AMERICAN
GANGSTER
New
York City – Gennaio 1937
1. La cena
Jake
Preston
è seduto da solo in un angolo del ristorante, il tavolo
nascosto dietro una
colonna.
Impreca
a
bassa voce pensando all'informatore, e guarda per l'ennesima volta
l'orologio.
I dati erano precisi – quello stronzo gliel'aveva assicurato
– eppure di Victor
Soprano, l'uomo per il quale si è fatto tutta questa strada
nonostante la neve,
non c’è traccia.
È
lì già da un'ora
e inizia a innervosirsi. Ha deciso di dare una svolta alla sua carriera
di
giornalista e questa potrebbe essere l'occasione giusta.
La chance di una
vita.
Gli
avevano
assicurato che a cena con Soprano ci sarebbe stato anche Arthur Bane,
un giudice
della Corte Suprema che sta facendo carriera in politica. Un
po’ troppo
velocemente, forse. L’ascesa di Bane ha dato adito a parecchi
sospetti, e non
sono pochi quelli che giurerebbero su una sua connivenza con gli
esponenti più
importanti della malavita organizzata.
Lui
è lì per
verificarlo.
Si
guarda attorno. Il posto è elegante, l’ambiente
risuona del tintinnio delle posate e dell'accompagnamento di un
quartetto
d'archi che da un angolo del salone esegue una sontuosa giga di
Corelli. Da quando i
politici hanno messo
fine a quella gran buffonata del proibizionismo i locali hanno ripreso
vita,
riflette Jake – e con le notizie che arrivano da oltreoceano,
con i crucchi e
gli italiani in pieno delirio di onnipotenza, la gente ha solo bisogno
di
divertirsi e di stordirsi un po’.
La sua
attenzione si sposta sul maître
in livrea fermo in attesa accanto all'ingresso. L’uomo
è elegantissimo nel suo
smoking nero, ha il volto inespressivo, se non per un guizzo nervoso
delle
labbra. Jake può notarlo anche a distanza.
Lo osserva
aprire la porta e accogliere due uomini con un cenno della testa. Al
di
là del vetro riesce a scorgere
altre due figure in attesa. Qualche
parola, coperta dalla musica dell'orchestra e dal rumore della porta
che si
chiude, poi la vetrata si apre di nuovo.
Jake
trattiene il respiro.
La
coppia
appena entrata sembra uscita dalla prima pagina del Times.
L’uomo ha una figura slanciata, elegante, fasciata da un
lungo cappotto grigio. Capelli neri e pelle bianca, ancora
più pallida sotto le
luci intense dei lampadari. Jake conosce bene quel volto: sono molte le
fotografie che lo ritraggono e lui ne ha viste anche troppe. Faccia d'angelo lo chiamano, quel figlio
di puttana.
Victor
Soprano.
Anche
la
giovane donna entrata insieme a Soprano non è un viso nuovo
per lui: Lara Bane,
figlia di Arthur Bane, ventuno anni e già apparsa sulle
copertine di alcune
delle riviste più importanti della nazione a fianco del
famoso genitore. Sembra
perfettamente a suo agio accanto a quello che è considerato
il delinquente più
pericoloso dello stato di New York. Sarebbe da non credere se non li
vedesse
con i suoi occhi.
Rivolge
un ringraziamento
silenzioso all’informatore. Vorrebbe avere con sé
la sua macchina fotografica,
ma avrebbe dato troppo nell’occhio. Il suo tavolo,
però, è abbastanza vicino a
quello di Soprano, dal suo angolo gli basta alzare gli occhi per
osservarlo.
Victor
è
seduto di profilo, la schiena appoggiata al velluto del divano. Non ha
toccato
il calice di vino servitogli dal maître. Si limita ad
aspirare dalla sigaretta
in lente boccate, la giacca scura sbottonata sulla cravatta di seta.
Jake si
sorprende a osservare i lineamenti perfetti del suo viso. Sarebbe
pronto a giurare
che molte rispettabili casalinghe americane si bagnino le mutande
mentre
guardano le foto sfocate che lo ritraggono sui quotidiani.
Lara
Bane
gli sta parlando. Gli sussurra all’orecchio, il bicchiere di
vino rosso rubino inclinato
nella mano. Eccola lì, la dolce figlioletta
dell’astro nascente del partito
repubblicano, quella che compare su tutte le foto di propaganda del
padre –
quando con la divisa del college, quando con in braccio il barboncino,
il viso
struccato e i capelli legati in una coda di cavallo. Seduta accanto a
Soprano,
e fasciata in un lungo abito aderente, sembra un’altra
persona.
Così
occupato a studiarli, Jake non fa caso al fatto che uno degli uomini
entrati
con loro, e rimasti in disparte, si è alzato dal tavolo e si
è avvicinato.
“Non
capita
spesso di vedere facce nuove da queste parti.” L'uomo
è accanto a lui e gli
sorride come un vecchio amico. È così robusto che
sembra esplodere
nell'elegante completo giacca e cravatta. “Sei sordo? Sto
parlando con te.” Il
tono è basso, ma a Jake non sfugge la vibrazione minacciosa
della voce.
“Prego?
Mi
rincresce, ma non credo di conoscerla.”
L'altro
fa
un passo avanti e afferra il bicchiere di vino dal tavolo. Lo fa
oscillare
davanti agli occhi e lo fissa da dietro il cristallo. “Ci
siamo capiti. Non ci
piacciono i curiosi, qua. Si può sapere chi cazzo
sei?”
Jake
prende
un respiro. “Con il dovuto rispetto, non penso che questo sia
affare che la riguardi.”
L'uomo
sbatte il bicchiere sul tavolo, spargendo il vino sulla tovaglia. Si
sporge in
avanti e lo afferra per il bavero della giacca. “Forse non
hai capito con chi
stai parlando, né dove ti trovi.”
Jake
respira
il suo alito pesante, vede i suoi occhi brillare. Apre la bocca per
rispondere,
ma una voce alle sue spalle – secca, decisa – gli
tronca le parole sul nascere.
“Basta così.”
La voce
di
Soprano.
Il suo
aggressore lo lascia andare all’istante. Lo spinge indietro
contro la sedia e
si allontana dal tavolo. Jake allunga lo sguardo oltre le sue spalle.
Osserva Victor
Soprano alzarsi dal divano e avvicinarsi al compagno. I suoi occhi neri
scintillano come ardesia sotto la luce dei lampadari. “Stai
infastidendo un
ospite,” gli sibila. “Ora piantala.”
L'altro
si
volta e punta l’indice nella sua direzione. “Ma
Victor, non sappiamo neanche
chi...”
Soprano
lo
interrompe con un gesto della mano. Le sue labbra si allungano in una
linea
sottile. “Ti ho detto di finirla.” La sua voce
è così bassa che Jake la sente a
malapena. “Torna al tuo posto. Non farmelo
ripetere.”
L’uomo
serra
la bocca. Gli getta un’ultima occhiata perplessa e si
allontana, imprecando a
bassa voce. Soprano lo segue con lo sguardo, poi si volta e si avvicina
al suo
tavolo. “Sono spiacente per lo sgradevole incidente che l'ha
vista
protagonista.” È davanti a lui, tiene le mani
nelle tasche della giacca, la catena
d'oro dell'orologio si intravede sotto il risvolto del gilet.
“È deplorevole
che lei sia stato importunato in maniera così
ingiustificata, signor...?”
“Mi
chiamo Preston,”
risponde Jake. Ha parlato cercando di mantenere l'espressione naturale
che si è
imposto da quando è entrato nel ristorante. I muscoli della
faccia gli dolgono
per lo sforzo.
Soprano
gli
rivolge un sorriso comprensivo. Jake nota che ha denti bianchissimi,
come la
pelle.
“Lasci
che le
porga le mie scuse, signor Preston.” Tira fuori una mano
dalla tasca e anche le
dita sono pallide, forti e affusolate. “Mi chiedevo se
vorrebbe unirsi al
nostro tavolo,” continua Soprano. “Lei è
solo, e sarebbe piacere mio e della
mia compagna offrirle un bicchiere di Chianti per farmi perdonare dello
sgradevole incidente.”
“La
ringrazio, sarebbe un piacere anche per me,
signor…”
“Victor,”
e
gli porge la mano. Stretta decisa, vigorosa. “Victor
Soprano.”
Jake
ricambia
il sorriso e la stretta. Non aveva osato sperare tanto. Si alza per
seguirlo al
tavolo.
La
giovane
donna in compagnia di Soprano li accoglie in piedi. I suoi capelli,
d'un biondo
scuro, sembrano fili di seta sotto le luci dei cristalli. “Victor, non perdi
occasione per procurarti
una buona compagnia, non è così?” Gli
porge a sua volta la mano. “Lara Bane.
Molto piacere.”
“Jake
Preston.
E il piacere è tutto mio.”
Soprano
si
siede accanto alla ragazza e gli fa cenno di accomodarsi. Il
maître si fa avanti
con discrezione e porge a Victor la carta dei vini. Poche parole,
sussurrate a
bassa voce, e il maître si allontana, sparendo dietro una
colonna.
“Forse
lei
conosce la mia ospite,” esordisce Victor, e sorride nella
direzione di Lara. “Non
mi stupirebbe. È alquanto famosa in
città.” Estrae il pacchetto di Lucky Strike
dalla tasca e lo allunga verso di lui. “Sigaretta?”
“Grazie,
ma
non fumo,” risponde Jake. “Ora che mi ci fa
pensare, sì, la conosco di fama,
lei è la figlia del giudice Bane. Ma non mi aspettavo di
incontrarla di
persona. Ultimamente non si fa altro che parlare di suo padre e della
sua corsa
al governatorato. Non dev’essere stato facile lasciare la
toga per gettarsi tra
gli squali che affollano il Congresso.”
Lara
ride
educatamente. “Oh, non è poi così
diverso da un bel gioco di società, solo che
al posto dei dadi si usano le parole.” Il suo sorriso si
accentua mentre si
volta a guardare Soprano. “E qualche volta anche le
zanne.”
Jake
non può
fare a meno di notare che la ragazza ha un bel viso liscio, da
adolescente. E
occhi verde cupo, come il cristallo molato del bicchiere che tiene in
mano.
“A
ogni modo
non facciamo poi una gran vita mondana, io e mio padre,”
continua Lara. “Per
questo raramente mi riconoscono. Esco poco, salvo per accettare
l'invito di un
amico.” Torna a guardare Victor, che è rimasto in
silenzio a fumare.
Soprano
sorride e soffia fuori uno sbuffo di fumo. “Un amico,
sì.” E appoggia la
sigaretta al posacenere, picchiettandoci sopra con le dita. Sposta gli
occhi su
Jake, scrutandolo da dietro la cortina di fumo. “Lei invece
di cosa si occupa,
signor Preston?”
Jake si
aspettava questa domanda. “Sono nel campo finanziario.
Fusioni e acquisizioni.”
“Ma
che
lavoro interessante,” lo interrompe Lara, versandogli il vino
nel bicchiere. Il
liquido ha un colore scarlatto, quasi ipnotico. “Ci racconti,
la prego.” E si
porta il calice alle labbra.
Soprano
si
sporge verso il tavolo, afferra il bicchiere e lo avvicina a quello di
Jake. “Non
faccia caso alla mia amica. La curiosità è un
vizio delle donne.” Fa tintinnare
il vetro contro il suo bicchiere. A Jake non sfugge il fatto che abbia
riabbassato il calice senza toccare il vino. Si rende conto un attimo
troppo
tardi che Lara ha notato la sua occhiata e lo sta fissando. Non
può fare a meno
di pensare a quanto sia attraente nel suo abito da sera, e con quegli
occhi
verdi, screziati d’oro. Deglutisce nervoso mentre lei si
avvicina e gli appoggia
le dita sull’avambraccio. “Lei non era mai venuto a
cena qui, vero?” sussurra. “Mi
ricorderei d'averla vista.”
“È
la prima
volta che ci vengo,” risponde Jake, sussultando al tocco.
“Dicono che la cucina
sia ottima.”
“Ha
ragione.”
La ragazza gli rivolge un sorriso obliquo. “È una
fortuna che abbia deciso di
dare retta ai consigli, altrimenti non avremmo avuto modo di essere
presentati.”
Jake
non sa
come rispondere, si sente arrossire e il vino gli brucia nella gola.
Deve stare
attento, non può rischiare di ubriacarsi e di fare qualche
sciocchezza che possa
esporlo. “Sarebbe stato un peccato anche per me.”
Lara
non
risponde. Si limita a un cenno garbato della testa e a un altro
colpetto del
bicchiere contro il suo.
“Vedo
che ho
fatto bene a proporle di unirsi al nostro tavolo,” commenta
Soprano mentre con
calma si accende un’altra sigaretta. Jake si sente i suoi
occhi addosso –
acuti, quasi abrasivi – ma non ha tempo di soffermarci il
pensiero, perché il
profumo di Lara, seduta così vicina, lo stordisce e gli
annebbia la mente. Si
sente andare alla deriva nel flusso ipnotico della sua voce, osserva
rapito il
modo elegante in cui muove le mani, il rosso del vino sulle sue labbra.
Non sa
dire quanto tempo sia passato, sa solo che il maître è andato e
tornato tre volte, portando vino
sempre più squisito. Il ristorante, intanto, si è
svuotato, se ne rende conto
all'improvviso. I camerieri si muovono tra i tavoli, sistemando le
tovaglie e
raddrizzando le sedie. Il grosso orologio alla parete segna la
mezzanotte.
Soprano
si
accorge del suo sguardo e fa un cenno al cameriere. “Si
è fatto tardi,”
constata a bassa voce. Estrae una penna dal taschino e verga una firma
sulla
ricevuta del conto. “Credo sia ora di andare.”
“È
tardi
anche per me, signori. È stato un piacere fare la vostra
conoscenza.” Jake si
alza per salutarli, ma si sente girare la testa e le gambe gli
vacillano. È
costretto ad aggrapparsi alla sedia per non cadere. Lara gli
è accanto in un
attimo, la mano poggiata sulla spalla.
“Tutto
bene,
Jake?”
Non gli
sfugge che l'abbia
chiamato per nome.
“Sì,
sto
bene. Solo non avrei dovuto bere tanto.”
La
ragazza
scambia uno sguardo rapido con Victor, che si sta infilando il cappotto
vicino
all’entrata. I suoi due accompagnatori sono già
usciti, lui non ha notato quando.
Nella sala sono rimasti solo loro.
“Ho
la
macchina qua fuori,” continua Lara. “A quest'ora
è quasi impossibile trovare un
taxi. Le posso dare un passaggio fino a casa.”
Jake
non si
aspettava questo sviluppo e per un attimo si sente prendere dal panico.
La serata
è stata proficua, ma non può e non deve
dimenticare con chi ha a che fare.
“Non
voglio
approfittare della vostra gentilezza. Aspetterò.”
“Suvvia,”
lo
interrompe la ragazza. “Vuole scherzare. Lo sa anche lei che
è impossibile
trovare un taxi a Manhattan dopo le dieci di sera.” La
stretta sulla spalla si
accentua, come il suo sorriso. Ha gli zigomi arrossati, gli occhi
lucidi come
pietre levigate. “La farò riaccompagnare dal mio
autista. Non mi faccia
insistere.”
Victor
si
riavvicina. Sta infilando i guanti e ha indossato un elegante cappello
a falde
larghe. “Le consiglio di accettare, signor
Preston.” E sorride. “La mia ospite
può diventare molto insistente quando le viene negato
qualcosa. Ma presumo sia
una peculiarità delle belle donne.” Ha parlato con
voce ferma, attutita dal
bavero rialzato del cappotto. Non sembra ubriaco, solo un po’
impaziente.
“D'accordo,”
risponde Jake, sentendosi alle strette. “Dato che insistete,
accetto.”
Il
sorriso
di Victor si accentua. Sotto la luce soffusa dei lampadari le sue
labbra sembrano
innaturalmente rosse, spiccano sulla carnagione pallida come una
chiazza di
sangue su un lembo di stoffa candida. “Bene, allora.
Andiamo.” Appoggia una
mano guantata sulla spalla di Lara. “Il ristorante sta
chiudendo.”
Escono
in
strada, la frustata di vento gelido fa rabbrividire Jake nel suo
cappotto. Lara
aveva ragione. I viali sono deserti e ricoperti di ghiaccio. Per i taxi
è quasi
impossibile circolare.
La
berlina
nera della ragazza è in attesa accanto al marciapiede, le
ruote affondate fino
ai mozzi nel cumulo di nevischio appena caduto. L'autista è
fermo davanti alla
portiera e la tiene aperta per loro.
“Si
accomodi,”
dice Lara, e si infila nella vettura. Aspetta che lui la raggiunga e
gli fa
spazio sul sedile posteriore. Un attimo dopo la portiera si apre
dall'altra
parte, e anche Soprano entra in macchina. Scosta i lembi del cappotto e
si
sistema all'altro lato del sedile.
“Passiamo
prima da casa mia, poi la faccio riaccompagnare.” Lara
rivolge un cenno
all'autista. La macchina sussulta mentre si stacca dal marciapiede,
schizza
fango sotto le ruote, poi scivola lenta lungo le strade illuminate del
centro.
Soprano
si è
acceso una sigaretta – l'ennesima della serata – il
viso rivolto al finestrino.
L’abitacolo è invaso dal fumo, Jake se lo sente
bruciare in gola e negli occhi.
“Io
vivo a
Brooklyn,” lo informa Lara. “Una bella zona. E
lei?”
“Queens.”
“Allora
è di
strada,” conclude la ragazza, e nessuno aggiunge altro.
Jake si
accomoda meglio sul sedile, ma è come essere seduto sulle
pietre. Nel silenzio
perfetto dell’auto, con la neve che sbatte contro la lamiera
e le orecchie che
gli ronzano, non riesce a scacciare la sensazione di avere commesso il
più
grande errore della sua vita.
2.
L’appartamento
La
berlina
si è fermata davanti a un'elegante palazzina in stile
coloniale, inghiottita
dalla luce lattiginosa dei lampioni.
“Siamo
arrivati.” Lara apre la portiera. Il freddo è
pungente come un morso sulla
carne viva. “Io e Victor dobbiamo salire per discutere di
affari, che ne
direbbe di un ultimo bicchiere di whisky, prima di tornare a
casa?” Gli
sorride. Ancora quel sorriso caldo, vagamente ammiccante.
Jake ci
ragiona un attimo. Ha avuto modo di calmarsi nel tragitto dal
ristorante, e ora
riesce a pensare con lucidità. Un’occasione del
genere non si ripresenterà più,
vale la pena di giocarsela fino in fondo. “Va bene, se non
faremo troppo tardi.
Purtroppo il mio lavoro inizia presto al mattino.”
“Oh,
non
faremo tardi. Solo un ultimo brindisi fra amici,” risponde
Lara mentre esce
dalla macchina. Victor li aspetta davanti all'entrata. Ha ripreso a
nevicare. I
primi cristalli si sono già depositati sulla stoffa scura
del suo cappotto e lui
li spazza via con la mano, mentre li osserva camminare a fatica nella
neve
alta.
La
ragazza
fa loro strada su per una scala di marmo, fino al suo appartamento.
Victor
rimane indietro. Si ferma sul pianerottolo a finire la sigaretta,
mentre Lara armeggia
con le chiavi e apre la porta.
Jake si
guarda attorno. La casa è ampia, il salone che si intravede
dall'ingresso è
illuminato da un fuoco lasciato acceso nel grande camino di pietra.
“Prego,”
lo
invita Lara, sfilandosi il cappotto. “Faccia come a casa
sua.”
Jake si
toglie il soprabito e la segue nel salone, dove lei lo aspetta seduta
sul
divano. La stanza è in penombra, ravvivata dalle sfumature
scarlatte del fuoco.
La luce si rifrange sui vetri smerigliati delle porte, sopra il ripiano
lucido
del tavolino di cristallo – e sulla pelle di Lara.
La sua
carnagione ha una tonalità ambrata, illuminata dai riflessi
che guizzano alti
nel caminetto. Si volta a guardarlo e si distende sui cuscini. Le sue
labbra si
arricciano in un sorriso. “Allora signor Preston,”
sussurra. “Le piace qui?”
“Sì,”
risponde Jake, sentendosi avvampare. Non gli è sfuggito il
modo in cui l’ha
guardato. Sa che dovrebbe dire qualcosa, ma adesso che è
rimasto da solo con lei
si sente un perfetto idiota. Eppure, per quanto folle sia, non
può negare di
sentirsi anche molto emozionato.
Come
gli
avesse letto nel pensiero, la ragazza si sporge verso di lui e i suoi
occhi
brillano, accesi dai bagliori del fuoco. “Che cosa
c'è?” Un pezzo di legno
schiocca nel caminetto, sollevando un nugolo di scintille.
“Mi sembra a disagio.”
“Niente
affatto.
Non volevo darle quest’impressione. Sarà la
stanchezza.”
Lara
annuisce, mentre si stende di nuovo sul divano. Accavalla le gambe e lo
spacco
nel vestito lascia intravedere uno spicchio di pelle serica.
“Non credi che
sarebbe ora di darci del tu?”
“Certamente,”
risponde Jake, quasi mangiandosi le parole. “Stavo proprio
per proportelo.”
Lei
sembra
compiaciuta. Apre la bocca per rispondergli, ma la frase si spezza tra
le
labbra e il suo sguardo scatta improvviso verso l'entrata.
Soprano
è
fermo sulla soglia e li osserva in silenzio. Raggiunge il mobile bar
accanto al
camino e lo apre, traendone fuori una bottiglia e un tris di bicchieri.
Si
muove a suo agio, come conoscesse bene la casa.
Lara lo
segue con lo sguardo. Il suo sorriso si è un po’
affievolito, ma gli occhi
spiccano più accesi di prima mentre osserva Soprano
appoggiare i bicchieri sul bancone
e riempirli con il ghiaccio.
“Whisky,
signor Preston?” Soprano gli si è rivolto senza
guardarlo.
“La
ringrazio. Anzi, noi avevamo appena deciso di darci del tu,”
propone Jake,
sperando di suonare naturale. La presenza di Soprano gli fa guizzare i
nervi
sottopelle.
Victor
non
risponde. Si limita a sorridere, mentre finisce di riempire i
bicchieri. Lara
si alza dal divano e lo raggiunge. Allunga un braccio per prendere il
calice
che l'altro le porge e le sue dita gli sfiorano il dorso liscio della
mano.
Sono vicini, uno davanti all'altra. Soprano non sembra stupito del
gesto della
ragazza. Le sue dita sono ancora lì, sulla mano di lui
– soltanto la punta
carnosa dei polpastrelli – e si muovono lente, in una carezza
sensuale. Lei gli
pianta più forte le dita nella carne e gli avvicina le
labbra all’orecchio. Ci
sussurra dentro qualcosa.
Soprano
sposta gli occhi su di lui. Impossibile determinare cosa pensi. Il suo
sorriso
sembra disegnato, inciso solo in superficie, come su una maschera.
“La mia
compagna mi chiede di riferirle una cosa, signor Preston.”
“Prego?”
Soprano
gli
rivolge un cenno con la mano che stringe il bicchiere. “Lei
le piace. Le devo
spiegare in che senso?”
Jake
sbatte
le palpebre, fa correre gli occhi da lui a Lara, sentendosi la bocca
arida, la
lingua attaccata al palato. “Io... davvero non so che
dire.”
Lara
ride,
nonostante l’ombra d'impazienza nello sguardo. Afferra due
bicchieri e si avvicina
di nuovo. “Ti vedo confuso,” sussurra.
“Forse allora devo spiegarmi meglio.” Si
china su di lui e gli porge il bicchiere. È vicina. Il suo
alito ha l'odore
pastoso del whisky. “Voglio che mi scopi. È chiaro
adesso?”
A Jake
tremano
le mani mentre le sfila il bicchiere dalle dita. L’ha
desiderata per tutta la
sera, ora può ammetterlo a se stesso. Eppure, adesso che lei
gli si sta
offrendo così spudoratamente, si sente a corto di parole. Il
buonsenso gli
direbbe di liquidarli entrambi con un arrivederci
e grazie, e invece riesce solo a rimanere inchiodato al
divano, il sudore
che gli cola lungo la schiena e il sangue che gli rimbomba nelle
orecchie.
Si
rigira il
bicchiere tra le mani, poi alza il volto e prende un respiro.
“D'accordo.”
Si
rende
conto di ciò ha detto solo dopo aver parlato. Ma la ragazza
non sembra stupita.
Un guizzo verde le illumina gli occhi mentre prende un sorso di whisky.
Il liquore
ambrato luccica sulle sue labbra, quando allontana il bicchiere.
“Bene.” Si
china su di lui e gli soffia sul viso. Ancora quel buon profumo
alcolico, e
qualcosa di più dolce. L'aroma della sua bocca.
Jake si
sente inebriare dall’odore e non è più
in grado di tirarsi indietro. Appoggia
il bicchiere e solleva il volto, cercando le sue labbra.
Lara lo
accoglie con un rauco mugolio di soddisfazione. “Dunque anche
a te piace
giocare,” gli sussurra, prima di ricambiare il bacio. Tiene
ancora il bicchiere
in mano, il braccio teso all'altezza della spalla. “Mi vanto
di riconoscere
quando vale la pena di fare un tentativo.” Si siede accanto a
lui, abbandonando
il bicchiere sul tavolino. Si sposta in modo da essergli quasi addosso.
Vuole
farsi guardare. Si porta le mani al nastro che tiene chiusi i lembi del
suo
corpetto e lo sfila con un gesto fluido. Lento. Fruscio di seta, e il
rumore
della stoffa che si apre. Anche la pelle del seno è
levigata, persino più
liscia di quella del viso.
“Ti
piace
quello che vedi?”
“Sei
bellissima,” ammette Jake senza fiato.
“Ah
sì?” sussurra
lei, e si passa le dita sulla pelle color caffelatte alla base del
collo. “Molto
gentile da parte tua.” Poi, senza dargli modo di aggiungere
altro, è di nuovo
sulle sue labbra.
Jake la
lascia fare e l’accarezza lungo la schiena. Infila la mano
sotto la stoffa,
circondandole un seno morbido. Lara sospira, gli mette le braccia
attorno alle
spalle e getta indietro la testa. “Ci sai fare,”
ansima, poi si irrigidisce di
colpo contro il suo petto. Si volta e trattiene il respiro, gli occhi
fissi in
un punto davanti a sé. “Victor,”
sussurra.
Soprano
è
rimasto a osservarli in silenzio, appoggiato al bancone. Ha ancora il
bicchiere
in mano, lo fa oscillare vicino al volto, la pelle illuminata dai
riflessi
caldi del liquido dentro il cristallo. Non sembra stupito della scena
che si
sta svolgendo davanti ai suoi occhi. Anzi, sembra divertito. Li guarda
con
interesse, ma niente di più.
Lara
sospira
e si districa dall'abbraccio. Si alza, sistemandosi l’abito,
e si avvicina a
Victor. Il modo in cui cammina verso di lui, il modo in cui lo guarda
– c'è
poco della sicurezza che ha ostentato per tutta la sera. Sembra
indecisa,
invece. Anche la sua voce lo è, quando finalmente si decide
a parlare.
“Tu
non
vieni?”
Victor
solleva il bicchiere ancora pieno nella sua direzione. “Si
è fatto tardi. È ora
che me ne vada.”
Lara
allunga
il braccio e gli sfila il bicchiere dalla mano. Per un attimo gli
sfiora di
nuovo le dita, poi gliele stringe fino a farsi sbiancare le nocche.
“No.”
“Lara,”
sussurra Soprano, ritirando la mano. “Lo sai bene che sono
altri i giochi che
preferisco.” Afferra la giacca e si riveste con calma,
continuando a fissare la
ragazza. Poi le sorride – un sorriso freddo –
tuttavia non privo di una bizzarra
tenerezza. “Riferisci a tuo padre che avrà quello
che mi ha chiesto. Come ci
eravamo accordati.”
Lei
scuote
la testa. La schiena e le spalle si irrigidiscono in un nodo di carne e
tendini. “E quello che voglio io? Lo sai cos'è che
desidero da te.”
Soprano
l'osserva in silenzio. Le appoggia il palmo sul viso e fa scivolare un
dito
sulla sua guancia. Un tocco veloce, quasi un graffio.
“Attenta a quello che
chiedi, bambina,” risponde in un soffio.
“Perché potresti pentirtene.” Poi
volta le spalle e si avvia verso la porta. “Arrivederci
Preston,” dice
inclinando il viso nella sua direzione. Ha ancora quel sorriso obliquo,
quasi
scolpito. “Le auguro un buon proseguimento di
serata.”
Jake
non
trova le parole per rispondergli. Non riesce a credere a quello che ha
sentito,
alle informazioni che gli sono state servite con tanta nonchalance. La
confidenza di Soprano dovrebbe insospettirlo, ma ora ha altro per la
testa e
l’erezione che gli pulsa nei pantaloni è
lì per ricordarglielo.
Si alza
e va
incontro a Lara, che è immobile a guardare la vetrata del
salone dietro cui è
sparito il suo compagno. Ha le mani serrate, le spalle contratte. Si
volta
d'impulso e lancia il bicchiere contro il bancone, mandandolo in
frantumi.
“Stronzo
figlio di puttana!”
“Non
arrabbiarti,” la consola Jake, mettendole una mano sulla
spalla. “Ci sono io qui,
se la cosa ti interessa ancora.”
La
ragazza
si volta verso di lui e
lo afferra per
la camicia, tirandoselo addosso. “Non dire
sciocchezze,” gli sibila contro le
labbra. “Non voglio pensare a quel bastardo. E ora datti da
fare. Dammi
qualcosa per cui valga la pena dimenticarlo.”
3.
Il
magazzino
Lara si
allunga sul divano, poi gli si struscia addosso. Ha il respiro
accelerato e
tiene gli occhi socchiusi, ancora scossa dai fremiti
dell’amplesso. Si lascia
accarezzare dalle sue mani, mentre si offre al calore del fuoco. Il
sudore si
sta già asciugando sulla pelle, il suo corpo odora di whisky
e di sesso. Si
stiracchia, passandosi una mano tra le cosce e sporcandosi le dita con
il seme
che si sta già seccando.
Volta
il
viso verso Jake e gli sorride. “Allora?” gli
chiede, leccandosi via una goccia
di sudore dalle labbra. “La serata è stata di tuo
gradimento?”
Jake
sospira, ancora a corto di fiato dopo quella che gli è
sembrata la scopata più
intensa della sua vita. Fa correre le dita sulla pancia liscia di lei,
per poi
soffermare l’indice sull’ombelico. “Non
mi posso lamentare.”
Lara
ride,
portandosi una mano alla bocca. “Su questo non ci sono
dubbi.” Si solleva su un
gomito e getta un'occhiata all'orologio appeso sopra il camino. Le tre
passate.
E fuori continua a nevicare. Le tende accostate lasciano intravedere
una porzione
di cielo bianco.
“Adesso
è
meglio se te ne vai.” Si volta e lo fissa con distacco.
“È tardi e io ho
un'intervista domani.”
Il suo
tono è
come una secchiata d’acqua gelida. Jake sente il cuore
sprofondargli nello
stomaco. Si mette a sedere e si passa una mano tra i capelli arruffati.
“Anche
per
me è tardi,” risponde, cercando di mantenere ferma
la voce. “E domattina ho
anch’io del lavoro da sbrigare.”
Lara
sorride
– un sorriso cordiale, ma privo di interesse. Si alza dal
divano, completamente
nuda, e cammina fino al mobile bar. Il suo corpo è ancora
umido di sudore, bellissimo
alla luce del fuoco. E lei lo mostra senza pudore. Ma ora sembra
distratta. Impaziente.
Si
versa da
bere.
“È
stato
bello, Jake.” Si volta a guardarlo. “Non nascondo
che sia stata una serata
piacevole…” Si porta il bicchiere alle labbra e
ingoia un sorso. “Ma tra noi
finisce qua. Puoi immaginare il perché, vero?”
Sbatte il bicchiere sul ripiano
e fa scorrere le dita sulla plastica accartocciata del pacchetto di
Lucky Strike
che Soprano ha dimenticato sulla mensola. Aggrotta le sopracciglia
– solo un
attimo – poi torna a guardare Jake. “La mia
immagine pubblica e quella privata
devono restare divise. Quello che è successo stanotte rimane
tra noi. Posso
avere la tua parola?”
“Non
avrei
interesse a dirlo in giro. Abbiamo molto da perdere
entrambi.” Jake parla
mentre si alza dal divano e inizia a rivestirsi. Sapeva sin dall'inizio
che per
lei era solo lo sfizio di una sera, ma questa consapevolezza non rende
lo
smacco meno amaro. Prima di andarsene la raggiunge e con uno strattone
l’attira
a sé. “Almeno questo me lo devi,” le
sussurra sulle labbra.
La
ragazza
vacilla, colta di sorpresa. Il bicchiere si inclina nella mano. Le
poche gocce
rimaste si spandono sul bancone. Lascia andare il bicchiere e con un
sospiro
gli circonda il collo, ricambiando il bacio. Lo morde sulle labbra,
passandogli
il gusto intenso del liquore.
Il suo
stesso sapore, riflette Jake e si sente stringere lo stomaco. Troppo
amaro per
tornare a berlo, troppo forte per dimenticarlo.
“Addio,
Jake,”
sussurra lei contro le sue labbra socchiuse. “Non mi
dimenticherò di te.”
“Addio,
Lara.”
La prende per i polsi e la allontana. Si sofferma per un istante a
guardarla,
come a volersela imprimere nella memoria, dopodiché gira i
tacchi e se ne va
senza voltarsi.
Mentre
scende le scale si sente bruciare in gola tutte le parole che avrebbe
voluto
dire, e che invece ha dovuto rimangiarsi.
Continua
a ripetersi che è giusto così e che ha ragione
lei. Appartengono a mondi
diversi, universi diversi, ed
è stato un
ingenuo a pensare anche solo per un
momento che una cosa come questa potesse avere seguito. Eppure, il nodo
rovente
che gli stringe le viscere non accenna a sciogliersi.
Sedotto
e
scaricato come un liceale alla prima cotta.
Si
chiede se riuscirà a dimenticarla, se alla fine
tornerà a questa esperienza
come si torna a guardare una vecchia fotografia sbiadita dal tempo e
dalla
troppa esposizione.
Com'è che
gli diceva sempre un suo compagno di classe, ai tempi del college? La fiamma forte si spegne subito. Ma al
momento il pensiero non gli è di grande consolazione.
Arrivato
all'ultimo gradino apre il portone e una folata di vento gelido lo fa
rabbrividire.
La neve continua a turbinare, i lampioni sono spenti e la strada che
fiancheggia
la casa si perde nel buio. Azzarda un passo sul terreno scivoloso,
riparandosi
gli occhi con la mano. In lontananza, gli sembra di scorgere la luce
dei fari
di una macchina che taglia l’oscurità.
Allora quella
stronza un cuore ce
l’ha, pensa, mentre
arranca incontro
all’auto. Ha avuto almeno il buon
gusto
di mandarmi l’autista che aveva promesso. Allunga
una mano verso la
portiera, ma la maniglia scatta prima che l'abbia raggiunta. Lo
sportello si
spalanca e sul sedile posteriore c'è Victor Soprano. Ha i
lembi della giacca
aperti e in mano impugna una pistola. L'acciaio della canna luccica
nell'oscurità.
“Buonasera,
Preston.”
Il
cuore di
Jake salta un battito. “Signor Soprano. Io...” Ma
quale scusa credibile può
inventare ora? Con una pistola puntata, ragionare diventa difficile. Si
guarda
attorno, ma non c’è nessuno. Tutto è
nero e silenzio. Senza dire una parola lo
raggiunge in
macchina e gli si siede
accanto.
L’altro
fa
ruotare la pistola con uno scatto del polso, sfiora la canna con le
dita. “Bene,
vedo che capisce al volo.” Si sporge verso di lui e chiude la
portiera. “Non
vorrà creare un impiccio alla sua nuova amica facendosi
trovare cadavere
davanti a casa sua. Sarebbe una cosa spiacevole da spiegare alla
polizia…” Il
suo sorriso è uno spicchio bianco nel riquadro buio
dell'abitacolo. “... o al
partito.”
Batte
la
mano sulla spalla dell'autista, e Jake non si stupisce di riconoscere
l'uomo
che l'aveva importunato al ristorante soltanto poche ore prima. Non che
in
questo momento abbia molta importanza. Non con una Beretta calibro nove
puntata
in faccia.
“Possiamo
andare.”
La
macchina
ingrana e scivola silenziosa sui viali ricoperti di neve. Il vento
fischia fuori
dai finestrini, sbatte contro i fianchi della Cadillac, facendola
sbandare
contro il margine della carreggiata. Ma Soprano non sembra
preoccuparsene. Ha
le spalle contro la portiera e lo osserva. La pistola non è
più puntata su di
lui, la tiene ancora in mano, appoggiata alle ginocchia. Ma Jake non si
illude.
Basterebbe uno scatto del polso per ritrovarsi una pallottola nel
cranio.
“Davvero
credeva che tutta quella pantomima sull’esperto di finanza
avrebbe funzionato?”
La voce di Soprano spezza il silenzio. Infila la mano libera nella
tasca
interna della giacca e tira fuori una sigaretta. L'accende con calma,
aspira
una boccata e sputa fuori il fumo. Lo sbuffo grigio si espande
nell'abitacolo,
attaccandosi alla gola come un insetto fastidioso. “Lei
però ha del fegato,
glielo devo riconoscere.” Una risata ruvida, dal fondo della
gola. “Venire
addirittura al Trinacria a
curiosare.
Non ci volevo credere finché non l'ho vista. Le faccio i
miei complimenti.”
Jake
prende
un respiro profondo. “E così alla fine mi ha
scoperto. Sapevo fin dall'inizio
di rischiare grosso, però l'idea di uno scoop era troppo
allettante e ho voluto
provarci.”
“Già.
Molto
audace.” Victor accarezza la pistola, facendo correre le dita
sulla canna. “Peccato
che la sua corsa finisca qui.” Torna a fissare gli occhi nei
suoi. Le sue iridi
nere scintillano nel buio come monete di nichel brunito. A Jake pare di
scorgervi una venatura rossa che non aveva ancora notato.
Si
sente
invadere da un terrore atavico, mai provato prima.
“Vede,
non
creda che non capisca. Lei fa il suo lavoro,” continua
Soprano, gli occhi
socchiusi, mentre la macchina si ferma schizzando neve contro le
fiancate. “E
io adesso devo fare il mio. Siamo arrivati.”
La
portiera
dal lato di Jake si spalanca e lui finisce a terra, in mezzo alla neve.
L'automobile è parcheggiata in una zona di periferia, uno
spiazzo largo davanti
a una fila di capannoni. I cristalli di neve turbinano e si avvitano in
fitte
spirali, il vento gli frusta il volto. Pochi lampioni ai margini dello
spiazzo,
spenti, appesantiti dal nevischio. E in piedi, davanti alla macchina,
un gruppo
di uomini in attesa. Due di loro si fanno avanti e lo sollevano per le
spalle.
“Forza,
stronzo. Muoviti.”
Viene
strattonato verso l'entrata di uno dei magazzini e spinto sul pavimento
polveroso.
Non lo lasciano nemmeno toccare terra. Sono in quattro e cominciano a
prenderlo
a calci e pugni. Si sente sbalzare contro le piastrelle, cerca di
ripararsi
facendosi scudo con le braccia, ma è tutto inutile. Viene
sbattuto faccia a
terra. Cerca di alzare il viso e, da quella posizione, riesce a
scorgere la
sagoma di Victor, appoggiato al muro del magazzino. Si è
tolto il cappello e
osserva la scena in silenzio, mentre finisce la sigaretta. Il suo volto
è un
ovale scuro dietro la cortina grigia di fumo. Nella gragnuola di calci,
Jake lo
vede raddrizzare le spalle e gettare la sigaretta a terra, poi
spegnerla col
tacco della scarpa.
“Basta
così.”
I suoi uomini si fermano all'istante. Si voltano, lo guardano
perplessi. “Lasciatemi
solo con lui.” Si fa avanti e si inginocchia al suo fianco,
l’osserva senza
parlare. Fa cenno ai suoi uomini di allontanarsi. La porta del
magazzino si apre
e si richiude alle sue spalle.
Poi, il
silenzio.
Jake è
sdraiato a terra, i vestiti e il
volto sporchi di sangue. Si solleva a fatica su un gomito, gli occhi
che gli
bruciano. Se davvero deve finire così, vuole almeno
conservare un briciolo del
suo orgoglio e morire guardando in faccia il suo assassino. Per un
attimo
rivede gli occhi verdi di Lara, le sue labbra incurvate in un sorriso.
Il
pensiero è sufficiente a fargli ritrovare un po’
di coraggio.
Soprano
è davanti
a lui. Si è tolto il cappotto. Ha una mano appoggiata al
ginocchio, l'altra
impugna la pistola. Il volto è senza espressione. Si china e
gli scosta dalla
fronte un ciuffo di capelli appiccicosi di sangue.
Jake
rabbrividisce al tocco. La sua mano è gelida, le dita come
marmo. Gliele passa
tra i capelli, lentamente, ed è come
se lo stesse accarezzando. È
scosso
dai
brividi, vorrebbe sottrarsi al contatto, ma le forze gli vengono meno,
e lui
sente il suo corpo abbandonarsi, sciogliersi in un strano calore che lo
riempie
di dolcezza.
“Lei
è una
strana creatura,” sussurra Soprano, mentre continua ad
accarezzarlo. “Tutti voi
lo siete. Così fragili, così magnifici.”
Le labbra pallide si incurvano in un sorriso che a Jake ricorda quello
degli
angeli dipinti nelle chiese. “È
sdraiato nella sporcizia, sanguinante, ma non implora, non piange come
un
moccioso.”
“Ora
mi
ucciderai, non è vero?” Jake fatica a ritrovare la
voce. Dovrebbe essere
terrorizzato, ma è
come nuotare
nel miele. Non prova
più paura, solo un vago
senso di anticipazione.
“Oh,
ma io non voglio ucciderti.” Soprano si china, appoggia la
pistola a terra.
Quando rialza il volto, i suoi occhi sono cambiati. Il bianco
è sparito e gli
occhi sono due ovali neri, come quelli di uno squalo. E, sul fondo, una
fiamma
rossa che arde sanguigna. “Io voglio mangiarti.”
Si
china sul collo di Jake, per un attimo i denti candidi balenano nel
buio.
Appoggia la bocca sulla sua carne calda, i denti gli sfiorano il nodo
pulsante
alla base del collo. “Non temere. Non sentirai
dolore.” Poi affonda i denti. Un
fiotto di sangue gli schizza il volto.
Jake
si tende come una corda di violino contro di lui, gli afferra le
spalle, ma la
presa di Victor è come acciaio e lui non ha più
forze. Sente la vita che gli
viene succhiata via, mentre un piacere mai provato si diffonde nelle
vene e lo
ricolma di pace. Di nuovo l’immagine di Lara; la vede in
piedi davanti a una
finestra, circondata dalla luce. Ha una creatura in braccio, un bambino
che ha
i suoi occhi.
Jake
Preston sorride, riconoscendo il futuro che avrebbe voluto.
“Oh, mio Dio. È
bellissimo…” sussurra, gli occhi pieni di lacrime.
L’ultima
immagine che scorge, prima che la vista si offuschi, è il
volto di Soprano che
si stacca da lui e gli sorride, le labbra sporche di sangue.
4.
La notte
Victor
adagia la sua preda sul pavimento. Si
solleva,
scrollandosi la polvere dai pantaloni, tira fuori un fazzoletto dalla
tasca e
si pulisce la bocca.
Si
allontana
di qualche passo e infine si volta, scrutando il corpo senza vita
abbandonato
nell’angolo.
Persino
così, in mezzo alla sporcizia, con la gola squarciata e gli
arti disarticolati,
quella creatura gli appare bellissima. Si chiede se
l’immagine di questa
mortalità è ciò che tanto spaventa
Lara. Lui non può comprendere la sua paura.
Esiste da un tempo che nemmeno ricorda, e non ha mai dovuto fare i
conti con
l’angoscia della decadenza, dell’imputridimento,
della corruzione.
Ha
visto
passare i mesi, le stagioni, gli anni. Ha attraversato le vite degli
uomini,
godendo ogni singolo attimo del suo cammino, traendo piacere da ogni
goccia di
sangue che ha strappato alle sue vittime.
Eppure,
anche nell’orrore della loro fine e della loro carne fragile,
queste creature
mortali conservano qualcosa di commovente.
Raccoglie
la pistola da terra e aggiusta la mira. Due colpi in rapida
successione, il
corpo di Preston sobbalza, poi torna inerte.
Osserva
i fori che la Beretta gli ha aperto nell’addome, e
– più in alto – i segni del
morso sul collo.
I
suoi uomini sono abituati alle stranezze dei cadaveri che devono
seppellire, e
lui sa che non faranno domande. Ma gli piace mantenere le apparenze.
Del resto,
è molto difficile che qualcuno possa notare certi segni, nei corpi che di tanto in tanto
riaffiorano dall’Hudson con
i piedi nel cemento.
Fa
scorrere il portello del magazzino ed esce all’aperto, nella
neve che turbina e
nel vento che fischia. Non presta attenzione agli uomini che in
silenzio
scivolano alle sue spalle e rientrano nel magazzino.
È
troppo preso ad ammirare la bellezza della notte che lo circonda.
L’oscurità
respira attorno a lui, è densa e piena di promesse. A occhi
chiusi percepisce
ogni suono. Il tonfo attutito della neve che cade dagli alberi e, da
qualche
parte, un fruscio d’ali, il lungo e lugubre richiamo di un
uccello notturno, che
alle sue orecchie è come musica. Dietro le palpebre, in
lontananza, riesce a
scorgere gli alti palazzi della città, immobili e silenziosi.
Nonostante
sia solo una parentesi nella sua lunga vita, ha imparato ad amare New
York – il
suo cuore pulsante di vita, la purezza delle sue notti. Anche Lara
apprezzerebbe un tale splendore.
Solleva
il
bavero del cappotto e sorride al pensiero della ragazza.
Da
troppo
tempo non ha una compagna, e Lara lo desidera, brama la vita che lui
potrebbe
offrirle. Forse è ancora sveglia e lo sta aspettando.
L’aspetta da tempo, e lui
lo sa.
Lo sente.
Il suo
sorriso si accentua, mentre raggiunge l’auto ferma davanti al
piazzale.
Adesso
ha
fretta.
C’è
una
bella donna che aspetta ancora il bacio della buonanotte.
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