ἄσβεστος γέλος
ἄσβεστος γέλος
inestinguibile riso [1]
OoOoOoOoO
Dalla
sommità della volta celeste, persino al disopra delle vette
olimpiche, col suo sguardo fiammeggiante Helios carezza il volto
segnato di Gea, alimentandone la vita coi suoi raggi.
Un compito
capitale, eppure affatto impegnativo: mollemente adagiato sullo spirare
dei venti, nonostante la natura ardente, è spesso avvolto nel
tiepido torpore dell’accidia. Ben poco affanno gli costa seguire
la propria indole.
Quel giorno,
tuttavia, abbandonata la solita indolenza, l’Astro appunta
febbrile l’unico occhio verso il basso, non curandosi tanto dei
mortali e dei loro travagli – che così di frequente
offrono sollievo alla forzata inattività - quanto del magnifico
palazzo d’oro e d’argento, splendente nella propria luce
come un obolo scivolato a terra dalla saccoccia di un ricco mercante.
Lo sguardo
affilato di Helios scivola oltre la finestra del tàlamo nuziale,
posto in alto abbastanza da sfiorare il cielo: il più sontuoso
di ori e gemme, una trappola luccicante per la colomba[2] che vi giace
tanto ritrosa col leone[3] quanto ben disposta col cane[4].
Dal suo posto
nel cielo, egli si tende. L’attesa fa fremere i raggi, che
tremolano nella stanza, attorno al kliné dove gli amanti si
uniscono. Non hanno occhi per apprezzare tanta bellezza, già
colmi l’uno dell’altra. Non hanno pelle che il tepore di
Helios possa scaldare: Eros già li stringe nel suo abbraccio
più soffocante, e i brividi che percorrono i loro corpi non sono
certo di freddo.
Helios
trattiene il fiato di fronte a quella vista, ma non si lascia distrarre
dalla bellezza impossibile di Cipride, o dal vigore di Ares
fiammeggiante che con le mosse potenti dei fianchi la assalta e
conquista. L’occhio fissa la figura acquattata nell’ombra,
evidente nel cono di luce ma invisibile per gli amanti tanto presi da
loro stessi.
Nel
tàlamo di Efesto, il silenzio raggela sotto i gemiti: come
l’animale che gli è sacro, il figlio di Era si tiene
sottovento, osserva le prede prima di gettarsi all’attacco; e
quando infine balza, è lesto e agile quanto una danzatrice del
Lossia[5].
Helios
incoraggia l’amico fraterno, compagno di sudore e lacrime, quasi
con la mente guidandone i movimenti precisi, misurati, letali.
La rete cade
sugli innamorati come pioggia leggera, e ora qualcosa di più
concreto del fuoco dei loro lombi li avvince; le grida di Ares non
più di piacere, ma il ruggito della fera impotente; i gemiti di
Cipride perdono ogni voluttà, si scheggiano nel terrore di chi,
dalla nebbia dell’estasi, ripiomba nella chiara lucidità
dell’uccello in trappola.
Si agitano sul
letto, districando braccia e gambe, nel tentare un’inutile fuga.
Con lo sguardo, Helios carezza Efesto che torreggia sulle prede, un
lembo della rete ancora tra le dita callose.
Helios ed Efesto sorridono gemelli, l’uno da fuori, l’altro da dentro, e li schiacciano tra loro due sorrisi.[6]
OoOoOoOoO
GLOSSARIO:
[1]: Il riso degli dei come
descritto da Omero nell'Iliade di fronte alla scena di Afrodite ed Ares
avvinti nella rete di Efesto.
[2]: Animale sacro ad Afrodite.
[3]: Animale sacro ad Efesto.
[4]: Animale sacro ad Ares.
[5]: Un epiteto di Apollo.
[6]: Un piccolo omaggio al romanzo di Margaret Mahy "La Figlia Della Luna".
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