Prologo
Mi lasciai
andare, incapace di muovermi, sulla sabbia fredda.
Il cielo coperto da una coltre di nuvole azzurre, parve quasi ghignare
in un
tuono, mentre le forti onde del burrascoso mar di Norvegia, mi
sferzavano mille
goccioline ghiacciate sul viso ferito, così simili ad aghi
conficcati con
violenza e crudeltà nella pelle.
I capelli annodai dal forte vento s’incollarono alle labbra
piene, mentre sulla
lingua potevo avvertire il sapore della salsedine mischiarsi a quello
metallico
del sangue.
Col fiato spezzato dalla fatica, feci una smorfia di dolore, ma il mio
viso in
realtà non mutò espressione.
Ogni mio singolo lembo di pelle era ghiacciato, il sangue ormai
disperatamente
occupato a proteggere gli organi.
E lì, alla fine del mondo, alla fine di tutto, alla fine di
me stessa, l’unica
cosa a cui pensai… eri tu.
Mi voltai ed il mio cuore urlò di dolore.
Mi trascinai sulle braccia, arrancai per qualche metro, mentre ogni
singola
parte del mio corpo urlava dolore, mentre il mio cuore piangeva mute
perle di
sangue a quella vista.
Le lacrime mi annebbiavano la vista e scorrevano veloci e calde sul
viso, ma asciugandosi
lasciavano scie ghiacciate.
Gemevo ed invocavo il suo nome, ma non poteva sentirmi. Il suo viso
riverso di
lato, era nascosto alla mia vista. I suoi vestiti sbrindellati
lasciavano
intravedere la pelle annerita dalla polvere, macchiata di rosso vivo e
spento.
Cercai di mettermi seduta e voltai il suo capo verso me. La sua pelle
bianca,
non era morbida e liscia come seta, bensì ruvida, arrossata,
annerita. Le
labbra sottili screpolate dal freddo, macchiate di sangue, le palpebre
chiuse.
«No… no… non ti prego!
Svegliati!» urlai afferrandogli il viso fra le
mani… ma
le forze mi abbandonarono e tutto si offuscò, mentre mi
lasciavo cadere accanto
a lui.
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