Equinozio d'autunno
Titolo: Equinozio
d'autunno
Fandom:
Broadchurch
Personaggi: Ellie
Miller, Alec Hardy
Set In Time: 23
settembre 2014
Rating:
Giallo (qualche parolaccia. I nostri due non hanno
esattamente un linguaggio da educande...)
Disclaimer: No
posession, no money
Nota: Questa fiction
segue ipoteticamente la mia Solstizio d'estate. C'è un piccolo
riferimento, ma si può leggere da sola. A me, ovviamente, piacerebbe che le
leggeste entrambe e mi lasciaste un commentino gentile *guarda con occhioni
spalancati tipo cucciolo*.
Equinozio
d’autunno
Era impossibile non notare il
suo terribile parka arancione e, da principio, Alec Hardy si irritò. Quella
sera, stava passeggiando sulla spiaggia, il suo cappotto unico scuso
contro il vento freddo, la mente occupata da Daisy. La giovane
aveva mantenuto più che fede alla promessa fatta: due settimane erano
dapprima diventate cinque; in seguito si era fatta viva anche per
qualche fine settimana. Adesso che la scuola era entrata nel vivo, Hardy sapeva
che l’avrebbe vista meno, ma serbava vivo il ricordo di quell’estate, e
conservava gelosamente i messaggi giornalieri che lei gli mandava.
Stava proprio pensando a quanto Daisy lo aveva preso in giro perché non aveva la
più pallida idea di cosa fosse WhatsApp – papà, ma
davvero? Sarebbe ora di abbandonare l’età della pietra, io lo dico per
te, poi fa' come vuoi – quando l’arancione offensivo
dell’impermeabile della Miller lo distrasse. Possibile che non le venisse
un’emicrania ogni volta che lo indossava? Era peggio di una bandiera di
segnalazione!
Voleva ignorarla, cambiare
percorso, rientrare a casa e studiarsi i mille Emoji che sua figlia pensava
sostituissero le parole nelle conversazioni, ma il suo corpo non rispondeva ai
comandi della sua testa. In men che non si dica si trovò accanto a
lei.
“Stai segnalando alle
navi la linea della costa?”
“Buona sera… nemmeno
frequentare tua figlia ti ha reso meno idiota.”
Rimasero in silenzio per qualche
minuto, ma era un silenzio confortevole, quello di due persone abituate a
comunicare anche – e soprattutto – in quel modo.
Alec si voltò ad osservare il
profilo della donna e notò quasi immediatamente che i suoi ricci scuri si
erano allungati parecchio. In effetti, quell’estate non si erano frequentati
molto: lei era partita per una lunga – e necessaria, secondo l’uomo – vacanza
insieme ai figli ed alla sorella, lui aveva avuto Daisy e la sua esuberanza da
adolescente. Si erano giusto incontrati in città qualche volta, sempre tra un
impegno e l’altro e non si erano mai fermati a bere un caffè insieme. Non che
Hardy avesse sentito la necessità di tutta quella socializzazione,
ovviamente.
“Ho sentito che torni a lavorare
qui al distretto… tutto bene, quindi, con…”, Ellie indicò genericamente il
torace di Alec.
“Mh-mh”, lui si limitò ad
annuire. Avrebbe davvero tanto voluto che le persone la smettessero di
trattarlo come un caso disperato da ospedale. Persino il reverendo Coates
gli aveva confessato che, di tanto in tanto, rivolgeva una preghiera anche a
lui.
“Soddisfatto?”
“È un
lavoro.”
Di nuovo silenzio. Hardy girò
ancora la testa verso Miller. C’era qualcosa di strano. Sembrava… diversa.
Triste, forse. Malinconica. Non esattamente quella che era stata durante il
processo, ma nemmeno quella che era sembrata durante quell’ultima
estate.
Sospirò, poi si fece forza per
parlare e indagare, “Che hai? Non può essere ancora per il lavoro! La Jenkins mi
ha detto che…”
Lei lo interruppe, “No! È vero,
ho rifiutato il posto. Non sono ancora pronta per tornare a lavorare qui… non so
se lo sarò mai… è solo che… il lavoro non c’entra nulla, non stavolta. Non
voglio più ucciderti perché mi hai rubato il posto. Di nuovo. So che
farai un buon lavoro… è solo che… oggi è il compleanno di
Tom.”
Alec aprì e chiuse la bocca un
paio di volte, simile ad un pesce fuor d’acqua. Forse lui aveva l’abitudine di
fare mille domande al secondo, ma Miller ed i suoi stream of
consciousness gli facevano girare la testa. Quasi quanto l’arancione della
sua giacca. Escluse tutto ciò che faceva da contorno a quanto gli aveva detto,
sorvolando sul complimento, ma archiviandolo inconsapevolmente nella sua
memoria, per arrivare al punto focale del problema: il compleanno di Tom. Che
non era un problema in sé; tutti i genitori sono felici quando arriva il
compleanno del figlio (certo, pensare che Daisy di anni ne aveva quasi sedici lo
riempiva di altro oltre che gioia, però…), ma era probabilmente quello che c’era
dietro, sotto, davanti e tutt’intorno: Joe Miller. O meglio, la sua
assenza.
Quasi gli avesse letto nel
pensiero, o forse sicura che avere una conversazione da persone civili con Alec
Hardy era quasi un’impresa, Ellie espose tutta la faccenda. Quasi come un
testimone al banco degli imputati.
“L’anno scorso eravamo ancora
troppo sconvolti, il processo finito da poco, la sentenza, e…”, incespicò per un
istante brevissimo, “comunque, non abbiamo festeggiato. Solo un 'buon
compleanno' ed un disegno bislacco fatto da Fred. Andava bene così. Ma
quest’anno… le cose erano – sono – migliori, il lavoro nel Devon fa sempre
abbastanza schifo, ma i colleghi sono gentili e divertenti, Fred adora l’asilo e
le sue maestre, Tom è di nuovo in careggiata. Fa sempre male, è come un dente
cariato, ma non è il mio unico pensiero. Poi, oggi, riceviamo
posta…”
“Cosa avete fatto con
Joe? Non me lo hai mai detto.”
“Come fai a sapere che… oh, non
importa… me lo stai chiedendo come Hardy, l’idiota con cui non so perché mi
trovo a condividere tutto questo, o come Alec Hardy, l’ispettore dal carattere
terribile?”
“Fa differenza?”, lui
sperava non ne facesse, perché non avrebbe potuto tollerare un altro grosso caso
a Broadchurch.
“No, in verità. È solo
che mi diverte metterti a disagio”, nonostante tutto, le sfuggì un
sorriso.
“Quindi?”
“L’abbiamo fatto salire
su un treno e spedito a Sheffield. Da allora più nulla. E stavo bene, riuscivo
quasi ad illudermi che fosse in carcere, lontano, e non potesse raggiungerci.
Sono passati i mesi, ed io ho smesso di essere la moglie del killer di
Broadchurch, ed i bambini erano bambini normali, come avrebbe dovuto essere. Ma
poi… oggi nella posta c’era un suo biglietto per il compleanno di
Tom.”
“Lui l’ha
visto?”
“Sì… e l’ha letto e poi se l’è
rigirato tra le mani e l’ha letto di nuovo. Poi l’ha chiuso e me l’ha
consegnato. Non lo voglio, non mi interessa, è stato tutto quello che mi
ha detto. Ed era triste, come se tutto avesse perso di senso.”
Ellie sospirò, dando un calcetto
stizzito alla sabbia umida. Si mise le mani in tasca e, da quella di destra,
tolse il biglietto incriminato. Hardy poteva vedere un cartoncino su cui
era stata stampata un’enorme torta di compleanno circondata da palloncini
variopinti. Quell’esplosione di colori vivaci strideva decisamente con il
grigiore di quella giornata autunnale.
“Io non l’ho letto, sai…”,
continuò Ellie, certa di rispondere alla curiosità dell’uomo accanto a lei.
“Vorrei, ma mi sembra di violare la privacy di Tom. Ho faticato tanto per
riaverlo nella mia vita, per vederlo ancora sorridere, per sentirlo ancora
mio…”
Alec non disse nulla, ma
la capiva. Eccome, se la capiva.
“Non voglio questa
cosa in casa mia. È avvelenata, contaminata. La distruggo e la
affido alle onde… okay, la butto in un cestino, ma non la voglio”, terminò con
la voce esausta di chi si era ripetuta troppe volte quelle
frasi.
“No.”
La fermezza nella voce
di Hardy la fece trasalire. Si era quasi dimenticata che lui avrebbe potuto
intervenire nelle sue farneticazioni. E, ovviamente, era intervenuto con una
delle parole che lo contraddistinguevano di più.
“Scusa?”, lei aggrottò
le sopracciglia.
Lui allungò la mano, con fare
deciso. “Dammelo. Non ha senso buttarlo. So che non ci credi, ma un giorno Tom
potrebbe aver bisogno di questo biglietto. È suo, lo tengo io per
voi.”
Ellie non poté fare a meno di
eseguire quello che sembrava un ordine a tutti gli effetti. Gli consegnò il
biglietto e lo osservò mentre lo infilava in una tasca. Lui la studiava di
sottecchi, contento di avere le mani occupate. Sentiva fortissimo l’impulso di
toccarla per confortarla in qualche modo. Ma sapeva che sarebbe sembrato assurdo
e goffo e fuori luogo. Come sempre.
“Oggi è l’equinozio
d’autunno”, disse allora, come per cambiare discorso.
Miller si strinse nelle
spalle per proteggersi dal freddo.
“Quando Daisy era piccola, prima
che compisse dieci anni, noi tre ci prendevamo sempre una domenica d’autunno per
andare a cercare castagne. In verità, io e Tess cercavamo castagne, mentre Daisy
raccoglieva le foglie rosse che erano cadute a terra. Abbiamo sempre amato
l’autunno.”
Ellie si mosse inconsapevolmente
verso di lui, emozionata nel poter ascoltare quel piccolo frammento di vita
felice che Hardy aveva vissuto nel passato. Grata, che lui le mostrasse una
parte nascosta. Si concentrò per ascoltarlo al meglio e non perdersi nessuna
delle sue parole.
“Ovviamente, diventava una sorta
di competizione su chi trovava più castagne. Ma era divertente. Tess lo era, ed
io…”, chiuse gli occhi, mandando giù il groppo che minacciava di
strozzarlo.
“Comunque… credo di non aver mai
vinto. Tess trovava castagne ovunque – ovunque, persino dove io avevo già
controllato -. A me restavano solo i ricci vuoti con cui, ovviamente, mi pungevo
ogni volta. A casa, la sera, Daisy mi medicava, riempiendomi le mani di cerotti
rosa da bambini.”
Ellie scoppiò a ridere di gusto.
Cercò di fermarsi, pensando addirittura al gesto sconsiderato di Joe, ma fallì
miseramente. Rideva tanto che quasi si mise a piangere.
“Che bello che ridi di
me…”, commentò acidamente Hardy.
Ma, in verità, sotto sotto, in
un posto segreto che quasi non sapeva di avere, era bello davvero vederla
ridere. Anche se rideva di lui. Perché dopo tutto quello che aveva passato,
incluso quel compleanno di Tom mezzo rovinato, lei aveva il diritto di ridere.
Era giusto così. La cosa veramente bella, però, era che Alec, di storielle così,
da raccontarle, ne aveva a centinaia. Questo fece sorridere anche
lui.
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