Io ho pensieri e giorni incasinati
Sono
svariate, le persone alle quali dovrei dedicare questa storia. Mille
gesti, dialoghi, avvenimenti, si ispirano a quelli che ho realmente
vissuto con i miei genitori, mio fratello, i miei amici. Devo un
grazi a tutti loro, perché pur non essendo al corrente
dell’esistenza di questa storia ne fanno parte, e mi ispirano
ogni giorno, con il loro senso dell’umorismo, la loro ironia,
la loro dolcezza e la loro forza.
A
Martina, perché questa storia, non fosse per lei, non
esisterebbe proprio. Perché mi ha convinto a scriverla, a
continuarla, a sfornare capitoli. Perché è la mia
migliore amica, l’unica alla quale, quando mi chiede “come
sto”, non rispondo sempre per forza “bene”. Quella
che ho insultato fino alla nausea, con la quale ho spartito biscotti,
sogni, chat, libri, cd. È la migliore delle migliori amiche,
oltre che ottima scrittrice, e se non ci fossero le sue storie, i
suoi personaggi (dei quali mi impossesso per farmi film mentali e per
shippare tutti con tutti), io sarei persa. Ed è la mia beta,
il mio scricciolo, la mia nemesi e la parte più demente del
mio animo. Grazie, per ogni attimo, per ogni consiglio, per ogni
cretinata e per l’aiuto nella vita come nella scrittura.
Questa
storia, inoltre, non esisterebbe senza John Lennon, unico e solo
grande amore platonico della mia vita. Sono in molti i cantanti, gli
scrittori e i libri, i cd ad avermi ispirata, ma John, con la sua
dolcezza arruffata, la ruvida tenerezza e l’anarchica
creatività è quello che più mi ha aiutata a
scrivere, a credere in questa storia e nel suo potenziale. Grazie,
John, per la tua rivoluzione, per le tue battute al vetriolo, e per
le canzoni che mi hanno sempre rubato il cuore.
No
better than this
Io ho pensieri e giorni
incasinati
Lei l’aria e anche i voti
da maestra
(Due Universi, Claudio Baglioni)
Camilla aveva sparpagliato i libri
di Greco e Latino sul prato intorno a loro, come se servissero
davvero a qualcosa. Alberto la conosceva da un mese o poco meno e non
l’aveva mai vista senza libri di testo, e a volte nel bel mezzo
di una conversazione lei si chinava, riguardava un paradigma latino o
una declinazione, si sistemava la frangia e riprendeva a parlare,
come se niente fosse. Lui era sempre allibito da questo suo
comportamento assurdo, forse perché alla scuola non si era mai
abituato davvero. Era da quando era alle elementari che viveva
malissimo il momento di sedersi ad un tavolo, fare i compiti per il
giorno dopo e preparare la cartella. Non aveva alcuna difficoltà
ad immaginarsi Camilla bambina, con le fossette e la coda di cavallo,
mentre impiegava la massima cura nel fare tutti gli esercizi
assegnati dalla maestra.
Quella volta erano soli. Stefano
aveva boicottato il pomeriggio al parco per via della sua
interrogazione di greco imminente, mentre loro due avevano deciso di
trascorrere il pomeriggio insieme.
Uscivano sempre in tre, quasi tutti
i pomeriggi, ormai. Per Camilla era strano, abituarsi alla sensazione
di avere qualcuno con cui passare del tempo al di fuori dei suoi
genitori. Con Amelia usciva di rado e ora sapere che c’erano
Alberto e Stefano con cui perdere tempo in una gelateria qualsiasi o
al parco, imbucandosi in ogni libreria o negozio di dischi, le
infondeva uno strano conforto. Le sembrava di galleggiare a mezzo
metro da terra, con loro. Li adorava, perché erano i suoi
amici, la sua boccata d’aria, il suo sollievo. L’avevano
sempre giudicata tutti o troppo seria o troppo trasognata.
Allontanava le persone, lei, suo malgrado. Era sempre stata gentile e
disponibile, ma il suo mondo, quello fatto di personaggi di libri,
cantanti morti e sepolti o passati di moda e piccole cose che le
accendevano lo sguardo, erano in pochi a poterlo capire. Ma Stefano
e Alberto no, loro ci provavano, a comprenderla, nonostante non
fossero quasi mai da’accordo, sebbene lei si illuminasse
per i libri e non per la musica e malgrado i suoi occhi si
sgranassero davanti a Dante, e non al rif di chitarra di
Satisfaction, che faceva trasalire Alberto.
Quel pomeriggio avevano scelto il
prato, anche se Alberto sapeva già che la sua amica avrebbe
avuto fame, e allora si sarebbero trascinati alla gelateria più
vicina.
“Povero Stefano, lui sarà
chiuso in casa con quei polverosi libri di Greco mentre noi siamo
qui, con gli uccellini e le farfalle…”, sospirò
Alberto, che non sembrava neanche tanto dispiaciuto per il suo amico.
“Cretino, tu l’interrogazione
di Greco l’avresti dopodomani e non stai studiando per niente.”
“Ma ci sei tu che studi
abbastanza per entrambi…”
Lei lo guardò, a metà
fra l’incredulo e l’esasperato.
“La prof ti ucciderà,
ne sei consapevole?”
“E tu raccoglierai i frammenti
del mio cadavere con il cucchiaino, e spargerai le mie ceneri
nell’Atlantico, proprio come hanno fatto con John Lennon.”
“E poi?”
“E poi cosa?”
“Hai dimenticato il finale.”
“Che finale?”
“Sarai mangime per i pesci,
no?”
“Grazie. Ho sempre sognato di
esser mangiato da un branco di pesci che nuotano nell’oceano.”
“I pesci non formano branchi,
eh, ma banchi.”
“Banchi? Come quelli di
scuola? Come il nostro banco?”
“Proprio così.”
“Se dico questo, alla prof di
greco, mi darà la sufficienza? Cioè, è
fantastico, il fatto che i pesci si riuniscano in banchi!”
“Ma sei scemo? Banco, gregge,
stormo, è la stessa cosa!”
“Sì, ma i pesci sono
eterni studenti scansafatiche che passano la loro vita al banco di
scuola!”
“Stai forse insinuando che sei
la reincarnazione di un pesce?”
“Magari…. E tu quella
di una professoressa di italiano incattivita dagli anni. Anzi, sei
proprio così, intrappolata in un corpo di ragazzina bionda e
relativamente carina.”
“Tu sai che una ragazza
normale per quel relativamente ti avrebbe ficcato un dito in un
occhio, e avrebbe badato bene ad estirparti il bulbo oculare con
un’unghia?”
“Tu non hai unghie, Cami, le
hai mangiate tutte durante il nostro primo anno di liceo.”
“Deve ancora finire, e ho
ancora qualche moncherino da mordere per bene. Poiosso inizirre a
mangiare le tue matite.”
“Tanto, per quel che mi
servono a scuola…”
"Per disegnare, no? Disegni
bene, tu, davvero.”
“È la prima cosa carina
che mi dici oggi, solo che non mi serve.”
“Lo so che vuoi suonare, solo
che sei bravo anche con una matita. Mi capita di guardarti a scuola,
come a matematica quando la mia immaginazione è troppo
paralizzata dalla noia anche per fantasticare, e guardo le cose che
disegni. La caricatura della prof, la testa di Elisabetta che si
muove annuendo ogni volta che lei apre bocca, e lo schizzo che hai
fatto a Yoko Ono che si trasforma in una scimmia. I pittori
rinascimentali avrebbero qualcosa da criticarti, certo, ma a me
diverte.”
“Se vuoi posso farti una
caricatura mentre ti trasformi nella prof di italiano rinsecchita e
con l’ulcera che avevo alle medie.”
“Ti ho fatto un complimento,
gioisci, no?”
“Se mi dicessi che sono
inimitabile quando suono sarebbe meglio, davvero.”
“Pretendi troppo. E poi lo sei
davvero, inimitabile.”
Disse quell’ultima cosa
fissando l’erba, Camilla. Aveva gli occhi troppo accesi e si
stava mordendo un labbro a sangue, perché lei certi
complimenti non li faceva, non a lui. Arrossiva sempre,
inevitabilmente, quando doveva lodarlo per qualcosa. Non gliel’aveva
mai detto, lei, nonostante si conoscessero da diverse settimane, che
lo trovava irrimediabilmente fantastico quando suonava.
"Oh! L'hai detto! Finalmente!"
"John Lennon era più
fantastico di te, però."
"Grazie, è sempre così
bello, avere a che fare con te."
"Dai, lo dici anche tu che John
era insuperabile!"
"Perché ti piace tanto,
poi, lui? Voglio dire, tu sei una ragazzina perbenino, con gli
appunti in ordine e l'aria così seria, quando non sei fra le
nuvole."
"Appunto!"
"Eh?"
"È proprio perché
sono fra le nuvole, spesso, che mi piace John. Lui era un duro, ma
non sul serio, si appartava nel giardino di un vecchio orfanotrofio
per sognare, scrivere e fumare da solo, e io sono assolutamente
uguale, solo che scappo in camera mia e non fumo. E poi quando ho
smesso di sentire solo Baglioni, de André e Guccini cercavo
anche altro. Non solo testi da brividi o melodie carine
accompagnate a delle parole fantastiche, no. Volevo di più,
una chitarra a cui venissero strappate delle note belle da star male,
dei giri di basso vertiginosi come quello di “I'm looking
through you” o delle prime note che tolgono un po' il
fiato, come quelle di "My sweet lord", e
ogni volta che sento quegli accordi io raggiungo la mia nuvola,
insieme a George."
Era buffa, pensò Alberto. Si
torceva i capelli biondo cenere e sorrideva a lui e ai cantanti di
cui parlava in un modo che un po' gli tolse il respiro. Era anche
bella, e non "relativamente carina", come aveva detto poco
prima. Un'espressione così cristallina e stralunata, a lui,
non l'avrebbe mai rivolta nessuno, se non quella ragazzina con i
jeans e la camicietta celeste, forse troppo angelica per uno come
lui. E poi parlava dannatamente bene, lei, e non solo perché
ci metteva tutto l'entusiasmo del mondo. Lui, benché
appassionato, si esprimeva in maniera troppo contorta e inquietante,
spesso mangiava le parole e sottintendeva concetti,
mentre lei, quando raccontava qualcosa, sembrava stesse scrivendo un
romanzo. Però mica gliel'avrebbe mai detto, perché se
le avesse fatto un complimento avrebbe perso quell'aria da sbruffone
che tanto gli era cara. Sapeva che a Camilla, con la sua aria
paziente e rassicurante, avrebbe potuto raccontare qualsiasi cosa, lo
sapeva. Lei l'avrebbe capito, o quantomeno ci avrebbe provato più
di chiunque, e forse qu per questo che decise di aprirle il suo
cuore, quel pomeriggio, almeno un po'.
"Io amo John perché mi
assomiglia tanto, e non nel modo in cui dici tu. Lui ha perso la
mamma due volte, prima da bambino e poi da ragazzo. Io una mamma ce
l'ho, ma ormai non c'è più da anni. Viviamo nella
stessa casa, ma ci incrociamo ad orari impossibili. Quando mio padre
se n'è andato di casa facevo le elementari. Non so
nemmeno perché sia andato via, capisci? L'ho conosciuto poco e
male, e non è che ora quando mi manda un sms o mi chiama per
sapere come sto lo conosco meglio. A mia madre importava solo che lui
ci desse i soldi, e con quello non ci sono mai stati problemi. Il
resto non esiste. Ha continuato a regalarmi le magliette della
Iuventus per anni, sai? A me del calcio non è mai fregato
niente, ma proprio nella maniera più categorica e assoluta. E
lui non l'ha mai capito, questo."
"Dove abita, adesso?",
domandò Camilla con un filo di voce. A lei, figlia adorata di
due genitori che si amavano a loro volta con un affetto, una
complicità e un trasporto accentuatosi negli anni, quella
storia faceva male.
"Giù al sud. Calabria o
Campania, non saprei."
La verità era diversa, ma era
troppo orgoglioso per raccontare a Camilla che aveva cercato e
trovato la casa di suo padre che per lui non era altro che un puntino
su Google Maps, e faceva male vedere quei mille e più
chilometri che li dividevano, e l'autostrada che lui non
aveva mai attraversato per venirlo a trovare.
"Ti manca?"
"Mi manca un padre, non lui. Mi
manca una persona con cui parlare, con cui litigare fino alle
lacrime, un uomo da non capire. Ma lui no, perché non lo
conosco. La mamma è presa da mille storie diverse. A
volte è gente che le dà un lavoro."
"No, non è una
prostituta.", aggiunse vedendo lo sgomento sul viso di Camilla.
"Solo che è stata col
direttore di un cinema o con quello di un supermercato, e per un po'
di tempo ha lavorato per tutti e due, come bigliettaia o cassiera,
perché le procurano un posto. È ancora bella, la mamma,
ma si trucca troppo ed esce spessissimo. Al mattino dorme, di
pomeriggio lavora, la sera boh, credo che stia fuori. A volte è
a casa ad orari assurdi, la domenica la passa struccata, in pigiama e
con una sigaretta. E io non so cosa dirle. A volte facciamo colazione
insieme, lei fa il caffè per entrambi e ci proviamo, a restare
seduti a tavola, ma io non ho niente di cui parlarle, dovrei
spiegarle troppe cose."
A Camilla tutto questo faceva male.
Era abituata alle mille merende, alle ore che lei e i suoi genitori
passavano parlando di tutto e di niente, litigando per cretinate
e facendo subito la pace. Le dispiaceva troppo per Alberto, perché
non aveva tutto questo. Se lo ripromise allora, forse, che avrebbe
provato a dargli quel che gli mancava. Lui dovette aver intuito
che le sue parole avevano rotto qualcosa, in Camilla. Lei si era
rabbuiata di colpo, e si era messa ad fissare ostinatamente il libro
di latino, sperando ardentemente di trovare qualcosa da dire.
Succedeva sempre, quando metteva qualcuno al corrente della propria
situazione familiare. Chissà cosa si era aspettato da lei. Non
poteva certo pretendere che gli sorridesse raggiante come
prima, dopo un discorso così, ma sperava che almeno
potesse aggiustare tutto il casino che lo circondava da anni. Camilla
era la cosa più simile ad un'ancora alla quale aggrapparsi, lo
intuì allora, e in quel momento sperò più che
mai che lei potesse dire qualcosa, qualsiasi cosa, che alleviasse il
dolore sordo che provava da troppo tempo.
"La musica può salvarti,
in qualche modo, lo sai vero? Non devi metterti le cuffie e
dimenticarti del mondo, questo no, solo provare a esprimere con
l'arte quello che senti dentro. E poi ci siamo io, Stefano e le
nostre famiglie, anche se i miei non li conosci ancora, tecnicamente.
Posso aiutarti in qualsiasi modo, basta che me lo dici, anche se hai
bisogno di uno spazzolino da denti, o qualcosa del genere.
Psicologicamente non lo so, ecco, cosa posso fare per farti stare un
po' meglio, però se hai bisogno di compagnia, di una
cioccolata alle tre di notte, io ci sono, sì, sempre che i
miei non mi uccidano.", disse tutte queste cose d'un fiato, come
se stesse recitando un paradigma, e guardando altrove. Era
tremendamente imbarazzata, tutto qui, ma voleva che Alberto sapesse
che lei poteva esserci, sempre e comunque.
"Se dovessi aver bisogno di uno
spazzolino da denti te lo dirò, giuro.", sorrise lui, che
tentò di stemperare il tutto con una battuta. Era commosso, in
realtà, perché Camilla, con poche parole un po'
incerte, ma dette con la sincerità e l'affetto che la
contraddistinguevano, era riuscita a confortarlo. Perché lei
ci sarebbe stata, lui lo sapeva. Non erano promesse sciocche, le sue,
né parole dette tanto per dire. Lei l'avrebbe ascoltato sempre
e comunque, perché era fatta così e non gli avrebbe mai
negato una rassicurazione, un sorriso storto, un rimprovero.
"Tu invece?", aggiunse
poi.
"Io cosa?"
"Non so, avrai anche tu...
qualche scheletro nell'armadio, da qualche parte?"
"L'unico armadio che conosco è
quello di Narnia, hai presente?"
"Ho dormito per tutto il film."
"Il libro è fantastico!
E poi la minore dei fratelli, che è ancora una bambina
all'inizio della storia, la prima che va nell'armadio, si chiama
Lucy. Come la nostra Lucy, la Lucy nel cielo con i
diamanti di John, hai presente?"
Era tornata la sua Camilla, ora,
quella che si illuminava e indispettiva per un niente. Come poteva
spiegarglielo, Alberto, che già il vedere il suo viso furente,
sorpreso e raggiante nel giro di tre secondi gli scaldava il cuore?
Ma non poteva, no, perché non avrebbe mai trovato le parole
giuste per farlo.
"Lo
voglio anche io, l'armadio miracoloso che mi trasporta in
un altro universo. Ci vieni, con me, a Narnia, un giorno o l'altro?",
gli chiese lei con un sorriso.
"Preferirei Londra,
ma Narnia va anche bene."
Camilla
non ebbe il coraggio di confessargli che l'avevano portata
a Londra l'estate prima, quando aveva finito le medie con dei
voti altissimi. Non poteva raccontargli del tè
coi mille dolcetti preso in un bar elegante, di Abbey
Road gremita di gente né dell'albergo in cui avevano
dormito. Non erano miliardari, i suoi genitori, ma fra la sua vita e
quella di Alberto c'era una distanza troppo dolorosa. Si era sempre
vergognata di essere più fortunata di altri, nonostante suo
padre si fosse guadagnato onestamente ciò che possedeva. Ora
le s'imporporarono le guance, e preferì lasciar perdere.
"Ci
verresti anche in Cile, con me?"
"In
Cile?"
"Eh,
già. L'ultimo paese del sud America, la terra di Isabel
Allende e di Pablo Neruda nonché uno dei miei più
grandi sogni. Perché sai, questo paese a cui non pensa quasi
mai nessuno è stato il primo in cui vinse un partito di
sinistra eletto democraticamente. Ed è una gran cosa, no?
Altro che la Russia col suo Stalin, o Cuba. Qui era la gente che
voleva una determinata politica, ecco, ed è stato giusto così.
Poi quei simpaticoni degli statunitensi hanno fatto sì che si
scatenasse un colpo di stato, che ha dato luogo ad una dittatura
durata tantissimi anni. Ti rendi conto?"
"E
tu perché vuoi andare proprio lì?"
"Per
Neruda, principalmente. Per la sua casa a forma di chiocciola, piena
di oggetti stravaganti e davanti al mare. E poi per andare nei luoghi
dei romanzi di Isabel Allende, la mia scrittrice preferita. Vorrei
trovare la grande casa a Santiago di Esteban e Clara, che
poi non è mai esistita ma ci deve pur essere, un posto
con quell'atmosfera lì."
Lui
le sorrideva, per una volta senza interromperla.
"Dai,
non dirmi che non vorresti andare in una casa a forma di
chiocciola...", mormorò lei alla fine, suscitando una
mezza risata da parte del ragazzo.
"Sempre,
proprio. Però magari in Cile ti ci accompagno davvero, un
giorno o l'altro, giusto per vedere qualcosa di diverso da Torino."
"Non
ti piace? È così bella, questa città,
soprattutto quando non è invasa dai turisti. E la fiera del
libro? Ci vado sempre da sola, ormai i miei si sono rassegnati a non
accompagnarmi, e mi perdo sempre. Mi ci accompagni, l'anno prossimo?
Ti prometto che non ci fermiamo per più di mezza giornata."
"Non
è che non mi piace, è... che devo andare via da qui,
presto, prestissimo. Sogno Londra, New York, san Francisco. In quelle
città posso fare il musicista per davvero. E poi a New York
suonerei anche in mezzo a una strada, solo per vedere l'effetto che
fa. Mentre qui no, qui mi sembra tutto così grigio, e triste."
"New
York e San Francisco voglio vederle anche io, presto. Però
Torino è bella come lo è l'Italia proprio perché
è mia, perché mi appartiene, perché non è
solo un sogno. Alla fine la magia la puoi trovare anche in questa
città, nei suoi quartieri eleganti, nelle piazze in cui
si è fatta la storia e nelle pasticcerie le cui vetrine
traboccano di leccornie. Ascoltando i Beatles ho
sempre un piede a Londra o a Liverpool, mentre sentendo i
cantanti italiani, beh, mi sento a casa."
"La
musica italiana non vale la pena di.."
"No! Non
dire così! Non so come farei senza de André e le
sue canzoni che a volte nascondono una rabbia che fa male. E
non ha bisogno di chitarre e batteria, no, lui ce la fa solo
con quei testi che tolgono il fiato. E Baglioni, che racconta
l'amore nato fra ragazzi un po' come noi, e nel suo libro,
Qpga, parla di una di quelle storie d'amore che non durano per
sempre, ma ti cambiano, inevitabilmente. Un grande amore come quello
fra Andrea e Giulia, mamma mia, non credo che l'avrò mai, non
io. Però Giulia, col suo sogno di diventare scrittrice e
quel suo "le parole sono tutto", mi assomiglia tantissimo.
E poi non sai cosa significa, imparare la discografia di Baglioni a
memoria e spiegare a tutti, te compreso, che le sue canzoni non sono
delle lagne, non solo, ma ha dei testi che illuminano il mio mondo, e
rendono tutto meno grigio, meno ordinario, più speciale."
"Respiri
mai"?", l'interruppe bruscamente.
"Quando?"
"Quando
parli, intendo. Prendi un po' di fiato, stai facendo dei discorsi
troppo lunghi, anche se... c'è del vero, in tutto quello che
dici, credo. Però Baglioni potrebbe anche impiccarsi, per me.
De André forse no, ma Baglioni sì."
"È
uno dei miei cantanti preferiti, anche se non lo sposerei mai, dato
che il mio unico grande amore è e resterà sempre John."
"Ti
rendi conto che il tuo futuro fidanzato dovrà competere con
John Lennon solo per avere la tua attenzione?"
"Non
è che la tua ragazza sarà più fortunata, dovendo
sempre elemosinare il tuo affetto dato che sarai sicuramente troppo
preso dalla tua chitarra per poterla considerare."
***
Di
pomeriggi come quello ce ne furono altri mille, anche se man mano
Alberto e Camilla uscirono sempre meno da soli. Alberto spesso
suonava e c'erano Enrico, Fabio, Stefano, Amelia, Maya e Greta. Loro
due, però, restarono inseparabili. A scuola condividevano lo
stesso banco e durante le ore troppo noiose per entrambi, lui le
raccontava a mezza voce qualsiasi cosa, e lei fissava la
professoressa imperturbabile ma in realtà bevendo ogni frase
del suo amico, perché le strappava troppi sorrisi involontari
e sospiri fra il rassegnato e il divertito. Non se la sapeva
spiegare, Camilla, la magia che c'era fra loro due. Le parole erano
tutto, per lei, ma non ne trovava, per descrivere quella
complicità, quella stessa scintilla che illuminava loro gli
sguardi, il ridere e l'incantarsi davanti alle stesse cose. E a lui a
volte faceva dei discorsi tremendamente lunghi, raccontandogli della
rivoluzione di de André e di Guccini, della bomba a piazza
Fontana e del genocidio armeno, mischiando aneddoti che lo
stordivano, ma che lo lasciavano con un sorriso idiota, perché
l'entusiasmo e la frenesia con cui dell'amica lo lasciavano
interdetto e incantato. E lei pendeva dalle sue labbra e
dagli accordi della sua chitarra, lo guardava adorante ogni volta che
si metteva a suonare ma poi gli afferrava il braccio e gli dava del
cretino, e nessuno si accorgeva di quegli sguardi pieni di cose
che neanche voleva ammettere con se stessa che gli lanciava ogni
tanto. Anche lui, a volte, suonava e scrutava il pubblico, che a
volte erano i suoi amici, a volte quello esiguo ed annoiato del bar.
Lei c'era sempre, con il libro di greco aperto contro il bicchiere di
Coca Cola, che si perdeva dietro ai paradigmi ai quali un
po' prestava attenzione, per poi distrarsi
concentrandosi sulla musica.
E
lui si aggrappava alla sua chitarra che era la sua ancora, però
quando non gli bastavano John Lennon, Bruce Springsteen o Kurt Cobain
c'era lei, quella ragazzina dai capelli di paglia e dallo sguardo
verdazzurro, con l'espressione incerta e più limpida
del mondo, almeno per lui. E finito un concerto correva da Camilla,
che gli offriva quel che restava della Coca Cola e provava invano a
fargli studiare i paradigmi di Greco, rinunciandoci puntualmente dopo
venti secondi. E lui fumava una sigaretta incurante della sua amica
che lo disapprovava ma che rimaneva lì accanto, ad
ascoltarlo mentre raccontava ogni momento della sua esibizione, con
un entusiasmo ed una logorrea che la rimbambivano e le toglievano il
respiro. Però no, non ci aveva mai pensato, ad innamorarsi di
Alberto. Le sembrava una cosa troppo assurda, che lei
potesse prendersi una cotta per qualcuno. Scherzando diceva che
non si sarebbe mai sposata, e avrebbe vissuto in una tana fatta di
cioccolato, gatti e libri. Lei più che il principe azzurro
sognava un futuro da scrittrice, voleva girare il mondo e raccontare
le storie della gente che avrebbe incontrato sul suo cammino, ed era
innamorata solo di John Lennon.
Alberto
ogni tanto ci pensava, invece. Lui di ragazze ne aveva avute, un po'.
Aveva sempre badato più alla musica che a loro, però
capitavano. Non erano mai particolarmente serie, le sue storie, e le
ragazze erano sempre un po' troppo insipide, senza una grande
personalità. E lui a volte si era chiesto cosa sarebbe
successo se, in uno dei tanti momenti in cui lui e Camilla erano
fisicamente vicini, avesse indugiato un po' più a lungo con
una mano fra i suoi capelli, l'avesse abbracciata più stretta,
le avesse cercato la mano troppo spesso. Per lui
toccare Camilla, in maniera quasi scherzosa, era normale. Eppure
ogni tanto lo sentiva, un brivido, quando le sfiorava una
guancia o le tirava giocosamente la treccia, e non riusciva a
spiegarsi il perché.
Quando
provava a stare con una ragazza, per lui, era normale paragonarle
alla sua amica. Pensava semplicemente che nessuna era come Camilla,
perché lei ci sarebbe sempre stata mentre loro erano delle
meteore, che attraversavano la sua vita senza lasciare troppi
strascichi. Lei gli dava dello stupido, per questo, ma finiva lì.
Però lui si addormentava pensando ad una delle cavolate
che aveva detto Camilla, e a volte quando tutto gli sembrava troppo
difficile c'era lei, che diceva qualcosa di sorprendentemente
filosofico e idiota, e allora riprendeva a sorridere,
anche se a fatica.
Ogni
tanto la feriva, inevitabilmente, forse senza accorgersene
davvero. Era capace di parlarle per ore della sua musica e del
suo mondo senza mai chiederle qualcosa di lei, che gli raccontava
sempre gli scorci più frivoli della sua vita, ma quando
s'immalinconiva non gli diceva niente. Camilla tante paure e
tanti sogni che stavao per sbocciare li aveva davvero.
Temeva che non si sarebbe mai fatta strada nel mondo,
e aveva paura di quel che sarebbe successo dopo il Liceo,
nonostante avesse le idee ben chiare sull'università. A
volte la intimoriva quell'ansia da cui si faceva dominare prima
delle interrogazioni o dei momenti importanti, e si dava della
stupida rimproverandosi aspramente, ma ad Alberto non raccontava
niente di ciò che la turbava, perché non
lo reputava granché importante. Però lui i suoi
silenzi aveva imparato ad interpretarli, anche se spesso sbagliava
facendo finta che il disagio della ragazza non esistesse. Però
quando la vedeva lacrimante durante il compito di matematica le
stringeva la mano inarcando un sopracciglio, come per
prenderla in giro, facendole capire, a suo modo, che lui c'era e ci
sarebbe stato, e che piangere non aveva senso.
Era
capace di ignorarla completamente spendendo moltissimo tempo
suonando, e lei si sentiva stringere la gola, a volte, anche se
poi lo perdonava sempre con un mezzo sorriso e un rimprovero in
cui nessuno dei due credeva più di tanto, ma che faceva parte
del loro personalissimo rito.
Avevano
passato due anni di liceo così, a condividere un banco e ogni
momento libero, a prendersi in giro e confidarsi come fratelli, ma
covando una magia che non si poteva spiegare e continuava a crescere,
e nessuno di loro la sapeva gestire e la ignoravano, lei gettandosi a
capofitto nei compiti e nei libri, lui suonando disperatamente e
cercando qualche ragazza, di tanto in tanto.
Camilla
scherzava sempre sul fatto che la futura fidanzata di Alberto
sarebbe dovuta essere un angelo. Gli diceva che lei, quella
futura ragazza senza nome né personalità, gli
avrebbe messo la testa a posto. Quando Alberto faceva il cretino con
le altre, non stava male, non più di tanto. La irritava
un po', però sapeva che lui sarebbe tornato da lei. Il
pensiero di una ragazza vera per il suo migliore amico, una di cui
avrebbe finito per innamorarsi sul serio, la faceva sentire
estremamente fragile. Era tremendamente sbagliato, lei lo sapeva.
Doveva sperare che Alberto trovasse la persona che gli
corrispondesse in tutto, quella che gli fosse complementare e lo
sapesse capire meglio di chiunque altro. E invece no, lei aveva paura
di perderlo, di essere messa da parte, di non essere più il
suo grillo parlante. Ma lei non poteva essere innamorata di lui. Era
assurdo, semplicemente. Lui era il suo Bobby Jean, come nella canzone
di Bruce Springsteen. Il suo Peter Pan che non voleva crescere, e lei
un'assennata Wendy, che però si faceva incantare dalle storie
mirabolanti che le raccontava.
E
poi lui aveva conosciuto Virginia e Camilla era partita per un mese
in Inghilterra, e forse erano stati quei due avvenimenti, a far
cambiare le cose.
Virginia
era carina, molto, con i capelli e gli occhi scuri. Era consapevole
di essere molto graziosa, ma non ostentava più di tanto la
cosa e per il resto era piuttosto insignificante. Alberto l'aveva
conosciuta una sera in cui suonava, mentre lei era seduta al bar, con
un paio di amiche ridanciane. Avevano scherzato insieme, lui
aveva fatto qualche battuta fra l'ardito e il patetico. E poi doveva
essere successo qualcosa che Camilla non riusciva a spiegarsi tanto
bene, e quei due avevano cominciato a frequentarsi, di punto in
bianco. Alberto l'aveva invitata a bere qualcosa di nuovo per
divertimento, perché a volte fare lo sbruffone gli
piaceva. Avevano parlato di tutto e di niente, poi si erano
baciati, poi si erano messi insieme. Era stata una cosa scontata,
molto. Virginia non sembrava particolarmente presa dalla
faccenda, mentre Alberto si riteneva piuttosto incapace
d'innamorarsi davvero.
I suoi
amici vissero la loro storia come qualcosa di passeggero, che
prima o poi sarebbe finito. Nonostante Cami si sforzasse di
essere il più gentile possibile con Virginia, c'era qualcosa
in lei che non la induceva a lasciarsi andare. Fra loro
due c'era pochissima confidenza; appartenevano a due mondi
diversi e, semplicemente, non avevano granché da dirsi.
Camilla ci aveva provato, ad instaurare un rapporto con lei, solo
che, probabilmente, non l'aveva fatto con abbastanza trasporto,
perché Virginia si era limitata a comportarsi gentilmente,
tenendola pure un po' a distanza. Forse l'aveva intuito che per
Alberto c'era solo Camilla, che nonostante tutto era lei, quella con
la quale si confidava, alla quale raccontava ognibanalità e
ogni cosa importante, l'unica con cui non giocasse mai a fare il Dio,
perché non serviva, lei lo capiva meglio di chiunque.
Virginia
no, non ci riusciva; avere un ragazzo che suonava la chitarra ra
stata, inizialmente, una figata. Era molto più interessante
parlare alle sue amiche del suo fidanzato descrivendolo come il
leader di una sgangherata band, piuttosto che come un giocatore di
calcio, o un appassionato di videogiochi qualunque. poi, però,
si era resa conto che la musica implicava mille sacrifici, anche da
parte sua. Aveva capito che c'era un angolo, nella testa di
Alberto, che non le sarebbe appartenuto mai. Lui cantava a mezza voce
qualsiasi canzone gli passasse per la mente e, a volte, anche nei
momenti più improbabili, si estraniava da tutti perché
stava pensando a come eseguire un determinato brano. E poi a lei
della musica che aveva in testa non parlava, era Camilla quella
adatta per fare discorsi incomprensibili e deliranti. E Virginia
restava in disparte, un po' imbronciata un po' semplicemente stanca
di tutta quella musica della quale non le importava, a guardare il
suo fidanzato che aveva gli occhi colmi di mille emozioni
che, però, non la riguardavano e probabilmente non l'avrebbero
riguardata mai.
Lui,
in quel suo disperato bisogno di affetto, forse
cercava una ragazza alla quale stringersi, da prendere per mano e da
baciare, però non riusciva a raccontarle nulla di
sé, del suo mondo, di quel che lo tormentava. E lei,
da quella sua strana freddezza, era ferita, più che altro, e
non era in grado di fare il primo passo per colmare la distanza
che c'era fra loro. Ingenuamente pensò che, prima o
poi, Alberto non avrebbe avuto occhi che per lei. Era solo questione
di tempo, e intanto doveva essere il più presente possibile,
anche se era malsopportata da tanti degli amici del suo ragazzo.
"È
una troietta. Io la odio, è irritante, ha dei modi da... da
ragazza smaliziata, ecco.", esclamò Melia, un pomeriggio
in cui erano usciti tutti meno Alberto e Virginia.
"Ma
no, non lo è... è solo immatura, tanto. Non puoi
fargliene una colpa.", sospirò Camilla che,
benché razionalmente, almeno un po', compatisse Virginia,
aveva una terribile voglia di piangere, in quei giorni.
"Cristo,
ma non sa fare un discorso! Non le piace niente di niente, è
così vuota!" Quando tu le hai chiesto che cosa leggesse
lei ha fatto una faccia... come se avessi chiesto chissà
cosa! E poi hai visto la sua faccia indispettita quando Alberto
ti guarda, ti parla, non considera lei?", rincarò
Amelia.
"Probabilmente
non ha ancora trovato la sua passione... E poi deve piacere ad
Alberto, non a noi, alla fine", aggiunse Stefano, pacato,
notando lo sguardo di Camilla che, in quei giorni, era come assente,
velato da una tristezza che nessuno sapeva spiegarsi.
"Sì,
ma nel frattempo non potrebbe andarsene da un'altra parte e lasciare
in pace noi?", tuonò Greta, sistemandosi i capelli in un
eccesso di stizza.
"Quei
due non durano. A lui di lei non importa niente, si vede, e lei si
stancherà, prima o poi.", decretò Fabio, laconico.
Continuarono ad andare avanti così per un po', e Camill li
seguì incurante per il centro, leccando con aria meditabonda
il suo gelato senza badare, per una volta, al fatto che la camicietta
le si stava irrimediabilmente imbrattando.
Perché
stava così, in quei giorni, non lo sapeva. Era la scuola,
probabilmente, si era detta. Maggio era un mese allucinante e lei,
che ai voti teneva più che a qualsiasi altra cosa, si
barcamenava come poteva fra compiti in classe ed interrogazioni,
sentendosi addosso una stanchezza che aumentava giorno dopo giorno.
Però non era solo quello, Cristo. Neanche la prospettiva
dell'estate imminente la rallegrava, perché... perché
che diamine avrebbe fatto, lei, quei mesi, con Alberto con la testa
da un'altra parte, Greta e Stefano in vacanza, Maya a badare al
fratellino piccolo? Quando tutti quei pensieri
minacciavano d'intristirla si gettava a capofitto nei libri
sperando, attraverso uno studio frenetico e un po' ossessivo, di
esorcizzare la malinconia che l'assaliva ogni tanto. Si sentiva
più sola che mai, in quei giorni. Le sembrava di essere
ritornata in prima superiore, quando le parlava solo Amelia, e
passava i suoi intervalli a gironzolare per i corridoi. Però adesso
era tutto diverso. C'erano i suoi amici, tutti quanti, e Alberto
in banco con lei era fantastico, le tirava la treccia e sproloquiava
su qualsiasi argomento, però la sera, quando suonavano, era
Virginia dalla quale cercava attenzione. E a lei, questo, faceva
dannatamente male, e si dava della cretina. L'aveva sempre voluto,
Camilla, che il suo migliore amico si trovasse, un domani, una
ragazza capace di fargli mettere la testa a posto. Una in grado di
gestire i suoi malumori e di sedarli con un sorriso, di trattarlo con
l'indulgenza e la fermezza che necessitava, di arruffargli i
capelli rimproverandolo per qualsiasi futilità.
"È
solo che Virginia non è giusta per lui, e soffro perché
sta perdendo tempo.", si disse Camilla per l'ennesima volta. "E
in fondo non ho neanche il diritto di pensare a quale sia la cosa
giusta per lui, che ha diciassette anni, non ha certo bisogno di me
per fare delle scelte responsabili. E poi mica deve sposarsela,
magari ne troverà un'altra, un giorno, e io non ho il diritto,
Cristo, di intromettermi nella sua vita."
Eppure
neanche quel ragionamento la calmava, e aveva passato ore a
darsi dell'idiota, della bambina capricciosa, dell'immatura. Non
aveva pensato che, forse, era soltanto gelosa. Gelosa di quella
ragazzina un po' insignificante alla quale Alberto prendeva la mano
e soffiava un bacio distratto di tanto in tanto. Non sarebbe
stato giusto, essere gelosi di Virginia, perché Alberto era
suo amico, suo amico e basta. Però faceva tutto troppo male e,
quel pomeriggio, si dimenticò persino del gelato, che franò
completamente sulla sua camicietta macchiandola irrimediabilmente.
Quando i suoi amici la presero in giro, perché solo lei era in
grado di sporcarsi i vestiti così, Camilla si era sforzata di
ridere con loro, ma non le era riuscito, non davvero. Stefano l'aveva
capita, la sua mestizia, ma non se l'era saputa spiegare fino in
fondo. Era psicologo, sì, ma in quei giorni aveva Amelia, a
cui pensare e della quale, Cristo, si stava innamorando
irrimediabilmente. Perché Amelia era capace di folgorarti con
uno di quei suoi sguardi lunghi e franchi, ma ti metteva a tacere con
una risposta aspra se dicevi qualcosa che non gradiva. Amelia alla
quale di parer bella, o aggraziata, o gentile, non importava nulla,
che portava i capelli corti e vestiva alla cavolo perché non
voleva un suo stile, che però in ogni parola metteva una
grinta e una forza che nessun'altra diciassettenne dimostrava. E lui
si sentiva arrossire ogni volta che lo guardava con quegli occhi lì,
scuri e penetranti, capaci di fargli venir meno tutte le parole
gentili e tranquille perché, con lei, nulla di tutto ciò
aveva senso. Ma Amelia di Stefano non si curava, e continuava ad
insultare brutalmente Virginia, perché era fatta così,
qualunque essere umano che non incontrasse le sue simpatie non era
degno di nota. E lui, nonostante provasse pacatamente a cambiare
argomento, perché lo sguardo mogio di Cami l'aveva notato, non
poteva far altro che trovare quella ragazzina bruna bruna e così
anticonformista semplicemente adorabile.
Però
senza Alberto quei pomeriggi in centro avevano un po' meno senso, e
se n'erano accorti tutti. Non si poteva fare a meno dei suoi deliri,
dei suoi discorsi a base di musica e di voli pindarici, delle
sue sigarette fumate a metà e del suo entusiasmo per tutto. E
così le loro uscite un po' finirono per diradarsi e, anche se
nessuno lo disse apertamente, in quei giorni erano in molti, a
sentirsi un po' feriti, dentro.
Camilla
aveva deciso di partire per l'Inghilterra forse sull'onda di quella
tristezza primaverile. Non poteva sopportarla, un'estate così.
E poi voleva davvero studiare in un college, scappare di casa per un
po', ricominciare tutto da capo, per un mese, ridendo con
gente che, forse, non avrebbe mai più rivisto, senza curarsi
di nulla. Chissà, magari si sarebbe dimenticata di Alberto,
almeno temporaneamente, e, al suo ritorno, le cose si sarebbero
sistemate.
Era
stato proprio a Berto che ne aveva parlato un giorno, durante l'ora
di Inglese in cui la prof interrogava con voce monotona.
"Sai,
ho fatto progetti, per quest'estate.. pensavo di andare un mese in
Inghilterra in vacanza studio. Così, chissà,
migliorerei la mia pronuncia inglese, che la prof mi dice sempre che
a volte faccio strafalcioni inquietanti, e...", ma s'interruppe
di colpo. Perché gli occhi di Alberto si stavano sgranando, e
sul suo viso era passata la tempesta. Capitava, a volte, che si
rabbuiasse per un niente, ma di colpo le sembrò arrabbiato, e
il suo tono di voce le parve quasi ferito.
"E
io... io come faccio? Un mese senza di te!"
"Beh,
direi che cibo e acqua non ti mancano, sopravvivrai.", gli
rispose seccata. Le parole del suo amico e quel tono, come se lei gli
avesse fatto un torto inaccettabile, le avevano fatto montare dentro
un'irritazione che stentava a controllare. Cavolo, lui si
fidanzava con una ragazza conosciuta al bar e lei non
poteva partire per un mese?
"Ma
non è la stessa cosa... io non posso stare qui un mese, a
Torino, in questa città che odio, senza di te! Lo capisci,
Cristo?", aveva sibilato lui e, con rabbia, aveva dato
una gomitata al quaderno di Camilla. A lei, quella reazione
spropositata, aveva fatto decisamente male. Si era voltata verso la
prof e, mordendosi un labbro per non piangere, si era messa a seguire
l'interrogazione prendendo appunti frenetici. Alberto l'aveva fissata
torvo. Forse avrebbe dovuto scusarsi, perché alla
fine quello sfogo Camilla non lo meritava. Eppure lui non lo sapeva,
come avrebbe fatto, senza il suo grillo parlante. Aveva un
disperato bisogno di dirle qualsiasi cosa gli passasse per la testa,
di tirarle i capelli, di fare con lei discorsi improbabili,
di... di averla lì, semplicemente. Perché lei era
l'unica, in certi giorni, a strappargli un sorriso, con qualche
cavolata, perché gli dava consigli assennati e fantastici,
perché stipava il suo ipod di musica almeno quanto lui,
perché lo guardava con quell'aria lì, fra lo
stralunato e l'angelico, che lui trovava adorabile.
E
adesso l'aveva ferita, con parole dette d'impulso, usando una
cattiveria che non sapeva spiegare nemmeno a se stesso. Il
coraggio di scusarsi, lui, non lo possedeva. Sarebbe bastato
stringerle il braccio e sussurrarle di dimenticare quel loro dialogo
e la sua rabbia, farle un sorriso e sarebbe passato tutto. E poi d'un
tratto l'aveva vista piangere, anche se in silenzio. Le lacrime
avevano iniziato a rigare le guance della ragazza all'improvviso, e
lui si era sentito orribile. Aveva visto Camilla piangere pochissime
volte, e di solito era sempre per colpa del compito di matematica, o
di un'interrogazione andata male. Lui non poteva farle più
male della matematica, no davvero, e non aveva alcun diritto di farla
piangere ed era stato un cretino a dirle quelle cose, perché
cavolo, Camilla doveva essere felice, godersi la sua Inghilterra, la
sua estate, la sua vacanza studio senza pensare sempre a lui, che
poi, conoscendola, l'avrebbe chiamato praticamente tutti i giorni,
gli avrebbe scritto messaggini idioti, l'avrebbe ascoltato, qualsiasi
cosa ci fosse stata. E adesso lei stava piangendo e lui era un verme,
e avrebbe dovuto pensarci prima... ma no, lui agli altri non pensava
mai, e non sapeva, no davvero, come avrebbe potuto scusarsi.
"Vai
vicino a Londra?", si limitò a chiederle, in un mormorio
roco. Era il suo modo di chiederle perdono, quello: cambiare
argomento, porle una domanda neutra, cercare di arginare il disastro
che, con la forza delle sole parole, era riuscito a combinare. Lei si
voltò, fra l'accigliato e l'esasperato, annuendo e
asciugandosi con rabbia le lacrime che, ancora, le bagnavano il
viso.
"Ci
vai, ad Abbey Road? Devi pensarmi, lì..."
"Ascolta...
non è normale, no, che tu prima ti mostri infuriato
all'idea della mia partenza e, nel giro di tre secondi, ti
ritrovi a farmi questo genere di domanda. E comunque pensavo di
andarci, sì, e anche di pensare a te, almeno un po', però
adesso forse ho cambiato idea."
"Mi
chiamerai? Sarebbe... sarebbe fantastico, sentire l'atmosfera di
Abbey Road, almeno attraverso il telefono."
Gli
occhi di entrambi splendevano. Lei celava un sorriso dietro ai
capelli eppure aveva ancora voglia di piangere, mentre lui un po'
voleva farsi perdonare, un po' desiderava
spasmodicamente far parte dell'esperienza della sua amica.
Perché in Inghilterra, lui, non c'era mai stato, mentre quella
per Camilla era la seconda volta. E lei gli sarebbe mancata
terribilmente, lo sapeva, così come sapeva che, una volta
arrivata a Londra, Camilla avrebbe fatto di tutto per
raccontargli la sua vacanza studio minuto per minuto.
"Forse,
però... non dovrei andarci, ad Abbey Road. Ti avevo
promesso che ci saremmo tornati insieme, e
che mi avresti suonato qualcosa proprio lì, davanti agli studi
di registrazione più epici dell'universo."
Lui
accennò un sorriso, incerto su che cosa dire. Era impossibile
che, nonostante la rabbia di pochi minuti prima, loro due fossero
ancora lì a sorridersi, con la magia di sempre. Non
c'era la prof che stava interrogando, in quel momento, così
come non c'erano Virginia, Stefano, Amelia. C'erano solo loro due che
facevano progetti, gli occhi splendenti della stessa luce, mentre si
scambiavano mezze promesse e mezzi sorrisi.
Camilla,
però, la rabbia di Alberto non l'aveva scordata. Così
come non aveva scordato il suo sguardo mesto e quel suo modo di
fissarla, come se lei fosse l'unica cosa capace di sostenerlo.
Quando pensava ai suoi occhi imploranti, alle sue parole prima
arrabbiate e poi così tenere, piene di una vulnerabilità
che solo lei avrebbe potuto capire, un po' le girava la testa.
Perché, Cristo, lei se lo sarebbe portato in Inghilterra e in
capo al mondo, il suo migliore amico, nonostante avesse deciso
di partire proprio per allontanarsi da lui e per dimenticare quella
gelosia stupida che la prendeva al solo pensiero di Virginia. Eppure
spese tutte le settimane prima della sua partenza immaginando come
sarebbe stata quell'esperienza se solo Alberto fosse venuto con lei.
Lui, intanto, suonava e suonava, la chiamava ad orari improbabili per
farle sentire qualche nuova cover, dimenticandosi di Virginia che,
nel frattempo, era sempre più spazientita. Non capiva il mondo
di musica in cui si trincerava il suo ragazzo, e tollerava
poco l'affiatamento che c'era fra lui e Camilla.
Alberto trascurava la sua ragazza, e, quando uscivano insieme,
c'era ben poca magia, fra quei due. Comunicavano poco,
lei provava: goffamente, a raccontargli delle sue amiche,
della scuola, di una borsa carina adocchiata in centro. Alberto
l'ascoltava svogliato, e a volte si sorprendeva a pensare che Camilla
avrebbe parlato di quelle stesse cose con più carisma e una
luce tutta sua negli occhi. Una sera si ritrovò persino a
sperare con tutte le sue forze che Virginia sparisse e che, su quella
stessa sedia, comparisse lei, la sua migliore amica. Pensò
alla treccia di Cami, al suo sorriso limpido, al suo mangiarsi le
unghie quasi con ferocia, e sorrise suo malgrado.
"Perché
hai fatto quella faccia? A cosa diamine stai pensando? Non è
possibile, io ti parlo e tu sei sempre altrove! A cosa stai pensando,
stavolta, a Camilla oppure a un nuovo brano?", gli urlò
quasi contro Virginia. Nelle sue parole c'era tutta l'esasperazione
accumulata nel corso di quei mesi. C'era la sua rabbia nei confronti
del mondo di Alberto, che lei non avrebbe capito mai. E poi era
gelosa, tremendamente gelosa, di quella Camilla che, nonostante fosse
solo un'amica, occupava sempre la testa del suo ragazzo. L'aveva
capito subito, anche se aveva fatto finta di niente. Ma quando c'era
Camilla lei diventava, per Alberto, tutt'un tratto insignificante,
trasparente. Li aveva osservati mille volte, quei due, spiandoli di
nascosto perché, se Camilla si fosse accorta di lei, avrebbe
mantenuto un certo contegno. Però, quando li osservava da
lontano, era impossibile non notare l'alchimia, la complicità,
la gioia di quei due che, insieme, parevano diventare
migliori. Virginia si era accorta di ogni cosa, della mano di
Alberto che cercava quella di Camilla, dei loro sguardi complici
e intensi, dell'arruffata tenerezza che Alberto riservava
non a lei, come sarebbe stato logico, ma alla sua migliore
amica. Virginia lo sapeva, che fra quei due non ci poteva
essere qualcosa, non ancora. Eppure quel loro affetto più
forte di qualsiasi altro sentimento la feriva ugualmente e,
a volte, sentiva un nodo serrarle la gola. Era arrabbiata per tutto,
per la musica che ad Alberto toglieva il sonno e il respiro, per
Camilla che gli faceva brillare gli occhi. Capiva che lei, del mondo
di Alberto, non avrebbe mai fatto parte. Non sarebbe mai stata la sua
musa, la sua stella, la ragazza da maltrattare e dalla quale tornare,
quella alla quale dedicare canzoni. Era troppo poco speciale e
priva di quella luce che, a differenza sua, Camilla possedeva in
grandi quantità. E nonostante tutto soffriva per questo,
perché gli occhi distratti con cui la guardava Alberto la
ferivano più di tutto e non c'era bacio, carezza o parola
mormorata all'orecchio che potesse migliorare le cose.
Però
il coraggio di parlarsi chiaramente e di mettere fine a quella
relazione che, per entrambi, era ormai insensata, non l'avevano
avuto. Virginia un po' era comunque infatuata di Alberto, dei suoi
occhi tormentati, dei momenti in cui giocava a fare il Dio. E lui,
dal canto suo, non aveva il coraggio di lasciarla perché, se
l'avesse fatto, avrebbe dovuto davvero riflettere sui sentimenti
confusi e intensi che provava per Camilla. E non era il caso,
no, perché Camilla prima o poi avrebbe trovato un ragazzo,
benché non si ritenesse abbastanza carina, abbastanza
simpatica, abbastanza sicura di sé. Avrebbe finalmente
conosciuto qualcuno in grado di arginare i suoi istinti
autodistruttivi, di farle acquisire un po' d'autostima, di mettere un
freno all'insicurezza e all'ansia che, a volte, la dominavano.
Ma non era lui, non poteva esserlo. E quindi tanto valeva smettere di
pensare a Camilla, ai suoi capelli, al suo sorriso, ai suoi occhi
sgranati, perché di quelle fantasie, non se ne sarebbe mai
fatto nulla.
Can't we leave
the world outside
Just for a while? Just for a while?
Spend
some time, you and I
Under this bright glorious sky
It's
been so long since I first saw you
But I still love that smile
in your eyes
(Church
of your heart, Roxette)
[...]
Come up to meet you, tell you I’m
sorry
You don’t know how lovely
you are
I had to find you, tell you I
need you,
Tell you I set you apart.
(The Scientist, Coldplay)
"Posso
venire all'aeroporto con te?", aveva chiesto Alberto a
Camilla poche sere prima della sua partenza. Erano
seduti su una panchina, in un parco, stranamente da
soli. Lui le aveva confezionato un cd apposta per il
viaggio in aereo per l'Inghilterra e ci teneva, a portarglielo di
persona, e così avevano deciso di andare a fare una
passeggiata. Camilla gli era parsa un po' sulle
nuvole, persa in pensieri tutti suoi che non aveva voluto
condividere con lui. Gli sorrideva, certo, ma nei suoi occhi c'era
una distanza, forse addirittura una tristezza, che non le conosceva.
Però quando le propose di accompagnarla in aeroporto, persino
lui, che di regola non notava quel genere di cose, vide il suo
sguardo animarsi.
"Certo!
Papà ha un impegno di lavoro a Milano, e perciò mi
porta all'aeroporto molto, molto in anticipo. Se aspetti con me,
almeno, il tempo passa più in fretta. Poi per tornare a casa
mi sa che devi arrangiarti, perché papà starà
fuori e non ti può riportare..."
"Ma
no, non preoccuparti. Prendo il treno. E poi mi chiami quando arrivi,
mi racconti tutto per sms, e appena trovi una connessione fotografi
tutto, anche le cacche di piccione che in Inghilterra sono
sicuramente più poetiche che qui..."
"Non
so se ci sono i piccioni, nel Kent. Tutt'alpiù gabbiani, dato
che sono al mare."
"Vorrà
dire che fotograferai cacche di gabbiano... e magari ci fai
amicizia."
"Con
le cacche?"
"No,
coi gabbiani. Anche con le cacche, se vuoi, magari te ne cade una in
testa così, dal nulla..."
"E
poi te la porto a casa come souvenir. Tanto è una cacca
inglese, dovresti conservarla con cura."
"Idiota.
Però..."
"Però
cosa?"
"No,
niente, lascia stare. Però mi spiace non essere lì con
te, e non solo per l'Inghilterra. E sarà l'es'tate più
lunga dell'universo, a Torino. E poi Cristo, io quel giorno, a
scuola, quando mi hai detto che saresti partita, ti ho trattato
come... come una cacca di gabbiano, ecco. E mi dispiace, davvero."
"Oh,
non ha importanza, credimi.", gli sorrise lei. E invece sì
che ne aveva, d'importanza. Perché l'aveva ferita e lei non
s'era dimenticata le sue parole, la sua rabbia, la sua
disapprovazione. E si era sentita male per giorni perché lei a
Londra doveva andarci con lui, gliel'aveva promesso, era il loro
sogno, e, decidendo di partire, era venuta meno ad una specie di
giuramento. Però adesso si era scusato e negli occhi aveva
quella dolcezza disperata, disarmante, smarrita, che non aveva
eguali. E Camilla, in quell'attimo, fu tentata di mandare al diavolo
la vacanza studio e i suoi propositi di cambiare aria per restare con
lui, nella solita Torino, a patire il caldo di un'estate che si
preannunciava torrida. Però no, non poteva, il biglietto aereo
era al sicuro nel cassetto della scrivania di sua madre, ed era già
stato tutto pagato.
"Cosa
c'è, nella compilation che mi hai fatto?"
"Tutto
quel che di rock è stato composto in Inghilterra. Tante
cose le conosci, come i Beatles, gli Stones, gli Who e i Kinks.
E c'è London Calling, ovvio, mica potevo non metterla. E
Clapton, Elton John, e Wish you were here, dei Pink Floyd, che ho
messo perché... beh, perché la sentirai, e ti
struggerai di disperazione desiderando che io sia a Londra con te."
"Ma...
ma... ma sei un bastardo, nella maniera più categorica e
assoluta. E dire che pensavo di non andare ad Abbey Road proprio
perché volevo andarci con te, però visto la tua
cattiveria potrei sempre cambiare idea."
"Però
ho messo strawberry fields forever, dopo, e someplace else. Diciamo
che nellla compilation sono vicine perché, così, puoi
piangere per bene struggendoti per la mia assenza. Ed eery breath you
take, per ricordarti che, con qualunque venditore di aquiloni o di
zucchero filato deciderai di metterti, io sarò lì a
spiarti."
"Ma
perché non ti impicchi?"
"Perché
delle compilation così, principessa, non te le farà
nessun altro. Neanche il tuo futuro fidanzato inglese, nessuno, hai
capito?"
"Ma
io non lo voglio, un futuro fidanzato inglese. E poi
principessa dillo a Virginia, non a me! Che forse le farebbe anche
piacere, essere chiamata principessa, viste le attenzioni che le
dedichi..."
"Lasciamo
perdere Virginia. Preferisco non parlarne, ok? Non ho sempre voglia
di dirti tutto, sai...", le rispose Alberto, piccato, e per la
prima volta, quella sera, parve rabbuiarsi.
"No,
io... non intendevo... scusami, davvero. È ovvio che tu non
debba dirmi niente, se non vuoi, stavo solo scherzando, ma mi è
uscito male.", si affrettò a dire Camilla, gli occhi
bassi.
"Ma
fa niente, non mi va di parlarne adesso, è che ci rovinerebbe
la serata, credo, ed è l'ultima volta che potremo stare da
soli prima della tua partenza. È è troppo bella
l'atmosfera, qui, adesso, per metterci a litigare."
"Tu
hai appena parlato di atmosfera! Credo di non averti mai sentito dire
questa parola prima d'ora!"
"Sei
tu che la dici in continuazione! per te persino la palestra in
cui si muore di freddo alle otto del mattino ha un'atmosfera
indescrivibile!"
"Vero.
Secondo me i libri mi danno alla testa, a volte, e per questo
considero ogni cavolo di luogo, persino la palestra, appunto, magico,
o speciale, o unico."
Alberto,
sentendola dire quelle cose, pensò che era proprio quello, che
adorava in lei. Lei che parlava con trasporto persino delle ore di
educazione fisica che odiava, perché dei momenti belli li
trovava sempre, e a volte gli sorrideva persino in palestra, alle
otto del mattino, quando tutti loro sembravano dei fantasmi
insonnoliti. La sua amica la poesia la vedeva in ogni angolo, e
questa sua qualità lo stregava e lo divertiva non poco. Chissà
che poesia vedeva in lui, forse avrebbe dovuto chiederglielo, si
disse. Però qualcosa di magico la loro amicizia ce l'aveva, ci
arrivava anche lui. E quella serata aveva un'atmosfera irripetibile
e, se persino lui era riuscito a coglierne l'unicità, voleva
dire che lo era davvero.
You're the
closest to heaven that I'll ever be
And I don't wanna go home
right now
And all I can taste is this moment
And all I can
breathe is your life
When sooner or later it's over
I just
don't wanna miss you tonight
(Iris,
The Goo Goo Dolls)
E
poi era finito, finito tutto, perché si era fatto tardi ed
erano ritornati a casa in motorino, Camilla appollaiata dietro, con i
capelli che si muovevano in ogni dove mentre Alberto guidava in
maniera un po' spericolata. Il ragazzo era più che mai
consapevole della testa di Camilla, appoggiata alla sua spalla, delle
braccia che gli aveva avvolto attorno al corpo, del tepore che
emanava. Quando scesero dal motorino, nessuno dei due avrebbe voluto
veramente farlo. Avrebbero preferito vagare ancora per la città
silenziosa e deserta, raccontandosi cose, o, ancora, ascoltando solo
i propri pensieri, perché non c'era magia più grande
che quella di restare in silenzio senza alcun imbarazzo.
Però
non si poteva fare. Camilla aveva un coprifuoco ben preciso da
rispettare e non voleva certo litigare con i suoi alla vigilia della
sua partenza.
Davanti
a casa della ragazza, Alberto ebbe un sussulto quando lei si alzò
sulle punte dei piedi per arruffargli i capelli e tirargli non troppo
affettuosamente un orecchio. Avrebbe potuto baciarla, lui, in quel
momento. Perché nei suoi occhi c'era un luccichio tutto
particolare, perché quella notte gli sembrava infinita, perché
aveva un disperato bisogno di Camilla, della sua magia, della poesia
che trovava in ogni cosa.
Però
si limitò a farle una linguaccia e a guardarla entrare in
casa, anche se poi lei si voltò un'ultima volta, per
salutarlo con la mano e rivolgergli l'ennesimo sorriso abbagliante.
Well, I can't forget this
evening
Though your face as you were leaving
(Without you,
Heart)
Alberto
era corso a casa e aveva imbracciato la chitarra. Aveva suonato di
tutto, per calmarsi, per esorcizzare quel turbinio di emozioni
confuse che sentiva dentro, per dar loro un senso. Si era ritrovato,
come per magia, a cantare Strawberry Fields Forever, con gli
occhi serrati e l'immagine di Camilla che gli danzava in mente.
Ci aveva messo l'anima, in quella canzone, nonostante non ci fosse
nessuno ad ascoltarlo, se non il poster di John Lennon che gli
sorrideva, enigmatico, dalla parete. Ma cantò con la voce
vulnerabile e spezzata di Kurt Cobain, con la ruvida dolcezza di
Lennon, la disperazione di Eric Clapton. Era i suoi cantanti
preferiti e non era nessuno di loro, in quel momento, mentre
interpretava un brano che, di per sé, non sarebbe stato da
dedicare ad una ragazza, ma lo faceva con tutto lo struggimento e
l'affetto del mondo. Perché non avrebbe potuto fare altro, per
lei, se non suonare quella canzone che sembrava esser stata scritta
per loro, che, proprio quella sera, si erano ritrovati in un parco,
su una panchina, a sognare, a fare progetti, ad azzuffarsi, a volersi
bene nella maniera più sciocca e intensa possibile. E
Camilla non era e non sarebbe mai stata lì, forse, a sentirlo
mentre le dedicava Strawberry
Fields Forever, mentre si
annullava in quegli accordi, perdendosi in ogni nota e scordandosi di
respirare.
Let
me take you down
'Cause I'm going to Strawberry Fields
Nothing
is real
And nothing to get hung about
Strawberry Fields
forever
Living
is easy with eyes closed
Misunderstanding all you see
It's
getting hard to be someone, but it all works out
It doesn't
matter much to me
Let
me take you down
'Cause I'm going to Strawberry Fields
Nothing
is real
And nothing to get hung about
Strawberry Fields
forever
No one, I think, is in my tree
I mean, it
must be high or low
That is, you can't, you know, tune in, but
it's alright
That is, I think it's not too bad
(....)
Always, no, sometimes think
it's me
But you know I know when it's a dream
I think I
know I mean -- er -- yes, but it's all wrong
That is, I think I
disagree
E
Camilla, invece, a casa sua, aveva infilato gli auricolari e aveva
guardato il più bello dei video che aveva fatto ad Alberto e
agli altri. La canzone, quella sera, era Fire and Rain di James
Taylor, che era straziante, di per sé, e Stefano, nonostante
l'irritazione per l'assenza di un piano vero, era stato fantastico,
con le tastiere. Quanto ad Alberto, non c'era niente da dire, era
stato strepitoso. La sua voce grondava disperazione, come quella di
James Taylor che, tanti anni prima, aveva scritto quella ballata per
un'amica che aveva deciso di togliersi la vita. Era un brano, Fire
and Rain, che non aveva nulla in comune con il vissuto di Alberto, ma
che lui riusciva a fare suo, chissà come,
interpretandolo con un trasporto e una tristezza che l'avevano
commossa. E poi c'era quel momento, nel video, in cui lui cercava i
suoi occhi, con impazienza. All'inizio aveva pensato che fosse una
sua fantasia ma poi, riguardando mille volte il filmato, si era resa
conto che era proprio così. Alberto, prima dell'ultimo
ritornello, aveva abbracciato l'esigua folla che lo guardava con
un'occhiata e poi le aveva sorriso in maniera travolgente. Quella
sera, però, risaliva a tanti mesi prima. Non c'era ancora e
lei si era divertita a riprendere i ragazzi con il cellulare, per
immortalare quella performance che, sebbene non fosse certo
all'altezza di quella di James Taylor, era stata grandiosa, a suo
modo.
Però
non poteva fissare lo schermo dell'Iphone per sempre, no, e perdersi
in quel fantastico ricordo, nell'espressione incantata di Alberto.
Però le mancava già, Cristo, nonostante non lo vedesse
da un'ora soltanto. Come avrebbe fatto un mese lontana da lui, non lo
sapeva. Interruppe il video e digitò un messaggio,
freneticamente, per poi inviarlo.
Just
yesterday morning, they let me know you were gone.
Suzanne, the
plans they made put an end to you.
I walked out this morning and
I wrote down this song,
I just can't remember who to send it
to.
I've seen fire and I've seen rain. I've seen sunny days that
I thought would never end.
I've seen lonely times when I could
not find a friend, but I always thought that I'd see you
again.
Won't
you look down upon me, Jesus, You've got to help me make a
stand.
You've just got to see me through another day.
My
body's aching and my time is at hand and I won't make it any other
way.
Oh, I've seen fire and I've seen rain. I've seen sunny days
that I thought would never end.
I've seen lonely times when I
could not find a friend, but I always thought that I'd see you again.
Alberto
aveva riposto la chitarra, si era fatto tardi. Si era dimenticato di
scrivere a Virginia, quel giorno, e se ne rese conto solo in quel
momento. Camilla gli avrebbe detto di rimediare, di mandarle almeno
una faccina, un saluto. Eppure lui non ne aveva voglia e il solo
pensiero di scriverle l'irritava. Ci sarebbe rimasta male, molto
probabilmente, e intuì che, il giorno avrebbero litigato, e si
sarebbe fatto perdonare soltanto con qualche bacio e qualche carezza.
Ma non era giusto, non era così che funzionava, lo sapeva
anche lui.
"Non
c'è magia, fra di voi. E poi sei pure un bello stronzo, a
stare con Virginia anche se non ti piace davvero.", gli ripeté
la voce di Camilla, più nitida e chiara che mai, nella sua
mente. Beh, se iniziava a sentire la sua migliore amica persino
quando non c'era, aveva delle turbe mentali piuttosto serie. Poi però
il suo cellulare vibrò e lui sorrise, nel vedere che a
scrivergli era stata proprio Cami.
"Buonanotte,
e grazie per l'atmosfera bellissima di stasera. Grazie per la
Compilation, so già che sarà meravigliosa, e, credimi,
sono contentissima che tu venga con me, all'aeroporto. Però
impiccati, così, perché sei tu e non posso scriverti un
messaggio troppo affettuoso. Ti voglio bene, comunque, anche se ogni
tanto ti comporti come una cacca di gabbiano spiaccicata."
Lui
non sapeva cosa replicare, a quel messaggio infinitamente tenero. Gli
mancavano le parole per dire alcunché, per provare a
ringraziarla a sua volta, perché quella serata era stata
speciale. Alla fine riempì l'sms di faccine sorridenti, e
glielo spedì. Bastava, lei avrebbe capito e l'avrebbe preso in
giro, perché non aveva la proprietà di linguaggio
sufficiente per rispondere adeguatamente ad un sms. Ma andava bene
così, perché lei aveva tutto il diritto di
rimproverarlo, d'insultarlo per ore, di dargli del cretino.
Due
giorni dopo, alle sette del mattino, si ritrovarono stretti sul
sedile posteriore dell'automobile del papà di Camilla.
Quest'ultima aveva appena abbracciato sua madre cercando di non
piangere, perché per lei la nostalgia di casa, nonostante i
suoi diciassette anni, era sempre stata un problema. Però
Alberto le si era seduto vicino e le aveva offerto un cornetto
alla crema mezzo morsicato e un auricolare. Non si erano
detti niente, per tutto il tragitto, continuando a fissare il
panorama che scorreva dall'altra parte del finestrino. All'ipod
c'erano gli Eagles, artisti perfetti per quella mattinata
dall'atmosfera incerta. Però al momento erano tutti e due
troppo immersi nei loro pensieri, per badare alla musica o per
cercare di chiaccherare. Alberto cercava di rimuovere dalla mente la
discussione furiosa con Virginia avvenuta la sera prima. Si erano
riappacificati, avevano fatto l'amore e, in qualche modo, le cose si
erano sistemate. Però si era odiato per tutta la sera, perché
sapeva che quello non era il modo giusto di comportarsi. La tenerezza
che riservava a Virginia non era autentica, proprio per niente. A
volte persino la sua voce, i suoi capelli, i suoi baci riuscivano ad
irritarlo. Lui non la voleva accanto a sé. Non era lei
che voleva stringere, carezzare, ascoltare. Ma non
doveva pensarci, non ora.
Camilla
era un po' triste un po' felice. Le sarebbero mancati tutti
quanti, lo sapeva. Avrebbe sentito nostalgia per la sua camera, i
suoi genitori, i suoi amici, e soprattutto Alberto, che sembrava
pensieroso e guardava fuori dal finestrino con la testa immersa in
riflessioni che, almeno per ora, non le avrebbe rivelato. Però
lei stava per partire, per rivedere Londra, per conoscere meglio un
paese per il quale stravedeva, per ingozzarsi di biscotti e per
mettersi un po' alla prova. E tutto questo la riempiva di
allegria e di stupore, e un po' la terrorizzava, ma andava bene
così.
Camilla
si lasciò abbracciare da suo padre con un sorriso e un nodo
alla gola, perché, anche se fra loro ultimamente c'erano stati
degli screzi, gli voleva dannatamente bene.
"Fai
la brava, e vedi di fidanzarti. Li preferirei scandinavi, o perlomeno
europei. Gli asiatici no, ecco, non sono il mio tipo."
"Papà...
a parte che non ho la minima intenzione di trovarmi un ragazzo, a me
di cosa sia o non sia il tuo tipo, onestamente, non importa niente!",
aveva riso lei, lasciandosi abbracciare una seconda volta e
guardandolo andare via.
Alberto
si era messo un po' in disparte, portando con sé la valigia
della ragazza che, quando lo raggiunse, gli rivolse un sorriso storto
e gli propose di mangiare un'altra brioche.
"Alla
marmellata, stavolta. I cornetti alla crema li odio, hanno un che di
molliccio e di viscido, ecco. E tu dovresti saperlo, ma non importa,
sei stato carino a lasciarmene mezzo, stamattina."
"Possibile
che io sia così distratto da dimenticarmi che stravedi per i
croissant alla marmellata? Dal panettiere mi sono pure scervellato,
oggi, e ho concluso che quelli alla crema fossero i tuoi preferiti."
"Sì,
è possibile, possibilissimo. Ma del resto sei un disastro, tu,
e non puoi farci niente."
Si
diressero a braccetto verso il bar, trascinandosi dietro la valigia e
urtando chiunque. A un certo punto, Alberto travolse una signora
anziana che, accigliata, inveì contro ai due ragazzi:
"Santo
cielo, un po' d'educazione! Ah, queste coppiette di oggi, pensano
solo a loro stesse! sempre lì a scambiarsi paroline dolci, e
poi... e poi non vi curate degli altri, e fate danni! Dio, ai miei
tempi...", ma i due ragazzi non sentirono il resto della tirata,
perché se n'erano già andati, cercando di non riderle
in faccia.
"Ci
ha preso per una coppietta, la signora... non è normale, no! E
poi io in realtà ti stavo insultando e non ti stavo
assolutamente dicendo paroline tenere, ma dettagli.", rise
Camilla.
"Che
poi, ai suoi tempi... non è che le coppiette, nell'Ottocento,
fossero particolarmente educate, o rispettose. Pensa a tutti i
fidanzati che si infrattavano nei frutteti, o nei campi di grano
perché non trovavano altro posto per dirsi paroline dolci!",
aggiunse Alberto, causando all'amica un attacco d'ilarità
isterica che la fece sbattere contro un muro.
"Cristo,
Cristo, Cristo... menomale che in Inghilterra non ci vieni, con me,
faresti solo danni e ostacoleresti i miei rapporti con i ragazzi
stranieri, facendomi fare una figuraccia dietro l'altra e
compromettendo irrimediabilmente la mia reputazione!"
"Ah,
ma allora conoscere degli aitanti scandinavi t'interessa! E dimmi,
che preferiresti fra estoni, lituani o lettoni?"
"No,
Berto, no! La Scandinavia non è composta da quei posti lì,
loro sono i paesi del Baltico, e in Scandinavia ci sono Danimarca,
Svezia, Norvegia, Islanda e Finlandia. Capito? E comunque non
m'interessano quelli, sono troppo biondi... preferirei, chessò,
un turco, o un armeno. Dici che lo trovo, un armeno, in Inghilterra?"
"Per
ora preoccupati del cornetto che stai sbriciolando tutt'intorno
peggio di Pollicino che dissemina le molliche di pane, al fidanzato
conosciuto in vacanza studio ci pensiamo."
"Io
non ci penso affatto, in realtà...", aveva mormorato
Camilla, con occhi d'improvviso più seri, quasi tristi.
"In
che senso?"
"Nel
senso che... non sarei mai abbastanza, per un ragazzo. M'importano
solo i libri, le belle parole, e non credo lo troverei mai, un
fidanzato capace di soddisfare tutti i miei sogni, le mie
aspettative, le mie illusioni. Leggo troppo, ecco cos'è il
problema."
Alberto
non sapeva cosa dirle. Sapeva solo che i suoi occhi, nonostante la
tristezza di quel discorso, brillavano troppo, che i suoi capelli
erano ovunque tranne che nel posto in cui dovevano restare, che le
sue guance s'erano fatte troppo rosse, e che quel discorso era
semplicemente assurdo. Perché era impossibile, secondo lui,
non perdere la testa per una come Camilla, che era sempre gentile con
tutti e s'affezionava persino al professore di educazione fisica, che
piangeva sui compiti di matematica eppure non mollava, che era di
dare capace tutta se stessa a persone come lui, che puntualmente
riuscivano a ferirla e a farle male. Perché Camilla non si
credeva abbastanza per nessuno eppure per lui era tutto, e lo capì
lì, in quella sala d'attesa, mentre lei stava per partire per
una vacanza studio dalla quale, chissà, sarebbe tornata più
spigliata, più disinvolta, con meno complessi e un inglese un
po' più fluente. E con un ragazzo, chissà... ma lui, a
quello, non doveva e non voleva pensare. Non poteva immaginarsela
dare il suo primo bacio a uno sconosciuto, dando tutta la
tenerezza che aveva riservato a lui a un altro, che forse se la
meritava, però faceva troppo male, anche se lui aveva
Virginia, Virginia di cui non si fidava e che non provava nemmeno a
conoscere. Eppure voleva Camilla, con i suoi capelli biondo cenere,
l'insicurezza che minacciava di travolgerla, le unghie divorate a
sangue e i discorsi pieni di magia che riuscivano sempre ad
incantarlo.
Però
lui non le aveva ancora risposto e lei lo guardava, con quegli occhi
verdazzurri pieni d'incertezza e di paura, in attesa, forse, di una
rassicurazione. Ma lui, onestamente, che poteva dirle? Che l'idea di
passare un po' di quell'estate senza di lei gli era
intollerabile e che aveva paura di non farcela? Che lei era
abbastanza per chiunque, che era lui quello sbagliato, eppure non
riusciva a togliersela dalla testa?
Non
poteva, no... si limitò a liquidare le insicurezze di Camilla
e i suoi pensieri sbagliati con una battuta:
"No,
dai, seriamente, chi è che non vorrebbe una ragazza che gli
parla per ore del dissidio dI petrarca? È l'ambizione di
qualunque adolescente, avere una ragazza che discuta di queste cose!"
Era
riuscito a farla ridere, l'aveva presa per mano e l'aveva trascinata
in giro per l'aeroporto. Lei aveva sorriso d'istinto, perché a
cretinate galattiche come quelle di Berto mica si poteva restare
indifferenti. Però non le bastava il modo in cui aveva
liquidato la sua insicurezza e i suoi dubbi. Non era abbastanza,
e lo sapeva benissimo. Non aveva mai avuto un ragazzo che la
corteggiasse, uno che le chiedesse di uscire sul serio, uno che, in
poche parole, ci provasse con lei. Non se n'era mai curata, non in
maniera ossessiva, però un po' le dispiaceva. Si reputava
strana, semplicemente; allontanava gli altri parlando di letteratura,
ficcava il naso in un libro o metteva le cuffiette, disinteressandosi
completamente del mondo circostante. Che poi non era vero e lo sapeva
benissimo, e quelle erano solo riflessioni autodistruttive
e insensate, però... però le sarebbe
piaciuto essere rassicurata da qualcuno, e Alberto sarebbe
stato perfetto per questo. E non era stata
abbastanza nemmeno per lui, che infatti aveva scelto
Virginia, con i suoi occhi scuri e vivaci, il suo sorriso
pronto, la sua corte di amiche un po' smorfiose. Eppure lui Virginia
la trattava solo con insofferenza e freddezza, riservando a lei,
chissà perché, tutta l'arruffata dolcezza di cui era
capace. Ma non sarebbe mai stata la sua ragazza, non lei, era
normale. Lei andava bene per fare da grillo parlante, da Wendy ad un
Peter Pan incosciente, per raccogliere confidenze e per fare discorsi
idioti. Ma la sua ragazza doveva essere più bella, con il
sorriso più smagliante, il carattere più aperto e senza
quella stupida ossessione per i libri che aveva lei.
Però
che poteva fare, ora? Stava per partire, e non era certo il caso di
piangere o di dire ad Alberto quel che temeva di star provando
nei suoi confronti. Lui la stava guidando fino alle poltroncine
dell'aeroporto, stordendola di parole idiote, mentre le teneva la
mano e gliela stringeva più forte di tutto.
E
poi era venuto il momento di separarsi, di salutarsi, di scambiarsi
mille promesse sceme per quelle settimane, le stesse che si erano
ripetuti nei giorni prima.
Ma
non c'era stato niente, niente di tutto questo. Perché Camilla
gli aveva buttato le braccia al collo con gli occhi lucidi, e i suoi
capelli erano troppo morbidi e troppo fragranti, e il suo corpo
esile, malgrado lo zaino enorme, premuto contro il proprio aveva
fatto ad Alberto un effetto strabiliante.
E
così l'aveva baciata, con tutta la goffaggine, la frenesia, la
passione di cui era capace. Solo premendo le sue labbra con
urgenza e tenerezza contro la bocca di lei capì che era quello
che aveva desiderato fare da che la conosceva, l'unico gesto
sensato da fare lei, che non era solo la sua migliore amica, il suo
grillo parlante, il suo angelo custode. La strinse forte desiderando
di godere di quel contatto ancora a lungo, ma sapeva che non poteva
durare, quella magia.
Camilla
si era ritratta come se si fosse scottata, ed era scappata, o quasi.
Gli
aveva mormorato un "ci vediamo" detto con voce incerta, e
poi era corsa via, con lo zaino enorme che le sbatteva contro la
schiena. Si era imposta di non voltarsi, di salire sull'aereo e di
pensare a quel bacio solo una volta fra le nuvole. Adesso,
davvero, non doveva farlo, perché, altrimenti, col cavolo che
sarebbe partita per l'Inghilterra.
Aveva
preso posto con le mani tremanti e quando a fianco a lei si era
seduto un signore obeso che aveva finito per invadere il suo spazio
vitale, lei non ci aveva badato più di tanto, limitandosi a
strizzarsi nell'esigua porzione di poltroncina che le era rimasta.
Aveva il cuore in gola, e non si accorse nemmeno che l'aereo aveva
abbandonato la pista per decollare, librandosi nell'azzurrissimo
cielo di Milano. Tirò fuori il quaderno blu zaffiro che aveva
comprato apposta per quel viaggio. Progettava di usarlo come diario
di bordo e pensava ci avrebbe annotatoi suoi pensieri durante quella
vacanza studio, incollando i biglietti dei musei, le fotografie che
avrebbe scattato, i tovaglioli dei bar. E l'avrebbe dato ad Alberto,
forse, per fargli leggere tutto, perché potesse vivere
anche lui un po' della magia e dell'incanto del suo
viaggio. Eppure adesso nulla di tutto questo aveva senso, perché
quel bacio aveva cambiato le cose e lei, all'Inghilterra, non pensava
nemmeno più di tanto.
Domenica,
30 Giugno 2013
Caro
diario, caro quaderno,
Non
so bene come chiamarti e in questo momento non riesco a decidermi
perché, francamente, ho millemila cose per la testa, tutte più
importanti della scelta fra la parola "diario" o "quaderno"
per definirti.
Che
poi, io avevo progettato di aprire la prima pagina di questo taccuino
una volta sull'aereo, ed
è esattamente quello che sto facendo ora. Solo... che le cose
non dovevano andare così, non esattamente. Sono cambiate
millemila cose nel giro di pochissimi istanti, oggi, e tutti i miei
piani se ne sono andati, a cominciare proprio dal progetto di
scrivere in questa primissima pagina del volo, delle nuvole, delle
persone che vedo sull'aereo.
Perché,
Cristo, io ho dato il mio primo bacio, oggi, dopo tante giornate
passate ad immaginarmelo, a pregustarlo, a pensare che, in fondo, non
sarebbe stato un granché, sicuramente meno intenso che nelle
mie fantasie. Solo che a darmi il mio primo bacio è stato
Alberto, e questo, nei miei sogni ad occhi aperti, era escluso.
Perché lui era il mio migliore amico, fino a venti minuti fa,
nient'altro. Però... però, come primo bacio,
credo sia stato fantastico. A spaventarmi tremendamente è
quel che succederà dopo queste tre settimane. Alberto è
fidanzato, in teoria, anche di Virginia ormai si è stancato, e
quando ne parla sembra irritato, più che altro. Eppure non
credo la lascerà, non ancora. A lui, l'idea di avere una
ragazza, non spiace affatto. Io, in tutto questo, non so cosa
pensare, non so davvero che ruolo avrò. E forse questo bacio,
dopotutto, è stato solo un terribile e gigantesco
sbaglio, che non cambierà le cose. Eppure fa male, fa
male anche questo, perché è stato bello, tanto, e
quando Alberto mi ha stretta così, come se per lui fossi
davvero la cosa più importante al mondo, a me è mancato
il respiro. E forse innamorata di lui, dopotutto, lo sono
davvero, lo sono sempre stata, anche se mi sono imposta di non
ammetterlo mai a me stessa, tantomeno di confessarlo a
lui. Solo Alberto ha la capacità di raddrizzare le
mie giornate più storte, di farmi star male con i suoi
silenzi e le sue parole brusche, di strapparmi mille sorrisi
involontari. Mi illumino, ecco, quando sono con lui, anche se
poi riesce a spezzarmi il cuore, come quella volta in cui, dopo
avergli raccontato della mia partenza per l'Inghilterra, mi ha
parlato con una durezza che non mi sarei mai aspettata, per poi
sistemare tutto dicendo qualcosa di idiota che, puntualmente, mi ha
fatto brillare gli occhi. E io sono stata stupida ad invaghirmi di
lui, perché i suoi difetti li conosco a memoria e non sono
affatto sicura di essere abbastanza forte per aiutarlo davvero,
per mettere a tacere i demoni che ha in testa, per
aiutarlo a rialzarsi quando la musica non basta e le sue paure
minacciano di schiacciarlo, di abbatterlo. Eppure è stato lui,
a baciarmi, io non avrei mai avuto il coraggio di farlo. E si è
aggrappato a me con tutta la disperazione di questo mondo, perché
l'idea della mia partenza gli era intollerabile, come se, senza di me
a fargli da grillo parlante, lui si sentisse perso. Che cavolo, io
adesso non dovrei pensare a lui così.
Dovrei farmi un selfie
sull'aereo, fare una faccia idiota in modo che, quando vedrà
la foto, gli verrà da ridere. Eppure non ce la faccio, non
dopo questo bacio. Non ce l'ho, il coraggio necessario per scrivergli
raccontandogli la mia vacanza studio, per accendere il cellulare e
trovare un suo messaggio in cui mi dice che questo bacio è
stato solo uno sbaglio, e dobbiamo restare amici, amici e basta.
Forse
dovrei dimenticarmi di quello che è successo, e
provare a vivere la vacanza studio senza sentirlo, senza
pensarlo, senza immaginarmi quello che starà facendo.
Forse dovrei chiamare Amelia, che sicuramente mi prenderà in
giro per tutte queste paranoie, e mi consiglierà di
pensare a imparare l'inglese e di scordare ogni cosa.
Amelia, beata lei, ai ragazzi non ci pensa. E fino a poco tempo fa
nemmeno io lo facevo più di tanto, anche se fantasticavo
spesso sul mio principe azzurro ideale, che dovrebbe essere più
arruffato e cretino di quello delle fiabe. E appunto, Alberto, in
questo senso, sarebbe perfetto, perché con i capelli che si
ritrova arruffato lo è davvero, e quanto all'essere cretino,
beh, è semplicemente perfetto. Ma io, adesso, non devo
pensarci, mi conviene concentrarmi, piuttosto, sull'Europa che sto
sorvolando, sul cielo azzurrissimo che stiamo attraversando, sul
tizio obeso che, oltre ad aver occupato metà della mia
poltroncina, suda tremendamente e diciamo che non profuma granché.
E
ora il diario devo chiuderlo, altrimenti probabilmente continuerò
a scrivere e a pensare Alberto, e io non devo.
Camilla
You found a new world and
You
want to taste it
But that world can turn cold and
You
better face it
(Who will you run to, Heart)
Durante
quelle settimane in Inghilterra, Camilla aveva ficcato l'ipod nel
cassetto e si era imposta di non sentire musica. Era inevitabile,
ormai, che ogni canzone le provocasse un sussulto e le
ricordasse Alberto, che aveva fatto di tutto per rimuovere dalla sua
mente. Ci era riuscita abbastanza bene, doveva ammetterlo. Quei
giorni in Inghilterra, malgrado l'atmosfera rilassata, erano
assolutamente frenetici e non aveva affatto il tempo di
perdersi in fantasticherie. Si concentrava più che poteva, a
lezione, e il tempo libero lo trascorreva con le sue
amiche, per la maggior parte italiane. Chiaccherava con tutti, e
all'interno del college aveva acquisito la fama di ragazza
solare, luminosa ed estroversa, ed era una delle poche a mischiarsi
con ragazzi di ogni nazionalità, malgrado questi non sempre la
accogliessero volentieri, preferendo starsene con i
propri connazionali.
"Che
poi, cosa cavolo vengono in Inghilterra a fare, questi, se stanno
solo con chi parla la loro lingua..", aveva sbuffato Camilla al
telefono con Amelia, che aveva riso di cuore.
Era
strano come, nel giro di pochissimi giorni, la ragazzina innamorata
dei libri, timida e giudicata strana da molti avesse lasciato il
posto a questa nuova Camilla spigliata, socievole e quasi
popolare. Eppure, nonosante i suoi sforzi, non era riuscita ad
affezionarsi a nessuno dei suoi compagni, italiani o stranieri che
fossero. Perché loro, nonostante fossero abbastanza
amichevoli, non sapevano niente della vera Camilla. Non conoscevano
la sua ossessione per i libri, il suo amore per John Lennon, la sua
iinsicurezza e i suoi attacchi di panico prima dei ocompiti
in classe. Amelia, Alberto, Stefano e gli altri le volevano bene
proprio per la sua eccentricità, per il suo essere
un po' sopra le righe e nonostante le sue fragilità, la
sua timidezza e la sua paura di non essere abbastanza.
In
Inghilterra no. Non poteva raccontare alla sua compagna di stanza,
una ragazza biondissima e danese fissata con le diete, dei libri
che leggeva, né poteva raccontare al ragazzo tedesco
dalle fattezze elfiche che un po' ci provava con lei del suo
inguaribile amore per i Beatles, perché nessuno dei due
l'avrebbe capita. E i suoi amici le mancavano da morire in quei
giorni, perché, semplicemente, in quel college non riusciva ad
essere se stessa, non davvero. Eppure a molti la nuova Camilla
piaceva e c'era quel ragazzo tedesco, con i capelli biondo grano
e due occhi verdissimi che toglievano il fiato, che le aveva fatto
capire, in più occasioni, di essere interessato a
lei. Era uno dei ragazzi più ambiti, lì dentro,
sia per il bell'aspetto sia perché era estroverso ed era
uno dei pochi a parlare con ragazzi provenienti da ogni dove.
"Sareste
tanto carini, insieme.", aveva detto una ragazza italiana a
Camilla, che, per tutta risposta, era scoppiata a ridere.
"Siete
biondi entrambi, chiaccherate volentieri con tutti e sembrate sempre
disponibili. Sareste la coppia più carina del college, e tutte
le ragazze ti invidierebbero, ma non troppo, perché sei bella,
parli strabene l'inglese, e non sei per neinte snob.", aveva
continuato quella.
Camilla
si era resa conto che lei, ad interpretare il ruolo della
principessina del college, non teneva per niente. Aveva passato anni
a sognare di avere la disinvoltura delle sue compagne e adesso che le
si presentava l'occasione di essere popolare, scopriva che non le
importava affatto. La compagnia di tutti quei ragazzi, sebbene non
spiacevole, non bastava, e la corte del ragazzo tedesco la metteva
soltanto a disagio, e non sarebbe mai riuscita a ricambiarlo come
doveva.
"Dovresti
provare a stare al gioco fino in fondo. A baciarlo, a fargli mille
moine, a vivere una storia d'amore non destinata a durare, solo per
vedere com'è.", le diceva la voce di Greta nella sua
testa. Eppure non voleva vivere quell'avventura fino in fondo, perché
stare con un ragazzo giusto per il tempo di una vacanza studio non
era decisamente nelle sue corde.
E
poi c'era il pensiero di Alberto che, sebbene avesse fatto di tutto
per scacciare, si presentava, puntuale come sempre, quando stava per
addormentarsi e la seguiva nel sonno. Lui le mancava
tremendamente, anche se non era sicura di cos'avrebbe pensato nel
vederla così estroversa e quasi disinvolta. Avrebbe
semplicemente voluto chiamarlo, mandargli un selfie idiota,
ascoltarlo delirare di musica. Avrebbe voluto sapere come stava, se
quell'estate si stava rivelando difficile con le altre, perché
i mesi estivi, per Alberto, non erano mai semplici, eato
che cercava per più tempo possibile di stare alla
larga da sua mamma. Avrebbe poluto sapere di Virginia; chissà
de l'aveva lasciata, come andavano le cose, come si sentiva
Alberto. Di Virginia fondamentalmente non le importava, però
del suo migliore amico - perché era solo un amico,
per lei, nient'altro - sì, e avrebbe voluto essere lì,
a sentire i suoi fiumi in piena di parole, ad ascoltare i suoi
insulti a Virginia e, anche, a subire il suo malumore e la sua
indifferenza. Avrebbe dato qualsiasi cosa, ecco, per vedere
i suoi occhi, il suo sorriso storto, le sue dita che
rincorrevano accordi persino nell'aria.
Eppure
aveva resistito: non gli aveva telefonato né scritto,
limitandosi a chiedere, ogni tanto, ad Amelia o s Stefano come
stesse. Ad Amelia aveva raccontato del bacio, anche se con mille
esisazioni, incerta se la sua migliore amica avrebbe capito o
no.
"Beh,
hai sacrificato anche tu la tua intelligenza, il tuo potenziale e il
tuo essere una donna libera ed emancipata per un ragazzo.", era
stato il sardonico commento di Amelia. Camilla era troppo abituata a
frasi sprezzanti di questo tipo per potersi offendere e, in fondo,
sapeva che la sua amica era soltanto preoccupata per lei. Solo che,
ecco, non lo dimostrava in maniera classica.
"È
stato solo un bacio, Melia. E poi, francamente, per come lo conosco
dubito che avrà un seguito, questa cosa. Forse ci conviene
scordare tutto e andare avanti come prima, perché la nostra
amicizia è troppo bella per essere rovinata da una cotta."
Amelia
condivideva abbastanza l'idea dell'amica, ma sapeva che non sarebbero
andate così, le cose. Aveva visto Alberto, in quei giorni,
guardare Virginia senza realmente vederla, mentre era immerso in
pensieri tutti suoi. Quando Stefano aveva menzionato Camilla per caso
lui era stato scosso da una sorta di sussulto, e nei suoi occhi era
passato un groviglio di emozioni che lei, incapace di
psicoanalizzare una cavalletta, non aveva saputo decifrare.
Dopo
quella telefonata piuttosto breve in cui Amelia le aveva consigliato
di dimenticare quel bacio le cose erano andate avanti più o
meno normalmente per diverse settimane. Di giorno lei chiaccherava,
rideva ed era amichevole con tutti e di notte, quando non dormiva,
pensava ad Alberto, che ogni giorno le mancava sempre di più. A
volte, durante le ore di lezione, si voltava e si stupiva di non
trovarlo lì, a scimmiottare il professore d'inglese che
sicuramente avrebbe trovato buffo, con quel suo accento cantilenante
e la sua incapacità a pronunciare i nomi stranieri
correttamente. Però Alberto, al momento, non c'era; non era lì
a infilarle un plettro nel libro di greco, a fumare una sigaretta per
metà e a far finta di ascoltarla quando lei gli diceva che il
fumo uccideva, ad afferrarle il braccio quando doveva dirle qualcosa,
foss'anche una cavolata che gli era appena passata per la testa.
Everytime I
think of you, I always catch my breath
And I'm still standing
here, and you're miles away
And I'm wonderin' why you left
And
there's a storm that's raging through my frozen heart tonight
I
hear your name in certain circles, and it always makes me smile
I
spend my time thinkin' about you, and it's almost driving me wild
And
there's a heart that's breaking down this long distance line
tonight
I ain't missing you at all since you've been gone
away
I ain't missing you, no matter what I might say
(Missing
you, John Waite)
[…]
Waiting for
you again
Seems like this never ends
I close my eyes and I
see your face
And I see it all fading away
(Only
you, Toto)
Alberto,
a Torino, non se la passava molto meglio. Aveva guardato Camilla
andare via, dopo averla baciata, desiderando correrle dietro e darle
qualche spiegazione, anche se non sapeva davvero cos'avrebbe potuto
dirle. Avrebbe potuto scusarsi, dirle di dimenticare il bacio,
ammettere, molto semplicemente, che si era innamorato di lei, che
l'aveva capito qualche giorno prima ma, probabilmente, lo era sempre
stato. Perché da quando Camilla era piombata nella sua vita,
con gli occhi stralunati e il sorriso gentile, lui aveva perso un po'
della sua durezza, della sua spavalderia, del suo dolore. Lui che non
aveva mai dato il suo cuore a qualcuno, non completamente, perché
aveva troppa paura di togliere i panni da Dio, da ragazzino ribelle
e un po' strafottente, anche se la parte del bello e dannato non
l'avrebbe mai recitata in maniera convincente, poiché non
era né abbastanza bello né abbastanza dannato,
solamente bacato e un po' melodrammatico. Ma Camilla era stata
la prima a capirlo, a dargli una scrollata e a ficcargli un gomito
nel costato, guardandolo con un cipiglio severissimo e poco
convincente, dicendogli, con un sorriso, di darsi una ridimensionata,
che con lei fare la parte del tenebroso non attaccava.
E
adesso l'aveva baciata, rovinando ogni cosa, ogni loro sorriso,
ogni momento magico. Perché non c'era la minima possibilità
che Camilla desiderasse mettersi con lui, che come fidanzato,
nonostante tutto, non valeva niente, e lei lo sapeva meglio di tutti,
perché conosceva i suoi difetti le sue manie di
protagonismo, i suoi malumori e i suoi scatti improvvisi. Poteva
ingannare una come Virginia, giocando a fare il Dio, il ragazzino
appassionato di musica e dall'animo ribelle, però con Camilla
niente di tutto questo aveva senso, siccome lei sapeva leggergli
dentro così bene. Però gli mancava, adesso,
mortalmente, solo che non poteva dirglielo. Ci aveva provato, a
scriverle, solo che poi fissava lo schermo del cellulare con
disperazione muta; con le parole non se l'era mai cavata troppo bene,
era Camilla quella brava a scrivere, e in più lui non sapeva
neanche che dirle, in quel messaggio.
Quei
giorni erano stati difficili: il bacio con Camilla che gli ronzava in
testa, Virginia che gli chiedeva mille spiegazioni per i suoi silenzi
e le sue sparizioni sempre più frequenti, i suoi amici che lo
guardavano preoccupati e sua madre, che d'estate incrociava
più di frequente del solito. E Camilla avrebbe
risolto tutto, ne era sicuro, con quel suo sorriso morbido, delle
parole assennate, un sopracciglio inarcato e una brioche alla
marmellata. Ma lui aveva rovinato ogni cosa, cretino, cretino,
cretino.
Non
poteva pensarci prima, no? Non poteva evitare di baciarla, facendo la
figura dell'idiota? Lo sapeva, che Camilla non si sarebbe innamorata
di lui, che il principe azzurro l'avrebbe trovato da qualche altra
parte. Magari già ora, in Inghilterra; chissà,
probabilmente adesso un ragazzo che sapesse consolarla, sorprenderla
con qualche trovata romantica e strapparle mille sorrisi incantati,
lei, ce l'aveva già. Che fuori da Torino, una come Camilla,
con la sua luce, la sua gentilezza e la sua magia, mica poteva
passare inosservata.
Chissà come
stava. Chissà se l'avevano presa di mira, le altre ragazze,
come capitava a scuola, perché Camilla era sempre stata
oggetto di certi commenti un po' maligni, lui lo sapeva, per quella
sua tendenza ad avere la testa fra le nuvole, per il fatto che si
portava sempre un libro in borsa, per l'aria perennemente seria
durante le lezioni. Dovevano lasciarla in pace, almeno in
Inghilterra, che il Regno Unito era il suo sogno e nessuno aveva il
diritto di rovinarglielo. Anche se, a ben guardare, lui, quando lei
gli aveva confidato le sue intenziondi partire, l'aveva presa a male
parole e l'aveva proprio calpestato, il suo sogno. Cretino, cretino
che non era altro.
L'aveva
raccontato a Stefano, del bacio, un giorno che erano soli a rimettere
in ordine il garage in cui avevano appena finito di provare. Fabio ed
Enrico si erano dileguati, mentre Alberto gironzolava tutt'intorno
stringendosi addosso la chitarra, come se fosse una sorta di animale
domestico da proteggere e al quale fare tante coccole. Era stato
Stefano, stranamente, a farsi serio e a chiedergli:
"Berto,
che succede? In questi giorni sei... strano, stralunato, sembri
immerso in pensieri tutti tuoi che sono ben al di là della
nostra comprensione. E poi, senti un po', è ora che la pianti
con questa storia di Virginia. Si capisce lontano un miglio che non
te ne importa, ok? La tratti come se fosse un giocattolo da riporre a
tuo piacimento, e poi non sei per niente preso o perso per lei, e non
è una bella cosa.", aveva iniziato, gentile ma risoluto.
Ecco perché Alberto lo adorava e lo riteneva il più
fantastico dei migliori amici: perché era diretto, perché
era pacato e perché, Cristo, riusciva a intuire quel che
provava e a forzarlo, seppur gentilmente, a parlarne.
"Ho
baciato Camilla all'aeroporto, ok? Prima che lei partisse... E
Virginia potrebbe anche andarsene al diavolo, per quel che me ne
importa."
Stefano,
nel sentir parlare del bacio, aveva sgranato gli occhi. Non se
l'aspettava, quello, nemmeno lui, così perspicace e ricettivo.
"Cristo,
Berto... l'hai baciata? Ma sul serio? Proprio Camilla? La nostra
Camilla?"
"Stefano,
non... non fare così con i tuoi futuri pazienti, quando farai
lo psicologo, ti prego. È la reazione meno professionale che
abbia mai visto."
"Sì,
ma io non sto lavorando, adesso. E non l'avevo previsto, il bacio,
non era contemplato nei miei ragionamenti da psicologo. E poi, santo
cielo, sei tu quello che nel vedere la tua migliore amica partire ha
avuto una reazione, come dire, inconsueta. E adesso?"
"Adesso
che cavolo ne so, io, Stefano... è stato bellissimo,
bellissimo e inevitabile, e penso che lo rifarei un milione di
volte, se solo potessi. Ma lei non mi merita, io... io sono
troppo imbranato, troppo egoista, troppo cretino per una come lei.
Non so nemmeno perché l'ho fatto, è stata una
cavolata..."
"Non
sai perché l'hai fatto? Ascolta, se stavi giocando, o facendo
una delle tue cagate di cui poi ti penti, o qualcosa del genere, beh,
io ti uccido. Perché Camilla è straordinaria, e
stravede per te, è questo il problema. L'ho sempre saputo, da
come ti guarda, da come si illumina non appena ti vede, da come
dimentica il mondo per tuffarsi nel tuo universo. Tu, il
sorriso di Camilla quando ti guarda, non l'hai mai visto, o non ci
hai mai fatto caso. Ma è una delle cose più abbaglianti
e dolci che abbia mai visto, e solo tu sei riuscito a non farci
mai caso."
"Ma
non è che ti sei innamorato un po' tu, di Camilla? La adori,
la reputi una delle persone più meravigliose che esistono,
e... davvero, io non ci ho mai creduto, a questa storia di te e di
Camilla, anche se i tuoi genitori progettavano già il vostro
matrimonio, però forse, in fin dei conti, te la meriteresti
tu, più di me. Perché sapresti farla felice,
sapresti..."
"Vuoi
stare zitto? Oh, santo cielo, ma sei demente, e proprio tanto. Io
adoro Camilla perché è lei, perché in quello che
fa, in quello che legge, mette una passione e uno slancio bellissimo,
a vedersi, perché ha una parola gentile per tutti e perché
sembra capire le persone meglio di loro stessem, e anche perché
non ti ha ancora strangolato, pur avendo tutti i buoni motivi
di questo mondo. E sì, la reputo una persona
meravigliosa, però non mi innamorerei mai di lei. Sarebbe
troppo facile, cosa credi?"
"Già.
Scusa, hai ragione, è che certe volte dico cose senza senso."
"Tante
volte, tante, Berto."
"Cosa
dovrei fare, secondo te?"
"Dichiararti.
Dirle quel che provi, sempre che sia abbastanza serio. E provarci,
Berto. Magari non sarà l'amore della tua vita, però
non devi fare l'idiota, non con lei, ma neanche con nessun'altra, ci
mancherebbe. E, a proposito, quella povera Crista di Virginia, per
favore, si merita un trattamento più decente. Lasciala,
parlaci, chiarisci, dille che ti sei accorto che la vostra storia, un
senso, non ce l'ha. Perché, a parte che non è
esattamente la ragazza più simpatica e carismatica del
pianeta, non è cattiva, e non se le merita, le tue lune
storte."
"Sì,
però, Stefano... io non ce la faccio, a fare niente di tutto
questo. Perché Camilla se n'è andata, quando l'ho
baciata, senza una parola e senza voltarsi indietro. _E stare con
Virginia, avere una ragazza, beh, mi facilita la vita. Nel senso, è
comodo averla lì, quando tutto va male, quando ho bisogno di
un po' di conforto, mi fa comodo, in un certo senso, e...", ma
non aveva finito la frase, perché Stefano, in uno slancio di
stizza, gli aveva lanciato addosso il cestino della carta straccia,
pieno di fogli, di fazzoletti, di pagine di quaderno.
"Sei
un idiota, e pure uno stronzo. Uno stronzo egoista, per giunta,
perché non posso capacitarmi che tu, il mio migliore
amico, dica certe cose. E prima di dichiararti a Camilla, beh,
farai bene a chiudere definitivamente con Virginia. E non
azzardarti a chiamare Camilla, a farle scenate apocalittiche via
Whatsapp, a spezzarle il cuore. Comportati da adulto, per una volta,
e non azzardarti più a dire una cosa del genere. Tieni
Virginia come fidanzata perché ti fa comodo? Non è che
sia una borsa della spesa, o una coperta che tiene caldo quando
guardi un film, ok?"
Alberto
aveva guardato il suo amico, attonito. Non l'aveva mai sentito
urlare, non l'aveva mai visto scaraventare oggetti, ma in qualche
modo sapeva che se l'era cercata. Le cose su Virginia le pensava
veramente, anche se non avrebbe voluto dirgliele in quei termini.
Perché lui si sentiva fragile, fragile e dannatamente
vulnerabile, e l'avere una ragazza da stringere, alla quale
chiedere e dare calore era assolutamente rassicurante, e serviva a
rasserenarlo, almeno un po'. Però era scorretto, profondamente
sbagliato, comportarsi così. Era stato meschino, nel giocare
così con i sentimenti di Virginia, nel trattarla come una
bambola un momento e nel dimenticarsi di lei subito dopo, nel darle i
suoi baci, non rivelandole mai quel che pensava e provava realmente.
Non che lei fosse stata un angelo, questo no; spesso era
superficiale, non aveva la luce di Camilla, non c'era nulla per cui
s'indignasse o s'entusiasmasse sul serio. Però, era inutile,
la parte del bastardo, in tutta quella storia, l'aveva fatta lui.
"Hai
più sentito Camilla, dopo il bacio?", gli chiese Stefano,
più pacato.
"No.
C'è stato una sorta di.... di accordo implicito, fra di noi.
Penso che neanche lei mi vuole sentire, è meglio se forse ce
ne stiamo soli entrambi per un po', con i nostri pensieri, i nostri
sentimenti, e prendiamo una decisione a riguardo."
"Wow,
questa è la prima cosa ragionevole che ti sento dire oggi.
Magari è meglio se vi vedete una volta a Torino, e vi
chiarite."
"Ma
cosa c'è da chiarire, secondo te? Io l'ho baciata, ho fatto
una cavolata, lei sicuramente in Inghilterra si sarà messa con
un macedone, e io farò ancora la figura del cretino. E
non potrò neanche tornare ad essere suo amico, perché
un bacio come quello che le ho dato all'aeroporto non se lo può
scordare, lei."
"Sono gli
armeni, non i macedoni, ad affascinarla. Ma comunque, Berto, penso
davvero che non si sia fidanzata, in Inghilterra. Se vuoi glielo
chiedo per messaggio, ma sinceramente dubito. E poi tu le piaci,
ne ho la certezza, anche se probabilmente l'ha iniziato a capire
quando ti sei messo con Virginia, perché quando tu non
c'eri lei sembrava così mogia."
"Dici
davvero? Ma poi, io, come dovrei fare, con lei? Cioè, non è
mica una ragazza qualsiasi."
"No,
appunto. Cerca... cerca solo di non fare il bastardo, come ti ho
detto. Al
resto ci penserete insieme."
It's five
o'clock
And I walk through the empty streets
Thoughts fill
my head
But then still
No one speaks to me
My mind
takes me back
To the years that have passed me by
(It's five o'clock, Aphrodite's
Child)
L'aveva chiamata la notte dopo,
alle cinque del mattino, perché non ce la faceva più
a camminare per una Torino deserta e vagamente spettrale, ad
attraversare strade semibuie e vuote, a passare accanto a tutti i
luoghi che erano stati loro, alle librerie chiuse, ai parchi giochi,
alle gelaterie. Mancavano cinque giorni al ritorno di Camilla, eppure
la sua assenza gli era intollerabile per un migliaio di ragioni. Ed
erano le quattro del mattino, in Inghilterra, mentre da lui
erano le cinque. "It's five o'clock", come nella
canzone degli Aprhodites Child. Ecco, lui quelle analogie non
poteva, non voleva farle. Perché quel brano era straziante,
come tutto quel che era stato composto dagli Aphrodites Child,
e qualunque innamorato, sentendolo, avrebbe avuto l'impulso di
tagliarsi le vene, o di squarciarsi il petto, perché quel
pezzo aveva il potere di far affogare chiunque in un mare
di lacrime. Che poi, era proprio come nella canzone. Erano le
cinque del mattino, e lui si ritrovava a vagare a Torino - ok, forse
il cantante degli Aphrodites Child vagava per Londra o per
Atene, visto che era greco-, a pensare alla sua amata lontana.
Se
fosse stato a Londra, pensò, sarebbe stato più facile
comporre una canzone, mentre qui, a Torino, lui non riusciva a
scrivere, poteva solo struggersi pensando a Camilla, che in
Inghilterra ci era davvero, probabilmente addormentata. Chissà
com'era la sua camera inglese, la sua compagna di stanza
proveniente da chissà dove, il panorama che si scorgeva fuori
dalla finestra. Chissà se c'erano tanti gabbiani come avevano
immaginato e se l'alba, lì sul mare, era tanto spettacolare.
Non
doveva chiamarla, lo sapeva. L'aveva anche detto a Stefano, doveva
prendere delle decisioni da solo, pensare a come comportarsi con lei
e con Virginia. Doveva soltanto riflettere a fondo su cosa fare,
prima che lei tornasse, prima di commettere l'ennesimo errore.
Ma
come gli mancava lei, quella notte, non poteva spiegarlo a nessuno.
Si sentiva maledettamente solo, su quella panchina, la stessa dove
avevano mangiato innumerevoli gelati, dove aveva guardato Camilla
macchiarsi e stizzirsi con i coni che franavano sempre sulla sua
camicietta.
Perché
se lei fosse stata lì, nonostante tutto, lui avrebbe trovato
il conforto e il calore che desiderava.
We said we
wouldn't talk to one another on the phone
A little time apart to
try to make it on our own
Well, I don't know about you but I'm
feelin' kinda lonely tonight
Maybe it's better, maybe it's not
Maybe we should look at
everything we've got
Maybe those bad times weren't so
bad
Maybe those sad times weren't so
sad
(Feelin'
kind of lonely tonight, Shelby Lynne)
[...]
Call you up in
the middle of the night
Like a firefly without a light
You
were there like a slow torch burning
I was a key that could use
a little turning
So tired that I couldn't even sleep
So
many secrets I couldn't keep
Promised myself I wouldn't weep
One
more promise I couldn't keep
It seems no one can help me
now
I'm in too deep
There's no way out
This time I
have really led myself astray
(Runaway
train, Soul Asylum)
E
allora la chiamò. La chiamò perché non c'era
altro da fare, perché probabilmente l'avrebbe mandato
all'inferno o non gli avrebbe risposto neppure, perché lui era
un povero cretino, perché aveva bisogno di sentire la sua voce
e i suoi insulti. Compose il suo numero con dita incerte e aspettò,
aspettò che lei rispondesse, o riattaccasse, o lo ignorasse.
Fu
solo dopo diversi squilli, quando ormai stava per arrendersi e
chiudere la chiamata, che sentì la voce di Camilla, sottile,
esitante, assonnata.
"Alberto?",
gli chiese e nel suo nome, detto così, c'era tutta
l'incredulità, lo stupore, la dolcezza del mondo. Pensò
a quando l'aveva chiamata nel cuore della notte, anni prima, per
dirle che lui e gli altri erano stati ingaggiati per suonare in
quello squallido pub e al modo in cui lei l'aveva insultato per
l'orario assurdo della chiamata, per poi entusiasmarsi, subito dopo,
quando aveva saputo la buona notizia.
Ora,
però, era tutto diverso. Lei non lo stava insultando, sembrava
solo stupita di sentirlo, anche se non pareva infastidita.
"Io...
dormivi?", le chiese, quasi sperando che lo prendesse a male
parole, perché sapeva che, se l'avesse fatto, sarebbero
riusciti a ritrovare l'intesa e la complicità di prima.
"Sì,
ma non importa.", gli rispose invece, con la solita voce sottile
ed esitante, quasi avesse paura a dire una parola di troppo.
"Lo
so, scusa l'orario indecente, è solo che è un po' come
in "it's five o'clock", capisci?", quella frase non
aveva senso, ed era una cosa così stupida, da dire.
"Ok...
fantastico, davvero. Io dormivo, invece, non vagavo per strade
deserte.", rise lei, e per la prima volta, nella sua voce, c'era
quell'affettuosa sfumatura canzonatoria che, come sempre, lo fece
sorridere. Perché lei capiva persino i suoi sproloqui più
assurdi, sapeva leggere dentro ai riferimenti alle canzoni,
siccome amava la musica quanto lui e gli Aphrodites child, a
pensarci, glieli aveva fatti sentire proprio Camilla, se no col
cavolo che avrebbe scaricato una lagna del genere sull'Ipod.
"Com'è
l'Inghilterra?"
"Magnifica,
non puoi capire. Ci sono millemila gabbiani, e il mare... il mare è
qualcosa di così strano, non è il Mediterraneo, è
più... nordico."
"E
la gente? Hai trovato i Beatles, o Eric Clapton, o chiunque?"
"Oh,
no, però ho incontrato Johnny Rotten che prendeva la
metropolitana, ti saluta."
"Davvero?
Wow, è..."
"No,
idiota, stavo scherzando."
"Ah...."
"E
tu? Come va a Torino? Hai incontrato il fantasma di Pavese, nei tuoi
vagabondaggi notturni?"
"Io...
senti, io... lascia perdere il bacio, ok? Non era niente, non voglio
rovinare così la nostra amicizia, ho fatto una cosa che non
dovevo fare, io...", disse d'impulso tutto. Aveva troppa paura
che lei, dopo quel bacio, fosse arrabbiata con lui. Che diritto aveva
avuto di baciarla, di prenderla così alla sprovvista, poi...
"Oh,
lascia perdere, non importa, io... non fa niente, ecco.", ma
aveva la voce che tremava, Cami, e forse era la distanza, forse era
la linea telefonica disturbata, ma nelle parole che aveva pronunciato
c'era un'incrinatura, una sofferenza che non sapeva spiegarsi.
"Io
lo so, ecco, che sono le cinque di mattina, le quattro, da te, e devi
scusarmi per tutto. È tutto così complicato, adesso, tu
non ci sei e io ho il cervello in pappa, più del solito, ho
pensieri sbagliati, o magari no, magari devi solo tornare perché
si sistemi tutto, magari sto soltanto dicendo più
cretinate del solito. È che dovrei spiegarti un po' di
cose, però al telefono non ci riesco, e neanche dal vivo,
temo, ma tu... tu resti, vero?"
Lei
aveva sorriso, dall'altra parte del telefono; Con incertezza, con
un po' di malinconia, senza capire bene cosa intendesse, Alberto, ma
aveva sorriso. E lui l'aveva sentito, quel sorriso, aveva sentito la
voce di Cami che in un mormorio gli assicurava che sì,
lei sarebbe tornata, gli sarebbe restata vicino.
"È
tutto così bello, qui. Il college che è una villa
e sembr a essere uscita direttamente da Jane Eyre o da uno dei libri
della Austen, la campagna inglese che è come nel Giardino
Segreto, Londra che è la stessa di quando c'erano i Beatles
eppure è completamente diversa. Che ci sono andata da
sola, ad Abbey Road, mi sono fatta una foto idiota e mi sono
messa a piangere come un'idiota, perché non c'erano più,
i Beatles, non come ai tempi della loro foto, anche se ormai i
loro rapporti si erano guastati ed erano tutti un po' meno amici
di prima. E forse, forse se ci fossi stato tu John e George mi
sarebbero mancati di meno, ma tu non c'eri, e io allora mi sono
fatta quel selfie stupido con il cellulare, e l'ho tenuto, ma
devi promettermi che ci andremo insieme."
Lui
avrebbe dato qualsiasi cosa per colmare la distanza che c'era fra
loro, per solcare il mare ed andare da lei, in Inghilterra, per
mettere un braccio intorno alle spalle e strapparle un sorriso,
facendole dimenticare la malinconia che la prendeva, ogni tanto.
Che i Beatles mancavano tanto anche a lui, lei lo sapeva, però
insieme sarebbe stato tutto diverso, tutto meno straziante.
"Però
fra poco torni, e so già che non mi darai tregua nei tuoi
vagabondaggi per gelaterie e librerie. E ad Abbey Road ci
andiamo insieme, basta che non piangi, ok?"
"D'accordo,
promesso. Però o^ra vado a dormire, che domani andiamo a
Londra, di nuovo, e le ragazze che sono con me si perderanno in ore
di inutile shopping, mentre io girerò per le stradine sulle
tracce di Oscar Wilde e di Shakespeare. D'altronde, gli altri pensano
al taffettà, io alle poesie."
"Eh?
Che è il taffecoso?"
"Niente,
è una citazione dal prossimo libro che scriverò. E il
taffettà è una stoffa molto pregiata, di cui dubito
sinceramente le mie compagne di college siano a conoscenza."
Come
facesse Cami a trasformarsi da ragazzina smarrita e potenzialmente
adorabile a creaturina saccente e pedante, per Alberto era sempre
stato un mistero. Ma l'importante era poterla sentire, mandarle sms
ogni momento, aspettarla quando sarebbe tornata anche se, a ben
guardare, non era riuscito a dirle la metà delle cose che
avrebbe voluto, anzi, aveva combinato più pasticci che altro,
perché adesso Cami era convinta che per lui quel bacio fosse
stato uno stramaledetto incidente, e non c'era niente al mondo di più
falso. Perché quel bacio non era stato un incidente, no, era
stato... oh, che diamine era stato? E poi c'era ancora Virginia, alla
quale non sapeva bene cosa dire, come scusarsi per il suo silenzio,
per la sua ritrosia, per averla trattata così. Ma ora c'era
Cami, con la voce ancora impastata di sonno, che gli aveva aperto il
cuore soltanto dopo tre frasi, che riusciva a intenerirlo come
nessuno, perché aveva dei modi di fare così da
bammbina, a volte, eppure era più matura di tante
diciassettenni, lui lo sapeva.
"Beh,
buonanotte, befana. Ci vediamo fra cinque giorni, grazie al cielo."
"Oh,
beh, anche io sono contenta di ritornare a casaa. E anche di
rivederti, sì.", disse, un po' a malincuore, per poi
riattaccare.
La
verità, pensò Camilla, era che era maledettamente
contenta di rivederlo, di rivedere i suoi amici al gran completo, la
sua casa, la sua Torino. E Alberto, beh, Alberto le mancava più
di chiunque, perché lui conosceva a memoria le sue
insicurezze, le sue paranoie, le sue idiosincrasie. E sapeva farla
sorridere più di qualsiasi altra persona, anche se la feriva
con la sua indifferenza e i suoi ostinati silenzi, a volte,
regalandole quella sua arruffata tenerezza nei momenti più
inaspettati. E quindi sì, lei voleva tornare a casa, si
era stufata di giocare il ruolo della ragazza carina e disinvolta,
del college, di tutti quei ragazzi stranieri che non avrebbe rivisto
mai più.
Alberto,
invece, aveva riposto il telefono con un misto d'angoscia e di
speranza. Perché non si era spiegato, con Camilla, le aveva
fatto capire che quel bacio era stato un incidente, o qualcosa del
genere, e non era vero, nient'affatto, però lei era ancora lì,
a sorridergli a chilometri di distanza, a chiedergli la forza che
non aveva e a dargliene a sua volta, incondizionatamente.
E
sarebbe tornata, grazie al cielo, cinque giorni dopo, con i suoi
racconti di metropolitane, di negozi di dischi in cui perdere la
cognizione del tempo, di quegli intrugli di caffè freddo
bevuti in bicchieri enormi, che lui schifava ma che
lei definiva, ostinatamente, fantastici. E non vedeva l'ora
di ascoltarla raccontare, appollaiata sul bracciolo di una poltrona o
seduta sul letto, non vedeva l'ora di guardare di nuovo quei
suoi sorrisi così limpidi, di respirare un po' del
suo candore, del suo entusiasmo, della sua luce.
Però
lui con Virginia, adesso, doveva parlare davvero, perché
doveva mettere fine a quella storia, al rancore che lei provava per
lui, alle sue bugie, ai suoi silenzi, al suo trattarla con
indifferenza per poi fare marcia indietro e concederle una tenerezza
raffazzonata, che a lei non bastava, non bastava a nessuno dei due.
Però
Virginia, ancora una volta, l'aveva battuto sul tempo, e poco dopo
gli aveva telefonato, chiedendogli con voce neutra di vedersi. E
allora lui non ce l'aveva fatta ad essere corretto, ad essere giusto,
almeno quella volta, e le aveva detto tutto quel che pensava per
telefono, con il tono più secco e distaccato del mondo, come
se lei fosse soltanto un peso, un peso di cui liberarsi.
"Io
non ce la faccio, Virginia. Non è colpa tua, ma io non la
sopporto più, questa storia. È stato maledettamente
sbagliato, metterci insieme, perché io lo sapevo benissimo,
che nei tuoi confronti non provavo granché.", aveva detto
con voce piatta, e Virginia, allora, era esplosa, con un tono
petulante, forse rotto da un accenno di pianto non certo disperato,
ma che comunque tradiva l'insofferenza e l'amarezza che aveva
accumulato in quei mesi.
"E
dirmelo prima, no, non potevi? Io non ti amavo, non come nelle
canzoni che suoni, almeno, però... però volevo
stare insieme a te in maniera normale, e tu in questi mesi sei stato
orribile, nei giorni in cui non mi calcolavi, quando facevi marcia
indietro, quando provavi ad aggiustare tutto con qualche bacio e in
realtà incasinavi solo le cose."
"Lo
so, Virginia, io..."
"E
adesso mi lasci per telefono, non hai neppure il coraggio di
guardarmi negli occhi, e... e cosa direbbe la tua Camilla, con tutti
quei suoi cavolo di sogni e di libri, se sapesse che mi hai lasciato
per telefono, nella maniera meno delicata, meno corretta possibile?
Vai al diavolo, tu, la tua Camilla che spero capisca con che razza di
cretino ha a che fare, il tuo cellulare, la tua chitarra, il tuo John
Lennon che tanto suonerà sempre sempre meglio di te....",
e gli aveva sbattuto il telefono in faccia, prima che lui potesse
rendersene conto.
Lei
non la conosceva, la sua Camilla. Non aveva nemmeno il diritto di
pronunciare il suo nome con quella stizza, quella rabbia, quel
disgusto, però... però in fondo aveva ragione, perché
se Camilla avesse saputo del suo comportamento così
idiota, sarebbe inorridita. Perché lasciare una ragazza per
telefono era da meschini, da codardi, semplicemente da idioti.
Avrebbe dovuto acconsentire alla sua proposta di vedersi e poi
parlarle lì, con calma, in maniera civile e garbata,
scusandosi, anche, per i mesi difficili che le aveva fatto passare. E
invece no, lui aveva reagito d'impulso ed era sbottato, gettandole
addosso un fiume di parole piuttosto velenose, anche se non l'aveva
accusata di niente, almeno questo. Cos'avrebbe pensato di lui
Camilla, adesso? L'avrebbe insultato, gli avrebbe dato dell'idiota e
avrebbe sorriso, fugacemente, però avrebbe deluso persino lei,
che aborriva questo genere di comportamento.
I
giorni che aveva trascorso attendendo il ritorno di Camilla, per lui,
erano stati a dir poco orribili. Aveva rimuginato di continuo sul da
farsi, su come spiegarle che la faccenda del bacio non era stata un
incidente, anzi, e non sapeva bene se confessarle il modo in cui
aveva chiuso la storia con Virginia. Aveva provato a chiamare
quest'ultima un paio di volte, ma lei puntualmente non gli aveva
risposto. E come darle torto, d'altronde, se lui se lui non era stato
capace nemmeno di mettere fine alla loro storia in maniera corretta.
E
poi Camilla era tornata, e la sera, quando erano usciti tutti
insieme, Alberto l'aveva guardata incantato per un po', prima di
riuscire a gettarle le braccia al collo e baciarle una guancia.
Perché era meravigliosa, Camilla, con quel vestitino blu con
le farfalle e gli stivali leggeri, i capelli che piovevano in
ogni direzione e quel suo solito sguardo luminoso e un po'
incerto, che come sempre riuscì ad intenerirlo a
dismisura. Le aveva messo un braccio intorno alle spalle, per poi
accorgersi che, cavolo, il contatto fisico con lei non era più
soltanto un gesto giocoso, ma il solo sfiorarla gli procurava un
brivido incontrollabile.
"Come
stai? Sei sopravvissuto a tre settimane senza il tuo grillo parlante
personale?", gli aveva chiesto, gli occhi scintillanti d'ironia.
"È
ancora vivo, hai visto? Ed è persino riuscito a lasciare
Virginia, in queste tre settimane!", aveva detto Stefano, con
tono leggero.
Ma
non era uno psicologo, il suo migliore amico? Non era una persona
piena di tatto e di delicatezza? E allora perché diavolo
faceva quell'uscita così infelice, perché cavolo non
poteva starsene zitto, zitto e basta?
Camilla
lo aveva guardato con occhi disorientati e incerti, nient'affatto
sicura su cosa dire.
"Oh...
davvero?", si limitò a chiedergli, perché le
pareva la cosa più innocua e blanda da dire, ma in fondo, pur
sapendo che era profondamente sbagliato, si sentiva profondamente
sollevata.
"Sì.
Era meglio così, alla fine stare insieme non aveva senso.",
rispose, seccamente, lui. Forse a lei, solo a lei, avrebbe potuto
dare una spiegazione migliore, ma davanti a tutti non se la sentiva
di raccontare, di chiarire, di ammettere i suoi sbagli e le sue
colpe.
"E
lei? L'ha presa molto male?", insisté Camilla, con voce
neutra che però tradiva una certa esitazione.
"No.
Ha capito, credo.", liquidò tutto Alberto, incenerendo
Stefano con lo sguardo e accelerando il passo, senza però
togliere il braccio dalle spalle dell'amica.
Quella
sera gli altri non poterono fare a meno di notare il modo in cui
Alberto e Camilla si cercarono in ogni modo. Non riuscivano a non
guardarsi di sottecchi ogni venti secondi, e Alberto, praticamente,
si era incollato alla ragazza per tutta la serata, senza staccare
quasi mai il proprio braccio dalle spalle di Camilla. La cosa ancora
più strana, avrebbe detto Greta a Maya al telefono, era che
Cami, che normalmente lo mandava al diavolo ogni cinque secondi e se
lo sarebbe scrollato di dosso, quella sera se n'era stata
insolitamente buona, lasciandolo fare, e persino quando lui le aveva
tirato i capelli più del solito lei aveva sorriso, con l'aria
vagamente stordita, e non l'aveva preso a male parole, cosa che di
solito accadeva.
"Maya,
non l'ha mai insultato, ti rendi conto?",, avrebbe esclamato
Greta concitata.
"Dici
che è arrabbiata per qualcosa?", avrebbe chiesto Maya.
"No,
idiota, no! Si vede proprio che sei cresciuta in un paese arretrato,
con una mentalità ristretta... non per offenderti, Maya,
davvero, tu sei fantastica, ma non hai capito niente. Quei due sono
innamorati, innamoratissimi, love is in the air, ok?"
***
Era
passato un mese, e non era cambiato niente. Alberto e Camilla erano
tornati ad essere inseparabili, a battibeccare come bambini e a fare
la pace venti secondi dopo, a scambiarsi canzoni e sorrisi,
eppure c'era qualcosa di diverso, fra loro. Forse, nonostante tutto,
erano entrambi più gentili e cauti del solito l'uno con
l'altra, ed erano entrambi estremamente attenti a non menzionare
Virginia e il loro bacio. Eppure nessuno dei due riusciva a
dimenticarlo, quello stramaledetto bacio: entrambi ci pensavano, un
po' cullandosi con il ricordo di quel loro momento di tenerezza così
magico, un po' chiedendosi come avrebbero fatto a scordarsene, a
voltare pagina.
Era
stato Stefano, ancora una volta, ad intuire i pensieri aggrovigliati
che si celavano nella testa di Alberto. Era successo uno dei primi
giorni di Settembre, un pomeriggio in cui erano usciti tutti insieme
per un giro in centro. Al momento di rincasare, Camilla si era
avviata con il sacchetto della Feltrinelli stretto al petto e Alberto
era restato lì, a guardarla, un po' idiota un po'
semplicemente abbagliato. Stefano, dello sguardo da triglia del suo
migliore amico, si era accorto benissimo, perciò l'aveva
afferrato per un braccio, l'aveva guardato con molta intensità
e gli aveva detto, con tono perentorio:
"Allora,
quand'è che ti decidi?"
"A
fare che cosa?"
"Non
fare il cretino, lo sai benissimo. A dire a Cami quello che provi,
ecco."
"Mai,
Cristo santo, mai!", aveva esclamato con veemenza, lasciando
Stefano sbigottito.
"E
perché?"
"Perché
è sbagliato, è innaturale, noi siamo migliori amici,
nient'altro. E poi lei si merita un ragazzo con la testa a posto, uno
in ordine, che la aiuti in matematica e in tutto il resto."
"Oddio.
Ma ti rendi conto dell'insieme di cavolate che hai appena detto?
L'unica cosa sensata dell'ultima frase, ecco, è che non hai la
testa a posto, su questo ti do ragione."
"Ma..."
"Camilla
non ha bisogno di uno che le dia ripetizioni di Matematica, per
quello ci siamo io e Fabio. E neanche di uno con la testa a
posto, perché, se è te che vuole, io non posso certo
impedirglielo, anche se credimi, a volte sono tentato di metterla in
guardia."
^"Ma
cosa devo fare? Mica posso mettermi in ginocchio, o suonarle qualcosa
di struggente, e darle un anello..."
"Quelle
sono proposte di matrimonio, Berto, non dichiarazioni d'amore. Ma non
so, invitala da qualche parte, offrile la cena, fate qualcosa di
romantico, e poi... e poi dille che lei ti piace, non solo come
amica, che quel bacio ha significato molto, per te, e poi vedi che
capita."
"Ehi...
E se venissi con me?", chiese Alberto con aria speranzosa,
"Voglio dire, sarebbe tutto più semplice, mi suggeriresti
quello che devo dire, potresti aiutarmi con la scelta del posto in
cui portarla e tutto il resto, e poi se ci sei tu è
tutto più rassicurante."
"Ma
chi, io? Io dovrei venire con te ad un appuntamento galante e fare da
terzo incomodo?"
"Ma
tu non saresti mai un terzo incomodo, Cami ti vuole troppo bene, sono
sicuro che farebbe piacere anche a lei!"
"Ma
a te sembra il caso, sinceramente, di portare un tuo amico ad una
cena romantica?"
"E
perché no?"
"Perché
tu stai per dichiararti, e confessare ad una ragazza che sei
innamorato di lei è una cosa, come dire, intima."
"Ma
tu sei di famiglia!"
"Berto,
io non vengo, punto."
"Almeno
mi aiuti a provare quel che devo dirle? Non so, tipo un copione,
in cui tu fai la parte di Cami e io provo a confessarti che
ti amo."
"Ma
per favore... Berto, seriamente, andrà tutto benissimo. Lei ti
adora, davvero, e tu, al di là delle tue tare mentali,
sei l'unica persona che riuscirà mai a renderla felice, almeno
per ora. Non ti garantisco sarà l'amore della tua vita,
però adesso lei per te è troppo importante, e
non puoi certo tenerti dentro quel che provi per lei in
eterno."
"Oh,
mi sento così cretino, sai? Non dirmi che lo sono, non
dirmelo, ma mi sento così sbagliato, perché io non sono
in grado di fare la cosa giusta al momento giusto. E Cami lo
pensa, che sono stupido, anche se mi vuole bene, e non potrei mai
affascinarla, proprio perché pensa che sono stupido."
"La chiarezza
espositiva del tuo pensiero, Berto, è una cosa
sconvolgente."
"Chiarezza
espositiva? Io non ho neanche chiare le idee, mica pretenderai che le
esponga in modo logico e ordinato."
"Come
vuoi, Berto, come vuoi. Ti assicuro che sarà tutto naturale, a
un certo punto, comunque, perché fra voi due è sempre
stato tutto spontaneo, e non può essere altrimenti."
"E
se non fosse tutto spontaneo? Se, una volta fidanzati,
fossimo talmente imbarazzati, talmente poco noi stessi,
talmente... non so, metti che io per stupirla, o per
affascinarla, la smetto di dire cavolate, poi cosa
succede?"
"Beh, vorrà
dire che inizierai a dire cose vagamente intelligenti e il mondo sarà
un posto migliore! Ma comunque, seriamente parlando, voi
due non potete non essere spontanei, vedrai."
"Se
lo dici tu..."
***
Era
stato un errore, Camilla l'aveva capito subito, spiattellare alle sue
tre migliori amiche che Alberto l'aveva invitata ad uscire, solo loro
due, quella sera. Amelia, stranamente, era la più innocua di
loro, perché se ne stava sul letto imbronciata, a blaterare
sul fatto che, ora, anche Camilla avrebbe sacrificato la sua
indipendenza e il suo status di donna emancipata per un ragazzo, ma
per il resto era inoffensiva. Ad essere preoccupanti, più che
altro, erano Maya e Greta.
"Veniamo
da te prima che tu esca, perché dobbiamo sistemarti!",
aveva trillato Greta per messaggio vocale quella mattina, e allora a
Camilla non era restato altro da fare che chiamare Amelia, perché,
nonostante non fosse esattamente la migliore delle psicologhe e la
più incoraggiante delle amiche, almeno era in grado di
offrirle sostegno morale per affrontare Maya e Greta in veste di
parrucchiere e truccatrici provette.
"Ma
non posso andare in jeans? Voglio dire, magari non è niente,
deve solo dirmi qualcosa, e se mi metto tutta in ghingheri sembrerò
un'idiota."
"Cami,
mi hai fatto leggere il messaggio, e ti assicuro che quello era un
invito a uscire serio, un appuntamento galante o qualcosa del
genere.", aveva borbottato Amelia dal letto.
"Cosacosacosa?
A lei hai fatto leggere l'sms e a noi no?", si era infuriata
Greta, e allora le ragazze si erano messe a setacciare la sua stanza
alla ricerca dell'Iphone di Camilla, per poi leggere l'sms e
commentare fra loro, senza badare affatto alla diretta interessata.
"Comunque
tu in jeans, stasera, non ci vai.", sentenziò Maya,
e con l'accento arabo, le sue parole suonavano ancor più
minacciose e perentorie.
Prima
che potesse anche solo obiettare, ecco che Maya e Greta avevano
spalancato le ante del suo armadio e si erano messe a rovistare, ad
approvare e a buttare abiti sul letto sommergendo la povera Amelia,
pche, piuttosto contrariata, cercava di sfuggire all'ammasso di
tessuto che la stava inesorabilmente ricoprendo.
"Ma
possibile che tu abbia tutti questi abiti da scolaretta? Non
pretendo dei miniabiti, cielo, ma un po' più di trasgressione!
Sembri la figlia di un proprietario terriero del Kentucy, una
brava ragazzina di campagna con abitini inamidati e
castigati!", esclamò Greta.
"Ma
a me piacciono.."
"non
me ne frega niente, sono da scolaretta. Come credi di conquistare un
uomo con dei vestiti così?"
"Greta,
chiunque dovesse essere attratto da Cami, lo sarà per la sua
intelligenza, il suo carattere, la sua personalità, non certo
per la sua bellezza! Perché lei è una donna vera, e di
queste cose non si cura, e non sarai certo tu, con le tue frivolezze,
a farle cambiare idea!", strillò Amelia, forse
contrariata dal fatto che le era appena piombata una ballerina
celeste di vernice in faccia. Camilla la guardò, grata: sapeva
che l'affermazione dell'amica era, come dire, un tantino estrema,
però non poteva non esserle riconoscente, perché la
stava salvando dalla furia di Greta e di Maya. Quest'ultima, benché
più silenziosa e meno insopportabile, frugava fra i vestiti
dell'amica con fare scientifico. Non era certo ossessionata dagli
abiti come poteva esserlo Greta, però al vestirsi con cura ci
teneva davvero.
"Per
anni mi hanno obbligata a portare il velo, mentre voi occidentali
potevate vestirvi come volevate. Quindi d'ora in poi mi vestirò
meglio che posso, anche solo per andare a fare la spesa.", era
solita dire. Lei ci teneva davvero, al fatto che una delle sue
migliori amiche si vestisse in modo adeguato per il primo
appuntamento della sua vita.
"Devi
essere bellissima, stasera.", disse a Camilla con un
sorriso, e a quel punto la biondina, suo malgrado, si addolcì,
e si lasciò perlomeno raccogliere i capelli in una
treccia piuttosto elaborata.
"Tadan,
questo vestito, sebbene troppo da Country Girl, va bene.",
esordì Greta, e Camilla sussultò. Era un vestito
azzurro, molto fluttuante e molto poco scollato, che a lei piaceva
davvero tanto. Solo che non era certo all'altezza di indossare un
abito simile, lei che si sporcava con un niente e non aveva certo la
grazia di Greta.
"Ma
io non posso metterlo, stasera... se poi non è un
appuntamento, davvero, che figura faccio?"
"Beh,
se non ti bacia entro stasera andrò io sotto la porta di casa
sua e lo minaccerò di morte.", fu il lapidario commento
di Greta.
"Sei
meravigliosa!", commentò Maya qualche minuto dopo.
L'avevano vestita, pettinata e, con suo sommo orrore, truccata, e ora
Maya e Greta le stavano girando attorno, contemplando il loro
operato.
"Sì...
sei un po' troppo angelica, un po' troppo poco sensuale e un
po' troppo educanda inglese, ma puoi andare.", fu invece
l'osservazione di Greta.
"Prima
ero una contadinella del Kentucy e poi un'educanda
inglese.... cosa ne sarà di me fra cinque minuti?"
"Guardati
allo specchio e stai zitta."
Camilla
si mosse verso la specchiera, esitante, e quello che vide la lasciò
a bocca aperta perché, semplicemente, non era lei. Il vestito
le piaceva da morire, la pettinatura più o meno, ma il trucco
non le si addiceva. Certo, probabilmente era più bella
davvero, con il rimmel ad allungarle le ciglia e qualcos'altro a
farle uno sguardo più da donna, però lei non ci si
ritrovava.
Fu
Amelia ad accorgersi dello sguardo dubbioso e incerto
dell'amica, e forse dovette intuire il suo disagio, perché,
senza mezzi termini, la prese per un braccio, disse alle altre di
aspettarle e la portò fuori, in corridoio, dirigendosi verso
la cucina.
"Che
c'è? Tutte quelle cose sul sacrificare la tua indipendenza per
un ragazzo, Cami, le dicevo per scherzare. E sei meravigliosa sul
serio, stasera, anche se..."
"Il
trucco, Melia, io non lo voglio. Perché non sono io, anche se
forse sono più carina, ma io non mi ci ritrovo, con quella
roba sulla faccia. Il vestito e i capelli possono andare, però
io non mi sento a mio agio, così in ghingheri. E poi...",
ma non riuscì a continuare, perché un singhiozzo le
salì alla gola inaspettatamente.
"Che
c'è adesso? Perché piangi? Il trucco te lo sciacquo io,
se vuoi, ma non è il caso di piangere per questo..."
"No,
è che ho così paura, non ho mai avuto un ragazzo, non
so neanche da che parte cominciare. E sono così goffa, così
incapace di vestirmi per bene e di sentirmi bella sul serio. Ma non
sarò mai all'altezza di Berto, lo capisci? Lo deluderei,
perché sono così imbranata, perché di ragazze
lui ne ha avute un po' e io, se escludiamo il nostro bacio in
aeroporto, sono un disastro completo, in materia."
"Ehi...
non starai mica piangendo per questo, vero? È una
stronzata immane, Cami, prima di tutto perché le tue sono
preoccupazioni piuttosto idiote, e poi... e poi Berto lo sa
benissimo, che non hai mai avuto un ragazzo prima, e se ti ha chiesto
di uscire l'avrà messo in conto, che non sei certo una donna
fatale o cagate varie. Credimi, per quanto Maya e Greta reputino
fondamentale che tu sia spettacolare, stasera, il modo in cui ti
vesti, in cui ti trucchi, in cui ti pettini, non ha nessunissima
importanza, in primis perché Berto ti ha vista tutti i giorni
a scuola e sa almeno quanto me che disastro sei quando ti dimentichi
di spazzolarti i capelli, e poi perché alla fine quello
che conta davvero è che tu sia brillante, intelligente,
gentile e tutto il resto, e tu sei tutte queste cose, se non ti
metti a strillare istericamente."
"Ma
sono così in imbarazzo, perché un conto è essere
la sua migliore amica, un altro diventare la sua ragazza."
"Non
cambierà poi molto, Cami, davvero. Potrai sempre mandarlo al
diavolo ogni cinque secondi, insultarlo fino alla nausea e tutte
quelle cose lì che fate sempre. In più dovrai tenerlo
per mano, anche se a pensarci bene già lo fai. E poi, beh,
quello che farete in privato saranno affari vostri, volendo
puoi limitarti anche ad una relazione platonica."
"Va
bene, va bene, ho capito. Ora mi aiuti a togliermi questa roba dalla
faccia?"
"Sì,
certo, anche se non ho delle pasticche struccanti, e col cavolo che
salgo a chiedere a quelle due cospiratrici di darmene."
"Sono
salviettine struccanti, non pasticche. Ti immagini, delle pillole che
tolgono l'ombretto e il mascara appena le ingoi?"
"Oh,
sarebbero utili, e ora taci che sto facendo un'operazione meticolosa,
a toglierti 'sta roba dalle ciglia."
"Melia?"
"Ti
avevo detto di stare zitta..."
"Grazie,
grazie davvero. Solo tu puoi aiutarmi a struccarmi prima di un
appuntamento, sei fantastica. E anche per le cose che mi hai detto...
non è che mi siano passati i complessi, però,
anche se nessuno lo comprende per davvero, come migliore amica sei
straordinaria."
"Basta
smancerie, mi nauseano... ma andrà benissimo, in ogni caso,
perché tu sei tu, sei magnifica, come persona, anche se
certe volte sei troppo angelica per poter essere sopportabile, ma
poi sento come tratti Berto e mi ravvedo."
"Grazie,
e scusa per il pianto di prima. È che sono un po' frastornata,
e da quando Alberto si è messo con Virginia e ho cominciato ad
ingelosirmi non ho capito più nulla."
"Però
grazie al cielo di Virginia si è stufato, cominciavo a non
sopportarla più. Almeno se Berto si mette con te sappiamo già
con che razza di persona abbiamo a che fare, no?"
"Se
la metti in questi termini..", ma Camilla non riuscì a
finire la frase, perché si senntì il campanello
trillare, e subito dopo si udì il tramestio di passi
affrettati, segno che Maya e Greta le stavano raggiungendo.
Fu
Amelia ad andare ad aprire ad Alberto, mentre Camilla se ne restò
lì, a tamponarsi il viso bagnato con un canovaccio, cercando
di ignorare le occhiate truci delle amiche, arrabbiate perché
non sfoggiava più il loro strepitoso make up.
Berto
indugiò un istante sulla soglia, stupito nel vederle tutte
quante lì, che lo fissavano come se dovesse fare chissà
che cosa.
"Non
ti preoccupare, non devi portarci tutte e quattro a cena.",
trillò Greta in tono gaio.
"Ma
abbiamo pensato che Cami non sarebbe mai riuscita a prepararsi senza
di noi, e quindi eccoci qui. Guardala bene, non è
meravigliosa? Troppo simile a Belle della Bella e la Bestia,
con quell'aria così sognante, per i miei gusti, però...",
aggiunse poi.
Sia
Alberto sia Camilla, in quel momento, desideravano sprofondare,
e persino Alberto, che di norma aveva una faccia di bronzo
assolutamente invidiabile, era in imbarazzo, perché gli
occhi delle tre migliori amiche di Camilla, soprattutto quelli di
Amelia e di Greta, sembravano volerlo mettere a ferro e fuoco.
"Beh,
allora, cosa aspettate? Andate, baciatevi, ditevi qualcosa!",
esclamò Greta.
"Anzi,
sai una cosa? Magari usciamo anche noi con voi, giusto per fare
a Cami da damigelle! Non si è mai visto che una signora per
bene esca senza dame di compagnia!", aggiunse poi.
"Andiamo?",
tagliò corto Cami, appendendosi letteralmente al braccio del
ragazzo.
"Sì,
meglio. Bye bye, ragazze, è stato bello incontrarvi."
E
così uscirono, e a Camilla sarebbe sempre restata impressa
l'immagine delle sue migliori amiche che, sedute al tavolo, le
sorridevano sincere, facendole cenni d'incoraggiamento e
d'approvazione. Amelia, che di solito non era il tipo, aveva
addirittura mimato un "buona fortuna", con le labbra, e
alla ragazza si era allargato il cuore, perché per quanto
squilibrate, disagiate, ingombranti e sfiancanti potessero essere,
loro erano le sue migliori amiche ed erano assolutamente
straordinarie.
"Sei
assolutamente incantevole, con quel vestito.", e Camilla, a
quel complimento, arrossì furiosamente suo malgrado.
Non era mai stato da lei e Berto, farsi complimenti e arrossire,
assolutamente no. Perché loro erano cretini, e mica
potevano sentirsi in imbarazzo, o essere gentili, non era
nell'ordine naturale delle cose.
Anche
Alberto, di fronte alla ragazza che abbassava gli occhi, si era
sentito un idiota. Camilla era magnifica davvero, con i
capelli stranamente pettinati e gli occhi scintillanti, il
sorriso morbido e, in generale, l'aria più tenera
dell'universo. Quello che adorava di CAmilla, alla fine, era
proprio la sua tenerezza, la sua fragilità, il fatto
che non riuscisse, o non provasse nemmeno, a risultare attraente,
perché non riusciva certo ad atteggiarsi in maniera
studiata, eppure era adorabile lo stesso, anche se adesso, per la
prima volta in tutti quegli anni, fra loro c'era disagio.
"Dove vuoi
andare?", le chiese il ragazzo.
"Mah,
a mangiare qualcosa, dove vuoi tu."
"Non
saprei, non avevo previsto niente, i miei piani e le mie
elucubrazioni si fermavano al momento di venirti a prendere a casa,
perché già sopravvivere a quello era un'impresa
disperata."
Camilla
rise nervosamente, intuendo che avrebbe dovuto fare una battuta,
però era troppo agitata e sentiva la bocca dello
stomaco semplicemente troppo serrata.
"Proposta
innocente: perché non ce ne andiamo a prendere due focacce
adorabili, non le mangiamo da qualche parte, per poi prenderci un
simpatico cono? Così, se almeno ti sporchi, le
cose inizieranno ad andare come al solito."
"Ottima
idea, approvo il piano.", sorrise lei.
"Prima
però... una libreria no, eh? Lo so che tecnicamente mi
hai invitata a cena, ma io non posso non comprare libri, quando
vado in centro."
L'atmosfera,
tutt'un tratto, si distese. Alberto acconsentì con un sorriso
alla proposta dell'amica, sperando che la capatina in libreria
avrebbe dissipato quel po' di tensione che c'era fra loro. A quel
punto Alberto le afferrò la mano e lei, per una volta, lo
lasciò fare, caracollando verso la Feltrinelli.
"Voglio
regalartelo io, questo.", le disse Alberto una decina di minuti
dopo. Aveva guardato Camilla aggirarsi per gli scaffali con un
sorriso esitante, mentre soppesava libri su libri per poi lasciarli
ricadere, affranta perché non aveva abbastanza soldi con sé
e non riusciva a scegliere. Infine doveva aver trovato un
romanzo che la convincesse, perché si era diretta verso la
cassa con passo spedito. Alberto l'aveva affiancata e le aveva
preso il libro di mano. Voleva regalarglielo lui, sia perché,
dopotutto, quello era l'unico gesto per esprimere davvero ciò
che provava per lei, sia perché, a ben guardare, quella
sarebbe stata la prima volta che si avvicinava alla cassa di una
libreria per pagare qualcosa di diverso da un testo scolastico.
"Ma
no, dai, non mi sembra il caso...", ma Alberto le aveva già
sfilato il romanzo - un tomo, per giunta - di mano, e si stava
dirigendo verso la cassa, e Camilla non poté far altro che
seguirlo con lo sguardo.
La
libraia alla quale si rivolse Alberto doveva avere pochi anni più
di loro, e, se non fosse stato per i capelli neri e corti, sarebbe
potuta tranquillamente essere una versione più vecchia di
Camilla: stessi occhi azzurri e luminosi, stessa aria sognante,
stesso sorriso gentile. Forse era la vicinanza con i libri che
rendeva le donne così angeliche ed eteree, pensò
Alberto intanto che la ragazza gli stampava lo scontrino. Lei aveva
visto Camilla aggirarsi con aria pensosa fra gli scaffali, e a ben
pensarci non era la prima volta che scorgeva quella ragazzina
esile studiare con attenzione libri su libri, quasi come se
dalla scelta del romanzo che avrebbe letto dipendesse la sua stessa
esistenza. E quel ragazzo spettinato e dal sorriso un po' esitante
era stato maledettamente tenero a pagarle il libro.
"No,
è che sa... io non ho mica tanta dimestichezza, con le
librerie, e ci vengo solo per fare compagnia a Camilla, di solito.",
disse lui, quasi come se le avesse letto nel pensiero. L'aveva
fissata negli occhi con aria fra il solenne e il disperato, come se
stesse confessando chissà quale crimine, facendo sorridere la
libraia, se possibile, in modo ancora più ampio.
"Migliori
amici?", chiese lei, anche se di solito la professionalità
le impediva di essere troppo ficcanaso.
"Sì...
beh, per me no, anche qualcosa di più, mentre per lei... lo
scoprirò stasera, se non mi viene un infarto prima."
"Oh,
buona fortuna.", mormorò la libraia con occhi
sfavillanti, per poi guardarlo mentre si voltava e tornava
dalla ragazzina bionda, che lo squadrava un po' dubbiosa.
"Ecco
fatto. Ci ho messo unn po', è che..."
"Lo
so, lo so, quella libraia è tremendamente carina."
"Ma
no, che dici? Mi ha solo chiesto... se dovessi leggere quel
libro per scuola, e mi ha detto... che questo libro è meraviglioso,
sì, ecco cosa mi ha detto.", farfugliò
incoerentemente il ragazzo.
"Va
bene, va bene. Però sembra davvero fantastico, il libro."
Alberto,
contento di poter cambiare argomento, studiò la copertina del
romanzo con interesse.
"Come
si chiama? Oh, "una ragazza disobbediente". E di che
parla?"
"Credo
siano due storie che si intrecciano, e il tutto è ambientato
in Sri Lanka."
"Perdonami,
ma faccio fatica a collocarlo su una carta geografica, lo Sri
Lanka...."
"Vicino
all'India."
"Ma
quello non era il Bangladesh?"
"Anche,
ma sai... l'India confina con un sacco di posti, e poi lo Sri Lanka è
un'isola."
"Oh,
fantastico! E vediamo, come si chiamano le protagoniste del libro...
oh, ecco, Latha. Ma che razza di nome improponibile è,
Latha?", esclamò il ragazzo sfogliando le prime pagine
del libro alla ricerca dei nomi dei personaggi.
"Un
nome cingalese, presumo."
"E,
oddio... Tara! Secondo me avrà qualche turba mentale,
questa tipa, perché una che si chiama Tara non può
non avercela, una qualche tara, capisci?"
"Dubito
che l'autrice, che ti ripeto, viene dallo Sri Lanka, conosca il
significato della parola tara, in italiano."
"Sì,
ma secondo me qualche tara, Tara, l'avrà davvero.", e
Camilla, nel ripensare a quel discorso pochi giorni dopo, una volta
finito il libro, non avrebbe potuto fare a meno di costatare che sì,
Alberto effettivamente aveva ragione.
Il
parco, quella sera, era deserto. Avevano scelto un parco giochi del
centro, perché i giardini pubblici sarebbero stati troppo
affollati, dato che la serata si preannunciava limpida e tiepida. Il
cielo era di un azzurro intenso, e l'atmosfera era quella malinconica
e romantica di fine estate. Camilla non poté fare a meno di
pensare all'ultima volta che erano usciti insieme, loro due, qualche
sera prima che lei partisse per l'Inghilterra. Avevano fatto così
tanti discorsi dementi, quella volta, eppure lo spettro di Virginia
aleggiava fra loro, rovinando, in qualche modo, la loro complicità,
la loro intesa. E adesso Virginia non faceva più parte delle
loro vite, e restavano loro due, su quella
panchina, a sorridersi, un po' a disagio per la situazione in
cui si trovavano, ma sarebbe passata, prima o poi.
Solo
che Alberto non poteva più tergiversare, adesso, anche se
probabilmente dichiarare il proprio amore a una ragazza con una
focaccia unta e colante olio in mano non era una buona idea. Camilla,
a fianco a lui, scrutava la propria focaccia con estremo
interesse, quasi l'avere qualcosa da guardare fosse
rassicurante.
"Perché
non mangi?", le chiese il ragazzo, titubante.
"Potrei
chiederti la stessa cosa. Stai stringendo quella focaccia come se,
tipo, volessi strozzarla. Ma non si può."
"Oh,
beh, allora...", e Alberto iniziò ad azzannarla,
letteralmente, quella focaccia, disseminando una quantità di
briciole a dir poco improponibile.
"Preparati,
fra poco un'orda di piccioni famelici ci assalirà entrambi,
visto lo scempio che stai facendo..."
"Sì,
però i piccioni si dirigeranno sicuramente verso di te, che
manco l'hai toccata, la focaccia.", e a quel punto anche Camilla
iniziòo a mangiare, anche se con meno foga. Non era tipo
da giocare col cibo, lei, nient'affatto, però in quel momento
non riusciva quasi a mangiare, e continuava a rigirare
la focaccia fra le mani.
"Non
hai portato la chitarra, oggi."
"Uhm,
no, non mi andava.", mormorò Alberto. Non poteva
spiegarle che, per una volta, non aveva intenzione di nascondersi
dietro agli accordi, alle canzoni, alla musica, perché quella
sera, per una volta, il rock non aveva spazio nella sua vita. C'era
solo Camilla, quella sera, con il vestito azzurro, l'aria un
po' incerta e quella luce negli occhi così speciale che aveva
solo lei. John Lennon, Eric Clapton, Bob Dylan e gli altri non
dovevano esserci, quella sera, anche se, a ben guardare, aveva
trascorso tutto il pomriggio cercando di imparare "love is a
rose", di Neil Young, che, tra parentesi, non poteva certo
dedicare a Camilla, perché nessun ragazzo sul punto di
dichiararsi avrebbe potuto suonare alla propria innamorata una
canzone che iniziava con una frase tipo "l'amore è una
rosa che farai meglio a non raccogliere", no. Ma questo, a
Camilla, non poteva dirlo, come non poteva riferirle di tutte le sue
inquietudini pazzesche, i suoi timori da tardo adolescente troppo
innamorato, né tantomeno farle una lista delle canzoni che non
poteva dedicarle. Al contrario, doveva spicciarsi a dire qualcosa di
coerente, potenzialmente intelligente e dalla notevole chiarezza
espositiva, come avrebbe detto Stefano. Perché non era venuto
con llui, poi, Stefano, doveva ancora capirlo.
"Cami..."
Ecco.
Era tutto quel che sapeva dirle, Cami. Ma doveva dirle per forza
qualcosa, non poteva permettersi a baciarla di nuovo di sorpresa,
come all'aeroporto. Già, il bacio dell'aeroporto, poteva
cominciare da quello, per il suo discorso...
"Io
non volevo davvero baciarti così, all'aeroporto.",
iniziò, e si rese conto, d'improvviso, che quelle parole erano
sbagliate, sbagliatissime.
"No,
aspetta... non dirmi che va tutto bene, perché non va tutto
bene, nient'affatto. Non è tutto a posto, non è tutto
come prima. Io, quel giorno, quando ti ho baciata... avevi
appena finito di dire che un ragazzo, tu, non l'avresti mai trovato,
perché eri troppo timida, troppo diversa, troppo fra le
nuvole. E io quando ti ho baciata ero disperato, perché
partivi e perché non ce l'avrei fatta, da solo, a Torino senza
dite, ma volevo anche farti capire, in qualche modo, che tu potevi
essere abbastanza per chiunque, che nessuno doveva provare anche solo
a pensare il contrario. E allora ti ho baciata, ed è
stato maledettamente meraviglioso, ma poi tu sei corsa via e non ho
saputo cosa pensare, e poi ho capito che, forse, la cosa migliore da
fare era andate avanti come se nulla fosse successo. E così ho
fatto, però.... però io non ci riesco neanche un po',
perché mi passi accanto e penso che sei il mio grillo
parlante, come dici sempre tu, ma sei anche l'unica ragazza che ama
la musica e John Lennon quasi quanto me, ma questo non c'entra,
insomma.... sto cercando di dirti che, Cristo santo, tu sei l'unica
ragazza che vorrei sempre vicino, perché hai un modo di
sorridere tutto tuo, perché riesci sempre ad esserci, anche se
sono la persona più orribile dell'universo. Tu sei la mia
little girl, la mia Yoko Ono - non ti offendere, Cristo, ma non mi
viene altro paragone. Il succo del discorso, ecco, è che credo
di essermi innamorato di te, e io ti ribacerei anche, di nuovo,
sempre che tu lo voglia."
Solo
a quel punto il ragazzo guardò veramente Camilla. Prima, si
rese conto, aveva tenuto gli occhi ostinatamente fissi sul suo grembo
dove si trovava l'ultimo quarto di focaccia che gli era restato.
Camilla aveva ascoltato il discorso di Alberto con il cuore in gola e
le orecchie che le fischiavano. None ra riuscita ad interromperlo per
dirgli di fermarsi, che aveva capito, che andava bene così e
che certo, poteva ribaciarla, anche se lei non era certa di saper
contraccambiare in maniera normale, sia per la sua poca esperienza
sia, soprattutto, per il capogiro che la stava cogliendo. In quel
momento era commossa, raggiante, intimidita, sorpresa, semplicemente
incapace di proferire verbo. Alberto non sapeva come interpretare il
silenzio della ragazza, che teneva gli occhi ostinatamente fissi in
grembo e stava torcendosi febbrilmente la treccia, rovinando la
pettinatura che Maya aveva messo tanto a farle.
Poi,
finalmente, rialzò gli occhi anche lei. Quegli occhi
verdazzurri che, la prima volta in cui Alberto si era degnato di
parlare davvero con Camilla, aveva trovato veramente meravigliosi,
così limpidi ed espressivi, sempre pronti a sgranarsi e ad
illuminarsi per qualsiasi cosa. E ora in quegli occhi non sapeva che
scorgere, se non tanto, tanto stupore. Poi però lei gli
sorrise, anche se timidamente, e alla fine si decise a parlare.
"Oh,
accidenti, io... non so cosa dirti, perché in queste cose sono
una frana, però... però credo che sì, puoi
baciarmi di nuovo, e giuro che non scappo, stavolta. E sì,
credo di essermi innamorata anche io, di te, più o meno da
quando è entrata in scena Virginia e io mi sentivo
così... così agitata, così confusa, così
frastornata, e non era giusto che fossi gelosa e mi sentivo così
in colpa, per quel che provavo, e ho tentato così tante volte
di non pensarci, però era così difficile...", ma
non riuscì a finire la frase, perché Alberto l'aveva
attirata delicatamente verso di sé e l'aveva baciata, di
nuovo, anche se con meno disperazione dell'aeroporto. Perché
adesso Virginia non c'era, e lei non aveva nessun motivo di sentirsi
in colpa, e lui glielo voleva, glielo doveva far capire. E non
c'era niente di più meraviglioso che stringersela
addosso, sentire il suo respiro, avvertire la fragranza dei
suoi capelli e guardarla dritto nei suoi occhi così chiari e
immensi, nei quali, adesso sì, leggeva il suo stesso incanto
per quella serata meravigliosa, per quella magia che si stava venendo
a creare fra di loro.
My love
is the evening breeze touching your skin
The gentle sweet
singing of leaves in the wind
The whisper that calls, after you
in the night
And kisses your ear in the early light
You
don't need to wonder, you're doing fine
And my love, the
pleasure's mine
Let me go crazy on you
(Crazy
on you, Heart)
"Ora
capisco perché non potevo portarmi dietro Stefano,
stasera...", mormorò Alberto diversi minuti dopo, quando
si staccò da Camilla per finire la focaccia con la quale,
stranamente, nessun piccione aveva ancora banchettato. A quella
frase la placida tenerezza di Camilla si mutò in
stupore, poi in rimprovero.
"In
che senso, scusa?"
"Ecco,
vedi... io avevo chiesto a Stefano se potesse venire anche lui,
stasera, per suggerirmi le cose che dovevo dirti."
"Senti,
ma si può sapere come fai a pensarle, certe cose? Voglio dire,
a chi è che verrebbe in mente di portarsi il proprio migliore
amico ad un appuntamento?"
"Ma
infatiti, ora ho capito... se ci fosse stato Stefano io non avrei
potuto baciarti in questo modo!"
"Diamine,
che perspicacia. Fammi un favore, la prossima volta non dirmele,
certe cose che ti passano per la testa. La considerazione che ho
della tua intelligenza, che già di per sé è
bassa, potrebbe risentirne."
"Però
mi hai baciato."
"E
allora?"
"Devi
averlo fatto per qualche motivo."
"Mi
sentivo inferiore rispetto alle mie compagne di classe, dato che
tutte loro, a parte Melia, vantano esperienze di una
vastità incredibile. E così ti ho baciato, per vedere
com'era."
"E
com'è?"
"Bagnato."
"Mi
pareva di averla già sentita, questa frase..."
"Harry
Potter e l'Ordine della Fenice. Harry ha appena baciato Cho e
descrive a Ron ed Hermione quel che ha provato, e siccome quella
smorfiosa cinese stava piangendo tutte le sue lacrime, era logico che
il bacio non fosse esattamente asciutto."
"Oh, cavolo,
e io che pensavo che, mettendoci insieme, avresti smesso di
trattarmi come un idiota senza cervello."
"Oh,
ma è quello che sei, mica posso fingere che tu abbia più
neuroni di quelli che possiedi."
"Però
stiamo insieme, ed è fantastico."
"Già,
anche se non so come la prenderanno le nostre compagne di
classe. Però non dobbiamo per forza dirglielo, possiamo sempre
fare in modo che si struggano per te e che mi chiedano consigli
su come conquistarti, sarebbe divertente."
"Senti,
ma chissenefrega delle nostre compagne di classe... non possiamo
pensare a noi e basta, per una volta?"
"Oh,
ottima idea. Per esempio, potresti offrirmi un gelato, sarebbe un
gesto carino per un neo fidanzato, non trovi?"
"Ma
potresti pure offrirmelo tu, visto che ti ho regalato il libro."
"Cielo,
dov'è finita la galanteria?", chiese lei, ridendo e
guardando in alto, quasi per evocare un cavaliere del passato che,
prontamente, le avrebbe portato un cono gelato gigante.
"Beh,
se la metti in questi termini io dovrei essere galante e cortese,
certo, però tu saresti tenuta a comportarti in maniera molto
rispettosa nei miei confronti, dato che sono il tuo signore."
"Touché.
Hai ragione, devo ammettere, ma... ma andiamo a prenderci 'sto
maledetto gelato."
Erano
andati fino alla gelateria tenendosi per mano. Alberto a volte si
fermava per provare a baciarla, e lei un po' lo lasciava fare un po'
s'irritava, perché voleva quello stramaledetto cono, diamine,
e la loro gelateria preferita, che per colmo di sfortuna era gestita
da degli svizzeri che non avevano ancora capito che Torino non era
Zurigo e che i negozi restavano aperti fino a sera inoltrata, stava
per chiudere. E di baci lei ne aveva avuti fin troppi, quella sera, e
c'era sempre tempo per riceverne altri, ma di occasioni per
acquistare al volo un cono cioccolato e yogurt ne aveva solo una.
Arrivati
al negozio, Alberto si era reso conto, terrorizzato, di non avere
abbastanza soldi per pagare il gelato sia a lui sia a Camilla.
Alla
fine, optò per essere galante ed ordinare il solito cono
cioccolato e yogurt per la ragazza, decidendo di rinunciare alla
propria dose quotidiana di stracciatella.
"Ma
non prendi niente?", gli chiese interrogativa la ragazza.
"Nah.
Devo fare in modo che non ti sporchi, questo vestito è troppo
bello, e Greta potrebbe strozzarti."
"Sei
sicuro? Riesco a macchiarmi in ogni caso, anche se mi imbocchi, e
poi... se è per i soldi non è un problema, potrei
sempre pagartelo io, il gelato. Le cose che dicevo prima sulla
galanteria erano stupidaggini, ti assicuro."
"Ma
no, va bene così, davvero. E poi se fosse stato per i soldi
non avrei esitato a scippare una vecchietta, non credi?", le
chiese lui. Camilla lasciò perdere, intuendo che, se avesse
insistito, l'avrebbe messo fin troppo a disagio.
"E
ora... ora sediamoci, e vediamo cosa posso fare perché tu non
ti macchi."
Alla
fine, Alberto tornò in gelateria chiedendo alla ragazza che
stava dietro il banco di dargli una bracciata di tovaglioli. Quella,
perplessa, glie ne mise in mano quanti più poteva, e lui tornò
da Camilla, che reggeva ancora il cono intatto, anche se un po'
gocciolante.
"Ora
ti preparo un burqa di tovaglioli, guarda quanti me ne ha dati la
signora! Le ho chiesto di darmene una bracciata, ma scherzavo..."
"Beh,
ti ha interpretato alla lettera, evidentemente."
Alberto,
con una tenerezza che Camilla non gli aveva mai visto e che le spezzò
il cuore, iniziò a ricoprirle il grembo di tovaglioli, per poi
depositargliene un po' ovunque credeva che il cono sarebbe potuto
colare.
"Puoi
anche evitare di farmi il turbante con i tovaglioli, capelli e
orecchie dovrei riuscire a non sporcarli."
"Staresti
bene, però, con una bandana di carta in testa, no?"
Camilla,
però, si era cimentata nell'impresa di mangiare il gelato
senza sporcarsi e senza far cadere i tovaglioli che Alberto le aveva
poggiato praticamente su tutto il corpo. Il ragazzo la guardò,
intenerito. Non riusciva a non macchiarsi, a non rimproverarlo, a non
sorridergli con gli occhi pur provando a guardarlo male. E lui la
adorava, ed era bello essere riuscito a dirle ciò che provava.
Ed era meraviglioso stare con lei, averla accanto non solo come amica
pronta a dispensare consigli assennati e a rimbeccarlo per ogni cosa,
ma anche come ragazza, perché stringerla, provare a darle
tutta la tenerezza di cui era capace e sentirsi amato, protetto,
persino rimproverato da lei era quello che aveva sempre voluto, anche
se non se n'era mai accorto pienamente. Le accarezzò i
capelli, sciogliendo definitivamente la treccia che le aveva fatto
Maya, e lei, a quel tocco, trasalì appena e il gelato finì
per colarle sul viso, disegnandole degli adorabili baffi marroni.
"Ascolta,
non provare mai, e dico mai, a dirmi qualcos a di importante o a
toccarmi, quando mangio il gelato. Potrebbe essere pericoloso...",
ma la frase restò lì, sospesa, perché altro
gelato stava, inevitabilmente, sgocciolando sul braccio della
ragazza, macchiando la manica del vestito.
"E
tu, invece, devi stare zitta, quando macchi il gelato."
"VEro
anche questo."
"Ok,
lo mangio io, visto che continui a blaterare.", e con un sorriso
furbo le strappò il cono di mano, iniziando a divorarlo ad una
velocità assurda.
"Ma
è mio!"
"No,
strega che non sei altro. L''ho pagato io, e poi stiamo insieme,
adesso."
"E
quindi?"
"E
quindi tutto ciò che è tuo appartiene anche a me, di
diritto, mentre quel che è mio è mio e basta."
La
ragazza sbuffò, divertita e scioccata dalle idiozie di
Alberto, e lo lasciò finire il cono, maledicendo la sua
incapacità di mangiare il gelato come una persona normale.
"Io
dovrei andare a casa, fra poco...", osservò lei qualche
minuto dopo. Alberto, malgrado le proteste di lei che non era
esattamente il tipo da accettare smancerie in pubblico, l'aveva
stretta a sé, e adesso lei respirava placidamente con la testa
sul petto di Alberto, che giocava con i suoi capelli e non aveva
ancora avuto il coraggio di rompere l'incanto di quel silenzio.
"Ti
riaccompagno, e... e dobbiamo dirlo ai tuoi, che stiamo insieme. E a
quelle arpie delle tue amiche, nonché a Enrico, Fabio e
Stefano."
La
ragazza, suo malgrado, arrossì, imbarazzata com'era alla
prospettiva di doversi preparare al terzo grado di sua madre e
di Greta.
"Alle
nostre compagne di classe non lo diciamo, però. Tanto
continueranno a chiedermi consigli su come conquistarti, io resterò
sul vago e, prima o poi, lo scopriranno da sole. E allora sì
che ci sarà da divertirsi."
"Oh,
fantastico! Non possiamo fare così anche con Greta, vero?"
"No,
temo di no.... tanto sarà a me che chiederà ogni
dettaglio sul nostro appuntamento, non a te!"
"Vero
anche questo, però... è strano, ecco. Ho sempre
immaginato che la mia ragazza sarebbe stata esterna al mio gruppo di
amici, e che sarebbe stato difficile farvi andare d'accordo."
"Virginia."
"Cosa?"
"Con
lei è andata più o meno così. Melia l'avrebbe
ammazzata, Greta pure, io cercavo di farmela piacere senza sforzarmi
troppo e gli altri la soppportavano, più o meno. Mai
conosciuto una ragazza con così pochi argomenti di
conversazione..."
"Cielo,
immagino gli insulti che le avrà tirato dietro Melia."
"Ne
stavamo parlando giusto prima che arrivassi, sai? Ha detto,
aspetta.... che se ti metti con me almeno loro sapranno già
con che razza di persona avranno a che fare."
"Uh,
splendido... ti riaccompagno a casa, dai."
La
prese per mano, di nuovo, e s'incamminarono lasciandosi alle spalle
il parco, la libreria, il centro di Torino.
"Non
è che vieni a dormire da me? Mia madre chissà dov'è,
e tu puoi inventare una scusa qualsiasi coi tuoi..."
La
ragazza gli sorrise, un po' intimidita, ma scosse la testa.
"No,
stasera va bene così. È stata una serata troppo piena
di cose, ecco, e poi temo i miei farebbero troppe storie."
Camilla
non poteva confessargli di vergognarsi: temeva che Alberto avrebbe
voluto da lei qualcos'altro, qualcosa di più dei semplici
baci, e lei, il resto, non era in grado di darglielo, non per ora.
Temeva di risultare ridicola, di non essere all'altezza, né
abbastanza bella né abbastanza sicura di sé per quel
genere di cose, e di sicuro Virginia era più esperta di lei,
ecco. Alberto, però, dovette aver intuito le preoccupazioni e
la ritrosia della ragazza, quindi non insistette, e si limitò
a cingerle le spalle con il braccio, attirandola di nuovo a sé.
Fecero il restante tratto verso casa di Camilla stretti in quel modo,
inciampando e ridendo della loro stessa goffaggne, cercando di stare
il più vicini possibile e, al contempo, di reggersi in piedi.
Una
volta arrivati sotto casa di Camilla, lei lo abbracciò di
nuovo, di slancio, e lui la baciò in un modo che, di nuovo, le
tolse il fiato. Era un bacio disperato, quello, come se Alberto,
attraverso esso, cercasse di rubarle il respiro, di portarla sempre
con sé, semplicemente di darle tutta la tenerezza e l'amore di
cui era capace. E lei ricambiò, sentendosi semplicemente
troppo leggera e troppo felice, perché quello era il momento
più meraviglioso della sua vita, con Alberto che la stringeva
come se fosse la cosa più importante al mondo, le sue mani che
volavano fra i suoi capelli e la stoffa del vestito, i suoi occhi che
sfavillavano. Alla fine dovettero staccarsi, per riprendere fiato e
per evitare di essere visti da tutta Torino, però, nel
guardarsi negli occhi, riconobbero l'uno nello sguardo dell'altra il
medesimo bagliore, la medesima scintilla, e si sorrisero con quella
complicità che era solo loro.
"Seii
l'amore della mia vita, tu...", mormorò il ragazzo, e
Camilla lo guardò, per una volta incapace di contraddirlo o di
rispondergli in maniera caustica, commossa e sbalordita perché
quel che le stava capitando era semplicemente straordinario.
"Oh,
anche tu, temo, ma... al di là di tutto è fantastico,
stare con te, perché... oh, per un migliaio di ragioni, però
elencartele è troppo mieloso e svenevole, quindi sorvolerò."
"Scrivile."
"Cosa?"
"Le
ragioni per cui stare con me è fantastico. Al di là di
tutto quel che ti dico, non riesco a capacitarmi di come sia
possibile ciò che ci sta succedendo, e quindi magari se ne
scrivi tu, ecco, ha tutto più senso. E poi quel che scrivi tu
è meraviglioso, sempre, e, anche se a me non piace leggere, se
parli di noi potrei fare un eccezione."
"Vediamo,
dai... ora vado dentro."
"Domani
ci vediamo?"
"Con
gli altri, però. Dobbiamo fare coming out e dichiarare a tutti
che abbiamo fatto il grande passo. E poi, beh, penso che non dobbiamo
dimenticarci di uscire con loro per stare insieme. Dopotutto, loro
sono la nostra famiglia, e sono magnifici."
"Ok,
ho già capito, stare da soli sarà un'impresa."
"Ma
no, che dici.... buonanotte, honey. È stata una serata
meravigliosa, ripeto, ma ora i miei mi strangolano, se non entro."
Lui
seguì la sua figura con lo sguardo finché lei non si fu
richiusa il portone alle spalle. Conservò per molti minuti
l'immagine dei capelli biondo scuro di Camilla che le incorniciavano
il viso e le piovevano un po' ovunque, e dell'ultimo sguardo fugace e
raggiante che gli aveva lanciato. Non c'era niente di più
straordinario di lei, del suo sorriso, del modo in cui lo faceva
sentire amato, protetto, accolto, perché Camilla sapeva
curargli ogni ferita senza smettere mai di ascoltare i suoi deliri,
riusciva a strappargli un sorriso anche nei giorni di sconforto e,
aveva imparato quella sera, era l'unica donna - perché ormai
sì, era di questo che si trattava - che voleva accanto.
Per tutta la vita.
We gotta look
right at each other and say it
turn on the radio and play it
and
fall in love again
Can you feel the light shine
You now
this song's yours and mine
ain't it good to know you've got a
place to go
where the melody's fine
Sometimes I'm not so
strong
and even now I could be wrong
but if you love me
like music
I'll be your song
(Love
me like music, I'll be your song, the Heart)
Note:
Non
so se siete arrivati alla fine di questo capitolo indenni; non
saranno tutti così, ve lo prometto, solo che questo, pur
essendo il primo, non volevo spezzarlo. Ho impiegato moltissimi mesi
per scriverlo, altrettante notti insonni e qualche sclerata. Resta la
cosa più bella che abbia mai scritto penso, anche se il mio
livello d'autostima fa schifo.
Da
dove cominciare? Alberto e Camilla, i protagonisti, sono anche i
protagonisti di "country dreamer", insieme ai loro amici,
che qui ho solo accennato. La storia, che ho già pubblicato
nel 2012 sotto un altro account (poi l'ho cancellata, la storia,
perché non mi piaceva, era scritta con uno stile che non mi
appartiene più) in realtà inizia da ben prima, e in
teoria introducevo molto meglio i personaggi. Qui ho dato per
scontato molte cose, che si andranno a spiegare, prima o poi.
I
prossimi capitoli non so cosa potrebbero riguardare, forse saranno un
salto indietro nel tempo, in modo da spiegarvi un po' meglio i legami
fra i protagonisti, o forse no. Però a volte vi saranno
flashback, a volte anticipazioni; parlerò di loro da ragazzini
e da adulti, e spero vi piacciano, perché io, veramente, li
adoro. Sono i miei protagonisti, i miei personaggi, soprattutto
Alberto e Camilla.
Che
dire? Grazie per esserbi subiti il primo capitolo più lungo
della storia, per aver letto, capito, per aver deciso quantomeno di
aprire questa storia. Vi sarei grata se lasciaste un commentino, è
sempre bello ricevere un parere. :)
Un
abbraccio, e a risentirci! :)
Ceci
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