The
singer finished singing and she's walking out.
The singer sheds a
tear, her fear of falling out...
And it's hard to say how I feel
today
for years gone by and I cried...
Tutto era iniziato
ancora.
Tutto, ogni più
piccola cosa era ripartita per il suo solito corso di vita.
Si era licenziata dal
multisala, dove non si era mai sentita soddisfatta né del lavoro che
le facevano fare, né della paga che le davano. Poteva essersi
trovata bene con i suo colleghi, ma pulire i pavimenti dalle
incrostazioni dei popcorn non era proprio la sua massima aspirazione. Per il momento faceva un sacco di colloqui, avrebbe voluto
comunque continuare a lavorare al pubblico e non le sarebbe
dispiaciuto stare dietro ad un bancone di un negozio, di qualsiasi
genere. Aveva anche pensato
seriamente di riprendere gli studi, era stata Arianna a proporle
quell'idea. Ci aveva pensato per una settimana, ma non si sentiva
ancora sicura del passo che stava per fare: iscriversi all'università
e tornare sui libri le avrebbero tolto il tempo per poter guadagnare
un buono stipendio e mantenersi da sola, e non voleva gravare sulle
spalle di nessuno, era fuori discussione. Arianna era stata
entusiasta quando gliene aveva parlato e le aveva dato tutto il suo
appoggio, di ogni genere, anche finanziario, ma aveva prontamente
rifiutato. Si sarebbe inventata qualcosa, per il momento aveva ancora
un po' di tempo per rifletterci in maniera più approfondita, le
iscrizioni sarebbero scadute a fine mese. Le sarebbe piaciuto
comunque tornare a studiare lingue straniere, cosa che le era sempre
piaciuta ma che suo padre le aveva negato, obbligandola ad iscriversi
alla facoltà di medicina, come era ancora impresso nei suoi ricordi.
Appunto, ricordi.
Arianna era tornata a
fare quello in cui era capace più di ogni altra cosa: affari.
Era troppo intelligente
e furba per mettersi dietro ad una scrivania e digitare lettere
commerciali, o ricevere chiamate e prendere appuntamenti per il capo.
Quando si trattava di impegnare la mente in un idea e realizzarla,
non la batteva nessuno. Possedeva materia grigia discretamente
funzionante ed un po' di denaro da impiegare: si era sempre detta che
se non avesse avuto il padre dirigente, si sarebbe sentita frustrata
per la mancanza di risorse economiche da investire nei suoi progetti,
ma Joanna era sicura che sarebbe stata capace di guadagnare milioni
con un solo centesimo nel borsello. Arianna ossedeva un paio di
vecchi appartamenti: li stava facendo ristrutturare, piuttosto che
decadere inutilizzati, ed aveva intenzione di affittarli. Nello stesso
stabile, inoltre, c'era un grande salone vuoto, a piano terra:
inutile dire che voleva convertirlo in un qualche locale, aveva già
valutato un paio di fantasiose ipotesi, accanto ad una di tipo
tradizionale su cui Joanna puntava più del resto.
Quell'idea era aprire
un ristorante di tipiche produzioni italiane.
Arianna era scettica,
ma non se la sentiva di rischiare fino in fondo con il pub in stile
horror ed il locale zen. Era più vincente un progetto assodato ed
aveva un buon fiuto per capire che la gente dei quartieri limitrofi
avrebbe accolto la sua idea con entusiasmo. Bastava avere l'occhio
per scegliere le materie prime giuste, poi tutto poteva essere
passato per italiano... Non al cento per cento, ma le bocche che
avrebbero assaggiato i suoi piatti non avrebbero sentito la
differenza. Semplicemente perché
non sarebbero state bocche italiane e importare la
mozzarella di bufala dalla Campania costava un braccio e quattro
dita.
Questo stava a
significare una sola cosa: Joanna si era decisa.
Ma l'aveva fatto solo
per se stessa, non per altri motivi. Con Arianna, erano arrivate nel
suo piccolo appartamento in piena Londra, nel quartiere di Mayfair,
vicinissimo ad Hyde Park. Come le aveva detto tempo fa, era un po'
piccolo: per le unità di misura mentali di Arianna poteva esserlo,
abituata alla sua villetta a due piani con giardino, ma per quelle di
Joanna era molto più che sufficiente.
Quando entrarono lo
trovarono sommerso dalla polvere, era da più di un anno che Arianna
non vi metteva piede e ci vollero due giorni per ripulirlo tutto,
sterilizzarlo, liberarlo dai ragni e dai gechi. Il terzo giorno
decisero di sostituire le tende ed i tappeti, comprare dei nuovi
piatti e spendere il resto in nuovi abiti. Il quarto giorno salirono
su un bus turistico e si fecero un giro per tutta la città,
visitando qualche museo e scattandosi foto in compagnia delle cere
dei divi famosi, esposte al Madame Tussauds. Il quinto decisero di
dedicarsi a cose più serie: andarono in una beauty farm. Durante il
sesto Arianna fece un giro per le case di tutti i suoi vecchi amici e
glieli fece conoscere: erano persone molto più che simpatiche, anche
se un po' altezzose, ma Joanna fu comunque contenta di prendere parte
alle pubbliche relazioni di Arianna.
Ed il settimo giorno,
ovviamente, si riposarono. Lo diceva anche la Bibbia che la domenica
era festività per tutti.
La seconda settimana
passò come un lampo in ciel sereno: ognuna si preoccupò di se
stessa e dei propri progetti, non ebbero tempo nemmeno per fermarsi,
erano troppo prese da quello che passava loro per la testa e, ora che
erano giunte al sabato, stremate sul divano, decisero di godersi il
secondo fine settimana in città.
Non aveva detto a
nessuno che si trovavano lì, ed era altrettanto sicura che nel caos
di Londra nessuno l'aveva vista. Sarebbe stato praticamente
impossibile, e se ne accertò quando chiamò Dougie.
“ Pronto?”,
rispose lui, ignaro.
“ Hey, Dougster.”,
gli fece.
Rimase un attimo
perplesso, lo stava chiamando dal suo nuovo cellulare, con una nuova
scheda, con un nuovo numero tutto inglese.
“ Jonny?”
“ Sì, sono proprio
io.”
Era alquanto scioccato,
stupito, dubbioso, contento, incerto, sbalordito... Provava tutto un
insieme di emozioni contrastanti che lo facevano riflettere. L'aveva
sentita sporadicamente in quel mese da poco concluso e la
chiamata più recente, oltre a quella che l'aveva colto pienamente
spiazzato poche ore prima, risaliva a poco dopo il rimpatrio di
Danny. Adesso capiva: a quanto
gli aveva spiegato, era arrivata da due settimane ed erano state
completamente sommerse dal trasferimento. Non sapeva dire se fosse
contento di trovarsela davanti, seduta nel salotto dell'appartamento
londinese di Arianna, mentre la donna stava preparando loro qualcosa
da bere. Era ancora troppo confuso: non se lo sarebbe mai aspettato
anche se, ad essere sincero, aveva pensato alla possibilità di avere la sua Jonny tra i piedi, ma
l'aveva vista come una cosa remota.
E Danny non sa
niente.
“ Quando pensi di
dirglielo?”, le chiese, “Prima o poi lo verrà a sapere, lo sai?”
Jonny sembrò
rifletterci.
“ Non lo so... Ma non
per il momento.”, gli rispose, “Adesso ho ancora delle cose da
sistemare.”
“ Devi farlo al più
presto, Jonny.”
Danny non se la cavava
tanto bene. Faceva finta di niente, si comportava come sempre, come
se non fosse successo niente. Niente.
Lo conoscevano abbastanza bene per sapere che lo faceva solo per
evitare di affrontare la situazione: la casa era vuota, e Jonny era
rimasta in Italia. Lei non lo aveva mai cercato, lui non provava
nemmeno a farlo. Un paio di volte Danny
gli aveva chiesto se avesse saputo qualcosa di lei, ma aveva dovuto
negare. All’inizio non gli aveva creduto, accusandolo di non
volergliene parlare: solo dopo un bel faccia a faccia si era convinto
che gli stava dicendo la verità.
Inoltre, la notizia
della fine della storia con Tamara non era passata molto in sordina:
se da una parte le fans si dividevano tra l’essere contente e
l’essere dispiaciute, la stampa aveva un po’ speculato sopra i
motivi per cui si erano lasciati, ma ormai i media si erano abituati
alla totale riservatezza con cui tutti loro trattavano i loro affari
personali, e presto non ebbero più niente su cui lucrare, dato che
nessuno rilasciava dichiarazioni, né i rumori che circolavano
sembravano essere uno più vero dell’altro.
“ Lo farò, Doug, lo
farò.”, gli disse Jonny, con tono quasi infastidito.
Non ne voleva parlare,
era ovvio. Non credeva alla giustificazione che aveva dato al suo
trasferimento, o meglio, aveva capito che si era aggrappata alla
voglia di cambiamento per non voler ammettere che lo aveva fatto per
lui. Ma forse si sbagliava... Forse.
“ Beh, lo sai, mi fa
molto più che contento saperti qua vicino, a mezzora di distanza da
casa mia.”, le fece con sincerità, “Solo che non mi va di
mentire a Danny.”
“ Non ti ho chiesto di
farlo.”, rispose Jonny, “Vorrei solo che non gli dicessi niente.”
“ Per me è come
mentire.”
“ Non ti facevo così
moralista, Dougster.”, ribatté lei, “E’ solo un piacere che mi
fai, potrai chiedermi di sdebitarmi quando vuoi.”
“ Non è quello il
punto. Danny è mio amico, mi conosce, non sono bravo a tenere un
segreto con lui e con gli altri.”
Lo sguardo di Jonny si
approfondì e si fece più deciso che mai.
“ Non devi dirglielo.
Per niente al mondo, Douglas Lee Poynter, non devi farlo.”
Per un brevissimo
istante, sentì un piccolo brivido percorrergli la schiena. Non gli
piaceva quella Jonny, né condivideva la sua scelta, ma la doveva
accettare.
Tolse la matita
dall’orecchio e cancellò il segno sullo spartito, modificando il
la
in un si.
“ Non credo che una
nota su ottomila possa cambiare qualcosa.”, borbottò Danny.
“ Hai ragione.”, gli
rispose Tom, con pazienza, “Però cambia la melodia del ritornello,
Jones.”
Danny sbuffò, si
sentiva annoiato e non aveva voglia di starsene nel suo studio con
loro, a provare. Harry se n’era appena andato, non trovando
migliore occupazione che dormicchiare sul divano. Tom era tutto
concentrato in mille strofe e ritornelli, il resto era solo un
optional per la sua presenza lì dentro. Dougie se ne stava
chino sul suo basso e faceva vibrare le corde con poco rumore: la
testa era circondata da un paio di grosse cuffie, le note che suonava
erano percepite solo da lui.
Danny lo stava osservando da un bel pezzo a quella parte.
“ Doug, cos’hai?”,
gli fece, ignorando il fatto che non potesse sentirlo.
Prese il cuscino
accanto a sé e glielo tirò, facendolo sobbalzare per lo spavento.
“ Ma che cazzo!”,
protestò Poynter, togliendosi le cuffie con fastidio.
“ Hey, calmati
amico!”, lo fermò prontamente, “Volevo solo sapere che cosa
avevi!”
“ Niente, va tutto
bene.”, lo seccò, tornando sul suo basso e isolandosi di nuovo.
Tom gli lanciò
un’occhiata di assenso, segno che era meglio lasciar perdere. Erano
diversi giorni che Dougie si comportava in modo strano, ancora più
assurdamente che lui. Nel novanta per cento delle situazioni era se
stesso, nient’altro che Poynter, con tutte le bizzarre
sfaccettature della sua personalità adolescenziale., ma capitavano
dei momenti in cui non era lui. Momenti come quello.
Danny aveva iniziato a
prestarci attenzione, non tanto alla frequenza con la quale
potevano capitare, ma al come
succedevano. Un’infinità di piccoli particolari erano quadrati
nella sua testa, e non volle elencarli tutti perché si sarebbe fatto
prendere dalla rabbia, bastava semplicemente convogliarli verso
un’unica direzione.
Dougie era strano
quando si trovava nei suoi paraggi, e se rimanevano soli trovava una
scusa banale per andarsene.
Non voleva essere
paranoico, ma ne aveva la piena certezza. C’era qualcosa che gli
nascondeva, oppure ce l’aveva con lui, non lo sapeva. Quando Danny
Jones arrivava, Dougie Poynter si zittiva, oppure abbassava il tono,
come per non attirare l’attenzione. La sua
attenzione.
E dire che pensava che
ne bastasse uno su quattro -lui-
a fare l’idiota del villaggio, e non nel senso comune del termine. Si rivolse a Tom.
“ Hey... Mi spieghi
che cos’ha?”, gli chiese, con un lieve cenno di testa verso
Dougie.
“ Non lo so.”,
rispose brevemente Tom, senza prestargli troppa attenzione, “Ti sta
sentendo, non è scemo.”
Danny si alzò,
preferendo non assistere un minuto di più a quella sceneggiata. Andò
verso Dougie e gli tolse le cuffie dalla testa, sotto la faccia
attonita di Tom e nel pieno stupore del bassista.
“ Hai qualche problema
con me?”, gli chiese.
Dougie era ancora
troppo frastornato per rispondergli e Danny ne approfittò per avvicinare una
sedia e sedersi di fronte a lui.
“ Danny, ma cosa
dici...”, gli fece, con un sorriso imbarazzato sulla faccia.
Gli occhi si muovevano
dai suoi a quelli di Tom e cercavano sostegno, ma Fletcher era
altrettanto fuori fase.
“ Ascoltami, non sono
uno scemo. Ho notato i tuoi comportamenti, e mi stanno seccando. Mi
stanno molto
seccando.”
“ Scusami, non so di
cosa parli.”, disse Dougie.
“ Non prendermi in
giro.”, era perentorio, “Dimmi se hai qualche problema con me.”
“ Non c’è niente,
Danny!”, ribatté l’altro, “Ho il diritto di farmi girare le
palle per i cazzi miei oppure no? E’ solo una tua prerogativa?”
“ Almeno io ho un
motivo. Tu ne hai uno?”
Dougie non resistette.
Lo guardava con rabbia, mentre si toglieva il basso di dosso. Lo
ripose nella sua custodia. Tom non sembrava avere il coraggio per
interporsi tra di loro.
“ Dacci un taglio,
Danny.”, gli disse, “Non ho niente a che vedere con i tuoi
problemi.”
“ Allora spiegami
perché, quando ci sono io, tu diventi un’altra persona.”
“ E’ una cazzata.”
“ No, non lo è, lo
abbiamo notato tutti!”, Danny cercò gli occhi di Tom, “Non è vero?
L’altro alzò le
spalle, scosse la testa.
“ Sei paranoico,
Jones.”, sibilò Dougie, “E te lo ripeto, non accusarmi dei tuoi
problemi.”
Il suo problema era
chiaro a tutti, sebbene cercasse di tenerlo nascosto il più
possibile e di sorridere anche quando tutto quello che avrebbe voluto
fare era starsene muto ed inespressivo.
“ Non lo sto facendo,
credimi, ti sto solo chiedendo di parlarmi del tuo!”
“ Non ne ho!”,
esclamò l’altro, agitandosi fino a scoppiare, “Io non ho nessun
problema, io sto benissimo! Sei tu che continui a vivere
come se non ne avessi!”
“ Non è di me che
stiamo parlando, Poynter!”
“ Ah no? E di chi,
allora?”, sbuffò l’altro, sarcastico.
“ Di te e del fatto
che mi tieni nascosto qualcosa!”
In un istante gli
sembrò di vederlo turbato, come se avesse colto nel bel mezzo della
questione.
“ Certo, Danny, ti sto
tenendo nascosto qualcosa.”, disse Dougie, “E vuoi sapere che
cos’è?”
Fu lui ad esitare.
“ Dimmelo.”
“ E’ un coniglio nel
cappello, idiota.”
Prese il suo basso e
uscì dalla stanza. Danny se ne rimase a fissare la portacome un
imbecille, ed il pugno di mosche che aveva tra le
dita volò via.
“ Contento adesso?”,
gli chiese Tom.
“ Lo sai anche tu che
è strano.”, rispose al suo amico, tornando a sedersi sul divano,
“Non negarlo.”
“ Ti dico le stesse
cose che hai sentito da Dougie.”, fece l’altro, “Mi dispiace.”
“ Grazie, bel sostegno
da parte tua.”, borbottò, scuotendo la testa.
Tom posò la chitarra,
passandosi una mano sugli occhi stanchi e stropicciandoli.
“ Danny, ti prego,
chiamala.”, gli disse.
“ No.”, rispose
prontamente, “E’ fuori discussione.”
Il biondo chitarrista
si frugò nelle tasche e gli porse il suo telefono.
“ Per l’amor del
cielo, Danny, fai quel cazzo di numero e parlale!”, gli impose,
cercando di essere autoritario.
“ No, non mi
risponderebbe.”
“ Ma cosa ne sai!”,
contrattaccò subito, “Chiamala e basta!”
“ No.”
“ Spiegami almeno
perché!”
Tom era visibilmente
adirato e, essendo sempre stato la calma fatta persona, faceva
abbastanza paura in quello stato. Danny non voleva parlarne, non lo aveva
mai fatto ed era sempre stato bene in quel modo. Sfogarsi non sarebbe
servito a niente, solo a stare peggio, ed era sicuro che l’avrebbe
superata con calma e pazienza.
“ Danny, non è Dougie
quello che ci sta preoccupando, sei tu.”, gli disse Tom, “Non è
lui quello strano, sei tu. Tutto perché sei così testardo e
cocciuto da fare sempre come ti pare, senza chiederci aiuto.”
“ Non ne ho bisogno.
Sto bene così.”
Tom non si arrese e
continuò a pregarlo di chiamarla, di provare a parlarle. A cosa sarebbe servito?
A niente, Little non gli avrebbe risposto, era stata chiara,
preferiva non sentirlo più. Non avrebbe avuto senso farlo: non gli
interessava sentire la sua voce vicina, amplificata dalla cornetta
del telefono, mentre lei gli parlava a chilometri e chilometri di
distanza. Se non poteva guardarla negli occhi, allora non valeva la
pena nemmeno provarci.
“ Fletcher, non
insistere, ti prego.”, gli disse, “Se mi comporto così ho le mie
ragioni per farlo.”
“ Non ti capisco,
Danny.”, rispose l'altro, “Ti ci è voluto più di un anno per
capire che ne eri innamorato, e poi molli tutto. Se ti fosse stata
veramente a cuore, avresti lottato fino in fondo.”
“ Non posso chiederle
di trasferirsi qui!”, esclamò, “Sarebbe assurdo!”
“ Potevamo parlarne,
Jones.”, disse Tom, sconsolato e stanco, “Sarebbe bastato
riuscire ad organizzare bene il nostro lavoro.”
“ Non sarebbe comunque
abbastanza!”, ribattè.
“ Vuoi sempre tutto e
subito, Jones, non sai aspettare.”, borbottò Tom e lasciò l'osso,
riprendendo la chitarra e tornando a correggere lo spartito davanti a
sé.
Infastidito ed
arrabbiato, Danny lo mollò da solo nello studio, preferendo
spostarsi in un'altra stanza della casa, dove avrebbe cercato in
qualche modo di allentare la tensione.
***
Jonny aveva due
opzioni: scegliere di studiare o di lavorare. Non era capace di
decidersi.
Dougie era lì con lei,
seduto intorno al tavolo della propria cucina. Arianna l'aveva
accompagnata lì pochi minuti prima e, nonostante la discreta
vicinanza all'appartamento di Danny, Jonny non sembrava curarsene.
Era bastato solo non farsi riconoscere, con un cappuccio sulla testa:
come era già successo altre volte, avrebbe voluto presentarsi da lei,
sarebbe stato più sicuro, ma era stata Jonny ad insistere. Aveva
voluto vedere dove viveva, come fosse fatta casa sua, e l'aveva
accontentata. Non le aveva detto della litigata avuta con Danny durante la
settimana appena scorsa, non le voleva rinfacciare il peso di quella
drastica ed insensata imposizione.
Lei sospirò,
chiedendosi se mai sarebbe riuscita nella scelta. Un negozio di
oggetti da regalo l'aveva chiamata, dopo il centesimo colloquio di
lavoro, e le aveva detto che voleva tenerla un paio di settimane in
prova. Inoltre, si era informata su come poter essere ammessa alle
università inglesi: la pratica era abbastanza lunga, c'erano
centinaia di moduli da compilare, oltretutto doveva essere esaminata
sulla sua conoscenza dell'inglese e avrebbe anche dovuto fare un test
d'ammissione, se aveva capito bene. Aveva quasi abbandonato l'idea di
approfondire la conoscenza delle lingue, preferendo altri corsi
di tipo umanistico e storico-letterario.
Stava cercando di
aiutarla e, anche se non sapeva esattamente cosa dirle e come
consigliarla, era felice per lei, non sapeva dire quanto. Quella che
aveva accanto non era neanche lontanamente la Jonny che aveva
conosciuto, né quella di cui era diventato amico. Sebbene fosse
ancora l'essenza naturale dell'incertezza, il saperla impegnata in
quella decisione così difficile, ma soprattutto vedere la sua
presenza materiale e stabile lì in Inghilterra, era la dimostrazione
che aveva avuto il coraggio di fare fronte alla sua vita. Forse erano state le
parole dure e taglienti che le aveva detto nei momenti di rabbia
qualche tempo fa, ma credeva più nella brutta scossa che le aveva
dato Danny. Jonny aveva voglia di prendersi una rivincita contro
tutte quelle persone che le avevano fatto male, in un modo o
nell'altro, e provava a dimostrare al mondo ed a se stessa che era in
grado di farcela.
Poco prima aveva
ricevuto una chiamata dall'Italia, da parte di sua madre, che le
aveva chiesto come si trovasse lassù. Sbrigativamente Jonny l'aveva
aggiornata, senza mancare di dirle quanto era felice lontano da loro.
Gli spiegò che la chiamava regolarmente, almeno una volta alla
settimana.
“ Dougster, perché è
così difficile!”, si lamentò, la fronte appoggiata sul freddo
tavolo di vetro.
“ Perché se fosse
facile, tutti sarebbero in grado di farlo.”, le rispose, unendo le
mani dietro alla testa e stiracchiando la schiena.
“ Vorrei tornare a
studiare, ma poi mancherebbero i soldi per mantenermi.”, ripeté
lei, per l'ennesima volta
“ Allora dovresti dire
di sì al negozio.”, le fece, tirando fuori il solito consiglio che
le aveva già dato.
“ Ma mi piacerebbe
anche studiare!”
“ Puoi fare le due
cose contemporaneamente.”
“ Non so se ci
riuscirei.”, continuò lei a lamentarsi.
“ Non hai nessuno che
possa aiutarti?”, le chiese.
“ Non voglio
nessuno
che possa aiutarmi.”, rispose Jonny, con tono perentorio, “Ce la
devo fare da sola.”
Erano sempre più
uguali. Lei e Danny si somigliavano sempre di più, gli venne da
sorridere a quel pensiero, ma allo stesso tempo c'era ben poco da
gioire. Per lui era sempre più difficile gestire la situazione tra i
due e ogni occasione di incontro con Jones diventava uno scontro,
tanto che sia Tom che Harry avevano fiutato qualcosa. Aveva promesso
ai due che gliene avrebbe parlato, ma che non avrebbero dovuto
assolutamente riferire a Danny. Era chiaro che non
poteva durare a lungo e che prima o poi tutto sarebbe degenerato.
Jonny non lo voleva capire. Voleva dimostrare che non si era
trasferita in Inghilterra per stare con lui ma per vivere la sua
vita? Beh, per quanto lo riguardava quello scopo era già stato
raggiunto da un bel pezzo, poteva anche uscire allo scoperto.
“ Sappi che io sono
dalla tua parte.”, le disse, “E che non mi tirerei mai indietro
se avessi bisogno di una mano.”
“ Ti ringrazio, Doug,
ma per il momento i soldi non mi mancano.”
“ Appunto, per il
momento, ma poi?”, le fece, “Le rette sono care, la vita qua è
ancora più costosa...”
“ Grazie per
l'incoraggiamento...”, borbottò lei, “Ma se devo mendicare,
preferisco allora rinunciare e mettermi a lavorare.”
Non la capiva, certe
volte non ci riusciva proprio.
“ Allora preferisci
continuare a vivere insoddisfatta piuttosto che impegnarti in
qualcosa a cui tieni.”, esclamò Dougie, cercando di farle capire
che non si stava riferendo solo a quella scelta, ma bensì anche a
qualcos'altro.
“ Non ci arrivi,
Doug!”, rispose lei, adirandosi, “Non voglio avere nessun debito
sulle spalle!”
“ Non ne avresti, non
ti chiederei niente indietro, nemmeno un penny!”
“ Ma mi sentirei
comunque in dovere di restituirti tutto!”
“ E allora, se ti fa
tanto piacere, mettiamola così.”, le volle proporre, “Ti aiuto,
e quando sarai in grado di saldare il tuo debito, lo farai.”
Se quel giorno
fosse arrivato,Dougie non avrebbe mai accettato. Le stava offrendo il suo
appoggio perché poteva tranquillamente permetterselo, e niente lo
avrebbe mai convito a riprendersi indietro i suoi soldi, anche a
costo di litigare a morte con Jonny.
Lei, comunque, era
sempre incerta.
“ Dougie, non pensare
che sia venuta qui per chiederti del denaro...”, disse poi,
abbassando lo sguardo imbarazzato.
“ Beh, se credi che lo
abbia pensato anche per un solo secondo, allora possiamo anche non
parlarci mai più.”, le fece, con falsa serietà.
“ Volevo solo che mi
aiutassi a scegliere...”, piagnucolò lei.
Le si avvicinò, le
sostenne il viso tra le dita della mano destra.
“ La tua scelta l'hai
già presa, Jonny.”, le disse, “Ed io ho preso la mia. Ti
iscriverai all'università, cercherai un lavoretto poco stressante e,
quando avrai bisogno di me, basta chiamare. Non posso darti
ripetizioni, a meno che tu non sia interessata allo skate o al basso,
ma ho abbastanza centesimi sotto il cuscino per poterti sollevare
dalla retta che dovrai pagare... E anche dalle altre spese, se ti va.
Sono più che felice di farlo, lo sai, non ti immagini quanto sia
contento per te.”
“ Ma Dougie, io...”
“ Zitta, non
obiettare.”, le fece, chiudendole la bocca con l'altra mano, “Ho
già emesso la mia sentenza, ora non devi fare altro che metterti
sotto nello studio e farmi contento. Voglio vedere dei risultati!”
Lei sbuffò in una
risata e nello stesso attimo lui la seguì. Per ringraziamento si
accontentava anche di un abbraccio e, come se gli leggesse nella
mente, Jonny si strinse al suo collo, facendolo quasi cadere dalla
sedia.
“ Piano!”, la sgridò
scherzosamente, “Non vedi che c'è scritto 'alto
e fragile'?
Mi stai strozzando!”
Gli dette un sonoro
bacio sulla guancia.
“ Ti voglio bene,
scemo di un Poynter.”
Adesso non voleva
davvero nient'altro in cambio, si sentiva pienamente soddisfatto e
felice. Il sapere di poterle essere realmente d'aiuto lo faceva stare
bene, era quello che aveva aspettato..
Un rumore strano alle
sue spalle gli solleticò l'orecchio.
“ Little?”
“ Non ha detto di che
cosa si tratti, ma ha promesso che ce ne parlerà, a patto di non
riferirti niente.”, gli disse Harry, seduto davanti a lui, insieme
a Tom, “Questo è tutto.”
“ Tutto?”, domandò
Danny, scettico di quello che aveva appena sentito.
“ Sì.”, intervenne
Tom, “Dougie sta nascondendo qualcosa. Soprattutto qualcosa a te.”
“ Lo sapevo...”,
borbottò.
Realizzare di avere
pienamente ragione non lo stava facendo affatto stare meglio, anzi,
la sua rabbia aumentava. Dougie stava tacendo qualcosa di importante,
qualcosa che lo riguardava, ma ne aveva fatto parola con Tom ed
Harry, che adesso glielo stavano riferendo. Doveva tenersi a mente di
fargli i complimenti, oltre che ad incazzarsi con lui come pochissime
altre volte in tutti quegli anni insieme.
“ Calmati, Danny.”,
gli disse Harry, “Non fare niente di stupido, se Dougie ce l'ha
detto vuol dire che prevede di farlo presto anche con te.”
“ Capite che non
parlavo a sproposito quando dicevo che era strano?”, sbuffò, senza
ascoltarlo, “Perché non mi credevate?”
“ Lo avevamo intuito
anche noi.”, rispose Tom, “Ma volevamo solo aspettare che lui si
facesse avanti. Lo sai com'è fatto, se non vuol parlare, non lo
farà.”
Esattamente come lei...
“ E tu sai benissimo
cosa significa quando una persona ha quel carattere, Jones.”,
sottolineò Harry, cogliendo il suo pensiero, “Non lo si può
forzare a parlare, ma il fatto che ci abbia anticipato questa
cosa...”
“ Non me ne frega un
cazzo, Judd!”, esplose Danny, “E non ci passerò sopra!”
“ Nessuno chiuderà un
occhio, puoi starne certo.”, riprese Tom, con tono conciliante, “Ma
se continui così, ci farai pentire di avertelo detto.”
“ Tom ed io abbiamo
discusso molto sul fatto di fartelo sapere o no.”, disse Harry,
“Pensavamo che avresti reagito con razionalità e non agitandoti
così.”
Se si era incazzato a
quel modo, c'era un motivo ben preciso. Dougie non aveva mai avuto
motivo di tener segreto qualcosa, aveva sempre parlato di tutto,
perché loro erano amici.
Erano una famiglia
e si
davano una mano a lavare i panni sporchi. Se Dougie aveva
violato quella regola implicita, allora si sentiva giustificato per
una qualche ragione.
Ma di tutte le cause del mondo, però, gliene veniva in mente solo
una.
“ Vado a parlargli.”,
disse, con decisione.
“ No, Danny,
siediti.”, gli impose Harry, “Non lo farai adesso, né mai,
aspetta di esserti calmato.”
“ Ma soprattutto
aspettiamo che si faccia avanti Dougie.”
No, non era sua minima
intenzione attenderlo, però Harry aveva ragione, doveva calmarsi,
altrimenti non lo avrebbero mai lasciato andare. Fece passare un paio
di ore e, non appena la guardia dei due si fu abbassata, tirò fuori
una scusa banalissima ma molto efficace per togliersi da casa di Tom,
luogo in cui quella specie di riunione segreta si era svolta. Doveva tornarsene a
casa, fu quello che disse, e li convinse entrambi, ma fece una
piccola sosta fuori percorso.
Si fermò a diversi
portoni da quello di casa sua, svoltando a sinistra ed entrando nel
cortiletto di casa Poynter. Percorse tutto il tratto verde che
circondava l'appartamento e, una volta sul retro, bussò alla porta
di legno bianco. Attese, nessuno sembrava in casa. Bussò di nuovo e,
nonostante quello, Dougie non gli aprì. Decise allora di entrare,
molto probabilmente si stava dedicando alla pennichella quotidiana,
data l'ora che segnava il suo orologio.
Il corridoio lo portò
per primo verso il salotto, dove la televisione era illuminata da un
film in bianco e nero, a cui era stato tolto l'audio. C'era un po' di
confusione: cd sparsi, la consolle per i videogiochi per terra, i
joystick che riposavano sul divano. La seconda porta si affacciava
sul bagno e la lasciò perdere.
Sentì poi una risata,
era Dougie.
“ Piano!”, disse il
suo amico bassista, “Non vedi che c'è scritto 'alto
e fragile'?
Mi stai strozzando!”
Se non fosse stato per
la ragione che l'aveva spinto lì, si sarebbe pentito di essere
entrato furtivamente. Dougie era in compagnia e lo avrebbe colto in
una situazione abbastanza compromettente ed imbarazzante. Sentì lo schiocco di
un bacio.
“ Ti voglio bene,
scemo di un Poynter.”
Si sentì pietrificare,
dalla testa ai piedi, al suono di quella voce femminile così ben
conosciuta. Non poteva essere, no,
si era sicuramente sbagliato. Era un'altra persona, due voci potevano
somigliarsi al tal punto da confonderle, gli capitava spesso quando
sua zia gli telefonava, la scambiava sempre per sua madre. Ma quelle
due stesse voci potevano anche avere lo stesso particolare accento?
Ebbe paura di muovere
un passo e scoprirla lì, con Dougie, e di realizzare che fosse lei
il segreto che il suo amico gli nascondeva. Quello non glielo avrebbe
davvero mai perdonato. Mai.
Si fece coraggio.
Piuttosto che vederla
abbracciata a lui, con un viso dall'aspetto felice, avrebbe preferito
una tortura qualsiasi, di ogni tipo.
“ Little?”
Lei aprì gli occhi e
lo vide. Nello stesso istante, le sue braccia si sciolsero dal collo
di Dougie, che si voltò immediatamente.
Non sapeva quale
sentimento provare: delusione, amarezza, rabbia. Era confuso, non
sapeva dove guardare, i suoi occhi non facevano altro che spostarsi
da Little a Dougie, dai quali traspariva tutta la colpevolezza della
loro azione.
“ Danny... Ciao...”,
balbettò Poynter, “Che ci fai qua?”
Prese un profondo
respiro e gli rispose.
“ Ero venuto per farti
una visita. Ma vedo che qualcuno mi ha preceduto.”
Little se ne stava
accanto a lui, mani giunte che nervosamente si contorcevano, mentre
lo sguardo era incerto.
“ Come stai?”, le
chiese Danny, “Hai fatto un buon viaggio?”
Dougie gli aveva
nascosto che sarebbe venuta a trovarlo, ecco qual era stato il suo
problema in quei giorni. Non voleva che lui ne venisse a conoscenza,
ma Tom ed Harry erano stati in parte informati: ciò stava a dire che
almeno loro due l'avrebbero vista, ma non lui. Lui non era stato
invitato. Era stato lei a
chiederglielo?
“ E' arrivata poche
ore fa...”, cercò di recuperare Dougie, “Sono... Andato a
prenderla all'aeroporto, avevamo in programma di passare a
trovarti...”
“ Sì?”, fece, poco
convinto, “Peccato che non sapessi che stesse per arrivare.”
“ Volevamo farti una
sorpresa.”, continuò Dougie a mentirgli, “Pensavo ti sarebbe
piaciuto.”
“ In genere sì, ma
questo tipo di sorprese mi vanno abbastanza di traverso.”
“ Mi... Mi dispiace,
però ero certo che...”
“ Finiamola, Dougie.”,
disse Little, il suo tono era inequivocabilmente sicuro, “Lo vedi
che non la sta bevendo?”
Quella frase fu peggio
di uno schiaffo in pancia, di un pugno sullo stomaco, di un coltello
affondato nella carne. Uno scorcio di quello che era successo iniziò
a formarsi nella sua mente. Non ci sarebbero state sorprese per lui,
solo quello che aveva già intuito. Lei era venuta a trovare Dougie,
Tom ed Harry, non Danny.
“ Jonny, possiamo
scambiare due parole?”, le domandò Dougie.
“ Non mi dispiacerebbe
ascoltarle.”, disse Danny ai due, incrociando le braccia ed appoggiandosi
allo stipite della porta, “Soprattutto se mi aiutano a capire che
cosa diavolo stia succedendo.”
“ Niente, Danny.”,
gli rispose ancora Poynter.
“ Dougie, basta.”,
lo zittì Little, “Tagliamola qui, non ha più senso continuare.”
Il terribile sospetto
che non si trattasse solo di una semplice visita di cortesia tra
amici lo atterrì dalla paura, ma cercò di non far trasparire alcun
pensiero. La parte di lui che sentiva tuttora la sua mancanza, che
voleva stringerla e averla ancora una volta per sé, si era
ammutolita nello stesso attimo in cui l'aveva sentita baciare Dougie
e dirgli che gli voleva bene. Se quella possibilità era il futuro
che si sarebbe trovato a vivere, non era certo di avere il coraggio
di affrontarlo.
Preferiva mollare.
Little si sistemò i
capelli dietro alle orecchie e si schiarì la voce. Danny non voleva farla
parlare, non sapeva che cosa avrebbe potuto sentire.
“ Mi sono trasferita
qui, con Arianna.”, disse.
Sentì un esplosione in
petto.
“ Da un mese.”
Il cuore tornò a
fermarsi per l'ennesima volta.
“ Nei prossimi giorni
mi iscriverò all'università, ho deciso di tornare a studiare.
Arianna ha già avviato tutte le pratiche per aprire un nuovo locale.
Abbiamo la nostra vita, e ce la caviamo piuttosto bene. Dougie ha
saputo tutto solo due settimane fa, sono stata io ad imporgli di non
dirti assolutamente niente.”
Fece una breve pausa.
“ L'ho fatto per me, e
quello di cui mi importa è stare bene.”
Un'altra pausa.
“ Da sola.”
Danny vide Dougie voltarsi e
parlarle, ma fu solo un rumore lontanissimo. Little si voltò verso
di lui, gli disse qualcosa, ma non riuscì a capirla. Danny si
sentiva dentro ad una campana di vetro che lo isolava dal mondo
esterno: i due si animavano, alzavano i toni della discussione ma non
percepiva le loro voci. Era tremendo, era così surreale che le
orecchie si erano sigillate, forse per paura di sentire parole in più
rispetto a quelle che già gli avevano fatto male. Doveva trovare il modo
di uscire da quella prigione, il respiro iniziava a mancargli.
Soffocava.
“ Ok.”, disse, tutto
d'un botto.
I due si interruppero.
“ Ok.”, ripeté, “Se
è quello che vuoi...”
Little sembrò
titubante, ma fu solo per una piccolissima frazione di tempo.
“ Sì.”, rispose,
“E' quello che voglio.”
La rabbia per Dougie e
le sue bugie svanirono. Si estinse anche la paura che potesse essere
successo qualcosa tra lui e Little. Tutto si volatilizzò e diventò
vapore acqueo, che gli bagnò la fronte. Lo stipite a cui era
appoggiato era diventato improvvisamente il posto più scomodo su cui
avesse mai sostato.
“ Va bene.”, disse
Danny, “In bocca al lupo per lo studio...”
Divincolò le braccia,
nervosamente incrociate sul petto, e se ne andò senza attendere il
saluto di nessuno dei due.
***
China sui libri di
storia, Joanna stava dando un ripasso ai fatti storici del medioevo, tanto
per non farsi trovare impreparata al test di ammissione che avrebbe
avuto tra due settimane. Si volle prendere un quarto d'ora di pausa
ed accese la macchinetta del caffè. Non avendo la mente occupata
dalle vicende di Carlo V, il quasi ultimo imperatore del Sacro Romano
Impero, l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu il solito e classico
sorriso. Ci sarebbe voluto
tempo, ma prima o poi anche quello sarebbe finito. Si sentiva
stranamente fiduciosa, forse per il fatto di aver passato con
facilità il primo scalino verso la sua nuova carriera universitaria,
essendo stata promossa a pieni voti all'esame di lingua inglese, e
credeva che si sarebbe presto tolta quel pensiero fisso dalla testa.
La porta principale si
aprì e si chiuse con un tonfo, Arianna era tornata.
“ Jo?”, la chiamò
subito, come era solita fare.
“ Sono qua!”, le
rispose, “Vuoi un caffè?”
“ Per carità, no! Ne
ho già presi dieci, potrei avere un infarto!”, sbottò ridendo.
La sentì camminare sui
suoi tacchi e un passo dopo l'altro fu in cucina.
“ Stavi studiando?”,
le chiese, sedendosi.
Era stanca, lo si
vedeva dalle grandi occhiaie sul suo volto. Da diversi giorni era in
frenesia: doveva dirigere i lavori di ristrutturazione ed era in
piena crisi. Tutti gli operai sembravano fregarsene delle sue
decisioni e doveva spesso imporre i suoi progetti e la sua autorità.
Aveva accolto con felicità la decisione di Dougie di darle una mano
con lo studio: resasi conto che l'inflazione aveva fatto salire
vertiginosamente i prezzi di tutti i beni venduti in terra inglese,
Arianna si stava rendendo conto di quanto le sue casse si stessero
prosciugando in fretta e di come non poteva aiutarla fino in fondo.
Aveva ricambiato il bel gesto di Dougie promettendogli che lo avrebbe
sempre fatto mangiare gratis, se fosse mai riuscita ad aprire il suo
ristorante. Oltre alla ristrutturazione, infatti, la difficoltà più
grossa era nel riuscire a trovare del personale qualificato ed adatto
al suo scopo: non poteva mettere un cuoco inesperto a cucinare un
ragù, o ne sarebbe uscito un disgustoso pappone al ketchup e carne
trita. Joanna le aveva anche
parlato di Danny. Arianna non si era stupita della sua reazione,
anzi, era esplosa con un amaro 'te
l'avevo detto',
ma Joanna si aggrappava all'ottimismo che sentiva, oltre che al
motivo primario che l'aveva spinta lì: il bisogno di stare bene.
“ Stavo facendo una
breve pausa.”, le rispose.
“ Sono quasi le otto,
è l'ora di darci un taglio con questo barbone a cavallo!”,
borbottò Arianna, dando un'occhiata al libro aperto.
“ E' Carlo V,
ignorante.”, le rispose ridacchiando.
“ Per me poteva anche
essere l'antenato di Brad Pitt, ma per il momento è giusto mandarlo
nel dimenticatoio.”
Chiuse il libro con un
tonfo.
“ Hai già mangiato?”,
le domandò la donna.
“ Sì, mi sono fatta
uno spuntino. Tu?”
Le annuì con un cenno
ed uno sbadiglio trascurato.
“ Uh! Ma quanto sonno
che abbiamo!”, esclamò Joanna, ridendo, “Forse è meglio andare
a letto!”
“ Sì, credo che
seguirò il tuo consiglio, ma solo in parte.”, rispose l'altra,
“Devo cercare di far quadrare i conti e credo che la calcolatrice
mi farà compagnia per tutta la notte.”
“ Non chiedermi di
aiutarti.”, le fece, “Per me la matematica è una sgradevole
opinione non richiesta.”
“ Ok...”, Arianna
sbadigliò ancora, “Quando decidi di andare a letto, vienimi a
togliere quell'aggeggio infernale dalle dita.”
“ Va bene. Notte,
Arianna!”
“ Buonanotte...”
Con il passo agile di
uno zombie morente, Arianna se ne andò nella sua stanza. Il caffè
era quasi pronto e, dopo essersene versata una tazza, prese il libro
di storia e andò ad accomodarsi sul divano del salotto. Per quella
casa Arianna aveva scelto tonalità estremamente chiare e tutto
intorno a lei era luminoso e confortevole. Certamente l’aiutava a
tenere gli occhi aperti, anche lei era abbastanza stanca, ma si era
imposta di terminare almeno quel capitolo, così sarebbe rimasta
fedele al programma che doveva seguire. Sintonizzò la tv su un
qualsiasi canale, togliendo il volume e bevve il suo caffè, tornando
poco dopo alle tragiche ed alquanto noiose vicende dell’imperatore
asburgico al trono dell’ultimo brandello del defunto impero romano
d’occidente.
Stava quasi per leggere
di come cedette il suo vastissimo regno diviso in due grandi parti,
quando il campanello la distrasse. Chiuse il libro, si stirò e
sbadigliò durante il tragitto. Afferrò la cornetta del citofono e
chiese chi fosse.
“ Sono io!”
Era Dougie, come sempre
breve nel presentarsi. Aprì a distanza il portone principale del
piccolo condominio, lasciò lievemente socchiusa quella
dell’appartamento e lo aspettò seduta sul divano. Piegò un
angolo del libro di storia e lo chiuse, riponendolo nella libreria
vicino alla finestra del soggiorno. Mentre cercava qualcosa di
interessante alla tv, sentì tre colpi alla
porta.
“ Vieni pure
Dougster!”, gli disse, alzando un po’ la voce.
Il soggiorno non era
proprio vicino all’ingresso, in mezzo vi si trovava infatti la
cucina, mentre dall’altro lato del corridoio non vi si affacciava
nessuna stanza, ma un balconcino che dava sul cortile interno del
palazzo.
Ascoltò i passi che si
avvicinavano, incavolandosi con la televisione inglese che non
proponeva niente di suo gradimento. Quando la faccia di Ben Stiller
apparve sullo schermo, decise di abbandonare il telecomando e
dedicarsi a Dougie, che ancora non era riuscito a percorrere quei
quattro metri scarsi di corridoio.
“ Attento che ti
perdi!”, gli disse scherzando.
Si voltò, allungando
lo sguardo oltre la spalliera del divano. Non c’era nessun Dougie
sulla soglia del soggiorno. Era vuota.
“ Dougie?”, lo
chiamò.
Le stava facendo uno
scherzo idiota, lo aveva capito, ma il bel gioco durava sempre poco.
“ Poynter, smettila,
non è divertente!”, disse, “Fatti vedere!”
Il viso che apparve
sulla sua soglia non era quello che si aspettava. Non era Dougie.
Era Danny.
Joanna sbatté gli
occhi, ancora doveva capire come aveva fatto a scambiare la sua voce
per quella di Dougie. Le ci volle qualche attimo prima di rendersene
conto: Poynter aveva risposto per lui.
“ Scusa.”, fece lui,
“E’ stato meschino, ma non avevo altre idee.”
Joanna incrociò le
braccia, in posizione difensiva, e pregò che Danny capisse che
cosa le stesse passando per la testa. Voleva che se ne andasse, il suo
gesto non era
stato solamente meschino, ma anche profondamente ingiusto nei suoi
confronti. Per la seconda volta si presentava così,
all’improvviso,
cogliendola in momenti privati di cui lui non doveva farne parte.
Glielo aveva detto, non voleva saperne, aveva se stessa a cui
pensare. Per troppo tempo aveva vissuto all’ombra di qualcuno o
di
qualcosa.
“ Cosa vuoi?”, gli
chiese, tutt’altro che amichevole ma comunque con tono basso e
calmo.
“ Niente. Solo
parlare.”, le rispose, “Con tranquillità, come due amici.”
“ Gli amici non si
intrufolano nelle case degli altri come hai fatto tu.”, non riuscì
a trattenersi.
“ Hai ragione.”, le
disse, “Ma se avessi fatto altrimenti, avresti rifiutato.”
“ Invece così, con le
spalle al muro, sono obbligata ad ascoltarti.”, borbottò,
toccandosi la fronte con aria stanca ma stizzita.
“ Per piacere, non
sono venuto per litigare con te... Ma solo per parlare, te l’ho
detto.”
Joanna sospirò. Danny la aspettava
sulla soglia del soggiorno, una mano in tasca e l’altra fuori, la
usava sempre per gesticolare. Poteva lasciarlo sedersi sul divano e
parlare, poteva mandarlo via. Stavolta non c’era Dougie ad aiutarla
nella scelta, doveva prenderla da sola.
“ Ok.”, gli rispose,
“Andiamo in cucina.”
Ignorò il flebile
sorriso che vide spuntare sulle sue labbra e tenne lo sguardo basso
quando gli passò accanto. Le sedie intorno al tavolo non erano così
comode come il divano, avrebbero evitato che nascessero molti
equivoci. Gli offrì qualcosa da bere, ma lui rifiutò con
gentilezza. Joanna si sedette di fronte a
lui, nonostante il confronto la stesse mettendo in lieve soggezione.
“ Avanti, cosa vuoi
dirmi...”, gli disse, tornando ad incrociare le braccia.
“ Beh... Come stai?”,
le domandò.
“ Bene. Tu?”
“ Sì, va tutto
piuttosto bene.”, rispose Danny, arricciando le labbra con
indifferenza.
Joanna attese la sua
prossima domanda.
“ E così... Ti sei
davvero iscritta all’università.”, fece lui.
“ Sì, esattamente tra
due settimane ho il test di ammissione.”, gli disse, senza mai
lasciare il suo tono freddo e distaccato, “Per la East London.”
“ E Arianna?”,
domandò ancora, “Mi ha detto Dougie che presto aprirà un nuovo locale, qua vicino.”
“ Sì.”
Lui annuì.
“ Uhm...”, fece poi,
“Non so cos’altro chiederti...”
Joanna si fece
perplessa, non capiva a che gioco stesse giocando. Danny era a disagio, non
la guardava in viso, e non sembrava fosse venuto totalmente
impreparato. Le braccia erano appoggiate sul legno del tavolo, le
dita si muovevano nervosamente.
“ Una cosa ci
sarebbe.”, disse Danny.
Lo aspettò.
“ Perché?”
Rimase spiazzata.
“ Lo sai già il
perché.”, gli rispose.
“ Esprimiti meglio.”, disse lui, scuotendo la testa.
“ Perché voglio
pensare a me stessa.”, gli ripeté, come aveva già fatto in
precedenza.
“ Non ti facevo così
egoista.”
“ No, non lo sono
affatto.”, si difese Joanna, “Voglio solo vivere tranquillamente
senza problemi.”
“ Non esiste una vita
senza problemi.”, la provocò lui.
“ Allora devo solo
ridurli al minimo.”
“ Credi che non sappia
di essere il tuo problema?” , sbottò lui.
“ Se lo sai, cosa ci
fai seduto nella mia cucina!”, esclamò Joanna.
Danny scosse ancora la
testa, con una smorfia amara sul viso.
“ Volevo cercare di
parlare civilmente con te.”, le rispose, “Ma vedo che non è
possibile.”
“ Perché non vai
dritto al punto, Danny?”, gli fece, “Così potrei capire
civilmente dove tu voglia andare a parare.”
“ Non ha più senso.”
“ Non ha mai avuto
senso!”
“ Ecco, hai capito ora
cosa intendo con parlare civilmente?”, si riprese lui, “Questo
non lo è. Tu non puoi trattarmi come se fossi l’ultima persona che
vuoi vedere sulla Terra!”
“ Lo sei.”
“ Stai mentendo.”
“ No.”
“ Basta!”, esclamò
Danny.
Joanna era esasperata. Quella
conversazione era del tutto inutile e non erano capaci di sostenerla
senza alzare il tono della voce.
“ Danny, per piacere,
vuoi dirmi che cosa vuoi da me?”, gli fece, cercando di riprendere
la calma.
Lui prese un profondo
respiro.
“ Ero venuto a dirti
tante cose.”, disse, con aria disinteressata, “Cose che prima mi
importavano, ora non più...”
“ Parla.”, gli
impose.
“ Ti volevo chiedere
scusa, perché se avessi saputo essere paziente, molto probabilmente
tutto questo non sarebbe mai successo. E’ colpa mia, non pensavo di
potercela fare, la distanza mi spaventava, ma se mi fossi
impegnato, tutto sarebbe stato possibile. Ce l’ho con me stesso
perché tu aspettavi solo che mi facessi avanti, che ti dicessi che
ci credevo. Non ce la faccio ad
essere arrabbiato con te per quello che hai fatto... Perché ti
capisco.”, le fece.
Joanna cacciò indietro tutte
le emozioni che stava provando, comprese le lacrime, e tenne gli
occhi fissi sul tavolo.
“ L’ho capito da
subito che ti eri trasferita qua per vivere la tua
vita, non la mia.
Potevo essere infuriato sul momento, soprattutto per il fatto che
Dougie ti aveva tenuta nascosta... Ma ho capito anche lui. Lo ha
fatto per proteggerti, tiene a te come ad una sorella, farebbe di
tutto per farti felice e tenerti al sicuro.”
Joanna ribadì a se
stessa tutte le convinzioni che l'avevano portata in Inghilterra,
ignorando le potenti scosse causate dalle parole di Danny, e
sentì le sue fondamenta tornare a rinforzarsi. Doveva
stabilire le sue priorità, come aveva fatto Danny.
Me stessa, amici e
famiglia... Lui.
Veniva solo al terzo
posto.
Danny tornò a
parlarle.
“ Ti voglio bene e
voglio stare con te.”, riprese Danny, con ancora più decisione,
“E' per questo che sono venuto.”
Non c’era
nascondiglio efficace che la schermasse dalle sue parole.
“ Danny, per
favore!”, esclamò Joanna, “Basta!”
Incrociò le braccia
sul tavolo e vi appoggiò la fronte, singhiozzando. Le
fondamenta erano crollate con una facilità impressionante, come
se la malta composta dalle idee e dalle convinzioni non fosse stata
buona a niente, tranne che ad illuderla senza pietà. Fanculo i libri,
fanculo la storia e fanculo tutto, compresa la scala delle priorità.
Era con lui che voleva stare, con Danny: lo aveva voluto da sempre,
da così tanto tempo che quando aveva potuto averlo per sé aveva
stentato a crederci. Danny non aveva mai fatto altro che prendere le
proprie decisioni pensando a lei, a discapito delle persone a cui
teneva di più, mentre lei si era trasferita in Inghilterra
tenendoglielo nascosto.
Sentì una mano sui
capelli, una mano che l’accarezzava, come a consolarla.
Alzò gli occhi,
incrociando quelli preoccupati di Arianna, seduta davanti a lei. Si
guardò intorno, Danny non c’era.
“ Dov’è Danny?”,
le chiese, non avendolo sentito muoversi.
“ E’ andato via.”,
le rispose lei, sospirando, “Hai combinato un bel casino, Little
Joanna.”
Dougie lo vide uscire di corsa
dalla porta del condominio dove Jonny abitava. Lo aveva atteso in
macchina, sapendo che non si sarebbe trattenuto per più di una
decina di minuti, né che sarebbe uscito con un bel sorriso stampato
in faccia. Lo osservò percorrere la strada, attraversarla e salire
in auto.
“ Com’è andata?”,
gli chiese, con retorica.
“ Portami a casa.”,
disse Danny, senza aggiungere altro.
“ Ok...”
Fece girare le chiavi
ed il motore si avviò. Uscì dal parcheggio di lì a poco, nel
totale silenzio.
“ Uhm... Come sta Jonny?”, gli chiese, dopo qualche minuto, sperando che si fosse
calmato.
“ Dougie, sarà lei
stessa a dirtelo, non domandarlo a me.”, gli disse Danny.
Per la restante parte
del viaggio, Dougie non ebbe il coraggio di rivolgergli parola. Gli
disse solo una timida buonanotte quando lo lasciò davanti a casa
sua.
It's
hard to say that I was wrong,
it's hard to say I miss you.
Since you've been gone, it's not the
same.
Ci siamo quasi :) Meno due! Il
titolo e i brani inclusi nel capitolo appartengono ai The Used e sono
estratti dalla canzone Hard To Say. Senza scopo di lucro.
Ringrazio Bitter/Ludo/Luvi per avermi ricordato (imposto?) di
aggiornare XDDDD E ringrazio anche tutte coloro che ancora mi
seguono :)
A presto, Ruby
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