The Nightwatchman

di eugeal
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Guy tenne una mano premuta sul petto per placare i battiti del cuore e cercò di rallentare il respiro, ma non riuscì a calmarsi. L'incubo era tornato ancora, fin troppo reale, e lui si era svegliato ancora una volta col suono della frusta che schioccava contro la pelle di un altro innocente.
All'inizio sognava solo quello che era effettivamente successo, poi gli incubi erano diventati più complessi e, al posto di Robin, a gridare sotto i colpi della sua frusta si erano susseguite tutte le persone che amava, una dopo l'altra e ogni volta lui era stato costretto a colpirle senza pietà.
La freccia che entrò dalla finestra aperta lo fece sussultare per la sorpresa, poi Guy la strappò via dal legno della testata, la gettò a terra sotto il letto insieme alle altre e chiuse di nuovo gli occhi, nascondendo la testa sotto il cuscino.

Marian prese il sacchetto della farina, poi lo richiuse e lo mise via con un sospiro. Che senso aveva affannarsi a preparare una colazione che nessuno avrebbe mangiato?
- Allan?
Marian chiamò il giovane che sonnecchiava su una sedia accanto al fuoco e Allan alzò lo sguardo su di lei.
- Sei sicuro che Guy non abbia subito altre ferite oltre a quella alla testa e ai calci dello sceriffo?
- Fisicamente Giz sta bene, a parte qualche livido.
- Perché non si alza allora? Sono tre giorni che passa la maggior parte del tempo a dormire. Sono preoccupata per lui, Allan.
- Lo sceriffo lo ha costretto a commettere un'azione terribile e per Giz deve essere stato ancora più tremendo se pensiamo a quello che ha subito l'anno scorso… Credo che sia normale che sia ancora sconvolto.
Marian guardò le fiamme che danzavano nel camino.
- Vorrei stargli accanto, ma ho l'impressione che preferisca stare da solo. Ha detto che ha obbedito allo sceriffo per proteggere me… Allan, è colpa mia? Lo sceriffo avrà sempre potere su di lui a causa mia? Se è così, Guy finirà per odiarmi.
- Adesso siete in due a non ragionare coerentemente in questa casa. Giz non potrebbe mai odiarti, nemmeno se gli strappassi via il cuore a mani nude. Se qualcuno ha delle colpe, è solo Vaisey, non voi due e sai che ti dico? È ora che Giz si decida a uscire dalla sua tana.

Guy si era appena riaddormentato quando il rumore della porta che veniva spalancata di colpo lo fece svegliare con un sussulto.
- Ehi, Giz! - Lo salutò Allan richiudendosi la porta alle spalle con un altro tonfo e avvicinandosi al letto.
Gisborne non lo guardò e gli rispose senza alzare il viso dal cuscino.
- Cosa vuoi, Allan? Lasciami in pace.
Allan sedette sul bordo del letto e si chinò verso di lui per guardarlo: Guy era steso a pancia in giù e aveva la faccia affondata nel cuscino. L'unica porzione di viso ancora visibile era semi nascosta da ciocche di capelli arruffati che gli coprivano gli occhi.
- Mi sembri tutto tranne che in pace, amico.
Guy si mosse e si girò su un fianco per guardarlo, di malumore.
- Vai via, sono stanco.
- Stanco dopo tre giorni passati a letto? Scusa, ma mi sembra improbabile.
- Come chiudo gli occhi, gli incubi arrivano a tormentarmi. Hai idea di quante volte io abbia usato quella maledetta frusta, Allan? Centinaia. Migliaia, forse. E non ho mai potuto fare nulla per impedirlo. Sogno dopo sogno, notte dopo notte, sono costretto a far male alle persone che amo!
Allan lo afferrò per un braccio e lo tirò su di peso per costringerlo a sedere sul letto.
- E non ti sembra una buona ragione per alzarti? Che senso ha restare steso ad aspettare il prossimo incubo?
- Non ce la faccio.
- Non dire idiozie, Giz. Tu ora ti alzi, cerchi di assumere di nuovo un aspetto umano e vieni a mangiare qualcosa. - Allan alzò un dito per stroncare sul nascere la protesta dell'amico. - E non dire di no, altrimenti la prossima volta sarà Marian a venire a trascinarti fuori di qui. Vuoi davvero che ti veda in queste condizioni?
Guy non rispose, ma Allan sapeva che alla fine l'amico lo avrebbe ascoltato e gli strinse la spalla in un gesto di incoraggiamento.
- Dai, ora preparati, ti aspettiamo giù.
Allan si diresse alla porta e si fermò per un attimo sulla soglia, notando solo allora le frecce nascoste sotto al letto.
- Prima o poi dovrai parlargli, lo sai? - Disse, poi uscì dalla stanza lasciando Guy da solo.
Guy rabbrividì e prese una coperta dal letto per metterla sulle spalle, ma non tornò a stendersi. Allan aveva ragione, se non si fosse deciso a uscire dalla sua camera, Marian si sarebbe stancata di aspettare e sarebbe venuta a cercarlo e lui di certo non era presentabile in quel momento.
Si alzò in piedi troppo in fretta e fu costretto ad appoggiarsi alla parete per non cadere, poi si avvicinò allo specchio per guardarsi.
Da quando erano tornati da Nottingham, lui praticamente non si era mosso dal letto, senza nemmeno mangiare, lottando con incubi e sensi di colpa e si vedeva. Era arruffato, sporco e pallido e la barba troppo lunga non faceva altro che mettere in evidenza gli occhi cerchiati di scuro. La maglia nera che indossava era incrostata di sangue secco e umida di sudore e Guy la sfilò, lasciandola cadere a terra insieme alla coperta.
Si sentiva debole e indolenzito e dopo essersi spogliato capì che buona parte del dolore che provava dipendeva dai lividi scuri che gli segnavano la pelle della schiena e del torace, nei punti in cui lo sceriffo lo aveva preso a calci.
Pensare a Vaisey lo riempì di rabbia. Quell'uomo era un diavolo e non faceva altro che rovinargli la vita in ogni modo possibile.
Se lo sceriffo lo avesse visto in quel momento, probabilmente si sarebbe divertito a umiliarlo, deridendolo per la sua debolezza. Quel pensiero lo riscosse dall'apatia in cui era sprofondato e lo spinse a ribellarsi all'angoscia che lo opprimeva: Guy decise che Vaisey poteva averlo tormentato e ferito, ma non sarebbe riuscito a distruggerlo perché lui non glielo avrebbe mai permesso.
Immaginò di usare la frusta per colpire lo sceriffo e quell'immagine mentale fece sbiadire un po' l'orrore degli incubi che lo tormentavano ogni volta che chiudeva gli occhi.
Gisborne versò l'acqua della brocca nel catino e se la gettò sul viso: era gelata e per un attimo pensò di chiamare Thornton per farsi preparare un bagno caldo, ma cambiò subito idea e continuò a lavarsi con l'acqua fredda. Così avrebbe fatto prima e il freddo gli avrebbe schiarito un po' le idee, allontanando da lui lo stordimento di quel sonno disturbato dagli incubi.
Quando arrivò il momento di prendere il rasoio, le mani non gli tremavano quasi più e Guy riuscì a usare la lama affilata senza ferirsi.
Tornò a guardarsi allo specchio e si concesse un piccolo sorriso nel constatare che era riuscito a recuperare quello che Allan aveva definito “un aspetto umano”. Era ancora pallido e scosso, ma almeno aveva ritrovato un po' di energia.
Cercò dei vestiti puliti e li indossò, poi si avvicinò alla porta, fece un respiro e la socchiuse. Dal piano di sotto giungeva il mormorio delle voci di Allan e Marian e il profumo di cibo appena cucinato.
Guy appoggiò la testa allo stipite della porta e si asciugò le lacrime di commozione che gli avevano riempito gli occhi. Non importava quanto si sentisse triste o tormentato, quei suoni, quelle voci e quegli odori erano lì per lui e avevano sempre lo stesso confortante significato: casa.
Guy di Gisborne si sentiva a casa.

***

Robin lanciò l'ennesima freccia attraverso la finestra di Gisborne, con un mezzo sospiro e si preparò all'ennesima attesa inutile, perfettamente consapevole che nemmeno quella notte Guy sarebbe venuto, esattamente come le tredici notti precedenti.
Aspettò a lungo, osservando le stelle e ascoltando i suoni della campagna, poi fece per grattarsi la schiena distrattamente e trasalì per il dolore quando toccò la medicazione.
Una specie di singhiozzo soffocato fece eco al suo gemito di dolore e Robin si voltò di scatto, trovandosi di fronte a Gisborne.
- Ah, alla fine ti sei degnato di venire! - Lo rimproverò allegramente, ma Guy non accennava a rispondere al suo sorriso e restava immobile, con lo sguardo fisso al suolo.
- Non volevo. - Disse a bassa voce. - Stavo per nascondere anche questa freccia sotto il letto insieme alle altre e fare finta di non averla vista…
Robin lo guardò, perplesso.
- Perché?
- Ho versato il tuo sangue… Come potevo guardarti negli occhi dopo quello che ho fatto?
- Infatti non lo stai facendo nemmeno ora.
Guy sospirò e non disse nulla.
- E cosa ti ha fatto cambiare idea? Perché stanotte sei venuto? - Chiese Robin, avvicinandosi a lui.
- Perché continui a cercarmi, Hood? Ti capirei se non volessi più avere nulla a che fare con me…
Gisborne aveva parlato senza alzare lo sguardo e Robin gli mise entrambe le mani sulle spalle. Guy sussultò a quel contatto, ma rimase a testa china.
- Non volevo farlo, te lo giuro, non volevo! Ma non sapevo che fare, non avevo scelta… Non sono venuto qui per chiederti perdono, io stesso non posso perdonarmi, ma dovevo dirti quanto mi dispiace…
- Guy, guardami. Fratello mio.
Finalmente Gisborne si decise ad alzare gli occhi su Robin.
- Non c'è nulla da perdonare. Nulla. - Disse Robin, serio. - Tu pensi al sangue che hai versato e ti senti in colpa, ma quello che vedo io è che tu mi hai salvato il collo, letteralmente, mettendo a rischio la tua stessa vita. Questo è quello che vedo, fratello, e te ne sono grato.
- Ma…
- Piantala, Gisborne, non fare il tragico. Tra l'altro come carnefice saresti anche abbastanza scadente, non hai messo la minima forza in quei colpi, Djaq ha detto che potrebbe anche non restare alcuna cicatrice. Se pensi che quello che tu hai fatto a me possa essere minimamente paragonabile a quello che Barret ha fatto a te, toglitelo dalla testa subito e smettila coi sensi di colpa. E ora sbrigati, ti sei riposato fin troppo a lungo, il Guardiano Notturno ha del lavoro da fare.
Guy lo guardò per qualche secondo, cercando di nascondere la commozione, poi sorrise e annuì.
- Come desideri, fratello mio. Io sono pronto.

***

- Guy, davvero, dovresti smetterla. - Disse Archer, prendendo una mela dal cestino. Studiò il frutto per qualche secondo, poi lo rimise giù, scuotendo la testa. Non capiva come mai al fratellastro piacessero tanto quei frutti insignificanti, ma del resto c'erano anche tante altre cose che ancora non comprendeva in Guy di Gisborne.
Guy si appoggiò con la schiena al tronco dell'albero e prese un pezzo di formaggio. Lo masticò con calma prima di decidersi a voltarsi verso Archer, sorridendogli con aria innocente.
- E perché? Non ti ho più creato problemi, no? Lo sai, faccio attenzione a colpire quando so che sei impegnato altrove, così lo sceriffo non potrà accusarti di esserti lasciato sfuggire il Guardiano Notturno.
- Non esisto solo io, anche i soldati possono essere pericolosi e lo sceriffo è furioso da quando hai fatto fuggire Robin Hood. Vuole la testa del Guardiano Notturno a decorare la sua camera da letto.
- Non voglio mettere nei guai te, ma ho tutte le intenzioni di rendere la vita un inferno a lui.
Archer sospirò e scosse la testa sorridendo.
- Vedi di non farti ammazzare, va bene?
- Farò del mio meglio per evitarlo. A proposito, che ne dici di conoscere il resto della famiglia? Robin vuole incontrarti.
Archer annuì.
- Fai pure in modo da organizzare le cose, e ricordati che io e te abbiamo una sfida in sospeso con l'arco. Tra l'altro non mi sono ancora complimentato per quello che hai fatto quando hai liberato Robin Hood... Mi sembra ancora incredibile che tu sia riuscito a mettere fuori combattimento tutti gli arcieri sulle mura senza ucciderli.
- Non avevo niente contro di loro, quei soldati si limitavano a eseguire gli ordini, non meritavano di morire per colpa di Vaisey.
Guy prese un ultimo pezzo di pane, poi si alzò in piedi e rimase a osservare Knighton Hall, sorridendo leggermente. Ormai mancava poco, davvero poco.
Come evocato da quella riflessione, il capo degli operai venne verso di loro, osservando Archer con aria diffidente.
- Allora? - Chiese Guy e l'altro sorrise.
- Manca l'ultima pietra, Lord Knighton.
Gisborne lo guardò, incredulo.
- Dite davvero?
Sapeva che la ricostruzione era quasi terminata, ma non si era aspettato che i lavori potessero finire in anticipo rispetto al previsto.
- Robin Hood e la sua banda hanno dato una mano agli operai in questi giorni, hanno velocizzato le cose. C'è quell'omone che vale come dieci operai… - Disse l'uomo con entusiasmo, poi si interruppe di colpo, ricordandosi della presenza di Archer.
- Io non ho sentito niente. - Disse Archer, che alla fine aveva deciso di prendere una delle mele e che stava fingendo di essere molto impegnato a sbucciarla col proprio coltello.
- Sir Guy, venite. L'onore di posare l'ultima pietra spetta a voi.
L'uomo gli fece strada fino alla casa e lo guidò verso il camino della sala principale. Al centro della mensola di pietra c'era una cavità squadrata e il capo degli operai presentò a Guy la pietra scolpita che avrebbe dovuto essere inserita in quel buco.
Gisborne la guardò, stupito: al centro del blocco di pietra era scolpito uno scudo che racchiudeva una testa di lupo.
- Vi piace Sir Guy? È lo stemma della vostra famiglia.
- Come facevate a saperlo?
- Ce lo ha detto Robin Hood.
- Io continuo a non sentire. - Disse Archer, divertito, poi guardò Guy. - E tu che aspetti? Non avevi fretta di finire questa casa?
Gisborne sollevò la pietra e la posizionò al suo posto, poi si guardò intorno, incredulo.
- È finita… Ora è davvero finita!
Tirò fuori l'anello di Marian che aveva portato al collo per tutti quei mesi e sorrise: per la prima volta in tutta la sua vita, Guy aveva una casa e delle terre veramente sue, qualcosa da offrire a Marian.
Guardò il capo degli operai.
- Mandate via tutti, ora. - Ordinò. - Venite domani e sarete ricompensati per il vostro lavoro, ma ora andate a casa, quando tornerò da Locksley voglio che qui non ci sia nessuno. Vale anche per te, Archer.
Il fratello scoppiò a ridere.
- Non scordarti di invitarmi al matrimonio. Ora vai.
Poco dopo Guy di Gisborne stava galoppando a tutta velocità lungo la strada che portava a Locksley.
Solo un anno prima aveva creduto che della sua vita non sarebbe rimasto altro che cenere, che ogni sua speranza fosse destinata a dissolversi nelle fiamme di un destino crudele, ma in qualche modo era riuscito ad attraversare quel fuoco e ne era uscito più forte.
Da quelle ceneri era nata una vita completamente nuova e migliore e in quel momento, mentre Guy correva per raggiungere Marian, niente gli sembrava impossibile.
Incitò il cavallo a galoppare più veloce.
Aveva fretta: era impaziente di raggiungere il sogno che aveva inseguito per tutta la vita.


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Ed eccoci alla fine dello spin-off.
Adesso la storia proseguirà in un sequel, riprendendo dal punto in cui si era conclusa "A World That Will Not Turn to Ash", ovvero dalla proposta di matrimonio di Guy :)
Cosa succederà in futuro? Non lo so nemmeno io, quando scrivo i personaggi fanno tutto da soli e la storia va avanti per conto suo, ma se vi va lo scopriremo insieme. :)
Grazie a chi ha letto fin qui e non siate tristi: questa è una fine, ma è anche un nuovo inizio, molte altre avventure aspettano i nostri protagonisti. :)





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