Strano
Strano
Sherlock
cacciò un sospiro sconfitto mentre guardava dalla
finestra
di camera sua. Jack e Charlie, i figli del giardiniere, si
stavano rincorrendo vicino all'aiuola, incuranti del padre che li
rimproverava, gridando di fare attenzione ai fiori. Sembravano
divertirsi un sacco. E Sherlock, invece... Sherlock si stava annoiando
terribilmente.
Infastidito, diede le spalle alla finestra, cacciando uno sbuffo che
gli sollevò il ciuffo corvino che gli ricadeva sempre sulla
fronte. In cerca di distrazioni, aprì la sua scatola de Il
piccolo chimico, nuova di zecca, ma gli bastò dare
un'occhiata
al contenuto per richiuderla, privo di interesse.
Che strano. Giusto una settimana prima gli era sembrato il regalo
più bello dell'universo. Sua madre aveva dovuto addirittura
strappargliela dalle mani a forza e minacciarlo di buttarla nella
spazzatura per convincerlo ad andare a mangiare, dopo che ci aveva
giocato per una giornata intera. Ma ora... ora era solo uno stupido
gioco senza importanza, un gioco per i bambini strani come lui.
Un bambino strano.
Così
lo avevano definito Jack e Charlie, quando, giusto il giorno prima,
aveva chiesto di giocare con loro. Sherlock non sapeva esattamente dove
avesse sbagliato, cosa avesse fatto di così strano...
se fosse stato strano proporre loro di catturare delle api per
studiarne il ronzio o se fosse stato strano dire loro che, se volevano,
potevano venire a vedere in camera sua l'ultimo esperimento che
stava facendo. Sherlock non sapeva se era semplicemente lui ad
essere strano perché si vestiva sempre con la camicia e non
aveva mai indossato un paio di jeans oppure perché gli
piaceva
il silenzio o il suono del suo violino, piuttosto che saltare come un
matto per tutta la casa o cantare le canzoni di cartoni animati di cui
non conosceva nemmeno il nome. Sherlock non sapeva nemmeno
perché non fossero solo Jack e Charlie, ma più o
meno
tutti gli altri bambini in generale a considerarlo strano.
Sherlock non si sentiva strano... o forse sì? Non sapeva
nemmeno più cosa pensare. Ed era irritante.
Sherlock sapeva un sacco di cose per essere un bambino di otto anni,
forse anche troppe... ma in quel momento non sapeva nemmeno cosa stesse
provando, cosa stesse pensando. Ed era terribilmente irritante.
Lanciò uno sguardo arrabbiato alla scatola de Il piccolo
chimico
e poi alla finestra che dava sul cortile e per un attimo ebbe voglia di
piangere. Non che lui lo facesse spesso, sia ben chiaro: non
piangeva quasi mai, in effetti, piangere era una delle altre cose che
reputava terribilmente irritanti...
- Sherlock? Che stai facendo? -
La voce di suo fratello, affacciatosi alla porta della camera, lo
distolse da qualsiasi altro pensiero.
- Non sono affari tuoi - gli rispose seccato, distogliendo subito lo
sguardo. Ma a Mycroft non sfuggirono i suoi occhi lucidi, sull'orlo
delle lacrime.
- Certo che no - disse, accondiscendente.
Sherlock considerava terribilmente irritante anche il tono che aveva
appena usato suo fratello, era il tono che di solito usava quando
voleva rimproverarlo di qualcosa o ancora peggio... fargli la morale.
- Beh, se lo sai, cosa ci fai ancora qui? Sparisci, Myc! -
sbottò, sperando di infastidirlo: sapeva bene quanto odiava
essere chiamato in quel modo.
- Pensi ancora a quei bambini, vero? - Sherlock sobbalzò, ma
fece come se non lo avesse sentito, fingendo di trovare improvvisamente
interessante la testiera del suo letto.
Mycroft cacciò un sospiro: - Sherlock, quante volte te l'ho
detto? Tu non hai bisogno degli altri bambini... sono così,
così noiosamente ordinari!
-
Il moro tirò su col naso: - Dicono che sono strano... -
disse con un groppo alla gola.
- E hanno ragione - Sherlock tornò a guardarlo, le
sopracciglia
corrugate - ...ma sbagliano parola - continuò il fratello
con un
sorriso - Tu non sei strano, Sherlock, sei straordinario -.
Lo sguardo del bambino si fece ancora più corrucciato.
Mycroft gli aveva appena fatto un complimento?
- Pensavo di essere stupido... - disse sospettoso.
- Ma certo che lo sei, Sherlock! Sei straordinariamente stupido
in confronto a me, ma sei anche straordinariamente
intelligente per essere un bambino di otto anni. Credo che sia questo
che infastidisca così tanto i tuoi coetanei -
Il moro sembrò soppesare attentamente quelle parole.
- Quindi mi stai consigliando di essere stupido? -
- Ti sto consigliando... - disse Mycroft, rivolgendogli uno sguardo
serio - di essere te stesso, per quanto strano tu possa sembrare agli
altri. Le persone ordinarie sono infastidite da quelle straordinarie e
le chiamano strane soltanto per invidia. -
Sherlock abbassò lo sguardo, pensieroso e confuso. E se le
cose
stessero proprio come diceva Mycroft e fossero gli altri a sbagliare su
di lui? Cosa voleva dire, poi, essere strano? Non era
solo un modo poco carino per dire
diverso? E diverso non significava per forza qualcosa di
brutto... o no?
- Beh, ora è meglio che ritorni in camera mia... - la voce
di
suo fratello interruppe ancora i suoi pensieri - devo finire la
versione di greco antico - disse, dirigendosi verso il corridoio. I
suoi passi risuonavano sempre più lontani quando Sherlock
balzò improvvisamente dal letto per affacciarsi alla porta:
-
Ehi, Mycroft! -
- Sì? - disse il fratello voltandosi, lo sguardo
interrogativo.
- Grazie -.
E si salutarono con un ultimo sorriso.
Angolo dell'autrice
Salve, gente!
Non so spiegarmi da dove sia saltata fuori questa one-shot, ma l'ho
scritta di getto - cosa abbastanza atipica per me xD - e, purtroppo per
voi, non ho potuto fare a meno di pubblicarla. Diciamo che, dopo aver
esplorato il rapporto tra John e Harry da bambini/adolescenti, mi ha
incuriosito fare lo stesso con Sherlock e Mycroft, ma non credo
che questa storia andrà a far parte di una serie,
come
è invece successo per i fratelli Watson.
Immagino che ci siano un sacco di fanfiction che trattano del senso di
solitudine e di estraneità che Sherlock prova di fronte ai
suoi
coetanei... Spero solo di non aver scritto qualcosa di troppo scontato
o ripetitivo.
Ringrazio chiunque leggerà questa one-shot e chi
sarà
così gentile da lasciare un commentino, positivo o negativo
che
sia.
Alla prossima,
fennec
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