Ellie, con il suo sorrisetto sempre
presente, stavano cercando in tutti i modi di ondeggiare i fianchi
sulla pista da ballo, così avevano deciso di trascinarci
anche me.
Il problema era che la pista era troppo vuota e io troppo sobria,
così mi allontanai un secondo, alla ricerca di un nuovo
cocktail da tracannare.
Vorrei specificare che come rimedio alla timidezza non consiglio per
niente di darsi all’alcool e che per divertirsi non
c’è bisogno di essere per forza ubriachi,
però, si tratta del mio povero fegato, quindi provate a non
giudicarmi troppo duramente.
La sala studio sembrava quasi irriconoscibile quella sera, i banchi
erano stati completamente spostati contro i muri, creando
così abbastanza spazio per ballare, e tutte le luci erano
state spente, rendendo così come unica fonte di
illuminazione i lampioni che si riflettevano attraverso le grandi
finestre.
Dopo aver tracannato il mio terzo bicchiere, decisi che avevo raggiunto
quello stato di allegria adatto per potermi sciogliere e ballare,
così tentando di non mostrare quando realmente mi sentissi
impacciata a essere lì da sola come un’alcolista
attaccata alla sua bottiglia, mi avviai nuovamente verso le mie amiche.
Ebbi tempo giusto di fare tre passi, prima che il mio povero braccio
venisse completamente spazzato via da qualcuno. Non ci fu nemmeno il
tempo di provare a restare in equilibrio, le mie gambe decisero di non
collaborare e dopo due secondi mi ritrovai a cadere di sedere sul
pavimento.
Sollevai immediatamente lo sguardo, sentivo la rabbia ribollire e
iniziai a sudare freddo nel tentativo di calmarmi e non strappare a
morsi la mano che mi si era piazzata davanti agli occhi e che aspettava
lì sospesa di essere afferrata.
-Ti sei fatta male? - Mi chiese un tizio del tutto anonimo, tirandomi
su poco dopo e scrutandomi con lo sguardo. Il fatto che non lo
conoscessi significava soltanto che era uno degli invitati di Matt,
l’altro ragazzo che si laureava. Lo stesso giorno il
dormitorio si era riempito di persone nuove, che aveva scombussolato i
soliti abitanti, essendo un edificio abbastanza piccolo, permetteva a
tutti di conoscersi tra di loro, difficilmente una faccia nuova passava
inosservata.
Grugnii un “no”, mentre mi portavo entrambe le mani
all’altezza della schiena, massaggiandola piano. Sentivo
tutti i muscoli indolenziti, per di più quel cretino non la
smetteva di fissarmi e l’alcool che avevo in circolo mi
faceva tremare le gambe, come se fossero fatte di gelatina.
-Amico, ecco a te. -
Un bicchiere rosso entrò nel mio campo visivo mentre la mano
del tizio l’afferrava, portandoselo velocemente
all’altezza del petto. –Mi dispiace. -
Biascicò poi verso di me.
Io annuì velocemente, cercando di tagliare corto e
allontanarmi velocemente da quel tipo, mi metteva in soggezione e mi
sapeva di cosa viscida.
-Perché? Che hai combinato? - Chiese l’amico.
Mi voltai lentamente verso di lui, non riuscendo a scorgere un bel
niente. Il suo viso era completamente in ombra, potevo solo dire che i
capelli gli ricadevano in morbide ciocche sulla fronte, arricciandosi
appena vicino alle orecchie. Aveva le braccia conserte e il suo
giubbotto di pelle si contraeva sulle spalle larghe.
-Niente, c’è stato un piccolo incidente. -
Sghignazzò l’altro, prendendo un copioso sorso dal
bicchiere. I suoi occhi scuri erano velati da una patina, sembrava
presente e assente nello stesso momento.
-Nessun problema. - Dissi velocemente, superando immediatamente il duo
di amici ubriachi, non riuscendo però a trattenermi dal
voltare di poco la testa per osservare il ragazzo dal giubbotto di
pelle, che ora era di spalle.
Non riuscii a vedere molto e la mia attenzione fu subito catturata da
Ellie che ballava al centro della pista, era così stretta a
John che non avrei saputo dire in che punto i loro corpi si separavano.
-Che mi sono persa? - Chiesi a Mya, avvicinandomi a lei.
Lei scrollò le spalle, prendendo una delle mie mani e
trascinandomi in pista con lei. –A quanto pare la nostra
Ellie decide si lasciarsi andare dopo qualche bicchiere. -
Sollevai lo sguardo preoccupata, sapevo quando la presenza di John
mettesse a disagio Ellie normalmente, solitamente lei cercava di
evitarlo in tutti modi possibili e lui le mandava di continuo dei
messaggi. Spesso, in camera, ci ritrovavamo a ridere sulla cosa. Per
questo, in quanto le mie condizioni erano migliori delle sue, dovevo
accettarmi che non facesse nulla di cui poi pentirsi.
Il fatto che la pista si fosse affollata di punto in bianco non
aiutava, in più Meredith continuava a passarmi quei malefici
cocktail trovando ogni piccola scusa per fare qualche brindisi.
-Dai, lasciamola divertire per qualche attimo. - Disse Mya con un
sorrisetto.
Dieci minuti e poi la tiro via di lì, mi ripromisi mentre
prendevo un sorso dal mio drink.
Qualcuno aveva acceso improvvisamente la luce. O forse no?
Dove cavolo ero? E perché ero distesa?
Okay, ero in un letto. Era il mio??!!
Aprii entrambi gli occhi di scatto, pentendone amaramente
all’istante. Sentivo la testa pulsare, mentre un dolore
lancinante si espandeva attraverso le tempie che cercai di massaggiare.
Sì, quella era decisamente la mia camera e quello era il mio
letto.
Sollevai appena il pesante copriletto viola, osservando così
il mio corpo. Indossavo ancora i vestiti della sera precedente, il
vestitino nero era completamente stropicciato, mentre le calze mi
sembravano una trappola per le mie gambe.
Cosa diavolo era successo? Come ero arrivata nella mia camera?
Girai lentamente la testa, portando così lo sguardo in
direzione del letto di Ellie, era completamente intatto. Il cuscino era
perfino nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato la sera
precedente.
Quanto tentai di alzarmi, per poco non gettai entrambi i piedi
all’interno di una bacinella che era stata posizionata vicino
al mio letto, all’altezza del cuscino. Ricordavo solo una
parte della serata, mentre l’altra era come avvolta da un
fitto strato di nebbia. A quanto pareva, tra un brindisi e
l’altro con Meredith avevo bevuto decisamente di
più di quanto mi ero premessa.
Il colpo più duro fu guardarsi allo specchio, il trucco era
completamente colato creando degli aloni neri intorno agli occhi, le
guance sembravano ancora più pallide del normale e i miei
occhi parevano spiritati.
Mentre mi sciacquavo lentamente la faccia, aprendo con molta cautela il
rubinetto del lavandino nella camera, l’occhio mi ricadde
sull’orologio. Per poco non mi prese un colpo, erano quasi le
due del pomeriggio e io mi sentivo come una larva, mentre strisciavo in
direzione del mio cellulare.
Probabilmente era il secondo colpo in un arco di tempo di tre secondi,
trovai come minimo dieci chiamate perse di mia madre e alcuni messaggi
di numeri che non conoscevo. Decisi che prima di mettere chiarezza su
cosa avessi combinato la sera prima, avrei dovuto richiamare mia mamma,
oppure avrei rischiato di vedermi arrivare in camera un plotone di
poliziotti che cercavano la figlia dispersa.
Non feci nemmeno in tempo a comporre il numero, che il telefono
iniziò a squillare. Mi sembrava di avere una bomba tra le
mani, il suono stridulo della suoneria feriva le mie orecchio facendomi
desiderare di gettare quell’aggeggio malefico fuori dalla
finestra.
-Pronto?!- Risposi velocemente, senza soffermarmi troppo sul numero
comparso sulla schermata.
-Ehi. - Mi salutò una voce maschile del tutto estranea.
–Avevo pensato, visto che io nel pomeriggio di domani dovrei
avere un po’ di tempo, sarebbe perfetto, non trovi? -
Estremamente confusa, scostai il telefono dall’orecchio,
così da poter leggere il numero che compariva sulla
schermata e per poco non caddi a terra. Non ricordavo minimamente di
aver salvato quel numero, ne del fatto che, completamente ubriaca,
avevo digitato lettere a caso e il telefono aveva corretto
automaticamente il tutto con “wafftlem”. Non era
nemmeno una parola, cavolo!
-Ehm, io non… avresti un po’ di tempo per cosa
esattamente? - Balbettai appena dopo aver riportato il telefono
all’altezza dell’orecchio.
Lui restò in silenzio per qualche istante. –Per le
fotografie. - Disse poco dopo. –Non ricordi? -
Uhm, non proprio. –E quanto ne avremmo parlato, scusa? - Ma
la domande che volevo porre realmente era: Ma quali cavolo di
fotografie?!
Il poveretto restò in silenzio nuovamente, per poi scoppiare
in un fragorosa risata. –Non ricordi niente, vero? -
-Cosa dovrei ricordare? - Quasi strillai sulla difensiva.
-Ieri sera, mi hai detto che cercavi un fotografo che ti aiutasse per
alcune fotografie che ti servivano per completare un articolo di
giornale. - Spiegò lui, sembrava un po’ troppo
divertito. –Mi hai un po’ assillato, ripetendo
quanto le fotografie fossero importanti. -
-Secondo me hai sbagliato numero. - Dissi convinta. Okay che ero
completamente andata, però sinceramente da qui a inventarmi
una cosa del genere ce ne passava. Io studiavo musica, a cosa cavolo mi
servivano delle fotografie per un articolo che nemmeno stavo scrivendo
e che mai avrei scritto?
-Sei Nike, no? - Rispose poi. –Non credo che ci siano molte
persone che hanno il nome di una scarpa. -
-E’ il nome di una Dea greca! - Scattai quasi automaticamente.
-Lo so, ieri sera me lo hai spiegato abbastanza nel dettaglio. -
Oddio, cosa cavolo avevo combinato la sera precedente?
– Ehm, sì, sono io. - Balbettai poi a stento
esausta. –Senti, ieri sera non ero proprio lucida a essere
sincera non so nemmeno con chi sto parlando, il che mi imbarazza
davvero tanto, però io non sono interessata a nessuna
fotografia. -
Il silenzio governò sovrano per alcuni istanti, poi il tizio
riprese a ridere di gusto.
Il fatto che si prendesse gioco di me faceva salire solo la mia
irritazione. –Scusami, ma tu chi saresti? -
Fui quasi certa di sentirlo sghignazzare. –
Chissà. -
Ossignore, perché proprio a me. –Ma ci conosciamo?
Sei del mio dormitorio? -
-No, sono un amico di Matt. - Spiegò poi alla fine.
–Ci vedremo sicuramente. - Aggiunse poi. –Buona
giornata, Nike. - E riattaccò.
Sbattei le palpebre estremamente confusa, restando immobile per almeno
dieci secondi. Okay, non avrei bevuto mai più
così tanto. Mai mai più! Santissimo, ma chi
cavolo era quello? E cosa avevo fatto con lui di preciso?
Speravo che le conversazioni si fossero fermate alla spiegazione del
mio nome e alla mia fantasia che partoriva storie, come fotografie per
articoli inesistenti.
La cosa che mi irritava maggiormente era il fatto che se lo avessi
incontrato per i corridoi non avrei saputo mai riconoscerlo, mentre lui
avrebbe potuto benissimo ridersela alle mie spalle. Perché
da ubriaca diventavo così cretina?
Sconfortata scossi la testa, dirigendomi velocemente verso
l’armadio tirando fuori un paio di jeans puliti e una felpa
con il cappuccio, nel caso avessi avuto bisogno di nascondere la mia
faccia. Il vestito della sera prima iniziava a sembrare una trappola,
volevo strapparmelo di dosso!
Così, dopo aver chiamato mia madre (che ormai pensava fossi
morta in qualche vicoletto buio), uscii dalla mia camera in direzione
dei bagni. Fortunatamente i corridoi a quell’ora erano
deserti, così ebbi la gioia di non imbattermi in nessuna
delle ragazze del mio piano.
Il mio era un dormitorio misto, però, ragazzi e ragazze
erano divisi per piani, al pian terreno e all’ultimo
c’era quello maschile e nei due in mezzo, quello femminile.
La mia camera si trovava al primo piano, era quella più
vicina ai bagni, così potevo catapultarmi alla
velocità della luce al loro interno, senza dovermi fare un
chilometro di corridoio.
Non sapevo nemmeno io come fossi finita in quel dormitorio,
sinceramente nemmeno come fossi finita in questo luogo. Non era solo il
mio nome a essere inusuale alle persone del posto, ma proprio la mia
persona destava curiosità.
Mia madre, una donna tutta di un pezzo, non fa altro che decantare la
sua nazionalità greca, ripetendo fino allo svenimento al mio
povero padre, quanto le manchi la sua città natale. Dal
canto suo, mio padre è italiano, costretto ad emigrare dalla
sua terra natale a soli diciotto anni. Tanto perché non
avessimo già abbastanza nazionalità in famiglia,
i miei si stabilirono, dopo aver vagabondato un po’ per tutta
l’Europa, in Ungheria. Fu il lavoro di mio padre a
costringerci nel trasferirci di continuo, essendo il manager di
un’azienda Inglese, due anni fa gli fu chiesto di trasferirsi
da Londra a Budapest per tenere sotto controllo i sviluppi di una nuova
filiale che stavano per aprire.
Vedete perché il mio accento è la cosa
più strana del mondo? E’ un miscuglio tra Inglese,
Italiano, Greco e Ungherese!
Così, lo scorso anno, al mio secondo anno di
Università alla Liszt Ferenc Zenemuvészeti
Egyetem (tranquilli, potere semplicemente chiamarla Accademia Musicale
Franz Liszt), decisi di tentare ad rientrare nel programma di Erasmus e
dalla mia adorata Budapest mi sono trovata catapultata alla
facoltà di musica presso L’Università
di Salt Lake City, nello Utah. La prima volta che tutti hanno sentito
il mio accento mi guardavano come se fossi appena uscita
dall’uovo di Pasqua, Ellie, la mia compagna di camera, aveva
perfino difficoltà a comprendere quello che dicessi.
Però, ora, dopo sei mesi, posso assicurarvi che il mio
accento è migliorato.
Tranquilli, nonostante io abbia fatto la trottola per gran parte della
mia vita, non ho sviluppato nessunissimo problema, non ho complessi o
crisi di abbandono, anzi! Adoro viaggiare e vedere posti nuovi, oppure
non sarei qui ora, no?
Quindi, nonostante le tante nazionalità, il nome greco e
l’accento incomprensibile, sono una persona normalissima.
Quando ebbi terminato di asciugarmi i capelli, uscii dal bagno. Nel
corridoio c’era una specie di ritrovo, se fino ad un
quart’ora prima non c’era nessuno, ora quasi non si
passava per quanto fosse affollato.
Nel centro avevamo messo un tavolo, così da poter cenare
insieme dopo aver preparato qualcosa nella cucina comune. Visto che
quasi tutte le sedie erano occupate da alcune ragazze, altre se ne
stavano sedute tranquillamente a terra, parlando e ridendo tra loro.
-Oh, ecco qui la mia ubriacona preferita! - Mi salutò
Meredith non appena mi vide.
Tentando di non dare troppo nell’occhio, sollevai il
cappuccio della felpa, coprendo così la mia faccia pallida
da post sbronza. -Non ricordo assolutamente niente di ieri sera! -
Esclamai non appena le fui vicina.
Lei rise. –Non sono sorpresa. - Fece una pausa prendendo un
sorso da una strana tisana che stava bevendo. –Mi hanno detto
che eravamo proprio andate. -
-Nemmeno tu ricordi molto? -
Meredith scosse la testa. –Per niente, alla prossima festa
non toccherò nemmeno un bicchiere! - Annuì
convinta.
-Le ultime parole famose. - Esclamò Mya comparendo alle sue
spalle con un sorrisetto.
Meredith le lanciò subito un’occhiataccia. Tra le
due non correva per niente buon sangue. –Sento che il mio mal
di testa sta per peggiorare. - Borbottò acida.
-Ragazze, vi prego. - Dissi automaticamente, ormai ero abituata a fare
da spartiacque tra le due. – Prima ho ricevuto la chiamata di
uno, secondo lui ieri sera gli avrei chiesto delle fotografie per un
articolo. - scrollai le spalle sconsolate. - Sembrava troppo divertito
per i miei gusti, in più non ho idea di chi sia. -
-Non ho la più pallida idea di cosa tu abbia combinato ieri
sera. - Rispose Meredith scuotendo la testa.
-Ho salvato il suo numero come “wafftlem”, ti rendi
conto? - Scossi la testa sconsolata.
-Chiedi alla frigida qui presente, sicuramente lei era sobria. - Mer
fece un cenno della testa verso Mya che per poco non la uccideva con
una semplice occhiata.
-Sì, ero sobria e se te lo stai chiedendo…- Disse
rivolta a me. -.. Ti ho messa io a letto. - Mya cambiò
espressione, mostrando un sorrisetto saccente. –Ieri sera non
hai fatto niente di che. -
A quelle parole sentii il cuore diventare leggerissimo e tirai un
sospiro di sollievo. Mya se ne accorse subito, per questo
proseguì. –Beh, a parte stare appiccicata come una
sanguisuga ad un tipo. Non facevi altro che ridere come una cretina e
fargli gli occhioni. E’ stata una scena al
quanto…- Fece una pausa, cercando la parola giusta.
-…Insolita, ecco. -
-Oddio. - Mormorai tra i denti. –Mica mi hai visto fare
altro?!-
Lei scrollò le spalle. –Non saprei dirtelo,
essendo l’unica persona sobria ero occupata a fare da balia a
metà dormitorio. Julienne poi era messa malissimo, abbiamo
dovuto portarla di peso in…-
-Sìsì. - La interruppi bruscamente. –Se
tu vedessi il tipo, lo sapresti riconoscere? -
Lei addolcì la sua espressione, portandomi una mano sulla
spalla. –Era troppo buio, mi dispiace. -
-Bene, andrò girando con un sacco in testa fin quando gli
esterni non saranno andati tutti via. - Sbottai calandomi maggiormente
il cappuccio sugli occhi.
-Ah, ieri era così bello! - La voce sognante di una ragazza
del piano arrivò fastidiosamente alle mie orecchie
sensibili.
La sua interlocutrice si lasciò scappare una risata.
– Sfortunatamente per noi, lui lo è sempre. -
-Non ci posso credere che ieri sera mi sia comportata come una di
quelle. - Borbottai imbronciata, iniziando a giocare con i laccetti
della felpa.
-Ma di cosa stanno parlando? - Chiese Meredith, lanciando
un’occhiata a Mya, come se lei sapesse ovviamente ogni minima
cosa.
E aveva ragione. Mya abbassò il tono della voce,
avvicinandosi a noi. –Credo parlino di Jake. –
-Di chi? - Chiesi io, tirando appena indietro il cappuccio.
-Povera Nike, l’unica sera che ci sono bei ragazzi
è troppo ubbriaca per ricordarlo. - Meredith mi diete una
pacca compassionevole sulla spalla.
-Senti chi parla. - Commentai, riportando lo sguardo su Mya, in attesa
di una risposta.
-Dai, il tizio con i capelli neri, ne parlano di continuo. Quando ieri
sera l’ho visto, ho capito il perché queste se ne
vanno tanto in esaltazione! -
Il nome del ragazzo mi era familiare, però non riuscivo
proprio ad associare al nome un viso. –Me lo sono perso. -
Mormorai sconsolata. –Che tristezza. -
-Lo so, ti capisco. - Annuì anche Meredith. –Per
fortuna io lo conoscevo già. - Aggiunse poco dopo con un
sorrisetto.
-Dobbiamo tornare ai bassotti del dormitorio, povere noi! -
Alzammo tutte e tre di scatto la testa, urlando in coro.
–Ellie! -
-Dove cavolo eri finita? -
-Ma dov’eri? -
-Eri stata rapita? -
Domandammo in contemporanea e lei scoppiò a ridere,
scuotendo appena la testa, per poi arrossire.
-Non è successo niente, davvero. - Disse piano.
-Certo, come no. - Ribatté Mya con il suo solito tono
indagatore.
-Ma lasciale un po’ di privacy. - Si intromise subito
Meredith.
-Ragazze! - Questa volta ero io, nel tentativo di riportare
l’ordine.
-Ehi, Jake! -
Al suono di quel nome voltammo tutte la testa, io sinceramente mossa
dalla curiosità. Nessuno me ne voglia, però i
ragazzi del mio dormitorio lasciavano un po’ a desiderare,
erano uno più basso dell’altro e quello
più alto mi arrivava alla spalla. Era una vera tristezza!
Quindi, non biasimatemi se anche io fui sopraffatta dalla
curiosità nei confronti del tipo!
Nel mio campo visivo entrò un ragazzo girato di spalle,
aveva i capelli nerissimi che solo a vederli sembravano morbidissimi.
Le spalle larghe erano messe in risalto da una felpa bianca e le gambe
erano fasciate dai dei jeans blu scuro, talmente stretti che mi chiesi
se avesse problemi di circolazione.
Quando una delle ragazze più grandi, che fine a poco prima
era stata seduta nella stessa ala del corridoio dove eravamo noi, gli
si avvicinò richiamando la sua attenzione, il ragazzo si
voltò e mi sentii di dar ragione a chiunque sospirasse al
suo passaggio. La sua pelle era chiara, mettendo così in
risalto i suoi capelli scuri e scompigliati e gli occhi sembravano
andare da una tonalità di grigio al verde. Perdonatemi,
però la cosa che noto per prima in una persona sono gli
occhi e quelli del famigerato Jake erano proprio belli!
Sul viso aveva stampato un sorriso, sembrava semplicemente cordiale ed
ebbi l’impressione che mentre parlava con Maggie, il suo
sguardo cercasse qualcosa.
-Accipicchia. - Sussurrai tra i denti.
-Eh, lo so. - Commentò Mya sospirando.
-Va bene, però ora smettetelo di fissarlo, potrebbe
diventare imbarazzate. - Borbottò Meredith riportandoci
all’ordine.
-Sapete fino a quando quella meraviglia girerà per i nostri
corridoio? - Chiese Mya. –Direi che anche solo uno sguardo,
può rallegrare la giornata. -
Una ragazza che era seduta vicino a noi, sentendo i commenti
scoppiò a ridere. - Che io sappia, fino a
giovedì. -
-Grazie Layla, allora avremmo quattro giorni di belle giornate. -
Annuì la mia amica con convinzione.
-Dai, ora non esagerare! - Esclamai con una risata.
-Ehm, Nike. -
Sollevai lo sguardo, intercettando quello di Layla che mi guardava con
una strana espressione. –Cosa? - Le chiesi confusa dal suo
tono.
Con lo sguardo mi fece un cenno, indicando qualcosa alle mie spalle, mi
voltai appena verso le mie amiche, notando che anche loro avevano
assunto la stessa strana espressione di Layla. Tirandomi leggermente
indietro il cappuccio, girai la testa nella direzione che mi aveva
indicato e per poco non caddi a terra.
-Ehi, Nike. - Gli occhi grigi di Jake fissavano i miei e sul viso aveva
un sorriso più profondo che metteva in risalto una fossetta
sulla guancia sinistra.
Ero sicura di avere un’espressione sconvolta,
perché mi ritrovai a chiudere la bocca sentendola
improvvisamente secca. –Sì? - Chiesi cautamente.
Le spalle di lui tremarono leggermente, scosse da una risata.
–Allora è vero? - Disse divertito, passandosi la
lingua sulle labbra.
-E’ vero cosa? - Mi sentivo ancora più confusa,
sinceramente se avessi conosciuto uno così me lo sarei
ricordato di certo!
Lo sguardo delle mie amiche rimbalzava sconcertato dal mio viso a
quello di Jake, che continuava sorridere.
Lui si passò una mano tra i capelli, scrollando le braccia,
per poi muovere qualche passo e avvicinarsi ad una sedia che
tirò da sotto il tavolo, per poi sedersi. Ora era
praticamente difronte a me ed ero convinta che Ellie al suo fianco
stesse per svenire, era di uno strano colorito viola.
-Sono il povero fotografo che hai imbrogliato inventando una storia dal
nulla. - Disse poi, allargando il sorriso.
Oh Cristo, sbarrai gli occhi completamente sbalordita. Come avevo fatto
a non riconoscere la voce! Che idiota che ero, mi ero messa a fare la
cretina sbavando per il suo aspetto senza porre attenzione alla sua
voce singolare.
-Oh Dio. - Mi portai entrambe le mani sul viso, tentando si coprire
l’evidente rossore che stava invadendo le mie guance
paonazze.
Avvertii una mano poggiarsi sulla mia spalla. –Dai, posso
assicurarti che non c’è nulla di cui vergognarsi.
-
Scostai appena le mani dal viso, guardandomi intorno. Praticamente
erano puntati su di me gli occhi di mezzo corridoio, tutti mi
guardavano stupiti e un gran numero, tra cui Maggie, anche in cagnesco,
come se stessi disegnando un graffito sul David di Michelangelo!
-Mi dispiace, qualsiasi cosa abbia detto o fatto, non ero in me. -
Esclamai sulla difensiva. –Ero completamente ubriaca. -
Jake rise. –Dimmi tu chi non lo era. -
Con la coda dell’occhio intercettai lo sguardo di Meredith,
sembrava avere lo sguardo di una mamma orgogliosa, come se avessi
appena ricevuto un premio travestito da bel ragazzo!
Deglutii appena, tutta quell’attenzione mi metteva a disagio
da morire, ora che non ero in preda all’alcool mi era
difficile anche solo spiccicare due parole. Jake aveva conosciuto
un’altra me e sicuramente non si aspettava che reagissi in
quel modo alla sua vista.
Probabilmente il disagio che provavo mi era scritto in faccia,
perché lui inclinò la testa, avvicinandosi
maggiormente a me, come alla ricerca di un po’ di privacy.
-Ascolta, forse questo non è il luogo giusto e nemmeno il
modo. - Annuì appena convinto delle sue parole.
–Passo domani, così ti dirò qualsiasi
cosa tu voglia sapere. - Poi sollevò l’angolo
delle labbra in un sorrisetto. –Anche se non ci saranno foto
da scattare. - Detto questo si alzò e si
allontanò, dirigendosi verso le scale.
Saaalve a tutte come
state? Spero bene :)
E' da tanto che non mi cimento a scrivere qualcosa di nuovo, quindi,
spero che questa storia possa piacervi! Fatemi sapere. Lo so,
è solo il primo capitolo, ma vi prometto che presto
pubblicherò il secondo.
Un bacio.
p.s.
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