Capitolo
Ventotto: la Nuova
Confederazione
La
Reina era silenziosa come non lo era
mai
stata.
I
marinai
svolgevano le loro mansioni, ma non erano animati dal solito
chiacchiericcio
rude.
L’Hellsing
era
tornato con l’Inferno negli occhi, le mani vuote e
l’anima a pezzi. Il loro
capitano si era avvolto in un drappo di silenzio pesante, e nessuno era
riuscito a svolgerlo dal suo bozzo.
Erano
due anime
che sanguinavano dentro due involucri perfettamente illesi.
Antonio
osservò
il suo amico, seduto scomposto contro la paratia. Aveva trascorso
qualche
momento con il suo padre adottivo e il suo fratellino solo per perderli
di
nuovo.
Gilbert
sollevò
i suoi occhi amaranto su di lui, che stava appoggiato alla balaustra
con i
gomiti. Il suo amico aveva ritrovato una famiglia in Lovino e, come la
prima
volta, gli era stata strappata senza che lui potesse fare nulla.
«Come
stai?» la
voce arrancò rugginosa sulle labbra dell’Hellsing.
«Come
te»
rispose atono il capitano.
Gilbert
ragliò
una risata.
«Allora
ti senti
uno schifo» le ciocche argento si appiattirono contro il
legno della parete
quando l’Hellsing reclinò il capo
all’indietro.
«Passerà.»
«No,
non passerà.
Lo sai bene quanto me. Puoi fare finta che vada tutto bene, puoi
fingere così
bene da ingannare perfino te stesso. Ma, per stare davvero
bene, loro dovrebbero tornare. E non torneranno.
L’aldilà è
un’Aeronave di sola andata.»
«Francis
direbbe…»
«Oh,
al diavolo
le sue perle da Marauder!» sbottò Gilbert.
«Sono stanco di consolarmi con la
filosofia. Vorrei che fossero qui, ma non ci sono. E non
c’è rimedio. Posso
anche pensare che mi sentano da un qualche lontano aldilà,
ma non mi importa,
perché, anche se questo aldilà esiste,
è troppo lontano. Non posso vederli, non
posso toccarli, non posso andare da loro. Abbiamo lottato tutta la
nostra vita,
per loro. Non meritavamo un finale migliore?»
Antonio
abbassò
la testa, senza sapere cosa rispondere.
Voleva
contraddire
l’amico, dirgli che c’era ancora speranza, che
sarebbe andato tutto bene, ma le
sue labbra si rifiutavano di muoversi.
Anche
se fosse
andato tutto bene, che senso aveva quel “tutto” se
non c’erano Lovino, Ludwig e
gli altri?
L’apparizione
di
Francis fermò il suo sospiro a metà.
«Non
ci
crederete mai!» esordì, assestando una pacca sulle
spalle di Antonio.
L’Hellsing
e il
capitano gli rifilarono un’occhiata molto cupa e molto
scettica. Non avevano
voglia di surriscaldarsi per le teatralità di Francis.
«Non
siamo
dell’umore» lo avvertì Gilbert.
«Raccontala breve, senza i tuoi fronzoli
melodrammatici.»
«Io
non uso
“fronzoli melodrammatici”, io rendo il racconto
vivo!» Francis gonfiò il petto
con orgoglio, e fece un passo in modo da trovarsi esattamente in mezzo
ai suoi
amici.
«Ma
vi farò
questo favore e sarò breve» mosse le mani come un
prestigiatore, e due globi
madreperla comparvero sui suoi palmi, fluttuando pigri
nell’aria.
«Arthur,
mi
senti?»
Il
globo sulla
mano sinistra si illuminò di verde.
«Vorrei
poter
dire di no» si rammaricò la voce del Mago
dell’Ovest.
«Figlio
del
Cielo, mi sente?»
La
sfera opposta
scintillò di rosso.
«Perfettamente»
il tono del sovrano Asean risuonò argentino
nell’aria.
«Francis,
cosa…»
«Stamattina»
iniziò il Marauder, stroncando la domanda
dell’Hellsing. «I macchinari Asean,
scandagliando lo spazio in cui ci troviamo, hanno fatto una scoperta
interessante.»
«Hanno
rilevato
un’atmosfera identica alla nostra Confederazione»
spiegò il globo scarlatto.
«C’è
una possibilità su un milione che una cosa del genere
avvenga.»
«E,
visto che
nessuno di noi crede alla casualità, il Mago
dell’Ovest e il Figlio del Cielo
hanno compiuto un viaggio astrale e controllato.»
Gilbert
e
Antonio si scambiarono un’occhiata perplessa. Francis era
quasi più difficile
da seguire quando cercava di sintetizzare.
«Ci
sono dei
pianeti» continuò la sfera verde.
«Abbiamo tracciato le loro posizioni e le
abbiamo fatte controllare ai nostri astronomi.»
«Sono
le stesse
dei nostri pianeti nella Confederazione» concluse il Figlio
del Cielo.
Francis
si
aspettava una reazione plateale, ma ottenne solo due occhiate sempre
più
perplesse.
«Ma
non capite?»
esultò. «Stessa atmosfera, stesse posizioni dei
pianeti…»
«Stai
dicendo
che abbiamo attraversato un’intera dimensione per trovarci
nella stessa,
vecchia Confederazione? Se è così, non voglio
capire» tagliò corto Gilbert.
«Non
abbiamo
rilevato tracce di vita demoniache, durante il nostro viaggio
astrale» aggiunse
pacato Yao. «I demoni devono essersi estinti, in qualche
modo.»
«Forse
sono
morti di fame dopo aver mangiato tutti quelli che sono rimasti nella
Confederazione» sputò velenoso Gilbert.
«Il
punto è…»
Francis cercò di farsi strada nel pessimismo degli amici.
«Che, se si sono
estinti, devono essere passati secoli…»
«Quindi
ci
stiamo dirigendo verso la stessa Confederazione, solo più
vecchia» lo affossò
Antonio.
«No,
fatemi
finire!» si spazientì Francis. «Non solo
non ci sono demoni, ma c’è una specie
di cordone di magia che protegge tutta la Confederazione, passando per
il suo
centro.»
A
questa
informazione, finalmente gli altri due Sparvieri diedero segni di vita.
«Per
il centro?
Come un…»
«Asse»
Francis
rubò la conclusione ad Antonio. «Non solo.
C’è vita sul pianeta degli Hellsing.
Pochi esemplari. Come una piccola famiglia.»
Il
volto di
Gilbert diventò bianco come se il sangue fosse
improvvisamente precipitato nei
piedi. Le labbra si aprirono senza emettere suono, e gli occhi si
sbarrarono
senza vedere realmente.
Poi
l’uomo batté
le palpebre, e sollevò una mano verso il Marauder.
«Francis,
se è
uno dei tuoi stupidi scherzi…»
«Non
scherzerei
mai su una cosa del genere» dichiarò serio
l’altro. «Non abbiamo viaggiato
nello spazio, abbiamo viaggiato nel tempo. Secoli e secoli nel futuro.
E c’è
una possibilità concreta che Lovino e Ludwig abbiano fatto
altrettanto.»
«Ma
come?» insistette Gilbert.
Francis
mostrò i
palmi come se volesse arrendersi.
«Questo
non lo
so. Dovremmo chiederlo a loro.»
L’Hellsing
si
rialzò in piedi, nonostante le gambe tremanti e le ginocchia
sull’orlo del
tracollo. Accarezzò distrattamente la spilla di Gilbird,
inspirò a fondo e
sillabò, lento:
«Puoi
giurare
che davanti a noi c’è la nostra
Confederazione?»
«Sì.»
«E
che ci siamo
solo mossi nel tempo?»
«Abbiamo
fatto i
calcoli e confrontato le mappe più volte. Non
c’è possibilità di errore»
confermò il Figlio del Cielo.
«E
c’è vita sul
mio pianeta?»
«Sì.»
«Bene.»
Gilbert
non finì
nemmeno di parlare: strappò la spilla e la gettò
in aria. Qualche piuma nera
cadde sul ponte mentre Gilbird prendeva forma dal metallo.
«Scusate
la
fretta. Non sono mai stato un tipo paziente.»
Francis
sorrise
di riflesso al sogghigno di Gilbert. Eccolo, il vero Hellsing, e non il
fantasma che aveva occupato il ponte negli ultimi giorni.
Gilbird
scese in
picchiata e l’uomo prese posto sulla sua schiena con un balzo
felino,
sfrecciando poi nel cielo notturno in direzione del suo pianeta. Casa,
finalmente!
«Vuoi
essere da
meno?» Francis pungolò Antonio, indicando con gli
occhi il loro amico che
spariva nel velluto dello spazio.
«La
Reina non sarà mai
battuta da un pennuto»
Antonio marciò deciso sul ponte di comando e
gridò ai suoi uomini: «Preparate i
razzi ausiliari e fate rotta verso il pianeta degli Hellsing!»
I
marinai
reagirono con un boato esultante.
Erano
felici di
avere una meta, ma, soprattutto, di avere di nuovo il loro capitano.
Era
terribile,
per un uomo di mare, vedere il proprio comandante fare rotta verso un
paese in
cui non lo si poteva raggiungere. Era un pianeta così strano
e privato, quello
del dolore.
Il
ventre della Reina rombò
all’accensione dei nuovi
propulsori. L’Aeronave lasciò dietro di
sé una sottile scia azzurrognola,
mentre inseguiva il famiglio dell’Hellsing.
«Noi
non ci
affrettiamo?»
Il
Mago
dell’Ovest non si alzò nemmeno dal suo tavolo e
dalle sue carte. Sapeva che
Francis non aveva mai la decenza di teletrasportarsi fuori da una
stanza e
bussare.
«No.
Non prima
di aver finito questi progetti di ricostruzione di Britannia»
e Arthur gli
indicò la sedia, in un invito che non si poteva rifiutare.
Il Marauder non si
sarebbe mosso da quella stanza finché non avessero deciso la
posizione
dell’ultimo mattone della Nuova Compagnia di Britannia.
«E
voi?» chiese
Francis al globo rosso.
«Non
abbiamo
fretta» rispose il Figlio del Cielo, prima di chiudere la
conversazione. Il
colore cremisi si ritirò dal globo, lasciando
un’anonima sfera madreperla.
«Anche
il
sistema Asean è da ricostruire»
commentò Arthur.
«No,
non credo
sia quello» Francis prese posto sulla sedia di fronte alla
scrivania del Mago
dell’Ovest, un’espressione malinconica e
comprensiva distesa sul viso. «Una
volta dentro la Confederazione, saranno di nuovo il Figlio del Cielo e
il
Custode dei Cancelli.»
«E
quindi?»
«Il
Figlio del
Cielo deve rimanere a guidare il suo popolo. Il Custode dei Cancelli
deve controllare
i confini e l’interno della Confederazione. Non ci sono molti
punti di
incontro, per due vite così.»
Le
sopracciglia
incolte di Arthur si sollevarono, increspando la fronte.
«Ti
ricorda
qualcosa?» lo stuzzicò Francis.
«Non
credo che
vada a tuo favore ricordarmi i cento anni che mi hai fatto passare da
solo. Ora
zitto e mettiti al lavoro» ordinò Arthur,
lanciandogli dei fogli pieni di
numeri e scritte.
Francis
sospirò
melodrammatico, prima di aprire le pergamene.
Rinfacciare
e
scendere a compromessi.
Immaginava
che
fosse un buon riassunto per il concetto di
“matrimonio”.
***
In
memoria di Roderich Edelstein e del suo diamante della
battaglia.
Qualcuno
aveva
fatto colare dell’oro, in quelle lettere incise nella pietra.
Lo
stesso
qualcuno che l’aveva scolpita a forma di violino, e che aveva
lasciato dei
fiori ai suoi piedi.
Gilbert
fissò quella
lapide in silenzio. Un monumento su un pianeta fantasma.
Fece
vagare lo
sguardo sullo spazio intorno e trovò prati e alberi, dello
stesso verde che
ricopriva le montagne circostanti. Il suo mondo era simile a come era
stato
prima dei demoni, ma era vuoto. Tremendamente vuoto.
Eccetto
per lo
sconosciuto che aveva costruito quella lapide. Non doveva essere
passato molto
tempo dalla sua ultima visita: i fiori avevano qualche petalo
avvizzito, ma non
erano marciti. Quindi questo qualcuno li aveva portati di recente.
Gilbert
flesse
un ginocchio verso il terreno, in una riverenza guerresca.
«Mi
mancherà il
tuo violino» riconobbe il sapore d’acciaio delle
lacrime: lo sentì risalirgli
la gola, prima di pizzicargli gli occhi. Ma non avrebbe pianto:
Roderich era
con Elizabeta, e aveva ripagato con la vita il male che aveva fatto
alla sua
gente.
Lui
era felice.
Che senso aveva piangere?
Si
rialzò e
batté qualche pacca sui pantaloni color notte, per scuotere
i fili d’erba
aggrappati.
La
mano fu
velocissima a correre dal tessuto alla sciabola, quando un grido
strozzato lo
colse alle spalle.
«Gilbert?»
L’Hellsing
aggrottò le sopracciglia, e tenne la mano
sull’elsa mentre si voltava. Gli pareva
di conoscere quella voce, ma era meglio essere prudenti.
Due
occhi ramati
lo fissarono come se avessero visto un miracolo vivente. Occorsero
alcuni
secondi prima che Gilbert riuscisse a trovare quella faccia nei suoi
ricordi.
«Asse?»
Il
ragazzo
scosse il capo.
«Solo
Feliciano.»
L’Hellsing
sentì
le tempie pulsare come se volessero spaccargli il cranio. Non era
possibile: lo
aveva visto rimanere intrappolato nella loro dimensione con Roderich e
orde
assassine di demoni. Com’era possibile che fosse davanti a
lui, vivo?
«Sei
cresciuto»
riuscì a buttare fuori, quando lo stupore gli permise di
nuovo di muovere le
labbra.
Feliciano
portò
una ciocca di capelli dietro all’orecchio, quasi imbarazzato.
«Non
so quanto
tempo sia passato per voi, ma noi siamo qui da sei anni.»
Di
nuovo,
Gilbert dovette premersi le tempie per impedire loro di sfondargli il
cervello.
Troppe
informazioni tutte insieme.
L’Asse
era
riuscito a salvarsi, ed era nella Confederazione di secoli nel futuro
da sei anni.
Questo spiegava perché il suo fisico e il suo viso si erano
induriti nelle
spigolosità di un giovane uomo.
E
c’era un altro
punto fondamentale, nel discorso dell’Asse. Aveva detto
“noi”.
Gilbert
passò
una mano sul viso, il respiro tremante che si infrangeva sul palmo.
«Come
hai fatto
a sopravvivere?»
Lo
sguardo
dell’Asse si fece più triste, e mosse un passo
verso il monumento. Solo in quel
momento l’Hellsing notò che aveva dei fiori in
mano. Almeno aveva scoperto chi
onorava la tomba di Roderich.
«Poco
prima che
i demoni ci assalissero, abbiamo sentito una voce chiamarci. E io ho
fatto lo
stupido errore di alzare la testa. Un demone mi ha quasi
ucciso» Feliciano
appoggiò i fiori freschi a lato della lapide e
afferrò quelli vecchi. Ma la
mano rimase ferma dov’era, i gambi umidi tra le dita.
«Si è sacrificato per
salvarmi.»
Feliciano
estrasse i fiori dall’acqua stagna, e li depositò
davanti alla lapide come
avrebbe fatto con una salma.
«Mi
dispiace,
Gilbert. Mi dispiace davvero.»
Avrebbe
mentito
se avesse detto che era contento della piega presa dagli avvenimenti.
Egoisticamente, avrebbe preferito avere suo padre con sé,
anziché un ragazzino
appena conosciuto.
Ma
era stato
Roderich a insegnargli il valore delle scelte individuali. Anche in
quel
momento, il violinista era stato libero: avrebbe potuto lasciar morire
l’Asse e
salvarsi, ma aveva preferito sacrificarsi per lui. Forse per fare
ammenda per
le sue colpe passate, forse per istinto. Comunque, aveva scelto. Non
era niente
che lui o Feliciano potessero cambiare.
«Ha
potuto
scegliere come morire» concluse Gilbert. Il dolore quasi gli
sciolse gli occhi,
quando lesse di nuovo l’iscrizione dorata. In
memoria di Roderich. Un altro che spariva dal mondo reale per
diventare un
ricordo.
«C’è
qualcun
altro, con te?» Gilbert cercò di distrarsi dalla
lapide, e si ricordò che
l’Asse aveva parlato al plurale, poco prima.
Feliciano
annuì,
lieto di poter dare una buona notizia.
«Ludwig
è andato
a prendere l’acqua per i fiori.»
Gilbert
barcollò
all’indietro come se un demone lo avesse colpito al petto.
«Ludwig…?»
«Lui
e Lovino
sono stati i primi ad arrivare» spiegò Feliciano,
lo sguardo addolcito al
pensiero del fratello e dell’innamorato. «Sono
stati loro ad aprire il portale
che mi ha permesso di arrivare qui. Hanno impiegato due anni per
trovare un
modo.»
«Ma
questo non
ha senso!» l’Hellsing sentiva bordi della
realtà strattonati e sul punto di
lacerarsi, come il suo equilibrio nervoso. «Per lo scorso
portale avete dovuto
lavorare tu, il Mago dell’Ovest, Lovino e il Figlio del
Cielo! Com’è possibile
che loro due, da soli, ne abbiano aperto un altro? E come hanno fatto a
salvarti, se ci hanno messo due anni a trovare un modo?»
«Ma
questo era
un portale per una sola persona. È molto più
facile da realizzare, rispetto a
un portale per pianeti interi» Feliciano stese un foglio di
carta a terra, vi
depositò sopra i fiori raggrinziti e li
accartocciò con cura. «E, esattamente
come il primo, non era un portale spaziale, ma temporale. Sapevano
esattamente quando
trovarmi.»
«Ma
non sapevano
che Roderich si era sacrificato.»
Il
castano
ramato degli occhi di Feliciano sembrò spegnersi a quelle
parole.
«No.
Non è stato
facile accettare di aver sbagliato di pochi minuti, per salvare
entrambi.»
Gilbert
quasi
trasalì quando una voce profonda, ben diversa da quella
squillante dell’Asse,
rispose in quel modo.
Il
cuore si
compresse nel suo petto per poi esplodere in battiti incontrollati.
Era
cresciuto
ancora. Era diventato un uomo. Ma l’affetto che bagnava
quegli occhi azzurri
non era cambiato: era rimasto sempre lo stesso, fin da quando era un
bambino
che ondeggiava sotto il peso di un pesce troppo grande.
Nessuno
dei due
disse niente. Gilbert lasciò cadere la spada e Ludwig il
secchio d’acqua che
reggeva tra le dita per correre ad abbracciarsi.
«Sei
diventato
ancora più alto» l’Hellsing gli
sferrò un pugno allo stomaco, per avere il
fratellino alla sua stessa altezza. «Se continui
così, ti metteremo a
spolverare le montagne.»
«Posso
anche
diventare alto come una montagna, ma dovrò sempre alzare gli
occhi, per
guardare verso di te.»
«Questa
è una
sviolinata gratuita.»
«Mi
sei mancato,
Gilbert» il naso era più appuntito e il mento
più pronunciato, ma il modo di
nascondere il viso nell’incavo del suo collo era lo stesso di
quando abitavano
insieme nella baita sul lago. «Speravo che un giorno saresti
arrivato, ma non
sapevo… non avevo la certezza…»
L’Hellsing
carezzò le spalle del fratello. Cielo, erano così
grandi che ci si sarebbe
potuto apparecchiare!
«Sono
qui,
Ludwig. Non vado più via. Finalmente potremo vivere come una
famiglia.»
Il
giovane annuì
contro la sua spalla.
«Ma
non hai
visto l’ultimo membro della nostra famiglia!» si
ricordò Ludwig, staccandosi di
colpo.
Gilbert
lo
guardò perplesso. Lui, Ludwig e l’Asse erano
lì. Chi poteva mancare?
«Lovino?»
collegò
l’Hellsing.
«No.
Cioè, sì, è
qui, ma non intendevo lui» incespicò Ludwig.
Le
sopracciglia
argentee dell’Hellsing disegnarono un arco confuso. Ludwig
non si inciampava
mai nei suoi pensieri in quel modo, a meno che la notizia non fosse
davvero
sconvolgente.
«Chi
è?» chiese
Gilbert, non del tutto sicuro di volerlo sapere.
Il
sorriso
radioso di Ludwig quasi lo accecò.
«Lo
troverai
alla baita» esultò il giovane. Ma fu la frase
successiva a far sentire di nuovo
l’Hellsing come se la sua realtà fosse sul punto
di stracciarsi in mille pezzi.
«Ti ha sempre aspettato.»
Nei
primi passi,
le sue ginocchia tremarono come quelle di un ubriaco. Poi
riacquistarono forza
e stabilità divorando il terreno, portandolo sempre
più vicino al profilo della
casa in lontananza.
Il
cuore e i
polmoni si erano fusi in un unico ammasso di materia pulsante, e il
respiro
sembrava fuoco liquido in gola.
Francis
aveva
detto che si era reincarnato. Che lo stava aspettando.
Cercò
di imporsi
di non sperare troppo, mentre un raggio di sole si infrangeva sulla
maniglia
della porta, come a invitarlo a entrare.
***
Erano
atterrati
ad Asean senza problemi.
Le
rovine del
Palazzo Imperiale si ergevano crepate contro il cielo, serie e fiere
come un
regnante troppo vecchio per stare eretto e troppo venerato per essere
dimenticato.
Yao
appoggiò una
mano sulla porta ammuffita. Il legno era lucido e splendente nei
ricordi suoi e
dei suoi antenati e, socchiudendo appena le palpebre, poteva ancora
vedere il
colore scarlatto del suo regno brillare sotto i raggi del sole.
Riaprì
gli occhi
su quello scheletro del passato, che lo fissava con le orbite vuote
delle
finestre. Ricordava un suo antenato, che era partito per un viaggio
lungo tutta
la Confederazione a scopo diplomatico, e aveva lasciato a casa il suo
vecchio
cane. Attraverso gli occhi dell’uomo, vedeva il cane alzare
la testa, avendo
sentito il passo del padrone scricchiolare sulla prima neve di
dicembre. Si era
drizzato sulle gambe ossute e gli era venuto incontro con una corsa
sgangherata. Aveva aspettato che il padrone lo abbracciasse e lo
accarezzasse
per andarsene. Un fiocco di neve era caduto sul suo naso… e
non si era sciolto.
Il
Palazzo
Imperiale gli ricordava quel cane. Aveva atteso troppo a lungo il suo
padrone,
ed era diventato vecchio ed esausto. Aspettava solo il permesso di
andarsene.
«Grazie
per aver
vigilato su Asean in mia assenza» mormorò
all’edificio. «Ti ricostruiremo.
Diventerai più bello di quanto tu non sia mai stato.
L’intera Asean tornerà a
splendere insieme a te.»
Si
voltò, e osservò
indulgente i consiglieri, diligentemente in fila e in attesa. E, alla
fine
della linea, sua madre.
«Il
Sistema
Asean ha regalato il potere magico al Figlio del Cielo
perché facesse
prosperare il suo popolo» la veste di seta si aprì
sul terreno brullo quando
Yao si chinò al suolo. «Asean ha mantenuto la
promessa. È tempo che il Figlio
del Cielo faccia altrettanto.»
«Che
intendete
fare?» chiese un consigliere.
Il
Figlio del
Cielo sorrise. E c’era un raggio di sole in quel sorriso.
«Non
conoscete
la storia della fenice? Risorge dalle ceneri, più forte e
splendente. Qui
abbiamo le ceneri. Manca solo il fuoco.»
La
terra arida fremette
contro le sue mani, e il Figlio del Cielo conficcò le dita
nel suolo selvatico.
Chiuse
gli
occhi, e il suo cuore di fuoco pulsò così forte
che lo sentì rimbombare in ogni
cellula del suo corpo.
Non
sentì i
richiami dei consiglieri e la preoccupazione della madre. Non
sentì nemmeno il
silenzio di Ivan, più lacerante di qualunque grido.
Il
cuore di
fuoco rilasciò il suo potere con il ruggito di un drago. Yao
avvertì la pelle delle
mani tendersi e lacerarsi sotto il flusso dell’energia, ma
non bloccò la
fuoriuscita di potere. Il suo corpo tremò interamente:
muscoli, carne, ossa.
Gli occhi e il cuore divennero incandescenti come lava. E, ancora, Yao
non si
fermò: la fenice non era ancora risorta.
Solo
quando
sentì l’erba sotto le sue dita staccò
le mani dal suolo.
La
sua schiena
si curvò all’indietro, come una corda troppo tesa
che viene improvvisamente
spezzata. Rimase immobile per un istante, gli occhi spalancati fissi
sul cielo,
prima di crollare di lato.
Ma
non toccò il
terreno. Il suo viso incontrò una giacca ben conosciuta, non
più gelida. Una
mano che conosceva la gentilezza si posò sul suo capo.
«La
fenice è
risorta» mormorò Ivan. «Adesso lascia
che ce ne occupiamo noi.»
Yao
annuì,
rubando un’immagine del suo pianeta prima di chiudere gli
occhi.
L’erba
era
tornata. Poteva sentire lo scroscio dei fiumi intorno. E il Palazzo era
di
nuovo vermiglio.
Il
sorriso non
svanì dalle sue labbra quando svenne.
***
Era
Britannia e,
allo stesso tempo, non era lei.
Riconosceva
l’aria umida, il colore ombroso della brughiera e il cielo
affollato di nubi.
Tuttavia,
era
rimasto solo lo scheletro delle città che ricordava: qualche
costola di muro,
il cranio vuoto di una cupola spaccata, e le vene sbeccate delle strade.
I
demoni e i
secoli avevano fatto il loro dovere, nell’erodere la loro
bella terra.
La
vista della
piazza in cui avevano abbandonato il Leone Incoronato e gli anziani su
Britannia
gli mozzò il respiro. Ormai, di loro non rimaneva nemmeno la
polvere.
Eppure,
avevano
cenato insieme a loro solo qualche giorno prima…
«Come
ti senti?»
Francis
spuntò
alle sue spalle, come sempre. Doveva avere qualche abitudine in comune
con i
folletti di Faerie, che non apparivano mai di fronte al loro
interlocutore.
«Come
se fossi
rimasto l’unico sopravvissuto in un naufragio»
rispose Arthur.
«Già»
concordò
Francis. «Ma, ormai, dovresti esserti abituato.»
«E
tu? Tu ti sei
abituato, a vedere la nave che affonda?»
Un
sorriso
malinconico torse le labbra di Francis.
«Sì,
mi sono
abituato. Ma ricordo ogni singola scheggia che ha composto quella nave.
Credo
che non sia male sopravvivere, se puoi contare su dei bei
ricordi.»
Arthur
sollevò
lo sguardo sulla piazza, e la osservò mentre prendeva vita
sotto i suoi occhi.
Le
crepe nelle
strade si ripararono da sole, mentre i bambini si rincorrevano
sull’acciottolato e i loro genitori contrattavano con i
mercanti delle
bancarelle rionali. La campana dell’abazia
cominciò a scandire i rintocchi del
mezzogiorno, e tutto era euforico e indistinto, come nelle veglie
passate in
compagnia di amici, focolari e vino caldo.
Bastò
un battito
di ciglia perché il ricordo si sgretolasse e la
realtà prendesse il
sopravvento.
«Sai
cosa credo,
Francis?» dichiarò Arthur, raddrizzando il
mantello degli Avalon sulle spalle. «Che
noi non siamo i sopravvissuti. Siamo l’eredità di
chi parte.»
«E
cosa cambia?»
«Il
legame»
Arthur abbracciò con lo sguardo quella terra brulla e troppo
avvezza alla
guerra, ma che, nonostante tutto, era arrivato a considerare casa sua.
«Se
sopravvivi e basta, vuol dire che sei stato solo tutta la vita, e non
ti
importa di chi ti sei lasciato alle spalle. Se sei
l’eredità di qualcosa,
invece, non dimenticherai mai chi ti ha reso erede, e potrai lasciare
il tuo
tesoro a qualcun altro quando verrà il tuo
momento.»
«Finalmente
ci
sei arrivato» concesse Francis, con un sorriso volpino.
«L’immortalità non è
una maledizione.»
Arthur
lo superò
con fare autoritario, per poi voltarsi e spronarlo.
«Muoviti,
Marauder. Abbiamo un pianeta da costruire. Non vorremmo lasciare dei
debiti
come eredità alle generazioni future.»
«Non
sia mai»
concordò teatralmente Francis.
Quel
giorno,
nacque Nuova Britannia.
***
Il
tramonto stava
cedendo il passo al viola del crepuscolo quando Yao si
risvegliò nel suo letto.
Il
cuore di
fuoco palpitava placido nel suo petto, e aveva una strana sensazione
alle dita.
Spostò lo sguardo verso il basso, e le vide completamente
bendate, abbandonate
senza forza sulle lenzuola.
«Il
potere ti ha
squarciato la pelle» lo avvertì una voce bassa
accanto a lui. «Ma i medici
dicono che non ci sono state lesioni alle ossa o ai muscoli.»
«Il
mio potere
cerca sempre di non farmi del male» la voce uscì
in un gracidio, e Yao tossì
prima di parlare di nuovo. «Non volontariamente,
almeno.»
«Cosa
intendi dire?»
«La
memoria generazionale, Ivan. È un grande fardello. Come lo
è sapere che, prima
o poi, un mio successore potrà esplorare tutta la mia vita,
dal primo
all’ultimo istante. Non ci sarà un solo pensiero
che rimarrà mio. E questo mi
farà male.»
La
mano dell’uomo si appoggiò sulla sua, coprendola
completamente.
«Ma
sono tuoi in questa vita. Perché preoccuparsi di quelle
degli altri?»
Yao
voltò il viso, e una ciocca di capelli gli ricadde sulla
fronte. La scostò per
guardare Ivan, il suo gigante con gli occhi azzurri e le mani gentili.
«E
il tuo potere?»
«Il
mio potere ha sempre cercato di farmi male, volontariamente. Ma ho
vinto io»
Ivan pronunciò la frase con assoluta indifferenza, come se
riguardasse uno
sconosciuto. Per lui, il Custode dei Cancelli era una storia raccontata
da
altri: il Cuore d’Inverno aveva divorato tutte le sue
giornate passate come
Custode, e le poche che non aveva fatto in tempo a cancellare erano
svanite
come neve al sole quando se ne era liberato. Solo i ricordi di Yao
rimanevano
impressi a fuoco nella sua memoria semivuota.
«Che
farai adesso?» scostò la mano da quella del
sovrano, nel porre la domanda.
Yao
chiuse gli occhi, come i bambini che sperano che il mostro sotto il
letto se ne
vada se ignorato. Ma quel mostro era troppo grande, e si chiamava
“trono”.
Riaprì
gli occhi, e la sua risposta fu trascinata all’esterno da un
respiro stanco.
«Chugoku
ha bisogno del Figlio del Cielo.»
Il
Custode conficcò le mani nelle tasche.
«Gli
astri hanno già deciso la tua strada, non è
così?» commentò Ivan. C’era
dell’amaro in quelle parole, e Yao storse la bocca come se
fosse stato
costretto a ingoiare un cucchiaio di acido. «Dovrai rimanere
qui e governare…
poi dovrai avere un erede, quindi una moglie…»
«Io
non mi sposerò. Adotterò il mio erede. Molti
sovrani l’hanno fatto, prima di
me.»
Ivan
scosse la testa, allo stesso modo di un toro che cerca di togliersi
inutilmente
il giogo.
«Anche
se questo non cambierà molto le cose tra noi»
rifletté Yao, incrociando le mani
sullo sterno. «Tu sei comunque il Custode dei Cancelli, e il
Custode deve
viaggiare nella Confederazione…» il petto si
gonfiò, sotto le dita bendate, in
un lento sospiro. «Quante volte riuscirai a fermarti a
Chugoku?»
«Circa
due all’anno.»
«Due
volte all’anno…» ripeté Yao.
«Finché
non troverò qualcuno che prenda il mio posto. Allora
potrò fermarmi. Anche per
tutta la vita.»
L’Asean
allungò una mano e la appoggiò sul ginocchio di
Ivan.
«Fai
in modo che non avvenga troppo tardi. Non voglio passare con te solo
gli anni
del tramonto.»
«E
tu aspettami. Non sposarti e non invaghirti di altre persone.»
«Aspetterò.
Ma non farmi aspettare tutta la vita.»
L’uomo
sollevò gentilmente la mano fasciata del compagno e impresse
un flebile sorriso
sulle nocche del sovrano.
«Immagino
che sarebbe noioso, aspettarmi così a lungo.»
«Oh,
lo sarebbe. Ma so che ti aspetterei.»
Le
bende sfregarono sulle guance del Custode quando Yao gli
accarezzò il viso.
«Potrei
aspettarti per questa e per le prossime vite, Ivan.»
Le
labbra del Custode si premettero sulle garze, per poi scendere a
baciare la
pelle del polso, sotto l’orlo dell’ampia manica.
Yao si sollevò a sedere e si avvicinò
a sua volta, per poggiare le labbra sul capo dell’uomo.
«Quando
partirai?» soffiò sulle ciocche
argentate.
«Domani»
sillabò lui sul suo polso.
Le
maniche si arrotolarono con un fruscio languido sulle spalle del
sovrano,
quando questo fece scivolare le braccia attorno al collo di Ivan.
«Domani
tornerai a essere il Custode dei Cancelli, e io il Figlio del Cielo.
Ma, per
stanotte, siamo solo Yao e Ivan» la veste sibilò
vellutata, accompagnando il
corpo del sovrano che si tendeva verso quello del suo compagno.
«E questa notte
dovrà bastarmi fino alla tua prossima visita.»
Le
mani di Ivan risalirono la schiena del sovrano, cercando un passaggio
sotto la
veste, mentre la bocca si premeva sul collo steso verso di lui.
«Non
ti farò aspettare troppo» sussurrò,
stendendolo sul materasso.
Yao
gli indirizzò il sorriso furbo di chi sapeva di avere il
controllo della
situazione.
«Lo
so. Perché io riuscirei ad aspettare tutta la
vita… ma tu no. Tu sei molto più
impaziente di me.»
Ivan
non si preoccupò di smentire l’affermazione del
sovrano.
Si
chinò su di lui per baciarlo, le sue mani che scendevano ad
allentare la
cintura di stoffa dell’Asean.
No,
lui non avrebbe aspettato tutta la vita. Non sapendo cosa si provasse,
a vivere
insieme a Yao.
***
Come
partorita dai suoi ricordi, la baita in riva al lago era là.
Era
migliorata, rispetto al passato: l’aspetto era meno cupo, e
qualcuno aveva
ampliato la parte sul retro. Qualcuno che non aveva molte nozioni si
architettura: più che allargata, la casa sembrava incinta.
Quel qualcuno aveva però
doti molto migliori nel giardinaggio: due file di alberi, accuratamente
potate
e innaffiate, correvano fino al lago.
Ma
Gilbert non vide nulla, né la casa, né gli
alberi, nemmeno le stanze in più che
facevano assomigliare la casa a un rospo gravido.
La
sua visione era ristretta alla porta di legno, che sbarrò
con uno schianto.
Niente.
La stanza era come la ricordava – il letto, il tavolo, tutto
era disposto
esattamente come il giorno in cui l’aveva lasciata. Ma non
c’era nessuno.
Gilbert
sentì un angolo della bocca tendersi in un sorriso sadico.
Tutto ciò la rendeva
ancora più simile ai suoi ricordi: una baita per un solo
Hellsing. Una casa
vuota.
«Ludwig?
Sei tu?»
Gilbert
si appoggiò deluso allo stipite della porta, mentre i passi
dello sconosciuto
risalivano dalla cantina.
Non
conosceva quella voce. Doveva aver frainteso il discorso di Ludwig.
D’altronde,
non era possibile che i morti tornassero in vita.
Si
è reincarnato. Ti sta aspettando.
Le
parole dell’amico gli risuonarono nella testa come uno
sberleffo.
Poteva
anche essersi reincarnato, ma, chiaramente, non era lì. Era
stato stupido anche
solo sperare una cosa del genere.
Il
suono di cocci infranti sul pavimento lo strattonò fuori da
quei pensieri.
Gilbert
osservò perplesso il ragazzo che lo fissava con gli occhi
sbarrati e le labbra
pallide, le mani raggelate con le dita aperte, in piedi in una pozza di
birra e
frammenti di vasellame.
«Sei
vero… Gilbert…» esalò
quello, senza smettere di fissarlo, come ipnotizzato.
L’Hellsing
si mosse inquieto sul posto. Quel giovane sembrava intenzionato a
scansionargli
perfino le viscere, e la cosa non gli faceva troppo piacere.
Non
aveva mai visto prima quei capelli castani, quel fisico asciutto o
quegli occhi
bluastri. Non c’era un solo lineamento, in quel viso
impietrito, che gli fosse
familiare.
Ma,
quando finalmente Gilbert si decise a degnare di un’occhiata
più attenta il
ragazzo, la nostalgia gli pizzicò lo stomaco. Conosceva
quell’andatura con una
punta di titubanza, quasi dovesse chiedere all’aria il
permesso di
attraversarla, e quel tono di voce, sommesso perfino nella rabbia. E
quel modo
di guardarlo come se fosse… il più grande eroe di
tutta la Confederazione.
Si
è reincarnato. Ti sta aspettando.
La
voce di Francis gli martellò le tempie, e Gilbert scosse il
capo per
scacciarla.
Troppe
cose. Troppe cose tutte insieme.
Avevano
scoperto di aver viaggiato nel tempo, non nello spazio. Si erano
riappropriati
della loro Confederazione, e l’avrebbero ricostruita su altre
basi da quel
giorno in avanti. Ludwig, il suo amato fratellino, era vivo, ed era su
quel
pianeta.
Il
suo cuore era già sul punto di esplodere. Non era sicuro di
poter sopportare
un’altra emozione troppo forte, che fosse gioia o delusione.
Ma il suo sangue
era quello bollente di un guerriero: la sua bocca si armò di
parole prima ancora
che se ne rendesse conto.
«Come
fai a conoscermi?»
Il
ragazzo boccheggiò un paio di volte a vuoto, in cerca di
parole o di aria,
prima di tastare ansiosamente i pantaloni. Dalla tasca destra emerse il
suo
trofeo, che inforcò con dita tremanti.
Il
cuore di Gilbert fremette più delle mani del giovane, alla
vista di
quell’oggetto.
Un
paio di occhiali, rammendati con mezzi di fortuna.
«Non…
non ricordavo niente, all’inizio»
tentennò il ragazzo, le mani ancora
aggrappate alle stecche degli occhiali. Si sarebbe troncato le orecchie
di
netto, se non avesse smesso di premervi sopra. «Mi sono
ritrovato solo, in una
dimensione vuota. Poi sono arrivati i sogni. Sul… sul nostro
passato. Poi sono
arrivati Lovino e Ludwig, e insieme abbiamo salvato
Feliciano…»
Le
parole rimbombavano come se il giovane stesse parlando dentro una bolla
d’acqua. Il loro significato gli scivolava addosso,
così come ogni altro
rumore: il vento fuori dalla porta, e le gocce della birra versata
sulle scale
della cantina.
I
suoi sensi si erano ristretti per lasciare spazio solo alla vista. Ed
era
puntata sul giovane davanti a sé.
Gilbert
non realizzò di essersi mosso verso il ragazzo, o di aver
appoggiato le mani
sulle sue guance.
Vide
il suo volto farsi più vicino, e delle dita estranee
accarezzargli gli zigomi,
ma aveva perso sensibilità con il suo stesso corpo. Tutto
era focalizzato su
quegli occhi che lo fissavano con un misto di speranza e di ansia.
La
bocca si mosse con lentezza e fatica, come se fosse rimasta ferma per
millenni.
«Matthew…?»
Le
lacrime si affacciarono sugli occhi del giovane, ma il ragazzo strinse
le
palpebre prima che potessero inondargli le guance. Poggiò le
mani su quelle
dell’Hellsing e le tenne ferme sul suo viso mentre annuiva.
«Sono
io» la voce ruzzolò goffa sulle labbra tremanti.
«Da
quanto… da quanto tempo hai ricordato?» non
riconosceva nemmeno più la sua
voce: tutto suonava strano e alieno, al di fuori del viso in lacrime
che
stringeva tra le dita.
«Dieci
anni.»
«E
cosa hai fatto in questi dieci anni?»
I
sensi tornarono alla vita quando il ragazzo si gettò contro
il suo petto: sentì
il suo tepore mentre stringeva le braccia sulla schiena fragile,
udì i
singhiozzi soffocati e sentì l’odore del bosco e
del lago intrappolati nei
capelli che gli solleticavano il naso.
«Quello
che avevo promesso» l’abbraccio del giovane si fece
più stretto, e Gilbert
rafforzò la sua presa di conseguenza. Se non lo avesse
tenuto premuto contro di
sé, quel giovane sarebbe andato in pezzi. «Ti ho
aspettato, Gilbert. Ti ho
aspettato sempre.»
Matthew
rialzò il viso. Nemmeno le lenti spesse degli occhiali erano
sufficienti per
mascherare del tutto il pianto.
«Ho
pensato tante volte che forse era tutto un sogno» le labbra
tremavano come se
temessero di ferirsi con le parole. «Ero da solo, e avevo
questi strani ricordi
di una vita passata. Poi sono arrivati Ludwig e Lovino, e ho capito che
non era
frutto della mia immaginazione. Ma, ogni tanto, temevo che sarebbe
arrivato il
giorno in cui mi sarei svegliato con i capelli bianchi e un sacco di
anni sulle
spalle, e mi sarei accorto di aver sprecato la vita ad aspettare un
sogno…» le
mani del giovane gli circondarono il viso, incerte, felici.
«Ma sei qui,
Gilbert… sei qui!»
L’Hellsing
non aspettò un momento di più per dimostrare al
ragazzo quanto fosse reale.
Si
chinò su di lui in uno dei loro baci simili a una caccia, in
cui Matthew
esitava e Gilbert lo intrappolava.
Il
giovane cinse il collo dell’Hellsing con le braccia,
spingendosi sulle punte
dei piedi per raggiungerlo meglio. Nonostante la reincarnazione,
Gilbert era
ancora il più alto.
Sentì
Matthew mugolare nella sua bocca quando strinse troppo
l’abbraccio, e si sforzò
di rilasciare la presa quel tanto necessario da permettere al giovane
di
respirare.
Solo
qualche anno prima, lo aveva seppellito con le stesse mani con cui gli
stava
accarezzando le spalle. Aveva scavato una buca e impilato sassi su di
essa per
evitare che gli animali selvatici potessero fare scempio del corpo, lo
stesso
corpo che si tendeva su di lui per prolungare il bacio.
La
nostalgia gli mozzò il respiro, e dovette staccarsi per
riprendere fiato.
Matthew.
Era lì. Era talmente bello da fare paura. Temeva che, da un
momento all’altro,
si sarebbe svegliato nella Prigione Caina, scoprendo che era stata
tutta
un’illusione magica per torturarlo.
Ma
era evaso da Caina, aveva combattuto e sconfitto il Vaticano insieme ai
suoi
compagni. E Matthew… lo aveva aspettato. Si era aggrappato a
dei brandelli di
sogno e lo aveva aspettato per tutti quegli anni.
Era sicuramente
l’eroe più grande della
Galassia. Dopo di lui, ovviamente.
«Credevo
che ti avrei rivisto solo nel Walhalla» bisbigliò
l’Hellsing sulle labbra
dischiuse del suo compagno.
Matthew
gli regalò uno di quei sorrisi per cui Gilbert avrebbe
attraversato un inferno
di demoni.
«Invece
mi hai trovato» il ragazzo lo abbracciò
più forte, spingendo il viso
nell’incavo del suo collo. «Avevo
ragione.»
«Su
cosa?»
Matthew
rialzò gli occhi. Avevano una tonalità di blu
nettamente più scura rispetto al
passato – quasi viola. Ma si sarebbe abituato a essere
guardato da quegli occhi
nuovi: il loro sguardo era lo stesso dei suoi ricordi.
«Sei
e sarai sempre il più grande eroe della Galassia»
sorrise Matthew. «Chi altro
avrebbe potuto trovarmi?»
«Chi
altro avrebbe potuto aspettarmi?»
«Una
persona che conosce il tuo valore» rispose prontamente
l’altro.
La
reincarnazione lo aveva reso più sciolto nelle parole, ma
non aveva migliorato
la sua tendenza ad arrossire: le guance avevano impiegato meno di un
secondo a
coprirsi di porpora.
Gilbert
poggiò un bacio sulle gote in fiamme prima di riappropriarsi
della bocca del
giovane.
Meglio
così. Non sarebbe stato il vero Matthew, senza il suo
rossore.
E
senza l’amore totale per lui.
Gilbert
lo strinse più forte, respirando a fondo il suo profumo.
Finalmente,
era tornato a casa.
***
«Lovino!»
Il
cuore si fece di cenere quando il giovane si voltò.
Non
era Lovino. Era il suo gemello.
«Antonio!»
lo salutò Feliciano. «Ci siete tutti?»
Il
capitano annuì.
«I
miei uomini sono ancora sulla Reina.
Sono sceso per vedere dove si era cacciato Gilbert.»
Un
sorriso da volpe solcò le labbra del giovane.
«Gilbert
sta bene. È con Matthew, adesso.»
Antonio
lo guardò trasecolato. Con Matthew?
«È…
morto?»
Feliciano
si affrettò a scuotere la testa.
«No!
Matthew si è reincarnato! È stato lui a chiamare
qui Lovino e Ludwig, e poi
loro sono venuti a prendere me… Antonio?»
Il
capitano barcollò all’indietro.
Ricordava
quella volta che uno dei suoi uomini aveva mangiato troppo a un
banchetto di
benvenuto, ed era rimasto steso immobile tutta la notte come un cobra
che
digerisce la preda.
Si
sentiva allo stesso modo: troppe informazioni tutte insieme, e non
riusciva a
scomporle e digerirle.
Matthew
si era reincarnato nella futura Confederazione e aveva aspettato
Gilbert.
Francis aveva detto qualcosa del genere, ma sapere che il compagno di
Gilbert
era vivo… aveva visto la sua tomba, aveva accompagnato
l’Hellsing a piangerci
sopra. Ma era vivo… e, grazie a lui, Ludwig e Lovino si
erano salvati. E anche
Feliciano.
«Lovino
è qui?» domandò, quando non ebbe la
sensazione di avere un deserto al posto del
palato.
Feliciano
annuì.
«Sarà
di ritorno tra poco» confermò. «Immagino
che avrai molte cose da chiederci.»
«Come
avete fatto ad arrivare qui?»
«È
stato merito di Matthew. Senza saperlo, ha lanciato una specie di
richiamo che
ha attirato qui Ludwig e Lovino, quando sono caduti nel risucchio del
portale.
E, insieme, sono tornati indietro a prendermi» Feliciano non
fu abbastanza
veloce a chiudere il colletto della camicia quando un soffio di vento
lo aprì.
«Come
hai fatto a sopravvivere, con una cicatrice del genere?»
Antonio era abituato
alle ferite, e riconosceva subito il segno lasciato da una
particolarmente
grave. E una di quelle proporzioni l’aveva vista solo sui
cadaveri.
Feliciano
pettinò una ciocca di capelli dietro l’orecchio,
quasi con vergogna.
«Roderich»
sussurrò. «E Lovino.»
Antonio
non indagò oltre, ma c’era un’altra cosa
che voleva chiedere al ragazzo.
«Abbiamo
visto una scia magica percorrere la Confederazione, prima di arrivare.
Come se l’Asse
fosse ancora al suo posto.»
«Infatti.»
«Ma
tu sei qui.»
«Ma
io sono solo Feliciano, adesso.»
Il
ragazzo lanciò uno sguardo al cielo, e Antonio
seguì la direzione dei suoi
occhi.
Un
cristallo biancastro dall’aria serena fluttuava al centro
della Confederazione.
«Lo
abbiamo ricostruito» spiegò Feliciano.
«Ma, soprattutto, abbiamo ricostruito il
muro progettato da Francis.»
Il
capitano continuava a non capire.
«Il
muro che assorbe i poteri» sottolineò il ragazzo.
«Ha assorbito i miei e li sta
propagando nella Confederazione. Abbiamo di nuovo un Asse, ma non ci
sono più
prigionieri nel Palazzo di Quarzo.»
«Quindi
ora tu non hai più poteri magici?»
Feliciano
gli regalò il sorriso ampio di chi non ha rimpianti.
«Solo
alcuni. Non sono più potente come una volta, ma sono mille
volte più felice.»
Antonio
annuì automaticamente. Faceva ancora fatica a credere che
tutto quello potesse
essere reale.
Una
nuova Confederazione da ricostruire, Gilbert che aveva riconquistato
parte
della sua famiglia, i gemelli Vargas insieme… era troppo, ma
si sarebbe
abituato.
Era
bello, per una volta, doversi abituare a tanti miglioramenti tutti
insieme.
Feliciano
si schermò gli occhi con le mani per alzare lo sguardo.
«Oh»
notò. «Mio fratello è
tornato.»
Antonio
si girò di scatto a quella frase, e vide un punto in
lontananza ingigantirsi
nella forma di un enorme volatile. Perfino le punte degli alberi si
piegarono
quando un’aquila di dimensioni ciclopiche atterrò
in un frullio di vento e
piume.
Il
capitano rimase paralizzato, attendendo che la figura in groppa al
volatile
scendesse. Un misto di ansia e trepidazione gli torceva lo stomaco.
Avrebbe
trovato lo stesso Lovino che ricordava, o avrebbe guardato uno
sconosciuto?
«Feliciano?»
chiamò il giovane, atterrando con un salto.
«Feliciano, dove diavolo…»
Sentirono
entrambi uno strappo, prima che il mondo si fermasse completamente.
Riconosceva
quel viso bellicoso, ma non ricordava quando si fosse indurito in una
forma più
matura. Non aveva mai visto quella cicatrice obliqua sulle labbra che
era
abituato a baciare, e non era stato presente quando i capelli erano
stati
accorciati, scoprendo gli occhi ramati.
In
quel giovane c’erano il Lovino dei suoi ricordi e il Lovino
cresciuto senza di
lui, in quella Confederazione nuova.
Il
cuore si gonfiava di gioia alla vista del giovane, e si stringeva
dolorosamente
notando dettagli a lui sconosciuti. Era felice di rivederlo, ma ogni
nuovo
particolare era come un’accusa. Dove era stato, per tutto
quel tempo? Per lui
si era trattato solo di qualche giorno, ma per Lovino quanto tempo era
passato?
«Da
quanto sei qui?» le parole galleggiarono nell’aria
densa.
Il
giovane spostò il peso da una gamba all’altra,
inquieto.
«Sei
anni» rivelò alla fine.
Lo
stesso tempo che avevano passato insieme. Il paragone era
impressionante, se
messo in quei termini.
Antonio
passò una mano sulla fronte, incredulo. Lo aveva visto
sprofondare davanti ai
suoi occhi solo qualche giorno prima, e adesso era davanti a lui, i
cambiamenti
maturati in sei anni incisi su tutto il corpo.
«Hai
intenzione di rimanertene lì impalato ancora per
molto?»
Antonio
non si rese conto dei movimenti del giovane finché non
sentì le sue braccia
chiudersi attorno al suo busto. Il ringhio del ragazzo gli
grattò lo sterno.
«Sono
passati sei anni e tutto quello che sai fare è startene
fermo e zitto?» Lovino
tuffò il viso nel suo petto, e la frangia disegnò
un sole ramato sulla camicia
del capitano. «Mi sei mancato, bastardo.»
Le
braccia di Antonio rimasero ferme, come paralizzate, per un istante
ancora.
Avvolsero lentamente la schiena del giovane, come se temessero che
Lovino fosse
fatto di fumo.
Poi
lo strinsero improvvisamente, facendo schiudere le labbra del ragazzo
in un
gemito di sorpresa.
«Lovino»
lo chiamò Antonio. L’abbraccio si fece
più forte, cancellando i sei anni di
lontananza, cancellando la paura di non rivederlo, cancellando tutto.
Tutto a
parte il ragazzo che gli stava prendendo a pugni sulla schiena per
fargli
allentare la presa.
«Volevi
ammazzarmi?» il ruggito di Lovino si smorzò sulle
labbra del capitano, scese a
premersi sulle sue.
«Mi
sei mancato» il sussurro caldo del capitano
scivolò sui suoi capelli come una
carezza. «Che il diavolo mi fulmini, mi sei mancato
così tanto…»
La
bocca del giovane si contorse in quella smorfia che Lovino usava solo
quando
doveva trattenere le lacrime.
Sprofondò
il viso nell’incavo del collo dell’uomo,
abbracciandolo con amore maldestro.
«Bentornato,
bastardo.»
Il
capitano sorrise, e sollevò il volto del ragazzo per
mormorargli sulle labbra:
«Sono
a casa. Scusa se ti ho fatto aspettare.»
***
Il
sole tardava ad alzarsi, quella mattina.
Yao
sorrise mesto, apprezzando lo sforzo dell’astro.
Poteva
indugiare nel giaciglio della notte quanto voleva. Ivan si stava
comunque
preparando per partire.
Il
sovrano si sedette sul bordo del letto. Il movimento di quella nottata
aveva
disegnato un intrico di grinze sulla veste da camera
dell’Asean, blandamente
annodata da un nodo frettoloso.
Ivan
stava finendo di allacciarsi il cappotto. Sistemò la sciarpa
intorno al collo e
si voltò verso di lui.
Nessuno
dei due disse nulla.
Ivan
rimase immobile, Yao continuò a pettinare i capelli con le
dita fasciate,
troppo scompigliati per la testa di un regnante.
Era
come se tra loro si fosse steso una specie di incantesimo: se fossero
rimasti
entrambi muti, forse il tempo si sarebbe fermato e loro non si
sarebbero dovuti
separare.
Ivan
chinò il capo, in un cenno di commiato.
Anche
senza parlare, la magia era stata spezzata.
L’uomo
fece un passo in direzione del compagno e si inginocchiò
davanti a lui, il
busto tra le sue ginocchia aperte. Appoggiò le mani sui suoi
fianchi e lo baciò
sul ventre, dove la veste scomposta lasciava intravedere la pelle nuda.
Yao
si chinò su di lui, abbracciando il capo argentato.
La
mano di Ivan gli accarezzò i capelli, trattenendone una
ciocca.
«Prima
che siano di nuovo lunghi come prima, Yao. Prima di allora,
sarò con te.»
Il
sovrano annuì, inclinando la testa per seguire le carezze
dell’uomo. Trattenne
il fiato quando la mano del compagno si allontanò da lui, e
morse le labbra per
impedirsi di chiedergli di rimanere ancora.
L’uomo
si sollevò per baciarlo, e Yao gli accarezzò il
viso con le dita bendate mentre
muoveva le labbra sulle sue.
«Aspettami»
mormorò Ivan sulla sua bocca.
«Non
farmi aspettare.»
Il
sovrano quasi rabbrividì quando Ivan si allontanò.
Lo
fissò, mentre usciva dalla stanza. Ivan non si
voltò. Si fermò sulla porta,
indugiò, e lo vide stringere il pugno, ma non si
voltò. Sapevano entrambi che,
se si fossero voltati, non si sarebbero più mossi da quella
camera.
Ivan
oltrepassò la porta e sparì nel corridoio.
Yao
scese veloce dal letto e si accostò alla finestra.
Attese
qualche minuto, poi la vide. La Fortezza Errante si sollevò
nel cielo come un
dinosauro di metallo, e sparì in uno scintillio argenteo nel
cielo di Chugoku.
Yao
prese un lungo respiro.
Young
Soo se ne era andato. Kiku se ne era andato. E, ora, anche Ivan.
Ma
sapeva dove trovarli, se avesse sentito la loro mancanza.
Il
cielo di Chugoku era trapuntato di stelle. Da qualche parte, tra quelle
luci,
c’era la Fortezza di Ivan, che si affrettava a compiere il
giro della
Confederazione per tornare da lui.
E,
ancora più su, sulle stelle più lontane,
c’erano Young Soo e Kiku. Sempre con
lo sguardo fisso su di lui, come quando vivevano al Palazzo insieme.
Solo che
adesso era lui a dover sollevare lo sguardo per vederli.
«Vi
rivedrò tutti, un giorno. Chi prima, chi dopo»
sussurrò al cielo notturno. «Aspetterò.
Sono una persona molto paziente.»
E
diede le spalle al cielo e alle stelle, preparandosi per la giornata.
Puoi
anche voltarti, fratellone, ma noi
continueremo a brillare.
Che
la nostra luce ti accarezzi il viso
o le spalle, poco importa.
Siamo
qui, fratellone.
Ricordatelo,
d’accordo?
***
Antonio
si guardò intorno.
Nemmeno
nei suoi sogni aveva mai visto un quadro simile.
La
casa di Gilbert, ampliata, costruita in un pianeta rifiorito.
Una
cucina calda, dove ancora aleggiava l’odore della cena appena
consumata. Il
fuoco che tesseva strani giochi di luce sui piatti accatastati nel
lavello.
Quella
non era la serata per lavare le pentole.
Ludwig
sedeva all’altro lato della tavola, su una pesante sedia di
faggio. Feliciano,
con la massima naturalezza possibile, era seduto sulle sue ginocchia,
le
braccia gentilmente allacciate al collo del compagno.
Lovino
fissava Ludwig con l’odio tipico del fratello apprensivo, e
stringeva a tratti
la forchetta che si era rifiutato di mettere nel secchiaio assieme al
resto,
come se aspettasse il momento giusto per conficcarla nella mano del
Guardiano
senza essere notato.
Antonio
avvicinò la sedia a quella di Lovino, e fece scivolare un
braccio attorno alla
sua vita.
Il
giovane lo fulminò per un istante, prima di sospirare e
ricambiare l’abbraccio
del capitano. Aveva lasciato andare la forchetta: le
ostilità erano cessate,
per quella sera.
Gilbert
si era accomodato sul divano scalcinato poco distante. Matthew era
appoggiato a
lui, la testa sulla spalla e una mano intrecciata a quella
dell’Hellsing sul
suo grembo.
«Non
riesco a credere che tutto questo sia vero»
bisbigliò Antonio. «Che siamo tutti
qui… è un miracolo.»
«Non
è un miracolo. È magia» rispose
gentilmente Matthew.
«Non
è magia, è un naso impiccione alla Fiamminga
chiamato “Francis”» lo corresse
Gilbert. «Ma è stato utile, questa volta. Gli
offrirò una birra, appena lo vedo.»
«Ancora
non capisco come siete arrivati qui. E come vi siete trovati»
continuò Antonio,
avvicinando a sé Lovino.
«Perché
sei un idiota» ringhiò quest’ultimo.
«È
difficile da comprendere, se non si sa tutta la storia»
concesse Ludwig, più
diplomatico. «Ma abbiamo un’intera serata, per
raccontarla.»
Aspettarono
che Gilbert tornasse dallo scantinato con una bottiglia di sidro
– “potrebbe
seccarvisi la gola, con tutto quel parlare” aveva detto
– e che Feliciano
disponesse i bicchieri sulla tavola.
Gilbert
e Matthew presero posto assieme agli altri, e l’Hellsing
iniziò a versare da
bere.
«Credo
che l’inizio spetti a me» annunciò
Matthew, una volta che tutti ebbero il
bicchiere colmo davanti.
Così
finisce il racconto della vecchia
Confederazione.
La
storia della nuova Confederazione,
invece, inizia da quella notte, da quella capanna su un piccolo pianeta
sperduto in mezzo alla Galassia.
Fine
Oddio,
ci siamo.
E’
finita!!! *piange
lacrime amare*
Non
ci credo…
Caleidoscopio è finita T^T
Finale
aperto? Avete
ragione. C’è un motivo? Ovviamente<3
Gli
spin-off partono da
qui, e i primi saranno appunto su come Matthew sia arrivato nella nuova
Confederazione, come abbia chiamato gli altri e tutto il resto *^*
Poi
ci saranno i vari
spin-off da voi richiesti sul passato dei vari personaggi!
Se
guardate in alto,
nella pagina, noterete che la fanfic non è completa; questo
perché ho deciso di
postare gli spin-off direttamente qui. Mi sembra meno complicato, e
poi, in
fondo, sono approfondimenti di questa storia *^*
Vi
ringrazio
infinitamente per aver aspettato con tanta pazienza il capitolo finale!
Spero
che il finale non
vi abbia deluso, e che i prossimi spin-off vi piaceranno *^*
Grazie
ancora a tutti
voi!!!
Ultimo
annuncio prima
di salutarvi: nuova fiction in cantiere, ma… con un sentore
di “antico”.
Ricordate
la serie
“Rosa de los Vientos”? Ricordate cosa accadde al
povero Feliciano?
E
se le cose non
fossero andate esattamente come Lovino pensa? 8D
Spero
di ritrovarvi lì,
di nuovo tra porti e navi *^*
E
sto macchinando
un’altra long<3 appena avrò deciso gli
ultimi dettagli, inizierà<3
Rimanete sintonizzati<3
Con
questo, vi saluto e
vi do appuntamento al prossimo capitolo con l’apertura degli
spin-off!
Grazie
di
nuovo<3<3<3
Red
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